Tra i soldati non si parlava d’altro, ormai.
Quelli che c’erano, quelli che avevano visto, raccontavano a coloro che non erano stati presenti la straordinaria impresa di Ronald Speirs.
Era già un leggenda, ormai, quell’uomo apparentemente fragile e delicato che però era corso senza remore in mezzo a decine di crucchi con le armi spianate, per dare indicazioni al primo plotone su come procedere, e che era addirittura tornato indietro, ad operazione ultimata.
I tedeschi lo avevano osservato a bocca aperta, esattamente come tutti i soldati della Easy.
Speirs sarebbe potuto morire in qualsiasi momento, in quella sua folle corsa tra le braccia del nemico, eppure era sopravvissuto.
Ed ora, a battaglia terminata e vinta, il suo nome veniva pronunciato dai suoi giovani commilitoni con venerazione, come se appartenesse ad un Dio.
Tutti ne parlavano, con gli occhi brillanti di ammirazione e la voce appena un po’ tremante.
Solo Lipton però si era reso conto che l’oggetto di quelle chiacchiere era improvvisamente sparito.
Lo cercò ovunque, nel piccolo convento nel quale avevano contro ogni speranza trovato un riparo caldo ed accogliente per la notte, ma di Speirs non v’era alcuna traccia.
Solo dopo minuti interminabili di incessanti ricerche, lo trovò.
Era seduto da solo in un anfratto buio e nascosto, raggomitolato su se stesso come un bambino in castigo, lontano da orecchie indiscrete che potessero udire i singhiozzi che sfuggivano imperterriti al suo rigido autocontrollo.
Ronald era una leggenda, certo.
Ma rimaneva pur sempre umano, ed in quanto tale era ora travolto dalla paura e dalla tensione per ciò che aveva fatto e per il pericolo che aveva corso, prima, quando l’adrenalina a mille gli aveva incendiato le vene come un fuoco indomabile, dandogli la forza di non pensare e continuare semplicemente a correre.
Lipton ascoltò l’uomo emergere nel corpo dell’eroe attraverso quel pianto soffocato dal troppo orgoglio che lo contraddistingueva, e non poté fare altro che andarsene, lasciandolo solo. |