Ciao a tutti =) Vi presento una piccola one-shot,
dal titolo non particolarmente originale poiché tratto dall’omonima canzone dei
OneRepublic, la canzone che stavo ascoltando mentre è nata l’idea della storia.
Il testo della canzone non c’entra comunque un bel niente, solo appunto la
frase “Come home” mi è stata d’ispirazione ^_^
Detto questo, auguro a chiunque ne abbia voglia una buona lettura!
Baci, Tyu
Come
home
È Novembre e il cielo è grigio, tempestato di grigie nubi, coltri maligne.
Una ragazza cammina sotto la pioggia dopo la scuola, torna a
casa da sola e si ripara con un ombrello viola. Scuri i capelli, gli occhi
grandi ed intensi, chiari come il cielo ma profondi
come la notte. La ragazza è triste, è triste perché appunto
sola, e non in quel solo momento, sola sempre, costantemente. Si sente
sola in ogni mentre e dovunque, fuori posto e diversa, sebbene all’apparenza
tanto normale e tranquilla.
Cammina, cammina, passo dopo passo, si guarda intorno e si
accorge che ad ogni lato della strada c’è della gente,
molta, moltissima gente; gente mansueta, gente che sorride, gente in pace con
se stessa, gente che ride sguaiata. Da dove salti fuori tutta questa gente la ragazza non ne ha idea, poiché a quell’ora non c’è
mai anima viva, in giro.
Eppure oggi c’è una folla, una folla
incredibile, e più procede più il mormorio aumenta, divenendo cicaleccio, poi
trambusto vero e proprio. La ragazza guarda con la coda dell’occhio -vuole
passare inosservata come suo solito- i numerosi passanti, e si rende conto che
nessuno si ripara sotto un ombrello; la gente che incontra all’inizio della via
s’infradicia senza battere ciglio ma, cosa ancor più strana, più procede più la
pioggia smette di battere sulle persone, che hanno un’aria maggiormente allegra
e sorrisi più ampi. Anche le loro parole sono più forti e calamitanti, ove il
sole splende sui capi brillanti.
La ragazza, sorpresa dalla cosa, fa per chiudere l’ombrello,
ma si accorge che la pioggia sopra di lei non è cessata
affatto, anzi, si è tramutata in acquazzone.
È spaesata, non sa cosa stia accadendo né perché; si sente
ancora più sola di prima poiché anche la pioggia ha
deciso di risparmiare tutti meno che lei.
Perché non riesco ad essere anche io felice? si
domanda, perché devo sempre essere sola?
Perché non riesco a trovare la dolce metà che completi il mio mondo dimezzato
dandogli finalmente un senso?Perchè sono costretta a
vivere in una realtà priva di pavimento cui saldarmi, munita solo di un alto
soffitto per sognare?
Con grande sollievo raggiunge la fine della via, nel punto
in cui la strada si dirama in due direzioni. Deviando a destra arriverà a casa
come ogni giorno, nella sua piccola, confortevole casetta rosa; la deviazione a
sinistra porta invece ad un'unica grande villa
anch’essa rosa, villa da cui proviene una soave melodia.
Nella villa infatti vive un giovine
dal perenne sorriso sulle labbra, giovine tanto allegro agli occhi di tutti
meno che ai propri. Suona al piano le ‘Scene d’infanzia’
di Schumann, perché ancora si sente un bambino, bambino dall’indole votata
all’infantilità senza tempo. Suona facendo scorrere con lentezza ed estrema
precisione le dita sui tasti bianchi e neri, talentuoso come pochi
e pieno di passione come ancora meno. Nonostante il sorriso e la melodia
gioiosa, si può notare un moto malinconico nei sui
scuri, persi occhi, malinconia guizzante, però costante.
È circondato da gente, nella vita
di tutti i giorni, gente che crede fermamente a quel sorriso, che non è del
tutto bugiardo, essendo insito nella sua natura, ma comunque celante quel
guizzo d’amara tristezza nello sguardo. Quella gente non lo può notare, troppo
distratta, troppo presa da se stessa; nessuno riesce a guardargli dentro, a
scrutare a fondo le sua anima chiara macchiata
d’ombra, nessuno sa ch’egli si è da poco scoperto incompleto, come privato dell’inspirazione
una volta appresa l’espirazione.
