Amplifier
“Metti un attimo da parte l’alchimia e il titolo che ti danno i capoccioni dell’esercito … io
credo davvero che sia il fuoco a descriverti meglio, Roy.”
Un sorriso
allusivo affiora sulle labbra sottili dell’uomo seduto al suo
fianco, oltre il bicchiere di whisky che sorseggia lentamente.
“Con chi hai parlato, Hughes?”
“Con
chi – Ma che stupido. Smettila di atteggiarti a seduttore dei
miei stivali.” Ride, e gli sferra un pugno scherzoso sul braccio.
“Parlavo sul serio. Sono due giorni che ci penso.”
“Si vede che di tempo da perdere ne hai parecchio.”
“Segui
il mio ragionamento. Il fuoco è l’elemento del
cambiamento, giusto? E’ dalle ceneri che rinasce la vita, lo
sanno tutti. Bisogna bruciare il secco, il malsano, il dannoso prima di
ricostruire. Tu sei molto bravo a scovare quel malsano. E non importa
quanto siano scarsi i mezzi a tua disposizione, o quanta acqua si sia
posata sulle sterpaglie … tu ardi. Tu dai inizio al
cambiamento.”
“Glacier
non sarà felice di vedere il suo novello sposo rincasare ubriaco
fradicio.” Ma è una pigra resistenza, non vuole davvero
interromperlo.
Lui lo sa, e continua.
“Però
c’è un problema: il fuoco brucia e non si ferma, se ne ha
la possibilità. Non è paziente, è feroce.
Impulsivo. Definitivo e implacabile. E man mano che divora e divora, si
ingrossa sempre più, diventando sempre più
incontrollabile … fino al punto in cui non riesce a capire che
le sterpaglie sono finite, e che dovrebbe dolcemente spegnersi.
Continua a bruciare qualsiasi cosa, anche quello che non dovrebbe
bruciare, senza capire, senza vedere. Finché non gli resta
più nulla, se non bruciare se stesso per sopravvivere.
Finché non si arrende, e muore.”
Un silenzio pesante cala tra i due, assorbito dal chiacchiericcio e dalle risate della locanda.
“E’
questo che pensi, Hughes?” Gli domanda poi. “Io non posso
che distruggere tutto quel che tocco?”
“Quello
che penso è che la tua più grande forza è anche la
tua più grande debolezza: devi tenerlo presente, se sei ancora
serio riguardo la decisione che hai preso l’ultima volta che sono
venuto a scovarti nelle tue stanze. Tu non puoi essere fuoco: tu devi essere quello che controlla il fuoco. Il tuo corpo dev’essere padrone, non combustibile.”
“In che modo?”
“Studiando
le tue fiamme. Devi sapere quando farle divampare, e per quanto tempo.
Devi domarle, delimitare il loro campo d’azione, e bruciare le
sterpaglie giuste gettandole con le tue mani tra le lingue di fuoco. E
infine … devi trovare una fonte d’energia inesauribile,
che non consenta a quelle fiamme di spegnersi, e che non ti costringa a
soccombere nel tentativo di mantenerle in vita.”
“Non esistono fonti d’energia inesauribili.”
“Sì,
beh, risparmiami i tuoi commenti da scienziato, ok? Tu fa’ finta
che esistano. Servirebbe qualcosa che sopperisca alla mancanza di
sterpaglie, qualcosa che ti tenga ben legato a te stesso, qualcosa che
ti renda lucido, sveglio, motivato, anche quando senti di essere troppo
debole e non trovi un motivo per lottare, per non cedere alla
tentazione di annullarti in quelle fiamme. Sì, insomma …
una specie di catalizzatore, no? Un amplificatore della tua energia,
ecco.”
Lo vede
sorridere, mentre tira fuori qualcosa dalle tasche. “Ce
l’ho già, un amplificatore. E, come vedi, c’è
lo stemma dell’esercito a garantire il prodotto.”
La catenella
di quell’orologio d’argento, con la quale lui
distrattamente gioca, si attorciglia attorno al suo dito indice. In
penombra sembra un serpente che avvolge le spire intorno alla sua preda.
“Guarda
che non parlavo affatto di alchimia, Roy. L’amplificatore che
avevo in mente è tutto diverso.”
“Io mi
farò bastare l’amplificatore che possiedo, Hughes. Non
posso più fermarmi. Non voglio farlo.”
Lo guarda prendere una sorsata robusta, e le vede ancora, le sue fiamme. Si sente le viscere strette in una morsa.
Te la troverò io, decide, e non glielo dice.
Ti troverò io quella fonte di energia. E te lo giuro, a
differenza di quella che hai adesso, quella che ti troverò non
nutrirà le tue fiamme.
Nutrirà te.
Amplifier
Maes
Hughes percorreva a grandi falcate il corridoio del quartier generale
dell’Est, l’espressione battagliera, la mano in tasca che
stringeva fermamente l’oggetto che aveva portato con sé in
vista della resa dei conti. Salutò sbrigativamente i militari
che incrociava e quasi urtava, distratto dal progressivo avvicinarsi delll’ufficio che destava il suo interesse.
Ecco qui, si disse, cupamente compiaciuto. E ora sono proprio curioso di sapere come si tirerà fuori da questa situazione spinosa.
Non si annunciò, né bussò. Spalancò la
porta con tutta l’autorità che riuscì a racimolare.
Seduto alla scrivania, Roy Mustang, il capo pigramente appoggiato sulla
mano inguantata stretta a pugno e l’espressione vitale di un uomo
appena alzatosi dal letto, gli lanciò un’occhiata sorpresa.
“Ah, sei tu”, sbadigliò. “Dalla foga della tua
irruzione credevo si trattasse di un’emergenza.”
“Ma questa è un’emergenza.” Hughes
avanzò verso di lui con cipiglio severo, appoggiando i gomiti
sulla scrivania e fissandolo inquisitorio. “Ti toccherà
giustificare un grave caso di irriconoscenza nei miei confronti,
Mustang. Dopo tutto quello che faccio per te!”
