BE
MY FAMILY OR NOT
Sono nato nell’odio e
cresciuto nella rabbia. La mia vita è cominciata solo quando
l’ho incontrata.
“Jasper!” trillò Alice entrando in
biblioteca.
Seduto in poltrona, alzai la testa dal libro che tenevo tra le mani e
la guardai.
“Sì?”
“Vuole che la accompagni… a fare
shopping,” borbottò Edward, completamente disteso
sul divano. L’immagine stessa del relax.
“Grazie, Edward,” lo rimbeccò Alice,
seccata. Le aveva appena rovinato l’effetto sorpresa.
Si avvicinò con un grazioso movimento e io le feci posto sul
bracciolo. Alice sedette e mi passò una mano tra i capelli,
lasciando sparire la seccatura sotto una ventata di amore e tenerezza.
Edward ridacchiò sotto i baffi e si voltò di
pancia per guardarci.
“Che succede?” domandai, alternando lo sguardo tra
loro due.
Non ero abituato a vederli comunicare così. Nemmeno il resto
della famiglia Cullen ci era abituato, a dire il vero.
“Niente.” Alice sventolò una mano.
“Usciamo a fare shopping? Mi sto annoiando?”
Guardai fuori dalla finestra: eravamo a febbraio e l’acqua,
quel pomeriggio, veniva giù a catinelle.
“Va bene.”
Chiusi il libro e mi alzai, aspettando che Alice mi precedesse fuori
come al solito. Ma lei e Edward si stavano fissando come predatori, gli
occhi ridotti a fessure e un mezzo ghigno dipinto sulle labbra di
entrambi.
“Non parlerò, lo sai,” le stava dicendo
Edward.
“Riesco ancora a vedere l’altra opzione,”
ribattè Alice.
“Solo per scherzo.” Edward chiuse gli occhi e li
riaprì. “Ecco. Soddisfatta, adesso?”
“Più o meno.”
Alice si alzò e lanciò un’ultima
occhiata di ammonimento a Edward prima di prendermi per mano e condurmi
fuori. Chiuse la porta alle nostre spalle e continuò a
camminare lungo il corridoio, ma fu costretta a fermarsi quando io mi
bloccai dietro di lei, il braccio teso e le nostre mani ancora
intrecciate.
“Jazz…?”
“Che succede, Alice?”
Un’ondata di tenerezza e senso di protezione.
“Perdonami,” mormorò Alice, tornando
indietro e abbracciandomi. “Ho la tendenza a dimenticare che
non sei ancora abituato a tutto questo come lo sono io.”
Le posai un bacio sulla testa.
“Siamo qui da meno di un anno. Vedrai che mi
abituerò presto,” la rassicurai.
“Lo so. L’ho visto.” Alice
alzò la testa e mi sorrise. “Comunque, volevo
comperare un regalo per l’anniversario di Esme e Carlisle e
non volevo che Edward spifferasse tutto, rovinandomi la
sorpresa.”
Annuii. “Vai a prendere la giacca. Ti aspetto di
sotto.”
Alice schizzò via, rapida e aggraziata come una piccola
gazzella, e io scesi al piano terra per rovistare nel guardaroba, alla
ricerca del mio cappotto. Mentre ero ancora lì dentro,
sentii una pacca sulle spalle.
“Ehi, Whitlock,” mi salutò Emmett.
“Stasera c’è la finale in TV. Sei
pronto?”
“Certamente.”
Mi tese la mano e ci scambiammo il cinque.
“Senti,” abbassò la voce con fare
cospiratorio. “Cinquanta bigliettoni che vinceranno i
– “
“Non farlo, Jazz,” ci interruppe Alice.
“Vincerà Emmett.”
“Oh, Alice,” chiocciò Esme, uscendo
dallo studio con le mani che odoravano di trementina. “Non
togliere sempre tutto il divertimento al povero Emmett, non
è leale.”
“Ecco, il povero Emmett,” rincarò
Emmett. “Non bastava Edward a leggerci nella mente, dovevi
arrivare anche tu a fare da veggente.”
Emmett le fece l’occhiolino e Alice rispose con una cordiale
linguaccia. Esme ci passò accanto e si fermò a
sistemarmi il colletto del cappotto con occhio critico.
“Ecco, Jasper, caro,” mormorò,
spolverandomi poi spalle e petto. “Meglio così,
no?”
Un’improvvisa ondata di affetto mi invase.
