Se vi dicessi che la magia
esiste,
Se vi parlassi di fate,
elfi e
folletti,
Se vi rivelassi che in
fondo ho sempre
saputo ciò che realmente sono,
Mi prendereste per una
pazza?
Sì,
probabilmente sì.
...
Quella sera il sole, ormai
per metà
dietro le colline, tingeva il cielo di mille sfumature diverse, che
trasformavano la mia città in un paradiso di colori.
Il tramonto era la mia
parte preferita
della giornata: i colori caldi, in contrasto con quelli freddi
portati dalla luna e dalla notte, erano uno spettacolo fantastico,
soprattutto in quella regione.
Adoravo quel luogo, era la
città in
cui ero nata, cresciuta, ma soprattutto era la città che
custodiva
tutti i miei ricordi, le mie emozioni, le avventure imprudenti che
ogni bambino, almeno una volta nella vita, vive disubbidendo ai
genitori.
Peccato però
che, per qualche strano
motivo, a tutte le persone che mi si erano avvicinate era successo
qualcosa di brutto.
Per questo motivo, col
tempo, rimasi
sola con i miei pensieri, accompagnata dal nomignolo infantile di
pooka, come il folletto descritto dalle leggende come
“portatore di
mali”.
Ma non
m’interessava molto, mi ero
sempre sentita diversa dai miei coetanei, anche se non capivo il
perché: quindi mi ero rassegnata.
Ormai avevo diciotto anni:
per la
precisione li avrei compiuti domani, 14 giugno, e speravo con tutto
il cuore che quel giorno le mie innumerevoli domande avrebbero
trovato una risposta.
Ero diversa anche dai miei
genitori con
il mio corpo minuto ed esile, la pelle color della luna, i capelli
corvini, il volto spigoloso, gli zigomi alti, delle orecchie
leggermente a punta e dei grandi occhi viola.
Mia madre, e mio padre
avevano dei
comuni, ma bellissimi occhi color nocciola: io no. Io mi ero beccata
un paio di inconsueti occhi viola, incorniciati da ciglia lunghe,
nere e ricurve. Un piccolo arbusto in una famiglia di pini maestosi:
era quella l’espressione adatta.
In quel momento ero nel mio
piccolo
rifugio, sulla collina più alta della città, ad
aspettare che la
notte arrivasse, che il tramonto, che fino a quel momento colorava il
cielo, svanisse lasciando il posto a quel piccolo cerchio luminoso
che tanto mi affascinava: in che modo poteva, un corpo celeste come
quello, brillare di tanta luce pur non possedendone una propria, era
per me un mistero terribilmente attraente.
Restai sull’erba
a guardare il cielo
per molto tempo prima di accorgermi che era passata la mezzanotte. La
luna era piena e illuminava i miei passi incerti verso casa: sapevo
bene che i miei genitori mi avrebbero sgridata, ma in quel momento
non m’interessava, volevo solo infilarmi nel letto e sperare
che il
tempo passasse presto.
La mattina dopo mi svegliai
prima del
solito: guardai l’orologio e mi accorsi che erano da poco
passate
le dieci.
Mi alzai dal letto ancora
vestita come
il giorno precedente e scesi le scale. Fu lì che sentii i
miei
genitori discutere come non mai: non stavano litigando, né
discutendo per una cosa futile come facevano sempre. No: stavano
parlando di me.
- Dobbiamo dirglielo
– disse mia
madre. – Merita di sapere, ormai ha 18 anni!-
Mio padre scosse la testa,
visibilmente
contrariato.
- Non è pronta.
Non ancora ...-
Mia madre scattò
in piedi: - Raphael
Hale! Quando sarà pronta eh? Vuoi che lo venga a scoprire da
qualche
el... qualcun altro? Dobbiamo dirlo alla nostra Olly. Ora e subito...
–
Detto questo si risedette
sulla sedia,
con le braccia incrociate sul petto e un’espressione
infuriata sul
volto.