Si meriterebbe molto di più, e la cosa peggiore è che ora se
n’è reso conto: ove giace la sua dolce metà che possa completare il suo mondo
dimezzato dandogli finalmente un senso?
Come home, come home… canta,
dita ora più rapide sui tasti, occhi chiusi che scrutano il suo io più
recondito in cerca di risposte, ‘cause I’ve been waiting for
you for so long, for so
long…
Invoca l’amore, l’amore che ha sempre avuto ma mai nella forma
ch’egli desidera.
Torna a casa, torna a
casa, pensa intanto, rivolgendosi a un qualcuno di non ben definito che
però sa con certezza esistere ed aver fatto parte di
lui all’inizio del tutto, al momento della creazione della Terra. Come due
gemelli sono stati separati per una causa a lui ignota ma superiore, come cielo
e terra, Yin e Yang, due opposti complementari inverosimilmente simili nella
loro totale diversità.
Le sue parole non giungono purtroppo alle orecchie della
ragazza con l’ombrello viola, che, dopo un attimo di esitazione davanti alla
deviazione, imbocca la strada di sempre, strada
sicura, confortevole, che porta alla casa di sempre, casa sicura, confortevole.
Non è pronta per esporsi a qualcosa di nuovo, sconosciuto ed
ignoto, ha paura di ciò che non conosce; bloccata finisce per non conoscere mai
niente di nuovo. Ecco perché è così sola, così sola in
un mondo così grande, è colpa sua e la consapevolezza di ciò è il peso più
grande da portare.
Percorre l’ultima viottola che la separa dalla propria
abitazione, triste ma rassicurata dalla familiarità del momento, quando arriva
qualcosa ad interrompere la sua vacillante
quotidianità.
Una giovane zuppa e sporca se ne sta seduta a terra, a lato
della strada con la schiena poggiata al muro, un’aria totalmente rassegnata e
ferita in volto. La ragazza sussulta alla sua vista, e non può che compiere
quasi un vero balzo dallo spavento una volta osservatola meglio, più da vicino.
La giovane sporca ha scuri capelli, occhi grandi ed
intensi, chiari come il cielo ma profondi come la notte. Sotto lo strato di
fango e sporcizia ne scorge i lineamenti identici ai propri, e si domanda fino
a che punto quel giorno possano continuare a giungere stranezze.
Chi è questa triste giovane bagnata che pare la sua goccia
d’acqua? Che sia una gemella sempre a lei tenuta celata?
Nonostante la curiosità crescente, la paura prende ancora
una volta il sopravvento; la ragazza con l’ombrello viola supera l’ammasso
d’ossa e stracci bagnati, accelerando il passo. Non è però
per lei destino proseguire ancora una volta senza andare a fondo di alcuna
vicenda, ed infatti le giunge alle orecchie una voce mesta ed arrochita, la
voce della giovane bagnata, che dice: “Aspetta”. Sebbene sia poco più che un
sussurro, il richiamo giunge forte alle sue orecchie, e nonostante la tristezza
e l’arrochimento non può che notare che quella voce è identica alla sua; identica, non simile.
Si volta indietro impaurita e vede la propria goccia d’acqua
a pochi centimetri da lei, in piedi, sofferente e vestita di stracci neri. Ora
può anche scorgere sulla sua lacera maglietta una scritta sbiadita grigio scuro,
la scritta ‘Rimpianto’, che le rimbalza alla mente e
le colpisce il cuore sotto forma di nuova consapevolezza. Atroce, dura
consapevolezza, che le incolla i piedi a terra impedendole di fuggire da quella
raccapricciante se stessa delusa e provata dalla vita.
“Sì, io sono te” sussurra sempre roca la voce della se
stessa rimpiangente. “Sono te e tu sei me. Non commettere i
miei stessi errori”.
Pronunciate queste parole le poggia una mano sulla spalla e
infila l’altra nei suoi asciutti capelli scuri, per poi baciarle le labbra, con
ruvida dolcezza e trasporto disperato.
La ragazza dall’ombrello viola spalanca gli occhi, sorpresa
oltre che spaventata, senza però sottrarsi a quel bacio affettuoso, il bacio più buono del mondo poiché solo noi stessi possiamo
augurarci incondizionatamente tanta gioia sincera.
“Getta l’ombrello” continua la sua goccia d’acqua una volta
staccatasi da quel pazzesco contatto. “Getta anche la giacca, getta tutto. E corri, vai, vai
senza fermarti. Va’ da lui”.