“Sì, Esme. Grazie.”
Lei si illuminò, accarezzandomi gentilmente il viso.
“Hai le occhiaie un po’ pronunciate,
tesoro,” disse con apprensione. “Se vuoi, dico a
Carlisle di aspettarti, stasera quando torna dal lavoro.”
“Ancora non ce n’è bisogno,
Esme,” risposi con dolcezza. “Comunque,
grazie.”
Alice saltellava sul posto da mezzo minuto, ormai, così, con
un sospiro divertito, mi allontanai da Esme.
“Dai, andiamo,” dissi ad Alice, lanciandole le
chiavi della macchina.
Lei corse fuori ridacchiando e io la seguii con più calma.
“Divertitevi e state attenti,” mi salutò
Esme.
Camminavamo lungo le vie del centro mano nella mano, fingendo di
ripararci sotto i cornicioni dato che eravamo usciti senza ombrello.
Eravamo fuori da meno di un’ora, ma ero già carico
di borse. Ogni volta che Alice compariva con un nuovo pacchetto tra le
braccia, mi accigliavo: lei non si sentiva a disagio come me
nell’usare il denaro dei Cullen – dopotutto, lei
contribuiva all’incremento del budget di famiglia grazie alle
sue “visioni di borsa”.
Io, invece, non riuscivo a sentirmi altrettanto a mio agio nello
sfruttare quelle persone che avevano già fatto tanto per
noi, accogliendoci in casa come se ci conoscessero da sempre. Eravamo
lì da nemmeno un anno ed Esme già mi trattava
come un figlio.
Però, per quanto mi sforzassi e cercassi di farla ragionare,
non riuscivo a tenerle il broncio per più di cinque minuti:
Alice sapeva benissimo dell’effetto benefico che le sue
emozioni avevano su di me.
Perciò continuavamo ad entrare e ad uscire dai negozi sempre
più carichi. Anzi, ero io quello sempre più
carico. Alice era quella sempre più su di giri. Ma non aveva
importanza: non stava bene che le signore portassero borse
così pesanti quando avevano un uomo al fianco.
All’improvviso, Alice inchiodò davanti alla
vetrina della gioielleria e rimase a bocca aperta.
“Jazz! Quello! Quello è perfetto!”
Guardai l’oggetto indicato da Alice nella vetrina:
un’elegante collana, dall’aspetto antico, con una
piccola aquila d’argento come ciondolo. L’occhio
dell’animale era formato da uno zaffiro blu intenso.
Mi guardò eccitatissima, come a chiedermi il permesso, e
quando annuii si fiondò dentro.
“Buonasera,” la sentii salutare il negoziante con
l’aria incantevole che era solita assumere quando voleva
ottenere qualcosa.
Alice e il negoziante discussero poi su quali gemelli fossero
più adatti per un anniversario, mentre io mi guardavo
intorno, colpito da tutto quello sfavillio. Poi i miei occhi caddero
sugli anelli custoditi nella teca di vetro del bancone.
“Oh, Jazz,” sospirò Alice, indicandone
uno in particolare. “Non è adorabile?”
Il commesso ci lanciò lo sguardo tipico di chi la sa lunga,
poi mise da parte i pacchetti per Esme e Carlisle ed estrasse
l’anello indicato da Alice, posandolo sul bancone, bene in
mostra nella custodia di velluto blu.
“Una treccia di platino e oro bianco,” descrisse
l’uomo. “Molto semplice, ma non per questo non di
classe.”
Mi chinai ad osservarlo meglio. Alice ha sempre avuto ottimi gusti, ma
l’odore improvviso del sangue di quell’uomo mise in
secondo piano l’anello. Mi colpì le narici e la
gola più di quanto avrebbe dovuto. Alzai gli occhi e vidi la
vena pulsare sul collo, proprio sopra il colletto della camicia, a
pochi centimetri dalle mie labbra. Mi stavo chiedendo come e quando
avrei potuto portarlo via senza farmi scoprire, quando Alice mi
tirò un violento calcio negli stinchi.
“È davvero splendido, amore, ma si è
fatto tardi e dobbiamo rientrare,” dissi, allontanandomi di
scatto, imbarazzatissimo e a occhi bassi.
Alice guardò l’orologio e finse di inorridire.
“Accidenti, hai ragione, Jazz,” esclamò.
“Siamo in tremendo ritardo.”
