Nei quartieri
d’inverno, i soldati attendono pazientemente la fine della cattiva stagione. La
sera scende presto, e la neve cade ininterrotta, turbinando nell’aria fredda.
Nel mio alloggio, alla luce fioca di una candela, passo in rassegna
le incerte mappe di questa regione. Silenzioso come sempre, il giovane
Fulvio entra e va a sedersi per terra accanto al fuoco, fissandomi con i suoi
imperscrutabili occhi grigi. Poi, con la sua voce pacata:
“Perché il grande Cesare non va a dormire, invece di pensare ai piani della
battaglia? Fuori la neve è alta, e i soldati non possono ancora combattere”.
Non
posso fare a meno di sorprendermi ogni volta per la sua perfetta padronanza del
latino, seppure la sua pronuncia sia aspra e irregolare, con il ruvido accento
che è proprio della sua lingua. In meno di due anni ha appreso, oltre al
latino, un numero davvero incredibile di dialetti gallici, ed è il più valido
dei miei interpreti. Fulvio non è che un soprannome
datogli dai miei soldati, per via dei suoi capelli di un indefinibile biondo
rossastro1. Il suo vero nome è
assolutamente impronunciabile per noi Romani, e lui ha accettato con perfetta
indifferenza di essere chiamato con questo nuovo nome.
Dice
di essere nato nella lontana Hibernia2,
e di essere stato fatto prigioniero in giovane età dai Britanni. Durante la mia campagna in Britannia, si
è unito a noi, fuggendo dal popolo che lo teneva come schiavo. Oltre che
per la sua abilità di soldato, si è subito distinto per la sua pronta
intelligenza e la facilità con cui apprendeva le
lingue. Mi è stato molto utile in più di un’occasione. La sua curiosità per gli
usi e i costumi del popolo romano mi ha costretto a
volte a racconti interminabili. In cambio a volte mi parla della sua terra, che
dalle sue descrizioni sembra essere piuttosto simile
alla Britannia, e molto diversa da Roma.
Per
me sembra avere una particolare devozione, e spesso è solito rivolgersi a me
chiamandomi Giulio, cosa che gli ho proibito di fare
di fronte ai miei ufficiali. A volte, mentre dormo, viene ad accovacciarsi ai
miei piedi, e pare un cane che faccia la guardia al
suo padrone.
Ormai
sono solito considerarlo come un amico fidato, ed anche i miei uomini hanno
imparato a confidare nella sua conoscenza della natura, oltre che dell’arte
della guerra. E’ in grado di prevedere l’arrivo di una tempesta solo guardando
le nuvole e il vento.
Ma conserva la sua indipendenza, e va e viene per
l’accampamento come vuole. Non permette a nessuno di avvicinarglisi troppo, e obbedisce solo ai miei diretti
ordini.
Eppure
a volte dal suo sguardo sornione ho l’impressione che si stia
segretamente burlando di me. Molto spesso, guardando i suoi lineamenti forse
troppo delicati per un barbaro, e l’esilità della sua corporatura, mi è venuto
il sospetto che non sia un ragazzo, come asserisce, ma una giovane donna. Vero
è che fra i Britanni e le altre genti con loro confinanti le donne sono in
grado di combattere alla pari degli uomini, e spesso scendono in battaglia al
loro fianco.
Se interrogato in proposito, Fulvio si limita a ridere. E rimane in silenzio, mentre nei suoi occhi scintillanti mi
pare di scorgere un sorriso.
1 Il nome
latino Fulvius
ha la stessa radice dell’aggettivo fulvus, che significa appunto “rossastro, giallo scuro”
2 Si
tratta dell’Irlanda