“Eh?” Roy aggrottò la fronte, a metà tra il
perplesso e l’infastidito. “Si può sapere di che
parli?”
Hughes non rispose subito. Gonfiando il petto, si rimise la mano in
tasca, ed estratto l’oggetto incriminato lo sbatté sotto
gli occhi del suo interlocutore.
Roy, d’istinto, si tirò indietro.
“Parlo di Tessa. Come hai potuto scaricare questo gioiellino di donna, me lo spieghi? Guarda com’è carina!”
Aveva selezionato accuratamente la foto da presentargli quel giorno,
con l’aiuto di Glacier e dei suoi vecchi album di fotografie: la
giovane donna coi ricci capelli rossi e con gli occhi chiari che era
ritratta al suo interno era raggiante, e splendida, e non poteva non
attirare lo sguardo di qualunque uomo. Così l’Alchimista
di Fuoco si sarebbe sentito un idiota, e si sarebbe vergognato delle
sue malefatte fino alla fine dei tempi.
Il piano non funzionò: Roy assunse l’espressione
più sciocca e vacua che poté, e si mise a guardare
altrove, fingendo di non starlo ascoltando.
“E non rifilarmi quella faccia, lo so che ci sei uscito insieme
due sere fa! L’avrei saputo comunque, dal momento che investigare
è il mio mestiere, ma ricordati che in più Tessa è
amica di Glacier. Cosa credevi, di poterla sedurre e abbandonare e poi
di andartene impunito?” Hughes sbuffò esasperato,
continuando a portare sotto gli occhi dell’altro la foto in
questione, ignorando i suoi costanti tentativi di voltare il capo dalla
parte opposta. “Io non so davvero cosa ti passi per la testa,
Roy. E’ bella, è intelligente, è dolce e in
più intraprendente. E come se non bastasse, va tanto
d’accordo con la mia Glacier, per cui dev’essere per forza
una persona meritevole di attenzioni, no? Cosa mai potrà essere
andato storto stavolta?”
Roy parve stancarsi di fare lo gnorri. Afferrò la foto e la
sbatté bruscamente sulla scrivania, fulminandolo con lo sguardo
per dissuaderlo dal riprenderla. “Non è andato storto un bel niente, Hughes. Volevi che la portassi fuori a cena? L’ho fatto. Cosa ti aspettavi, che la sposassi, per caso?”
“E perché no? Sarebbe anche ora che tu metta la testa a posto!” Replicò caparbiamente Hughes.
“Piantala di cercarmi una moglie.”
“Guarda me! Non credi che il ruolo di marito e di padre mi si
addica? La nascita della mia piccola Elycia ha solo coronato la mia
perfetta beatitudine. E ora sfido chiunque a superarmi in fortuna! A
proposito, più tardi ricordami di farti vedere la nuova foto di
Elycia che ti ho portato. Ho pensato starebbe benissimo, incorniciata
sulla tua scrivania! Inizieresti la giornata con un
sorriso, e …”
“Hughes.”
“Oh già, ho divagato! Comunque sia, sei ancora in tempo
per scusarti. Che ne pensi di donarle un bel mazzo di giacinti? Quelli
porpora sono particolarmente indicati se ci si vuole riappacificare con
una donna!”
“Hughes. Per l’ultima volta.” Roy sembrava star compiendo uno sforzo immane nel non schioccare le dita inguantate. “Piantala di cercarmi una moglie, d’accordo? Non sono interessato.”
Hughes tacque, e lo fissò. Roy ricambiò lo sguardo, diretto e definitivo.
Poi l’uomo con gli occhiali sospirò, incrociando le braccia.
“Ma insomma … io dico che ti farebbe bene avere il
conforto di una compagna. Hai un gran bisogno di una persona a te
vicina che ti capisca e ti sostenga in ogni momento. Ne abbiamo
già parlato, ricordi?”
“Non dirmi …” Roy sgranò gli occhi, e poi
sorrise, scuotendo la testa. “Non starai di nuovo tirando fuori
la storia dell’Amplificatore, vero?”
“Quando ti senti solo e scoraggiato, stringere tra le braccia la
tua donna prima di dormire è la sola cosa che ti faccia sentire
vivo, non te l’hanno mai insegnato?”
“Maes, rinuncia a questa ricerca senza senso. Sono perfettamente
in forma e arzillo.” L’ultima parola si perse in uno
sbadiglio. Poi Roy si rimise comodo sulla poltrona, accavallando le
gambe. “E, se mai mi sentirò solo e scoraggiato, me la
farò passare. Semplice, no?”
“Mi togli il gusto di vederti perdere la testa e dare di matto per qualcuno.”
“Beh, spiacente di deluderti, ma non darò mai di matto per qualcuno. Ti conviene rassegnarti in fretta.”
Che testone.
Hughes si grattò il capo, frustrato. Sembrava non ci fosse mai
modo di convincerlo. Se ne stava lì, col suo sorrisetto sicuro,
roba che a vedersi non avrebbe mai dato l’impressione di una
persona con fragilità e debolezze, come chiunque altro: aveva
l’aura dell’uomo invincibile.
Invincibile non lo era, e nessuno lo sapeva. Nessuno fuorché Roy stesso, e Hughes.
Lo conosceva da troppo tempo ormai per non sapere che, al di là
di quel cinismo e di quell’apparente freddezza, si nascondeva un
idealista appassionato, pronto a tutto pur di cambiare e rinnovare
–ed espiare le proprie colpe soprattutto. Una tale motivazione di
per sé era rischiosa, perché sembrava una garanzia sicura
del fatto che non si sarebbe mai fermato, in nessun caso.
