Until the next time
Just one universe could not hold us
Il
brusio del Caffè era il sottofondo ideale per studiare, almeno ancora
adesso
che non stava soffocando tra i compiti e gli esami. Le piaceva sentire
la gente
mormorare attorno a sé e annusare l’aroma caldo delle bevande e dei
dolci,
molto più accogliente della fredda e silenziosa biblioteca.
Fece
dondolare la matita tra le dita mentre continuava a leggere quel
passaggio che
le stava risultando particolarmente difficile, o forse era perché aveva
la
testa da un’altra parte.
Si
era svegliata con un leggero mal di testa, e la strana sensazione di
essersi
dimenticata qualcosa – ma aveva controllato l’agenda, e non aveva
lasciato
niente indietro.
Prese
un sorso di cappuccino, permettendo al liquido caldo di riposare
qualche
istante sulla lingua così da assaporare il mix di cacao e cannella con
cui
aveva ricoperto la schiuma. Forse settembre non era ancora il mese
adatto per
certe bevande, ma lei non riusciva proprio a farne a meno.
Sottolineò
finalmente l’ultima parola, contenta almeno di essere riuscita a finire
il
paragrafo, e si abbandonò contro lo schienale della sedia con un
sospiro,
decidendo che cinque minuti di pausa poteva decisamente permetterseli.
La
porta d’ingresso si aprì in quel momento, portando con sé i rumori
della strada
affollata e un poco di brezza più fresca.
Inclinò
un po’ la testa verso di essa mentre si stiracchiava piacevolmente la
schiena
indolenzita, osservando pigra le persone che stavano entrando.
Avvertì
uno strano formicolio all’altezza del collo, e la sensazione di essersi
dimenticata qualcosa si ripresentò un po’ più forte.
Poi
incrociò lo sguardo di quel ragazzo che aveva appena varcato la soglia
passandosi una mano tra i capelli biondi per risistemarli dopo essersi
tolto il
casco.
“Sai, ogni tanto
mi
mancano le orecchie e la coda da gatto.”
“Ma se dovevo
controllare i tuoi impulsi omicidi tutte le volte che ti spuntavano.”
“Lo so, ma
sarebbe
bello rivedere la faccia che facevi quando succedeva.”
“Posso sempre
lavorarci.”
Sbatté
le palpebre un paio di volte, si sentiva confusa. Un po’ come se avesse
la
mente annebbiata.
Si
sedette più dritta sulla sedia; non sapeva perché, ma aveva le guance
un po’
calde. Non era la prima volta che si scambiava qualche sguardo con un
bel
ragazzo, insomma. Perché doveva agitarsi così tanto, ora?
Forse
era soltanto la temperatura di quel Caffè.
Ritornò
a concentrarsi sull’ambiente circostante, prese un altro sorso del suo
cappuccino. Poteva vedere il ragazzo con la coda dell’occhio, in fila
per il
suo ordine. Riusciva a capire che anche lui, ogni tanto, le lanciava
occhiatine
confuse.
Lei
si morse un labbro, si schiarì la gola, cercò di pensare. Forse l’aveva
visto
da qualche parte prima, magari all’università?
Se
lo sarebbe ricordato, però. Un ragazzo con quell’aspetto non veniva
certo
dimenticato facilmente.
Si
scostò i capelli dal collo, pensando che quel formicolio fosse
provocato dal
solletico delle ciocche contro la sua pelle.
Aveva
fatto quel gesto così tante volte, eppure ora le sembrava che avesse un
altro
significato oltre la familiarità, come se non fosse sempre stata lei a
farlo…
E
si stava dimenticando qualcosa. Ne era certa.
Aveva
dato da mangiare al gatto?
La festa di
Natale
della compagnia non era la stessa senza quell’orribile CD gracchiante
di carole
a tema che puntualmente si inceppava alla quarta traccia e continuava
ad
agonizzare per ore. Lui avrebbe tanto, tanto voluto spegnerlo, ma era
ben
conscio di quanto il capo ci tenesse – l’aveva masterizzato sua figlia,
o
qualcosa del genere.
Prese un sorso
dal
suo bicchiere di plastica colmo di spumante da poco prezzo, guardandosi
intorno
con aria annoiata. Erano sempre le stesse persone con cui condivideva
le lunghe
giornate in ufficio, e tutte sembravano desiderose quanto lui di
tornarsene a
casa per festeggiare con i propri cari o, almeno, di poter sfuggire a
quell’incontro.
“Buon Natale,
Ryan!”