Che dovevo sapere? Cosa
c’era di così
importante?
Feci un passo in avanti.
- Che dovrei sapere?
– la voce tremò,
mentre il tono era quasi un sussurro.
Vidi mia madre scoppiare a
piangere e
mio padre alzarsi di scatto dirigendosi verso di me.
- Da quanto tempo sei
lì? –
- Abbastanza da sapere che
avete
qualcosa da dirmi..-
Abbassò lo
sguardo e capii che cercava
di evitare il mio.
- Cosa dovrei sapere
papà? –
-Sei stata adottata piccola
mia. –
Fu mia madre a parlare, ma
avrei
preferito che non lo avesse fatto.
Adottata?
Ora si spiegavano molte
cose, il mio
aspetto era troppo diverso dal loro, potevo anche capirlo da sola.
-Adottata? -
- Sì... Ti
abbiamo trovata nel bosco
qui accanto quando avevi appena un mese... Volevamo dirtelo prima,
ma... – esitò un attimo – avevamo
paura...-
Mi avevano mentito tutti
questi anni. –
E dovevate dirmelo proprio il giorno del mio compleanno vero?-
Le mie parole suonavano
come
un’accusa. Probabilmente perché era proprio
così.
- Senti Olly,
c’è ancora una cosa
che dobbiamo dirti. Ed è il motivo per cui ti abbiamo detto
tutto
oggi... –
- No.- parlai a denti
stretti.
Arretrai, fino ad uscire
dalla porta di
casa. Cominciai a correre, addentrandomi nel bosco mentre le prime
lacrime rigavano le mie guance.
Nel correre inciampai in un
ramo
piegato in terra: lanciai un urlo liberatorio.
Subito dopo mi sedetti
sulle foglie, le
gambe serrate al petto e gli occhi vitrei, fissi sul terreno
scosceso.
Ero stata adottata. Non ero
figlia né
di Raphael, né di Susan.
Chiusi gli occhi e mi
lasciai andare ai
miei pensieri: mi sembrava così infantile quello che stavo
pensando... non avrei voluto sapere la verità, la mia vita
andava
bene così. Sapere che potevo contare su un legame di sangue
più
forte di qualunque altra cosa, era una certezza che mai avrei voluto
perdere.
Una goccia cadde sulle mie
guance
unendosi alle mie lacrime. Prima una goccia poi il diluvio.
Mi guardai intorno: il
bosco era
talmente fitto che non sembrava nemmeno giorno.
Solo una luce in lontananza
illuminava
l’aria.
Scorsi una figura sfocata,
troppo
lontana per essere visibile, poi sempre più nitida, fino a
che
divenne chiara: era un ragazzo, coperto da un mantello con cappuccio,
che emanava una luce irreale.
Il corpo era esile e
minuto, il viso
era spigoloso, gli zigomi alti, la pelle risplendeva tanto era
chiara, gli occhi erano di sfumature di viola.
Quando arrivò a
pochi passi da me, mi
porse la mano e si tolse il cappuccio.
Era ancora più
bello di quanto mi era
sembrato: i capelli erano lunghi, del color di un campo di grano in
estate e incorniciavano perfettamente il suo viso ovale. Ma in
particolare mi colpirono le sue orecchie: a punta, poco di
più delle
mie.
Tutto di lui sembrava
strano, fiabesco.
Tutto di lui era in
perfetta armonia
con la natura circostante.
- Ciao –
parlò a bassa voce ma
abbastanza forte da permettermi di sentire la sua voce. –
Sono qui
per aiutarti. – La sua voce assomigliava ad una sinfonia:
musica
composta dal miglior artista.
- Chi sei tu? –
In quel momento mi
pareva la domanda più sensata.
- Non potresti nemmeno
immaginarlo –
Disse mentre un sorriso si fece spazio sul suo volto. – Sono
un
elfo... –
- Impossibile... le fiabe
non
esistono... –
- Io però sono
qui –
- E perché sei
qui? –
Esitò un attimo,
ma il sorriso non
svanì dal suo volto.