E in più ci si metteva anche la sua assoluta volontà di
dare agli altri l’impressione sbagliata su di sé. Roy
aveva questa sgradevole abitudine di dipingersi come mostro agli occhi
di tutti – Hughes era convinto che ci godesse, sotto sotto: la
parte dell’eroe proprio non riusciva a recitarla con disinvoltura.
Quindi, idealista, convinto della propria colpevolezza, solo: si sarebbe consumato.
Era il suo tormento ogni volta che ci pensava. A che pro sostenerlo
politicamente e militarmente, studiare strategie e spianargli strade,
se poi lo condannava ad una vita di infelicità? Non c’era
certezza alcuna che sarebbe riuscito nel suo intento, prima di tutto:
quella strada era un campo minato, e ogni passo falso poteva essere
pagato con la vita. Ma se anche avesse raggiunto il suo obiettivo, cosa
gli sarebbe rimasto, alla fine dei giochi? Un sogno che diventa
realtà non si può più chiamare sogno.* E Roy non
ne custodiva altri: era come se si fosse convinto, col tempo, che il
suo compito nel mondo si esaurisse lì. Con queste premesse, la
sua solitudine non si sarebbe certo estinta a sogno realizzato, anzi:
poteva anche darsi che si sarebbe addirittura accentuata. Se solo
pensava a tutti gli ulteriori nemici che ci avrebbe guadagnato …!
Se Maes Hughes sosteneva l’ascesa di Roy Mustang alla carica di Comandante
Supremo non era solamente perché credeva che il governo di
Amestris fosse corrotto, o perché era convinto che Roy avesse la
stoffa per fare il capo in modo equo e giusto: era soprattutto
perché voleva riportare Roy a casa. Aveva assistito per anni,
impotente, al suo trascinarsi dietro, come un dannato
dell’inferno, le catene insanguinate di Ishbar, e aveva giurato a
se stesso che avrebbe trovato le chiavi giuste per sciogliere quelle
catene. Voleva che Roy fosse felice.
E uno non può essere felice, se è così portato
all’autodistruzione. Sarebbe andato a finire che Roy Mustang
avrebbe cambiato il mondo, certo. Riducendosi in cenere, e lasciandosi
portar via dal vento.
Hughes non poteva aiutarlo quanto avrebbe voluto, naturalmente. Ma
forse, se fosse riuscito a trovare l’Amplificatore, l’unico
punto fermo in mezzo a quegli infiniti cambiamenti, quello che lo
avrebbe motivato a non lasciarsi consumare dalle sue stesse fiamme
…
Per questo motivo, in quanto suo sostenitore più fidato, Hughes
cercava di preparargli il talamo nuziale, oltre che la poltrona da capo
di stato.
“Secondo me hai solo paura di provarci.” Con uno scatto,
Hughes afferrò nuovamente la fotografia dalla scrivania, e
gliela sbatté in faccia. “Guardala bene, dai! Sei proprio
sicuro che non ti piaccia?”
“La pianti?! Ti ho detto che non mi interessa!”
“Tu non lo sai, ma Tessa sa cucinare una torta ai mirtilli che è la fine del mondo!”
“Levami questa cosa da-”
“Dalle un’altra possibilità, solo una! E poi anche a
Elycia piace. Quello che Elycia approva è inevitabilmente
perfezione! Pensa un po’ se la sposassi e se veniste a pranzo da
noi, che bella riunione di famiglia sarebbe!”
“Sei irritante!”
Roy cominciò a tentare di spingerlo con la forza, mentre Hughes
puntava i piedi e non si lasciava smuovere, continuando a decantare le
lodi di Tessa e sovrastando le proteste dell’altro. Fecero
così tanto baccano da non rendersi conto di quanto potesse
apparire sconveniente un comportamento del genere, all’interno di
un quartier generale.
“Ma che diavolo …?”
Almeno fin quando qualcuno non irruppe nella stanza.
Pietrificati, Roy con una mano sulla faccia di Hughes, Hughes con la
fotografia incastrata tra i capelli di Roy, si voltarono perfettamente
sincronizzati in direzione della porta.
L’espressione sconcertata di Edward Elric, sulla soglia con delle
scartoffie in mano, li aggiornò rapidamente su quanto dovessero
sembrare stupidi in quel momento.
Hughes sollevò una mano, gli occhiali in bilico sul naso, e
sorrise quanto la mano di Roy, fermamente premuta sulla sua guancia,
gli permise. “Ehi, Ed! E’ un bel po’ che non sci si vede”, biascicò.
Roy fu rapido. Afferrò prontamente il polso di Hughes, quello la
cui mano stringeva la foto, si districò quest’ultima dai
capelli, e con un perfetto e fluido movimento del busto torse il
braccio di Hughes nascondendolo dietro la propria schiena. Ignorando il
suo verso di sorpresa e dolore, assunse una posa tranquilla e sorrise
accattivante al nuovo venuto.
“Acciaio. Come sempre, è bello che tu ci abbia annunciato
la tua presenza con un grazioso bussare alla porta. Viva le buone
maniere.” La sua voce pacata contrastava in modo buffo coi
capelli neri arruffati per via della colluttazione.
“Sì, bussare, come no. Col baccano che state facendo non
avreste sentito neanche il quartier generale esplodere”,
ribatté Ed, e si richiuse la porta alle spalle. Continuava a
lanciar loro delle occhiate a metà tra il perplesso e il
sospettoso. “Signor Hughes, ma lei che ci fa qui? Non dovrebbe
essere a Central City?”
Con uno strattone deciso e risentito, Hughes si liberò dalla
presa di Roy, e prese a massaggiarsi il polso indolenzito.
“Noiose questioni burocratiche, non sto neanche a spiegarti.
