Atto
II
"
Sono la verginità violata delle labbra di Sakura"
Reperire
informazioni!
Era
strettamente necessario capire quello che stesse accadendo perché
risultava alquanto improbabile che suo padre fosse diventato in meno
di due mesi jonin e poi eroe del Villaggio, e così anche sua
madre che, a memoria, non aveva mai preso in mano un kunai neanche
per gioco.
Salì
in camera dei suoi genitori e si guardò intorno alla ricerca
di un indizio.
Il
vistoso dito di polvere su ogni mobile suggeriva che quella stanza
non venisse utilizzata da anni – sua madre odiava la polvere!
Passava un quarto della sua giornata con uno straccio in mano per
debellare ogni acaro, adducendo come motivazione di essere fortemente
allergica a quegli invisibili parassiti.
Negli
angoli della stanza, in corrispondenza del soffitto, brillavano
addirittura delle tele di ragno – un altro abitante anomalo per
quella casa.
Sakura
osservò con attenzione ogni cosa fino a che il suo sguardo non
finì per posarsi sul comodino di sua madre.
«
Ma certo! L'album! » esclamò la ragazza, supplicando
tutti i Kami che almeno quello fosse ancora al suo posto. Sua madre
aveva sempre avuto una fissazione maniacale per le fotografie ed era
solita raccoglierle in un album che, ormai, aveva le fattezze di
un'enciclopedia, gelosamente conservato nel cassetto del suo
comodino.
Sospirò
di sollievo quando, aperto il cassetto, riconobbe la copertina di
pelle che racchiudeva l'intera storia della sua famiglia.
Portò
l'album al petto, stringendolo con affetto, e scese nuovamente in
salotto: quella camera, messa in quel modo, le stava creando una
certa ansia e non era il momento di andare nel panico – non
ancora.
Si
mise seduta a gambe incrociate sul tappeto, con le spalle poggiate
sull'orlo del divano e prese a sfogliare l'album, saltando, per
accelerare i tempi, le parti inerenti il fidanzamento dei suoi
genitori, il matrimonio e la sua nascita. A occhio e croce le foto
relative alla sua infanzia non mostravano sostanziali differenze da
quelle che "realmente" sua madre aveva collezionato in
quegli anni. Le vere discordanze cominciarono a rivelarsi nella parte
centrale dell'album e precisamente dall'esame dei chunin.
Non
ricordava che prima dell'esame fossero state scattate delle foto e,
soprattutto, non con Sasuke Uchiha al suo fianco! Sorridente,
per giunta!
Dietro
di lei c'erano i suoi genitori, vestiti da jonin, mentre alle spalle
di Sasuke un uomo e una donna che lei non aveva mai visto. O forse
no?
Ci
rifletté per un attimo, portando il dito indice a sostenere il
mento e, un momento dopo, album alle mani, schizzò verso il
corridoio dove precedentemente aveva notato la foto di suo padre in
compagnia di un uomo molto somigliante a quello che teneva una mano
poggiata sulla spalla di Sasuke in quell'ultima istantanea.
Confrontò
i due visi: uguali!
Che
fosse?
Osservò
con maggiore attenzione la donna, notando immediatamente la
somiglianza con il piccolo Sasuke: i lineamenti dolci, le labbra
sottili, i capelli folti e neri.
Cadde
in ginocchio realizzando di chi si trattasse.
«
I genitori di Sasuke... » esalò, con gli occhi sbarrati
« Ma come può essere possibile?»
Riprese
a sfogliare concitatamente le pagine di quell'album: Sasuke e la sua
famiglia erano pressoché onnipresenti in tutte le cerimonie,
le festività e persino in alcuni momenti della vita
quotidiana.
I
suoi genitori non le avevano mai raccontato nulla del Clan Uchiha:
essendo dei civili non avevano mai avuto modo di entrare in contatto
con il Clan, tranne una volta in cui suo padre era stato costretto a
recarsi alla stazione di Polizia per una bega con i vicini di casa.