Il commesso rimise a posto l’anello con un sorriso complice e
finì di sistemare i pacchetti nel giro di pochi secondi, che
a me parvero interminabili. Finalmente, pagammo e uscimmo dal negozio
il più in fretta possibile.
“Va tutto bene, Jazz,” ripetè Alice per
l’ennesima volta. “Non sarebbe successo niente. Ti
avrei fermato.”
Per tutta risposta, premetti ancora di più il piede
sull’acceleratore della Cadillac.
“Jazz,” mi implorò Alice.
“Rispondimi.”
“Mi dispiace, Alice,” borbottai con gli occhi fissi
sull’asfalto bagnato. “Non sarebbe dovuto
succedere. Non dopo tutto quello che i Cullen hanno fatto per noi. Non
voglio costringerli a trasferirsi a causa mia.”
“Ma succederà, Jazz,” mormorò
Alice con dolcezza.
Io mi girai a guardarla con il terrore negli occhi.
“È già successo loro prima che
arrivassimo noi e succederà di nuovo, probabilmente. Ma
nessuno te ne farà una colpa. Ti capiscono. E vogliono
aiutarti.”
“Stasera andrò a caccia con Carlisle e mi
scuserò di persona per il mio imperdonabile
comportamento,” replicai, tornando a guardare la strada.
Alice non insistette. Appoggiò il gomito al finestrino e il
mento alla mano e guardò il paesaggio per il resto del
viaggio.
I regali piacquero molto, ma Carlisle apprezzò
particolarmente il fatto che io mi fossi confidato con lui
sull’accaduto. Cacciai molto più del necessario,
rendendo i miei occhi di un mansueto ambra dorato. Ma la bestia ruggiva
ancora dentro di me.
“Andrà tutto bene, Jasper,” mi
assicurò Carlisle, mentre tornavamo a casa, un paio di ore
prima dell’alba. “E se così non fosse,
se dovessimo trasferirci, nessuno ne farà una tragedia.
L’abbiamo già fatto con Emmett, una volta. E con
Rosalie quando l’ho trasformata.”
Ringhiai basso. “Io non voglio creare problemi.”
“Figliolo,” Carlisle mi prese per le spalle.
“Vi abbiamo accolti a braccia aperte, senza riserve. Sapevamo
perfettamente a cosa saremmo andati incontro, ma non vi abbiamo
allontanato. Sai cosa significa questo?”
“Che vi facevamo pena?”
Carlisle scoppiò a ridere.
“E tu dovresti saper leggere le emozioni?” mi
scrollò leggermente. “Significa che vi volevamo
nella famiglia. So che c’è del buono in te,
Jasper, lo sento anche senza particolari doni. So cosa vuol dire
cambiare per migliorarsi, perché altrimenti non si riesce a
vivere con se stessi. La vera sfida non è infatti farsi
accettare dagli altri – in un modo o nell’altro,
qualcuno disposto a sopportarci lo si trova sempre – ma
riuscire a perdonare noi stessi e riuscire ad ottenere
l’assoluzione dalla nostra coscienza.”
Lo fissai a bocca aperta. “E come si fa?”
“Intanto comincia a comportarti più da umano e
meno da vampiro depresso,” suggerì Carlisle,
prendendomi bonariamente in giro. “Così
sarà un po’ più difficile pensare a
loro come semplici prede.”
Dissi ad Alice di portarmi fuori il più possibile e lei
colse la palla al balzo. Girammo la città in lungo e in
largo, poi andammo anche nelle cittadine dei dintorni. Quasi ogni sera
andavamo a teatro o al cinema e, se restavamo a casa, trascorrevamo la
serata con i Cullen, a guardare la TV o a fare giochi di
società. Io e Emmett ci appassionammo così tanto
agli scacchi che Esme ci costruì una specie di
porta-scacchiere lungo tutto una parete della sala, in modo che
potessimo sistemarcene sopra almeno una decina. Edward,
però, non era stato invitato a giocare: Emmett
l’aveva bandito perché toglieva tutto il
divertimento. Alice era l’unica disposta a sfidarlo, ma ben
presto il gioco li annoiò. Le partite si concludevano nel
giro di qualche minuto e, solo se andava bene, Edward o Alice
riuscivano a muovere due o tre pezzi. Il resto della partita era tutto
giocato a livello mentale.