Diciamo che ogni tanto i piani alti mi mandano qui a ricordare a un
certo Colonnello la mia faccia, e …”
“Il Sottotenente Havoc mi ha letteralmente supplicato di portarle
questi, Colonnello. L’ho incrociato in mezzo al corridoio mentre
si lamentava di dover correre a casa per un’emergenza, e si
teneva la pancia tra mille smorfie. Non voglio sapere cosa abbia
combinato, ma sembrava disperato, così eccomi qua.” Ed
porse i documenti al Colonnello, imbronciato. “E non si abitui
troppo. Non ho nessuna intenzione di fare il postino per lei. Non si
ripeterà più, intesi?”
“Un vero peccato. Stavo giusto pensando che mi saresti più
utile così.” Roy sorrise, e gli diede un paio di pacche
sul capo. “E bravo il mio servizievole cagnolino.”
Ed non sembrò prenderla bene. “Chi sarebbe così
piccolo da confondersi coi granelli di polvere che si posano sulla sua
scrivania, eh?!”
“Su, su, o niente croccantini per te.”
“Vuole smetterla di scompigliarmi i capelli?!”
Hughes poteva assistere a quei teatrini tutte le volte che voleva: non
ci si sarebbe mai abituato. C’era qualcosa di terribilmente
interessante nel vedere quel piccoletto –beh, Ed non gliene
volesse, ma accidenti se era bassino per la sua età!- tirare
fuori tutta quell’energia e sputarla in faccia al suo superiore,
senza alcun timore delle ripercussioni, senza alcun rispetto per le
gerarchie e per l’educazione. Quanto a Roy, si faceva
particolarmente terribile quando c’era l’Alchimista
d’Acciaio, come se desse fondo a tutte le sue migliori munizioni,
e ne godesse immensamente. Diventavano originali, quando erano
l’uno in presenza dell’altro, e Hughes ancora non sapeva
spiegarsene esattamente il motivo.
Però gli venne un’idea osservandoli interagire, e decise di giocare un po’.
Si avvicinò a Ed, mettendogli una mano sulla spalla e fermandolo
dolcemente prima che spaccasse la faccia a quel suicida di Roy. Ed,
sorpreso, si voltò a guardarlo.
“Già che ci siamo … Ho una cosa da farti vedere!” Esordì raggiante.
Hughes vide improvvisamente il terrore negli occhi dorati del ragazzo.
“Ehm … un’altra volta, eh? Sa, Al mi aspetta, e …” Tentò di giustificarsi.
“Andiamo, non ci metteremo più di un paio di minuti! E’ solo una fotografia, che vuoi che sia?”
“Ah, auguri. Mi sa tanto che Alphonse dovrà aspettare che
il Maggiore Hughes finisca di mostrarti l’intero book fotografico
di Elycia.” Commentò pigramente Roy, per poi
disinteressarsene e mettersi ad osservare i documenti che Havoc avrebbe
dovuto recapitargli.
Hughes sorrise. Grave errore, Mustang.
“Tieni! L’avevo giusto a portata di mano. Mi fido dei tuoi
occhi giovani, per cui so che la troverai bellissima!”
Vide Ed rassegnarsi, trarre un sospiro, avvicinarsi a lui per poter
guardare cosa aveva tra le mani e finalmente posare gli occhi sul viso
che appariva all’interno della foto.
E si godette il silenzio sbigottito che ne seguì, mentre il
rumore dei documenti sfogliati di Roy faceva da sottofondo alla scena.
“Ma questa non è Elycia”, commentò Ed, aggrottando le sopracciglia.
Il rumore cessò di colpo.
“In effetti no – ma non esserne così dispiaciuto,
dopo ci sarà tutto il tempo per farti vedere come cresce bene la
mia bambina!” Hughes gli fece un occhiolino. “Per ora ti
presento questa signorina, che si chiama Tessa.”
Ed batté le palpebre un paio di volte. “Tessa …?”
Uno schiocco secco risuonò nella stanza, e un attimo dopo la foto che Hughes stringeva tra le mani stava andando a fuoco.
Per poco Hughes non lasciò cadere la foto sul pavimento.
Cacciando un urlo di sorpresa, fece attenzione a tenere il lato che
andava man mano bruciandosi lontano dalle sue dita scoperte, e
guardandosi freneticamente intorno iniziò a correre alla ricerca
di un posacenere. Altrettanto esagitato era Ed, che dopo aver fatto un
salto all’indietro alla vista delle fiamme stava rovistando senza
riguardo tra le scartoffie del Colonnello, urlando che aveva visto un
posacenere da qualche parte – se solo qualcuno non fosse così disordinato …!
Si scontrarono un paio di volte nella ricerca, allontanandosi alla
svelta per paura di incendiarsi vicendevolmente i vestiti. Infine dal
nulla qualcuno lanciò loro il posacenere: Hughes si
affrettò a buttare i resti della foto lì dentro, appena
in tempo per evitare un’ustione.
Sia Hughes che Ed rimasero a guardare ancora per qualche secondo la
danza ipnotica delle lingue rossastre che annerivano pian piano quella
che un tempo era una fotografia, e che ora era solo una cosa informe
che andava accartocciandosi e riducendosi in cenere. Assicuratisi che
niente di quell’ufficio sarebbe andato a fuoco, tirarono infine
un gran sospiro di sollievo.
Poi di colpo realizzarono quello che era appena successo.
“Ma è pazzo? Aveva intenzione di farci fuori?”
Sbraitò Ed, vagamente isterico, sollevando di scatto il capo e
guardando storto l’uomo dietro alla scrivania.
Perché era in quell’esatta posizione rilassata che era tornato Roy, come se fosse stato qualcun altro, e non lui,
ad appiccare il fuoco ad una foto innocua all’interno di un
ufficio e a lanciare loro subito dopo un posacenere. “Quanto
chiasso … basta così poco per farti fuori, Acciaio?”
“Si fa per dire! Io
potrei essere mille volte più pericoloso di lei in condizioni
normali, ma non mi sognerei mai di mettermi a fare i miei spettacolini
di alchimia in un ambiente chiuso!”
“Oh? Mi vengono in mente almeno un paio di situazioni che smentiscono la tua affermazione.”