Voltò appena il
viso
verso una delle segretarie più anziane, quella che sempre aveva un
pacchetto di
biscotti aperto sul tavolo così chiunque poteva approfittarne.
“Buon Natale
anche a
te, Carol.”
“Ancora qualche
ora e
sarà tempo di aprire i regali, no?”
Le sorrise, non
si
poteva resistere alla dolcezza di quel viso segnato da qualche ruga.
“Non penso
Babbo Natale si sia ricordato di me, quest’anno.”
“Oh, non dire
così,”
Carol agitò una mano “Sono sicura che passerai delle belle giornate.”
“Almeno siamo in
ferie,” scherzò, prendendo un sorso dal suo bicchiere.
Un brusio
proveniente
dalla porta d’ingresso catturò la sua attenzione; erano arrivati altri
colleghi, tra cui un ragazzo bruno che lavorava a poche scrivanie di
distanza
da lui.
Non erano amici,
davvero, ma nemmeno si detestavano. Lui e Mark, quello era il suo nome,
avevano
un cordiale rapporto tra colleghi – erano capitate birre insieme e
battute, ma
niente di che.
Non l’aveva mai
colpito particolarmente, anzi, c’era sempre stato qualcosa in lui che
lo
infastidiva.
Chi l’aveva
colpito,
invece, era stata la ragazza che era entrata insieme a lui. Aveva un
sorriso
radioso come non mai, nonostante si potesse vedere la timidezza che
traspariva
per l’essere ad una festa di sconosciuti. Lunghi capelli rossi le
incorniciavano il viso tondo e tinto di rosa per la neve che turbinava
fuori
dalla finestra, e quegli occhi… c’era qualcosa di familiare in quegli
occhi
color cioccolata, qualcosa che non sapeva definire, ma che sembrava
chiamare
proprio lui. Probabilmente era solo stanco, ma una sensazione di
déjà-vu gli prese
lo stomaco.
“Scusami un
secondo,”
salutò Carol con un mezzo sorriso, avvicinandosi a Mark e alla ragazza.
Si avvicinò
guardingo, come se i suoi sensi gli stessero suggerendo di procedere
con
cautela, ma al tempo stesso era come se stessero gridando di spicciarsi.
Incrociò lo
sguardo
del collega, che gli sorrise ed alzò una mano verso di lui: “Ah, Grant!
Buon
Natale!”
Ryan annuì,
tentando
di non fissare la ragazza accanto a lui, che lo stava osservando con
altrettanta singolare curiosità. “Buon Natale anche a te, Mark. Tutto
bene?”
“Non potrebbe
andare
meglio, siamo passati per fare un saluto dopocena. Voglio presentarti
la mia
ragazza; tesoro, questo è Ryan Grant, lavoriamo insieme da un paio di
anni.”
Il biondo,
infine, la
guardò, sentendo la pelle bruciare allo sguardo che lei gli stava
rivolgendo,
la strana sensazione che ritornava a galla.
Lei gli sorrise,
e
gli tese la mano. “Zoey, piacere. Molto piacere.”
Anche
il suo cuore, ora, stava battendo più forte. Non aveva molto senso
cercare di
concentrarsi sui suoi appunti, quando il suo cervello era talmente
scollegato,
impegnato a cercare tra i meandri della memoria quella
cosa che le stava sfuggendo.
Prese
un altro sorso di cappuccino, il sapore del cacao che le solleticava
piacevolmente le papille in maniera più ostinata; non si era resa conto
di
averne messo troppo?
Fece
un respiro, tentò di calmarsi, e decise di arrischiarsi ad un’altra
occhiata
verso il ragazzo.
Aveva
ora raggiunto la cassa, e stava dialogando con la ragazza dietro al
bancone, un
accenno di sorriso sul volto.
Lei
se ne lasciò scappare uno a sua volta. Era come se fosse un riflesso
condizionato. Come se avesse sempre sorriso a quel sorriso.
Era
come se lo conoscesse.
Però
era impossibile.
Non
aveva mai visto quel ragazzo in vita sua… no?
Strinse
la matita, ormai troppo curiosa, pensando, sfiorando con un dito il
pupazzetto
rosa shocking attaccato al suo astuccio ricoperto di gattini neri.
Era
la sensazione più strana che avesse provato. Non era certa che fosse un
déjà-vu, ma se solo avesse ricordato…
Era in ritardo,
si
disse come al solito, e la scelta di indossare quegli stivaletti nuovi
era
stata davvero pessima. Doveva muoversi in fretta, ma non aveva la
minima voglia
di trovarsi con una caviglia slogata.
