Il ticchettare
dell'orologio la innervosiva.
Osservare le lancette
muoversi, poi, la imbestialiva.
Era sempre stata una
donna puntuale, trovava i ritardi estremamente
fastidiosi, una vera e propria mancanza di rispetto.
Si ritrovò,
per l'ennesima volta, a girare il cucchiaino
nella sua tazza di tè; lo zucchero era ormai sciolto, ma
cercava un modo per scacciare la noia, attendendo che la bevanda si
raffreddasse.
Tirò fuori
dalla borsa due dei fascicoli che aveva portato
con sé; molte erano le incongruenze tra quelle morti,
così diverse tra loro, una sola era l'associazione che era
riuscita a fare.
Aveva persino ricevuto
la conferma da un inaspettato
aiuto, aiuto che ancora non si palesava in quella caffetteria.
La vista delle foto di
quei giovani privi di vita trovati a South
Harbor non erano rassicuranti e molti erano i dubbi che le si
affollavano in testa: sebbene fosse stata accertata un grande
quantitativo di Heat in circolo nel loro, perché erano stati
addirittura smembrati e sfigurati post mortem?
Non riusciva a
capirlo, ma non era solo questa la cosa che la rendeva
perplessa.
Chiese alla cameriera
se avessero una copia del giornale odierno, la
giovane rispose affermativamente e glielo consegnò
rapidamente.
Subito la sua
attenzione si volse alle notizie di cronaca locale, per
leggere e conoscere le illazioni dei giornalisti: le era stato ordinato
di non lasciar trapelare nulla alla stampa e così aveva
fatto, ma chi le assicurava che i suoi colleghi avessero fatto
altrettanto?
Non si fidava di
nessuno e ancor meno si fidava dell'uomo che avrebbe
dovuto incontrare.
Non lo avrebbe mai
ammesso, ma la sua presenza la rendeva nervosa.
Averlo incontrato in
quella chiesa – che strano luogo per
farsi vivo, pensò nuovamente – sentendosi dire che
le avrebbe offerto il suo aiuto per scoprire l'assassino, avendo
assicurato che non si trattava affatto di lui, le aveva lasciato un
senso di angoscia.
Lo sguardo glaciale di
quell'uomo, ogni volta che si posava sul suo,
sembrava esser capace di spogliarle l'anima, riuscendo a carpire ogni
sua benché minima debolezza.
Ma lui la fissava
sempre negli occhi.
Era capace di renderla
minuscola, come una creatura spaventata in un
grande stanza buia.
Scosse quell'immagine
dalla sua mente, ma un brivido di terrore
s'impadronì comunque di lei. Cercò di scaldarsi
sorseggiando il tè, ormai bevibile.
Dando un'occhiata alla
finestra si accorse che pioveva.
«Decisamente
una bella giornata per indagare»
bofonchiò, certa che nessuno potesse udirla.
«Oh,
sicuramente troveremo il modo per migliorarla, che ne
dici?»
La giovane
finì per sobbalzare dal suo posto, e vide due
occhi azzurri che la fissavano, intensamente.
Subito, come se non
aspettasse altro per mostrarlo, un sorriso beffardo
si posò sul volto dell'uomo, rimirandola ancora, mentre si
toglieva cappello e paletot, per accomodarsi di fronte a lei.
Si
scompigliò i capelli tagliati che ricordavano un Moicano,
con nonchalance, non smettendo di guardarla.
«Tu... sei
un dannato bastardo!» ruggì
la poliziotta, furiosa.
«Io?
Sì, credo di esserlo, anche letteralmente, ma
credo comunque di saper dissimulare, quando ne ho voglia. Ti
dirò, è una fortuna che nessuno possa
conoscere i nostri pensieri più segreti, altrimenti verremmo
visti come gli scaltri e ingordi bastardi che in effetti siamo.
Non trovi anche tu,
Donna?»
E Donna si
ritrovò di nuovo inghiottita dallo sguardo di
Daken, come se avesse effettivamente colto qualcos'altro di lei che
cercava sempre di nascondere.