“Io non ho mai- Oh, insomma! Non è questo il punto, Colonnello!”
Hughes rimase zitto. Andò ad aprire la finestra per allontanare
l’odore di fumo che aveva impregnato la stanza, e non appena la
brezza fresca gli ebbe riempito a sufficienza le narici si voltò
in direzione di Roy, fissandolo.
Roy aveva ripreso a guardare le sue scartoffie, ma non gliela dava a
bere: non stava leggendo una sola parola. Era teso, e aveva lo sguardo
forzatamente basso, come se stesse cercando di impedirsi di lanciare
occhiate di sottecchi a Ed.
Hughes era basito. Aveva incendiato la foto,
santo cielo. D’accordo, lui lo aveva provocato volutamente:
immaginava si sarebbe infuriato, in fondo aveva già di suo la
tendenza al riserbo riguardo le sue frequentazioni, figurarsi poi in
presenza del ragazzo. Con Ed sembrava tenerci particolarmente, a voler
dare l’apparenza di uomo inarrivabile e irresistibile.
Ma quella reazione era esagerata, no? Cosa accidenti gli era preso, tutt’a un tratto?
Roy gli lanciò un’occhiata veloce, piena di un minaccioso avvertimento che sembrava dirgli: Nomina ancora Tessa e farai la fine di quella foto. Ma Hughes scorse qualcos’altro in fondo a quello sguardo.
Sembrava star morendo di imbarazzo.
Roy Mustang che muore di imbarazzo. Beh, era un evento.
E gli eventi vanno vissuti fino in fondo, decise, annuendo tra sé.
“Guarda che cosa hai combinato. Se tratti così tutte le
foto che ti porto, non avrai nessun’altra immagine di Elycia da
me!” Fece, sospirando sul viso ora irriconoscibile della donna
dai capelli rossi.
“Tanto ne ho già un milione”, brontolò Roy.
“Insomma, chi sarebbe questa Tessa?” Si intromise Ed,
ritornando sull’argomento col chiaro intento di fare un dispetto
al Colonnello. Allungò il collo verso il posacenere nella
speranza di scorgere le fattezze della donna tra le ceneri, e poi fece
una smorfia scontenta quando vide le sue speranze deluse.
Roy tagliò corto: “Un’amica di Glacier”,
nell’esatto momento in cui Hughes esclamava: “La promessa
sposa di Roy!”
Fu in quell’istante che Hughes provò cosa significasse esattamente l’espressione essere incenerito con lo sguardo. A quell’occhiata omicida, lui rispose con un sorrisetto, e con un’alzata di spalle.
“La sua che?!” Ed
spalancò la bocca incredulo, guardando ora Hughes, ora Roy.
Indicò quest’ultimo col dito, tornando a rivolgersi a
Hughes. “Quello lì si sposa?!”
“Ma che tono lusinghiero …” Commentò Roy,
massaggiandosi le tempie. “Sta’ a sentire, quello che
Hughes ti dice non è nel modo più ass-”
“Certo che si sposa, ma è timido e non vuole
ammetterlo!” Rispose invece Hughes, sovrastando la voce del
Colonnello. Ormai era sicuro che non sarebbe sopravvissuto alla
giornata, per cui, meglio divertirsi fino in fondo.
“Quello lì è timido?!” Sbottò a quel punto Ed, con lo stesso tono con cui avrebbe chiesto: King Bradley è un leggiadro ballerino di danza classica?!
“Ora basta.” Roy scattò in piedi, sbattendo i palmi
sulla scrivania - al movimento brusco, una penna rotolò e cadde
sul pavimento. Quando sollevò lo sguardo su Ed, la sua
espressione era tremenda. “Acciaio, è un ordine: stammi a
sentire. Se non sei sordo, chiudi quella bocca e fammi parlare.”
Ed alzò gli occhi al cielo, poi incrociò le braccia, sollevò le sopracciglia e rimase a fissarlo.
Capendo di aver ottenuto l’attenzione che desiderava, Roy riprese a parlare, con tono definitivo. “Io non mi sposo. E’ chiaro? E’ solo uno sciocco scherzo del Maggiore, che si diverte con poco. Con pochissimo.”
Di nuovo l’occhiata assassina diretta a lui. “Roy Mustang
resta libero e senza legami, perché nessuno finora è
riuscito ad avere il privilegio di tenerlo al suo fianco per tutta la
vita.”
Una risposta del genere si meritava soltanto una sbandata di quelle
potenti, non poté che pensare Hughes, e sospirò tra
sé, chiedendo a quel momento di affrettarsi ad arrivare. Gli
sarebbe stata proprio bene.
Ed restò a scrutare gli occhi fermi del Colonnello per alcuni
secondi ancora, come alla ricerca di un qualche segno inciso nella sua
espressione. Infine fece spallucce. “Beh, è una
fortuna.”
Roy parve irrigidirsi.
“E con questo io me ne vado. Signor Hughes, porti i miei saluti
alla signora Glacier e alla piccola Elycia, d’accordo?” Ed
gli sorrise, dopodiché si voltò per andarsene.
Ma fu fermato sulla soglia della porta.
“Fortuna, dici?”
Il ragazzo si voltò indietro. Roy lo fissava, ancora in piedi, l’espressione impenetrabile.
“Sì, fortuna. E adesso, con permesso …”
Ribatté, con un inchino ironico e vagamente strafottente.
Di nuovo, il suo tentativo di uscire da quell’ufficio venne frustrato.
“Ti andrebbe di esplicare il tuo pensiero, Acciaio? In che modo il mio mancato matrimonio sarebbe una fortuna?”
“Lo sarebbe e basta. Mi fa andar via ora?” Fece Ed
spazientito, spostando il peso dalla gamba sana all’automail in
un movimento nervoso. “Non ho tempo per fare salotto!”
“Rispondi, e sei congedato.”