Uno dei tanti pomeriggi di “umanizzazione”, mi resi
conto che era la decima volta che sostavamo davanti alla gioielleria
dove avevamo acquistato i regali per Esme e Carlisle e che Alice
metteva continuamente a confronto l’anello di platino e oro
bianco con quelli esposti in vetrina.
Mi stava dicendo qualcosa, ma non riuscivo a capire bene cosa: Alice si
comperava tutto ciò che le piaceva e non eravamo soliti
scambiarci regali così spesso come Rosalie ed Emmett. A
casa, era piena di anelli, ma se si era fissata su quello in
particolare, perché non entrava e lo comprava? Le sue
emozioni, poi, non mi dicevano nulla di nuovo: amore, come sempre,
divertimento, eccitazione e un senso di aspettativa. Il resto era molto
confuso.
Confidai le mie perplessità a Edward, quella sera in
biblioteca, descrivendogli lo strano comportamento di Alice. Quando
terminai, Edward mi guardò cercando di trattenere una risata.
“Non potrei dirti niente,” disse, “ma
l’ultima cosa che Alice ha visto prima di chiudere la propria
mente alle visioni che vi riguardavano è stata proprio
questa scena, perciò…”
“Chiudere la mente?” ripetei, perplesso.
“E perché mai?”
“Non vuole rovinarsi la sorpresa.”
“Edward, per favore…”
“D’accordo, d’accordo,” cedette
lui, abbandonandosi contro lo schienale del divano. “Ti
darò qualche indizio. Dunque, il primo è: il
calendario.”
“Il calendario.”
“Sì. Che giorno è sabato?”
“Il 14 febbraio,” risposi automaticamente.
“Oh.”
Che sciocco! Alice voleva che le regalassi quell’anello per
S. Valentino. Anche questo doveva far parte della missione
“Umanizzare Jasper”: ricordarsi una data umana
– che per me non avevano mai avuto troppa importanza
– come facevano gli umani. Bastava dirlo subito, no?
“No, Jasper,” scosse la testa Edward, seguendo il
filo dei miei pensieri. “Cioè, è vero
almeno in parte. L’altro indizio è: famiglia.
Alice vuole che tu ti senta parte integrante della famiglia. Ma dice
anche di non considerare me
mentre fai questo.”
Corrugai le sopracciglia. “Te?”
Edward annuì.
“Ok,” dissi esitando.
“Perciò… Dovrei sfrattarti di nuovo
dalla tua stanza e trasferirmici?”
Edward ridacchiò. “No comment.”
“Il prossimo indizio?” chiesi.
“Alice. Sai che le piacciono le cose fatte con
stile.”
“Sì,” annuii.
“È questo l’indizio.” Edward
sorrise e si alzò. “Ti posso solo dire che Alice
ha promesso di non sbirciare perché ha fiducia in
te.”
Edward uscì dalla biblioteca e si chiuse la porta alle
spalle, lasciandomi lì a sedere sulla poltrona, perplesso.
Ogni dubbio si sciolse
appena andai a comperare quell’anello senza combinare
disastri. Il commesso rimase solo un gentile commesso che mi
aiutò ad aprire gli occhi. Allora sì che capii
tutto. Alice era inimitabile.
Sono nato
nell’odio e cresciuto nella rabbia. La mia vita è
cominciata solo quando l’ho incontrata. Ma la cosa
più importante è che, se anche dovessi commettere
qualche passo falso, Alice non mi abbandonerà mai.
“Non sbirciare, d’accordo?”
“No, Jazz, te l’ho promesso! Non
guarderò nel futuro!”
Era sabato sera e avevo portato Alice nel parco fuori città,
al riparo dalla luce e da occhi indiscreti. Avevamo steso una coperta
per terra e ci eravamo sdraiati a guardare le stelle.
Mi tolsi il regalo dalla tasca della giacca e glielo diedi. Una
graziosa scatolina incartata. Alice saltò su a sedere e lo
aprì tutta contenta. Rimase sconcertata solo quando lo
estrasse dal pacchetto.
“Una palla di vetro?”
“È una sfera di cristallo,” la corressi,
girandomi su un fianco e appoggiandomi sul gomito. “Serve a
predire il futuro.”
“Una sfera di cristallo?”
“Sì.”
“Mi stai prendendo in giro?”
“Sì.”
Ci scambiammo una lunga occhiata, poi scoppiammo a ridere. Percepii una
sensazione anomala provenire da Alice. Sollievo.
“Perché?” le chiesi.