Si strinse
maggiormente
la sciarpa intorno al collo, stava davvero cominciando a fare freddo,
già
poteva vedere nuvolette di vapore sollevarsi dal suo respiro. Anche la
miriade
di persone intorno a lei sembrava accusare quel cambiamento repentino
di
temperatura, tutti sembravano più frettolosi del solito, meno
disponibili e di
cattivo umore.
Guardò ancora
l’orologio, maledicendosi mentre vedeva che mancavano soltanto due
minuti
all’appuntamento – Corinne l’avrebbe decisamente sgridata, ma davvero,
ora non
aveva molto senso correre, e aveva decisamente bisogno di una tazza di
caffè
bollente.
Si guardò in
giro,
ricordandosi dell’esistenza di un bar all’angolo con la strada
successiva, e vi
si avviò felice.
Incrociò
solamente
per un breve istante lo sguardo di un ragazzo biondo che stava
camminando nella
direzione opposta alla sua, due occhi azzurri brillanti che l’avevano
distratta
dalla folla.
Aggrottò le
sopracciglia ed avvertì sulla punta della lingua quella sensazione di
dover
dire qualcosa, di dover chiamare un nome che non torna alla mente, di
un’occasione per parlare perduta; poi, si diede della sciocca, scosse
la testa,
e riprese a camminare.
Lo
guardò di nuovo; anche lui la stava fissando intensamente mentre
aspettava che
gli fosse consegnata la tazza con ciò che aveva preso.
Quegli
occhi azzurri la stavano scrutando attenti, come se stessero cercando
di
catturare ogni suo singolo particolare… e comunque, come se avessero
sempre
osservato ogni sua piccola caratteristica.
Se
Minto fosse stata lì con lei, si sarebbe lamentata del fatto che fosse
una cosa
molto sgradevole e sgarbata, e lei non poté pensare che sarebbero state
esattamente le parole che la sua amica avrebbe usato, perché l’aveva
già fatto.
In
qualche modo, le aveva già sentite.
Cosa
diavolo si stava dimenticando?
Lui
fu distratto dalla ragazza al bancone, che gli consegnò l’ordine, e lei
ne
approfittò per respirare di nuovo.
Tutto
ciò era molto curioso. Molto familiare…
Abbozzò
un altro sorriso, non perché avesse qualcosa davvero per cui sorridere,
ma
perché le nacque spontaneamente.
Lui
la guardò ancora, e poi si avvicinò.
“Non ho fatto in
tempo.”
Lei scosse la
testa,
una smorfia di dolore sul viso mentre tossiva. “Non importa. Mi basta
vederti.”
Lui si
inginocchiò
accanto a lei, le appoggiò delicato le mani sulle guance: “Avrei dovuto
fare in
tempo.”
Lei sorrise, si
lasciò andare contro di lui: “Farai in tempo la prossima volta. Farai
sempre in
tempo.”
Lui si corrucciò,
scostandole una ciocca rossa dalla fronte: “La prossima volta?”
Lei annuì, e
chiuse
gli occhi. “La prossima volta.”
“Scusa,
non vorrei sembrarti sgarbato,” esclamò, e la sua voce le risuonò nella
mente
così chiara e conosciuta, che le pareva poter quasi presagire le parole
che
avrebbe detto “Ma ho la netta sensazione di averti già vista da qualche
parte.”
Lei
si scrollò nelle spalle, e continuò a sorridere: “Non credo, ma…
capisco quello
che stai dicendo.”
Il
ragazzo annuì, si passò una mano tra i capelli: “E’ strano.”
“Molto.”
Lei
si morse il labbro, e tese la mano: “Mi chiamo Ichigo.”
Lui
la strinse, e il mondo si rivoltò. “Ryo. Nice
to meet you.”
…….. mmmmmmm okay, sooo…
è un trip mentale, lo ammetto :3
Spero che si sia capito tutto, e che
abbiate fatto
attenzione al cambiamento dei nomi – più o meno ho cercato di basarmi
su quelli
per farvi capire l’alternanza di “vite” o “universi”, o come li
vogliate
chiamare… così da rimanere sul fatto che sono sempre loro.
Ryan è rimasto Ryan per il semplice
fatto che
Elliott mi fa schifo. Ahahah
Ovviamente, non è venuta fuori come
volevo io, ma
quando mai?
Bacioni grandi, ditemi se ci sono
problemi o se vi
è piaciuta!!!
Hypnotic Poison
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