“Non mi va!” Ed abbassò la maniglia della porta.
Prima che potesse fare un passo, Roy si era già allontanato
dalla scrivania a grandi passi. Scattando in avanti, sfruttando i suoi
riflessi allenati da militare, si parò davanti alla porta e la
richiuse con la mano.
Con somma sorpresa sia di Ed che di Hughes.
“Ma che vuole? Le dico che c’è Al che mi
aspetta!” Protestò Ed, ora definitivamente irritato,
sporgendosi verso il Colonnello che lo sovrastava.
Roy aveva un sorrisetto strambo sulle labbra, mentre si chinava verso
il viso di Ed. “Te l’ho detto. Voglio sapere perché
non vuoi che io mi sposi.”
“Ma che mi importa se lei si sposa o no!”
“Sei tu ad aver fatto intendere che ti importava.”
“E perché dovrebbe?”
"Beh,
ma perché temi che il mio metter su famiglia mi porti a
trascurarti, naturalmente. Sento forse della gelosia nel tuo sollievo?"
“Che idiozie va farneticando?!”
Hughes guardava prima l’uno poi l’altro, senza sapere che
fare. Sembrava che si fossero completamente scordati di lui, come se
lui fosse diventato a un tratto invisibile. Certo, quando erano molto
presi dai loro battibecchi non era cosa inusuale, ma stavolta …
Sì, c’era qualcosa stavolta, se ne convinse guardando il
modo in cui Roy osservava insistentemente il viso arrossato e indignato
di Ed. Qualcosa che stava facendo sentire Hughes stranamente in
imbarazzo, quasi di troppo.
Poteva essere quella inusuale determinazione a parlare di un argomento che solitamente Roy evitava come la peste.
Poteva essere lo strano lampo che balenava nei suoi occhi neri …
“Sarebbe anzi una bella liberazione se lei si mettesse a fare
l’uomo di casa, così almeno la smetterebbe di tediarmi e
di usarmi come schiavo come e quando le pare!”
“E allora dove sarebbe il problema, secondo te?”
“Il problema?” Ed
sembrò infine rinunciare alla sua resistenza, esasperato.
“Altro che uno, ce ne sarebbero un sacco!”
“Sono tutt’orecchi.”
“Numero uno: non credo proprio che lei sappia fare il monogamo,
visto che è un playboy da strapazzo. Il che significa che
farebbe dannare la sua povera moglie, senza che lei ne ricavi
nulla.”
“E chi ti dice che non ne ricaverebbe nulla?”
Ed ignorò, o più probabilmente mancò di cogliere
l’allusione maliziosa. “Numero due: il pensiero che lei si
riproduca mi fa venire il voltastomaco. Già un Mustang al mondo
è inquietante, figurarsi se lei decidesse di perpetrare i suoi
geni!”
“Questo avrebbe senso solo se decidessi di clonarmi, altrimenti
alcuni di questi fantastici geni andrebbero perduti. Ehi. Clonarmi non
sarebbe una cattiva idea, in effetti …”
“Non ci pensi nemmeno!” La bocca di Ed si storse in
un’espressione schifata. “Numero tre, il più
importante: lei con i bambini sarebbe pessimo.”
Calò il silenzio. Le sopracciglia di Roy si sollevarono, mentre
Ed riprendeva fiato dopo tutto quel tempo passato a urlare in quasi
totale apnea.
“E questa certezza da dove viene?” Gli domandò il Colonnello.
“Lo chiami sesto senso.” Ed fece un sorriso irriverente.
“Scommetto che li farebbe crescere pigri e svogliati come lei,
che avrebbero un caratteraccio e che sarebbero convinti di potersi
aspettare che tutto il mondo accorra a servirli facendo appena un cenno
con la mano. Oppure diventerebbero i suoi schiavetti personali, e lei
li sfrutterebbe per soddisfare il suo malato bisogno di attenzioni. A
patto che riescano a sopravvivere ai primi mesi, in realtà: sudo
freddo se la immagino con in braccio un bambino. Secondo me lo farebbe
schiantare a terra nel giro di un secondo.”
“Spezzo una lancia in suo favore”, intervenne Hughes
vivacemente, sollevando una mano. “Roy ha tenuto spesso in
braccio la mia Elycia quando era in fasce, e ti assicuro che non
l’ha fatta cadere neanche una volta! Anzi, i bimbi sembrano
donargli.”
Fu ignorato, e non se ne sorprese minimamente.
“Bene, abbiamo finito con l’interrogatorio? Posso andare ora?”
Insistette l’Alchimista d’Acciaio, con tutta l’aria
di essere disposto a uccidere pur di avere una risposta positiva alla
sua domanda.
Roy sembrava non starlo ascoltando. Lo fissava pensieroso, una mano sul
mento e gli occhi socchiusi, come se stesse valutando una decisione di
vitale importanza.
“Direi che dobbiamo verificare l’affermazione”, disse
poi, nello stesso momento in cui l’altro apriva la bocca per
chiedergli cosa avesse da guardare. E senza ulteriore preavviso, si
chinò in avanti e, cingendo con un braccio le spalle di Ed e con
l’altro le sue gambe, lo sollevò a mezz’aria.
Hughes spalancò la bocca, probabilmente scioccato quanto Ed.
Lo shock di Ed, in ogni caso, non durò per molto.
“Ehi, ma che cavolo fa? Mi metta subito giù!” Prese
a strepitare, rossissimo in viso, dimenandosi e scalciando nel
tentativo di far perdere all’altro la presa. Ma i suoi tentativi
sembravano essere insufficienti contro la resistenza delle braccia del
Colonnello.
Roy sorrideva soddisfattissimo, evitando i pugni occasionali di Ed e
stringendoselo al petto. “Vedi che ti sbagliavi? A tenere in
braccio qualcuno non me la cavo affatto male”, gli disse.