“Perché, finalmente, stai cambiando. Stai
imparando a divertirti come noi, tanto per cominciare. Te
l’ho detto che ce l’avresti fatta.”
Sorrise, ed era semplicemente splendida. La mia piccola Alice.
“Ora guarda nella sfera e dimmi cosa vedi,” le
suggerii.
“Oh, dai, Jazz, non crederai mica che – “
“Zitta,” le dissi, posandole due dita sulle labbra.
“Guarda bene e dimmi cosa vedi.”
Alice obbedì e si concentrò sulla sfera,
scrutando nelle profondità del vetro. “Vedo te.
Distorto. Hai gli occhi grandi.”
“Continua a guardare.”
Rapido, cercando di non farmi notare, mentre lei era ancora tutta presa
da quel pezzo di vetro, estrassi una scatolina di velluto blu e la misi
dalla mia parte della sfera.
“E ora cosa vedi?”
Alice abbassò la palla e cacciò un urletto.
“Ho capito tutto quando il gioielliere mi ha detto che era un
anello di fidanzamento.”
Alice mi saltò addosso e mi baciò, mandandoci a
rotolare sull’erba.
“Mi devo integrare in famiglia e tutti gli altri Cullen, a
parte Edward, sono sposati,” continuai, accarezzandole il
viso con un dito. “E a te piacciono le cose fatte con stile.
Ho interpretato bene gli indizi?”
“Sì,” si illuminò Alice.
“Te l’ho detto che ho fiducia in te.”
“Allora,” presi un profondo respiro.
“Alice, mi vuoi sposare?”
“Sì!” gridò Alice.
“Sì!”
Le infilai l’anello al dito e rimanemmo a baciarci a lungo
sotto le stelle.
Quando tornammo a casa, ci accolse un boato: Edward aveva letto le mie
intenzioni prima di uscire e le aveva rivelate al resto della famiglia.
Esme ci abbracciò entrambi appena varcammo la soglia di
casa, mentre Emmett rideva come un pazzo e Rosalie porgeva un mazzo di
fiori ad Alice. Edward e Carlisle erano appoggiati, spalla a spalla,
contro il muro e si scambiavano sguardi complici. Chinai la testa in
cenno di ringraziamento, ma venni interrotto da Emmett che finse di
piazzarci un microfono sotto il naso, strillando: “Qualche
dichiarazione per la stampa?”
“Sì,” rise Alice.
“Sarò io ad organizzare il matrimonio. Ma una
volta soltanto, vi avverto!”
Emmett e Rosalie scoppiarono a ridere. Passai un braccio attorno alle
spalle di Alice.
“Una è più che sufficiente.”
NOTE
DELL’AUTRICE
Fic prima classificata al contest indetto da Kikyo90 “San
Valentino Story Contest on Twilight”.
Un enorme grazie a Kikyo90
(di nuovo XD) e a tutte le altre partecipanti: Lady_Marmalade, butterfly.91, Schnusschen, Florence (grazie
mille per la tua recensione su “I felt hope... and then I was
saved”!!!), princess
of vegeta6.
Mi sono divertita molto anche questa volta e mi complimento con tutte
voi, in attesa di leggere le vostre storie!
Ah, solo una piccola precisazione: il titolo fa riferimento ad un
capitolo del manga Bleach.
Non ha a che fare con la storia, ma mi sembrava azzeccato per la fic.
Detto questo, come la volta precedente, inserisco il giudizio di
Kikyo90:
"PRIMO POSTO: LUCY FARINELLI
STILE: 20/20
Come sempre, ti faccio i complimenti e ti ripeto che il tuo stile mi
piace. Ancora una volta la fic che mi hai mandato mi é
piaciuta tantissimo e la lettura é stata scorrevole se
fluida.
GRAMMATICA: 10/10
Beh, cosa dire? Anche qui meriti il massimo del punteggio, non ho
notato nessun errore di grammatica e nemmeno sintattico, inoltre sei
riuscita a mantenere i personaggi perfettamente IC e non era cosa
facile.
ORIGINALITÁ: 10/10
Che altro dire? Rischierò di ripetermi, ma la storia mi
é piaciuta davvero. Molto originale e Emmett é
davvero molto divertente. Ancora complimenti ^^ *palloncini che
simboleggiano la vittoria*
TOTALE: 40/40"
Un bacione e
arrivederci alla prossima fic! ^_^
Lucy Farinelli
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