I suoi occhi segnati dalla stanchezza esprimono per un
qualche istante un silenzioso incitamento, che non sfugge alla ragazza
dall’ombrello viola, la quale, con la mente ormai vuota
poiché troppo sconvolta, si lascia convincere. Ancora inebriata da quel caldo
bacio bagnato, getta a terra ombrello, giacca e zaino, e prende a correre, per
tornare indietro al bivio e scegliere diversamente, questa volta. Non ha mai
avuto tanta paura come in questo momento, eppure continua a correre, il gelo di
Novembre che le penetra nelle ossa e la fredda pioggia che le inzuppa i
vestiti.
Arriva al bivio, esita un attimo ma imbocca la via a
sinistra, decisa benché tremante, senza capire nemmeno lei bene ciò che sta per
compiere. Sa soltanto di non voler annegare nei rimpianti per tutta la vita,
cosa che ha sempre pensato senza però comprenderne veramente la portata; solo
quell’amaro bacio le ha trasmesso tutta la consapevolezza, molto più orrore di quanto
lei stessa credesse, troppo orrore per essere umanamente sostenibile, spronandola
a fare di tutto pur di non finire ridotta come la giovine
ricoperta di neri stracci.
Una volta giunta alla grande villa rosa bussa al pesante
portone di legno, la virile voce melodiosa di qualcuno, un qualcuno di cui lei
conosce perfettamente l’identità, filtrata dalle pareti, ovattata, che canta,
come sempre: “Come home, come home…”.
La melodia cessa e sente la serratura scattare. Percepisce
per un istante i contorni degli interni della casa, anch’essi rosa, che vengono subito ottenebrati dalla sagoma del giovane pianista
sorridente fuori ma non dentro. Il cuore le fa un balzo in gola, mentre lui la
scruta perplesso, senza riuscire a capire né chi sia né cosa voglia. Lei
vorrebbe fuggire, si sente enormemente stupida, ma nella testa le ronza la voce
della giovine fradicia e sporca, la propria voce, che le ricorda cosa la
attenderebbe se scappasse veramente. Chiude gli occhi per
poter fingere di essere da un’altra parte, magari al sicuro nella
propria piccola casetta rosa; pensa solo alle cose più belle di questo mondo,
il cielo azzurro dopo un acquazzone, la sfumatura verde acqua del mare sotto il
sole d’estate, la soffice candida neve cristallina, il volto di lui quando distratto
le passa accanto senza nemmeno vederla, assorto in chissà quali tormentosi
pensieri, così ben celati agli occhi di tutti meno che ai suoi grazie al
perenne sorriso…
Lui la sta guardando, senza ancora riuscire a comprendere
cosa realmente stia accadendo, quando la ragazza spalanca le braccia e sulla
sua maglietta si accende una scritta rossa rubino, scritta
brillante dello stesso intenso colore del sangue. ‘Amore’, una sola semplice
parola.
E lui finalmente capisce.
Dietro di lei, fuori nel mondo ove si trovano ridenti tutti
gli altri esseri umani, cessa di piovere all’improvviso, di colpo: un attimo
prima c’era il finimondo, ora splende il sole, inverosimilmente luminoso per
essere Novembre.
Il pianista guarda ancora un istante la
sconosciuta che nel giro di un istante ha compiuto chissà quale sortilegio sul
mondo loro circostante, la guarda e, senza perdere altro tempo, posa le proprie
labbra sulle sue, per poter entrare a far parte anche lui di quella incredibile
magia rossa e dorata.
La terra pare assestarsi sotto ai loro
piedi, i capelli bagnati di lei si asciugano come per incanto fra le dita di
lui… Un breve minuto dura come tutta una vita, anzi, forse anche di più.
L’incantesimo si espande ovunque, raggiunge vicoli deserti,
strade buie, soffitte polverose e sottoscala ammuffiti, prosegue
per metri, chilometri, su in cielo, fino alle stelle, raggiunge anche quella
piccola figura ricurva e bagnata non molto distante, là, piccola figura che si
rialza e si asciuga nella luce smagliante di questo surreale sole autunnale,
mentre un sorriso orgoglioso si dipinge sul suo volto sciupato e un qualcosa
come una scritta grigio scuro svanisce dalla sua logora maglietta nera.