Oggi presento una fic creata per un evento riguardante artwork e
ambientazioni, difatti l'ho realizzata per descrivere le emozioni che
mi pervadono ogni volta che arrivo alla Fortezza Oscura. Spero vi
piaccia!
SLEEPING HOLLOW
L’acqua scorreva placidamente verso
l’alto, mentre emergevano dai suoi flutti bolle misteriose
che galleggiavano a mezz’aria. Pezzi di roccia granitica
fluttuavano spostandosi grazie a chissà quale potere ormai
sconosciuto, mentre il castello era pervaso da una misteriosa foschia.
I due fratelli sostavano sul blocco più grande, vicino a una
specie di fontana a forma di stella. Kazeshi si guardava attorno con
timore reverenziale, mentre Mizumi teneva gli occhi fissi
sulla fortezza.
“Andiamo avanti” Disse lei, risoluta, e
attivò l’ascensore. Kazeshi sospirò e
si preparò a seguire la sorella.
L’entrata sul retro della Fortezza Oscura non veniva usata da
quei giorni di caos e conflitto: li avevano avvertiti che era tutto in
rovina e che pericolose creature si celavano tra le ombre, ma questo
era servito solo a infiammare l’animo di Mizumi e la sua
convinzione di voler visitare assolutamente quel posto. E naturalmente
lui l’aveva seguita per evitare che si cacciasse in un
qualche guaio, come al solito.
L’ascensore arrivò a destinazione e Kazeshi
osservò meglio quel luogo maestoso. Le proporzioni erano
enormi, come se fossero state pensate per accogliere numerosi
visitatori. Le mura erano altissime, le pareti massicce e solide.
Enormi vetrate conferivano al castello un aspetto quasi sacrale,
nonostante i folli esperimenti perpetrati in esso. Il ragazzo dovette
chinare il capo in segno di rispetto, e persino Mizumi si
mostrò impressionata. Il gigantesco portone
d’ingresso era però bloccato.
“Non si apre, e non ha una serratura da poter influenzare.
Forse dovremmo tornare indietro.” Tentò debolmente
Kazeshi, ma la sorella non si lasciava scoraggiare da così
poco.
“Ci sarà un’altra strada, cerchiamo
meglio.”
Scelsero una strada secondaria che a un certo punto li portò
al piano più basso, nei sotterranei. Lì sotto era
un dedalo di pareti crollate e tubature scoppiate, il tutto muovendosi
con i piedi immersi nell’acqua in stretti cunicoli. Il
ragazzo odiava i luoghi chiusi e opprimenti come quello, Mizumi invece
ne era attratta: per lei era il culmine dell’ignoto, e
l’ignoto significava misteri e avventura.
Per lo sconforto di Kazeshi trovarono l’interruttore per
aprire il portone ancora intatto e funzionante, e dovettero tornare
subito all’entrata per proseguire. Aveva sperato la loro
spedizione fosse finita, e invece non era ancora incominciata.
Entrarono nel salone principale, e per la terza volta in poco tempo
videro un nuovo ambiente: prima la visione delle rocce e della cascata
inversa, un connubio tra scienza e natura, poi il dualismo
sacro/profano della fortezza esterna, e ora una costruzione
più moderna delle altre, chiaramente posteriore alla
realizzazione degli esterni. Non era certo all’avanguardia,
ma doveva essere stata molto avanzata per l’epoca: era come
gli elementi dei sotterranei ma conservata meglio.
Lampi di elettricità e globi energetici si alternavano a
bracieri e gargoyles in pietra, ascensori e porte automatiche a
iscrizioni e scaffali di libri: anche qui era presente una doppia
tematica che riallacciava due opposti, il classico e
l’innovativo.
Una porta a sinistra conduceva in una biblioteca di dimensioni modeste
ma con una vasta scelta di materiale, quasi ancora perfettamente
preservata e ben due scrivanie con ancora un tomo poggiato sopra: un
ambiente che spingeva alla lettura e alla sete di ricerca.
Completando il giro, scoprirono che la biblioteca portava la piano
superiore del salone.
“È… è qui che avvenne, no?
La cerimonia del passaggio?”
“Risparmiami simili paroloni da libri di testo. Riku aveva
riottenuto il Keyblade, per poi perderlo di nuovo in uno slancio di
arroganza. Tutto qui. Sbrighiamoci: il tempo stringe, e sono altri i
posti che voglio visitare.”
Mizumi era un’allieva brillante e capace, ma celava quello
che pensava dietro a una voce dura e dal tono aspro. I fratelli
proseguirono, entrando nell’intricato ma affascinante sistema
arterioso di quel complesso: la Funivia.
Interno. Esterno. Interno.
La scalata del bastione prevedeva un continuo passaggio da un ambiente
all’altro, e Kazeshi non poté fare a meno di
pensare che ormai il dualismo regnava sovrano in ogni angolo. Gli
stessi veicoli della Funivia avevano due posizioni, a seconda delle due
luci che animavano le loro centraline di controllo.
Di nuovo all’esterno, davanti a una gigantesca piattaforma
che una volta attivata prese a spostarsi lentamente verso sinistra.
Mizumi camminava avanti e indietro impaziente, Kazeshi ammirava senza
fiato il paesaggio in lontananza, nubi rosate dal tramonto su un mare
di cristallo azzurro.
“È magnifico… un panorama unico nel suo
genere.”
Mizumi sbuffò: a differenza sua, non amava gli spazi
sconfinati. “Non dovrebbe esserci il borgo da quella parte?
Non pensavo fossimo così lontani.”
“Non esattamente: il borgo si trova precisamente dalla parte
opposta dell’entrata sul retro, noi ora siamo girati di tre
quarti.”