- Sono Henri.. Tuo fratello
maggiore. –
Mio fratello. Mio fratello.
Mio
fratello?
Lo guardai meglio: aveva
molto del mio
aspetto, occhi viola, pelle chiara, orecchie a punta.
- Io sono un elfo?
–
Mi sembrava tanto strano
dirlo ad alta
voce. Non avevo mai nemmeno pensato di essere un personaggio delle
fiabe. In quel momento smise di piovere.
- Sì... E No.
– si sedette accanto a
me. –Essendo mia sorella sei un Elfo. Ma sei unica nel tuo
genere
dal momento che sei un incrocio tra gli umani e gli elfi. Hai dentro
di te sia del sangue umano, sia quello elfico.-
- E come mai?
Cioè.. Come sono nata
così? Perché? –
- Un errore nei geni... Non
saprei come
spiegartelo meglio... Come puoi notare non hai nè i capelli
biondi,
né le orecchie a punta come me. Ma hai gli occhi viola, la
pelle
color della luna e cosa più importante hai un legame
fortissimo con
la natura. Quello che successo poco fa ne è la prova. La
pioggia ha
seguito i tuoi sentimenti: stavi piangendo e il cielo piangeva con
te, hai smesso di piangere e il cielo si è illuminato anche
se da
qui non lo puoi vedere. Non hai mai notato che il tramonto ha il
colore dei tuoi occhi? E che le nuvole giungevano sempre quando ti
sentivi triste? Tutta la natura indirettamente è al tuo
servizio
Olimpia. I tuoi genitori poco fa hanno cercato di dirtelo, ma tu sei
scappata, così nostra madre ha mandato me. Il consiglio
degli elfi,
non ha accettato la tua diversità così ci ha
ordinato di cacciarti
quando eri solo una bambina. Nostra madre ti ha affidato agli Hale,
col compito di dirti tutto quando si fossero sentiti pronti. Ma non
avevano previsto di dirtelo proprio oggi. Il giorno del passaggio
all’età adulta. –
Fino a quel momento ero
rimasta ad
osservarlo con occhi sgomenti, ma c’era una cosa che non
capivo:
come mai tutto oggi?
- Passaggio
all’età adulta? –
- Ogni elfo, compiuti i 18
anni di
vita, acquisisce un potere che rispecchia il proprio carattere,
poteri magici, come li chiamano gli umani. Bisogna solo scoprire
quale: io, ad esempio, ho il potere di far fiorire i fiori. –
Mosse
la mano, e dopo pochi secondi, dove prima c’era solo fango
nacquero
dei grossi gigli. Osservai esterrefatta tutta la scena. –Tu,
a
giudicare dalle previsioni, hai il potere di colorare la natura. Ma
dovrai scoprire da sola il tuo potenziale.-
Provai a sfiorare i fiori
creati da
Henri, e con mia sorpresa divennero del colore che avevo immaginato.
– Vedi? Noi elfi,
tutti insieme,
abbiamo un potere che supera ogni immaginazione: ma questo lo
apprenderai presto. Ora non c’è tempo, devo
tornare dalla mia...
Nostra famiglia, prima che qualcuno mi scopra. –
- Non posso venire?
–
- Un giorno Olly, quando il
consiglio
ti darà il consenso. Fino ad allora neppure noi due potremmo
più
vederci. Tu intanto torna dalla tua famiglia: non merita questo
trattamento. –
Annuii abbassando lo
sguardo. Cercai di
non piangere ma non ci riuscii, e poco dopo anche il cielo pianse con
me.
- Mi dimenticherai?
– chiese
all’improvviso.
Alzai gli occhi: il suo
sguardo
d’ametista incontrò il mio pieno di lacrime.
-Mai. – conclusi
decisa.
Mi scostò una
ciocca di capelli; poi,
con il sorriso sulle labbra, scomparve tra gli alberi.
|