“Non è la stessa cosa, io parlavo di bambini! Nessuno la autorizza a-”
“Appunto. Bambini. Io sto facendo esercizio con un piccolo bambino capriccioso.” Fu la replica, scandita accuratamente con un’irrecuperabile faccia da schiaffi.
Hughes si aspettò l’inevitabile conclusione della vicenda prima ancora di vederla con i suoi occhi.
Si sentì un tonfo, uno particolarmente rumoroso, uno che fa male
anche solo ad ascoltarlo, e a quel suono inquietante seguì
subito un verso di dolore inequivocabile. Roy lasciò andare di
colpo Ed, portandosi la mano alla guancia con una smorfia ben
accentuata; Ed evitò per un pelo di cadere, ritrovando
l’equilibrio in fretta grazie a qualcuno dei suoi movimenti da
scimmietta acrobatica. Hughes lo vide guardarsi l’automail che
aveva al posto del braccio destro, spostare lo sguardo sulla guancia di
Roy che si stava gonfiando ad una velocità impressionante, e poi
fare una smorfia colpevole.
Doveva averlo colpito per sbaglio nel suo dimenarsi. E probabilmente
neanche troppo piano, vista l’espressione inferocita che aveva
assunto quando Roy lo aveva preso in giro.
“Volevi sfondarmi il cranio, per caso?” Si lamentò a voce alta Roy, strizzando gli occhi per il dolore.
“E’ colpa sua che fa cose stupide! Ci sono andato anche
troppo leggero, visto quello che si meritava!” Si difese Ed, la
testa inconsciamente incassata nelle spalle.
“Ahia, che male …!”
Probabilmente sentendosi più in colpa che mai, Ed perse del
tutto le staffe. “Ma che lagna! La pianti, sta frignando come un
moccioso!” Si inalberò. “E poi, le faccio notare che
alla fine mi ha fatto cadere. Che ha da rispondere adesso, eh?
Gliel’avevo detto che non è nelle sue corde prendere in
braccio!”
Roy riaprì gli occhi, osservò per un istante
l’espressione sul viso di Ed, poi distolse lo sguardo e
cominciò a guardarsi intorno teatralmente.
“E adesso che fa?” Chiese Ed diffidente, aspettandosi una nuova macchinazione malvagia da parte del Colonnello.
“Hughes, la senti questa vocina? Temo di aver perso Edward da qualche parte, ma non riesco a trovarlo. Ho la guancia così gonfia che guardare molto in
basso mi risulta difficile”, sospirò, falsamente affranto
e preoccupato, e si guardò sotto la suola delle scarpe.
“Edward? Ma dove sei finito?”
Ed ne ebbe definitivamente abbastanza. Per un momento parve seriamente
intenzionato a prenderlo a calci con l’automail, ma,
fortunatamente per Roy, all’ultimo ci ripensò.
“Oh, al diavolo!”
La treccia bionda che sferzava in modo secco la sua schiena, si
voltò di scatto e, oltrepassando Roy, uscì di gran
carriera dall’ufficio. Premurandosi accuratamente di sbattere la
porta quanto più forte gli riuscì.
La stanza rimbombò di un silenzio perplesso, come se fosse
improvvisamente diventata assurda tanta normalità dopo tutto
quel
chiasso e quella vitalità. Documenti sparsi volavano ancora sul
pavimento, sospinti dal vento che penetrava gentilmente dalla finestra
aperta; dalla fotografia si levava solamente un pigro filo di
fumo nero, le fiamme ormai estinte.
Hughes rise, approfittando dell’improvvisa quiete per manifestare
di nuovo la sua presenza. “Secondo me quel pugno te lo sei
meritato tutto.”
“Sta’ zitto, fa un male cane.” Ribatté Roy, ancora sulla porta a massaggiarsi la guancia.
“Ma ti diverti così tanto a tormentare quel povero
ragazzo? Sei orribile”, commentò spassionatamente il
Maggiore, e si avvicinò a lui per osservare da vicino lo zigomo
che si faceva decisamente violaceo. Fece una smorfia empatica.
“In effetti ti ha conciato per le feste.”
Roy iniziò a ridere, a bassa voce, quasi inudibile.
Hughes si fermò di colpo.
“Dovrebbe ringraziarmi, visto che non gli faccio rapporto per il
suo pessimo comportamento. Sono troppo buono”, commentò, e
la risata si spense in un sorriso distratto, mentre guardava oltre le
sue spalle, in direzione della finestra. “Che ragazzino
insopportabile.”
Menti.
Hughes era fin troppo vicino per fingere di non vedere cosa c’era in fondo ai suoi occhi.
Non erano fiamme, non stavolta.
Era luce. Calda, energica, e insolitamente dolce.
E lui ammutolì, spiazzato dall’improvvisa verità
che mise tutti i pezzi del puzzle al loro posto, che da sola
sembrò dare un senso alla scenetta cui aveva assistito con gli
occhi sgranati per tutto quel tempo.
“Non darò mai di matto per nessuno”, eh? Sei un gran bugiardo, Mustang.
Roy si accorse improvvisamente del suo silenzio. Il suo sorriso si
tramutò in un ghigno. “E ora cos’hai? Grande, grosso
e per giunta veterano di guerra, e ti impressioni per un livido?
Sfortunatamente per Acciaio, non morirò certo per una cosa
simile.”
Hughes sorrise. E Roy lesse qualcosa nel suo sorriso, perché il suo viso si fece perplesso.
Forse riuscì a cogliere la vittoria che si celava in esso.
Me l’hai quasi fatta, devo ammetterlo.
Gli diede una pacca sulla spalla. “No, non morirai”, gli strizzò l’occhio. “Proprio no.”
E si accommiatò, sollevando una mano a mo’ di saluto e
uscendo da quello studio senza richiudere la porta, seguito dal
silenzio attonito dell’altro.
Non importa. Io sono riuscito lo stesso a trovarlo.