Lei non replicò, si fidava dell’orientamento del
fratello.
Scesero dalla piattaforma, tornarono brevemente all’interno
per salire di un livello e uscirono di nuovo.
Si trovarono vicino al gigantesco stemma degli Emblemi scolpito sulla
parete che avevano visto prima dal gigantesco veicolo. Anche se
“scolpito” non era il termine ideale: lo era solo
per metà, l’altra parte era un meccanismo simile a
quello di un orologio da torre. Ennesima bipartizione tra scultura e
costruzione.
Usando un corridoio interno della Funivia attivarono dei giganteschi
pilastri –due anche questi– per arrivare al piano
più alto. Il tutto ignorando le varie porte segrete che
incontrarono durante il tragitto su richiesta di Kazeshi, che reputava
la strada principale abbastanza misteriosa di per sé. Fu
però difficile convincere Mizumi quando notò che
ce n’era una nascosta sotto agli stessi pilastri: il ragazzo
dovette quasi trascinarla via per impedirle di buttarsi.
Entrarono alfine nel Santuario.
Fin da bambini avevano sentito storie su quel luogo, il punto di
ritrovo di Malefica e i suoi alleati, un baluardo delle forze del male
in quei lontani giorni di terrore. Potevano quasi vedere le sagome dei
malvagi e sentire i loro bisbigli e complotti che avevano elaborato,
echi intrappolati nelle pareti di roccia.
Ma per loro specialmente era anche il teatro della lotta di Sora contro
la strega stessa, accompagnato dai suoi intrepidi amici e dalla Bestia,
che a suo tempo si era guadagnato la reputazione del
Più Forte Alleato.
Arrivati all’altare, Mizumi evocò il Keyblade e
aprì uno squarcio nell’aria, o meglio rese
visibile una frattura che già era presente.
“Non tentare di distogliermi da questa deviazione.”
“Non lo farò.” Anche Kazeshi voleva
recarsi lì prima di proseguire.
Varcarono il portale ed entrarono in una spoglia sala circolare, priva
di arredi e finestre. Eppure quel luogo spoglio diceva a loro
più di quanto avesse fatto l’intero castello: la
comparsa di Ansem, la battaglia finale contro Malefica Drago che
portò alla sua Prima Morte, l’assalto di Xemnas e
la creazione di Xion. Tutto in quella misera stanzetta.
Kazeshi era a disagio: il silenzio di quell’area era
minaccioso, sembrava quasi come se un ignoto nemico potesse apparire
dal nulla e attaccare anche loro. O se lo stesso Xemnas o la dragonessa
si potessero risvegliare, fantasmi di un’altra epoca, e
ingaggiare un nuovo duello mortale. Anche Mizumi era tesa: si
guardarono e tornarono indietro senza dire una parola.
Non era rimasto che un luogo da visitare per porre fine
all’esplorazione. Il sancta sanctorum, il cuore malato di
quell’immensa fortezza. Dopo un ultimo, breve tratto della
Funivia, i due fratelli entrarono infine nel Grande Salone.
Un grande arazzo steso per terra mostrava l’ormai familiare
Emblema, mentre alle pareti sei capsule vuote mostravano gli alloggi
delle Principesse del Cuore. Due scalinate portavano alla seconda parte
del Salone e al suo tesoro: il Portale.
Il misterioso Portale che conduceva originariamente alla Serratura del
Mondo, poi mutato in cancello per la Grande Oscurità dal
folle Xehanort. Ora però era solo una forma nella roccia e
nel metallo, ormai inattivo da decenni. Eppure, proprio lì
si svolsero eventi che avrebbero cambiato l’Universo intero.
Kazeshi e Mizumi misero piede sulla piattaforma e videro Sora e Ansem
nel corpo di Riku levare i Keyblade e affrontarsi in combattimento.
Stavolta non era solo un’impressione: li vedevano davvero.
Spettri delle memorie evocati forse dai loro cuori o addirittura dal
Cuore del Mondo stesso, che voleva trasmettere ai posteri la battaglia
che lì si era svolta. Sotto lo sguardo del Portale, Sora
aveva ingaggiato uno scontro con il suo più grande
avversario fino a quel momento, in un duello senza esclusione di colpi.
Per infine respingerlo, liberare Kairi completando la Serratura,
svanire nell’Oscurità… e creare Roxas.
Tutti eventi importantissimi, ormai imparati a memoria nei libri di
storia e nei cuori di ogni Custode del Keyblade. La sconfitta di
Malefica e del suo piano, ma al tempo stesso il principio di
un’avventura e di un pericolo di gran lunga maggiori.
“L’inizio della fine.” Mormorò
Kazeshi.
“Ma anche la fine dell’inizio.” Rispose
Mizumi.
E lì il dualismo si rivelò in tutta la sua
potenza. Scienza e Natura. Sacro e Profano. Classico e Moderno. Sopra e
Sotto. Keyblade e Heartless. Inizio e Fine. Luce e Oscurità.
Kazeshi e Mizumi.
Kazeshi sentiva infatti che anche loro erano entrati a far parte di
questo schema, e che forse non era nemmeno un caso che entrambi fossero
lì in quel preciso momento. Per la prima volta era davvero
felice di essere arrivato sin lì.
Si chinò e rese omaggio, imitato da Mizumi. Non pregarono
niente e nessuno di preciso, omaggiarono il castello, tutto
ciò che conteneva e gli eventi che si erano verificati al
suo interno.
Il ragazzo guardò sua sorella, le sorrise e chiese:
“Andiamo a casa?”
Lei ricambiò il sorriso e per la prima volta si fece guidare
senza obiettare.
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