La prima volta che Maes Hughes aveva sentito il nome di Edward Elric,
Roy Mustang era appena più giovane, appena più lontano
dal suo obiettivo, e ancora un Tenente Colonnello. Edward era stato
l’oggetto di numerose telefonate, e il motivo per cui si erano
incontrati più volte di persona per pianificare il da farsi.
Hughes era rimasto sorpreso da quanto quella faccenda stesse a cuore a
Roy, tanto da indurlo a escogitare un piano rischioso che coinvolgeva
la vita del Generale Hakuro, della sua famiglia e di Ed e Al stessi,
tutto al solo scopo di permettere a quel dodicenne precocemente ferito
dalla vita di concorrere per l’esame da Alchimista
di Stato. Eppure, in qualche maniera sembrava avere senso. Ricordava di
aver pensato che Roy doveva riconoscersi nel giovanissimo alchimista,
dal momento che entrambi erano vivi e lottavano, nonostante
l’inferno dal quale si erano tirati fuori con le unghie e con i
denti, soltanto in vista di un obiettivo che li avrebbe assolti dai
loro peccati.
Hughes non sapeva quando, precisamente, le cose fossero cambiate, e Ed
fosse diventato l’Amplificatore: doveva essere successo mentre
Hughes non guardava, in modo silenzioso e insospettabile, discreto come
il mutare inesorabile delle stagioni. Non sapeva neppure perché
fosse successo, a dirla tutta. Tra tutti gli individui che esistevano
in quel crudele, lurido, imperfetto mondo, perché proprio un
ragazzo, e non una ragazza? Perché un ragazzino con la
metà dei suoi anni? Perché proprio quel
ragazzino, che aveva un carattere difficile almeno quanto quello di
Roy, ed era in più tormentato dal ritrovarsi già adulto
in un corpo ancora immaturo?
Probabilmente sarebbero rimaste domande senza risposta, ma forse nemmeno la meritavano, una risposta.
“Sono a casa!” Annunciò a gran voce, chiudendosi la
porta d’ingresso alle spalle e togliendosi la giacca.
Nell’aria si sentiva un delizioso profumo di arrosto, che
annunciava gioiosamente l’ora di cena.
Glacier si affacciò dalla cucina, il grembiule ancora addosso, e
gli venne incontro con un sorriso.“Bentornato, caro.
Com’è andato il viaggio? Il Colonnello Mustang come
sta?”
“Come sempre. Cocciuto come un mulo e scansafatiche come uno
scolaretto svogliato.” Hughes le posò un bacio sulle
labbra. “Ah, e non c’è nulla da fare per Tessa. Temo
sia stata definitivamente scaricata.”
“Ma che peccato.” Glacier sospirò, sciogliendosi il grembiule.
“Fa nulla. Il caro Alchimista di Fuoco ha qualcos’altro a
cui pensare.” Hughes sorrise, con l’aria di chi la sa
lunga. “O dovrei dire qualcun altro?”
Il viso di Glacier si illuminò. “Mustang è
innamorato?” Esclamò. “Ma è una splendida
notizia!”
“Già, ed è anche una cosa spassosa. Non l’ho
mai visto rendersi tanto ridicolo con qualcuno. Ah, a proposito, Edward
è in perfetta salute! A questo punto, non posso che
rallegrarmene.”
Glacier rimase interdetta. “Edward …?”
“Papà!”
La vocetta infantile che si levò all’improvviso nel
corridoio interruppe la conversazione, mentre il cuore di Hughes si
scioglieva come neve al sole.
“Elycia! Piccola mia, vieni a dare un bacione forte al tuo papà!”
E mentre i suoi occhi commossi si riempivano dell’immagine di una
bimba minuscola e paffuta coi codini che accorreva da lui e che, con le
sue labbra sottili, posava un bacio sul mento ruvido del papà,
mentre stringeva al petto sua figlia e la faceva volteggiare
nell’aria tra le sue risate squillanti, mentre Glacier, a
metà tra la preoccupazione e la perplessità, continuava a
domandargli: “Caro, ma cosa c’entra Ed?”, Hughes si
disse perfettamente felice, e perfettamente soddisfatto.
Non aveva alcuna importanza il come, il dove, il quando, il
perché: lui sapeva cosa si provava ad avere un Amplificatore,
perché la sua famiglia lo era per lui. La sua famiglia era
ciò che lo ancorava profondamente al mondo, ciò che lo
faceva sentire vivo.
E se Edward Elric era l’Amplificatore di Roy Mustang, Hughes doveva solo esserne grato.
La missione di Hughes era sempre stata la felicità di Roy, fin
da quel lontano giorno nel suo appartamento, in cui lo aveva quasi
perso tra cerchi alchemici proibiti e pistole cariche posate sul tavolo.
Edward era parte di quella felicità, anzi, era l’incarnazione stessa di quella felicità.
Edward aveva il potere di liberare Roy da Ishbar, dalle sue fiamme, e da se stesso.
E, finché avesse avuto vita, Maes Hughes avrebbe protetto quel ragazzo, ad ogni costo.
Che Roy ne fosse al corrente o meno.
* Un veterano di guerra rivolge queste parole a Ed nella puntata n. 16, “Le cose perdute”.
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Lo giuro: io
voglio tanto bene a Roy, anche se l'ho maltrattato in ogni modo
stavolta -anzi, forse è proprio perché gli voglio bene
che lo maltratto. Dopotutto, è lo stesso anche per chi lo ha
torturato
attivamente in mia vece, a parole e non... cioè, per Hughes
è sicuramente così. Ed potrebbe non essere troppo
d'accordo sulla questione.
Nel caso ci
fosse qualcuno che si sta chiedendo se la cena con Tessa abbia previsto
anche un dopocena... beh, non fatelo. Stiamo parlando di Roy Mustang. Ovvio che c'è stato un dopocena... Uno come si deve, direi.
Padme Undomiel
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