Un episodio che sua madre le aveva raccontato quando, infatuata in
maniera morbosa dell'Uchiha, non faceva altro che parlare di lui
tutto il giorno e la curiosità di sapere come fossero stati i
suoi genitori l'aveva spinta a chiederle se mai avesse avuto modo di
conoscerli. La madre di Ino, in questo, era stata sicuramente più
esaustiva: Mikoto Uchiha, infatti, amava molto i fiori e spesso si
recava al suo negozio per acquistare dei semi da piantare in
giardino. La Signora Yamanaka l'aveva descritta come una donna dalla
rara bellezza, che non era solita ostentare le sue nobili origini –
a differenza della maggior parte dei membri del Clan Uchiha –
sempre dolce e cortese con tutti. Aveva aggiunto anche che, talvolta,
la si poteva vedere in giro con Kushina Uzumaki, l'unica persona non
appartenente al suo Clan con cui aveva stretto amicizia.
Continuò
a esaminare le foto, giungendo al termine dell'album. L'ultima era
stata scattata durante il suo quindicesimo compleanno. Un anno prima,
quindi. I suoi genitori non erano presenti, ma al suo fianco, in
compenso, c'era ancora Sasuke.
Sakura
passò un dito sopra la sua figura, provando una profonda
malinconia: sarebbe stato bello se lui fosse stato davvero presente
quel giorno.
Era
stata una festicciola molto riservata. Kakashi e Naruto avevano dato
il compito a Ino di organizzare tutto mentre loro erano in missione.
Nonostante la sorpresa e la gioia di poter passare quel giorno con i
suoi amici più cari e i suoi genitori, Sakura non aveva smesso
neanche per un minuto di pensare a Sasuke, a quanto avrebbe voluto
rivederlo, a quanto fosse in pena per lui.
Il
loro ultimo incontro, di certo, non era stato proprio idilliaco –
e neanche si aspettava che lo fosse – ma il suo cuore,
vedendolo, aveva perso comunque svariati battiti e i suoi ottimi
propositi erano andati beatamente a farsi friggere.
Era
stato durissimo realizzare di non contare davvero più niente
per lui e ancora peggio ammettere che, forse, la sua presenza nella
vita del ragazzo era stata davvero passeggera, dovuta alle
circostanze.
Tentò
di allontanare da sé l'angoscia scaturita dal ricordo, fin
troppo fresco, degli eventi accaduti nel Paese del Ferro e, richiuso
con delicatezza l'album, si avviò verso le scale per riporlo
laddove lo aveva trovato quando il suono del campanello della porta
la fece trasalire e fermare all'istante.
Attese
qualche secondo, sperando che chiunque fosse dall'altra parte della
porta desistesse: aveva un pessimo presentimento. Ma quando il suono
di quel diabolico affare si prolungò ben oltre l'umana
sopportazione, si persuase che forse potesse trattarsi di qualcosa di
importante.
Che
fosse Sasuke?
Quel
pensiero riuscì a scuotere ogni singolo atomo della sua
persona. Dalle prove che aveva trovato nell'album di sua madre tutto
lasciava intendere che quel mondo in cui erano finiti non fosse
assolutamente reale. Con ogni probabilità si trattava di un
jutsu ben orchestrato, forse proprio da Sasuke in persona per
distruggere il Villaggio della Foglia dal suo interno.
Nel
Paese del Ferro, infatti, aveva appreso un'altra cocente verità:
Sasuke non era più lo stesso. E per quanto una parte di lei
desiderasse con un'intensità tale da toglierle il fiato che ci
potesse essere ancora una flebile speranza di riportarlo sulla retta
via, l'altra era ormai rassegnata all'evidenza dei fatti.
Guardò
la porta e concentrò il chakra nella mano destra, pronta a
rispondere a qualsiasi attacco. Con l'altra mano abbassò
lentamente la maniglia e, dopo aver riempito fino allo spasmo i
polmoni, spalancò la porta... e poi la bocca; talmente
tanto da temere che la mascella potesse dislocarsi e il mento toccare
terra.
«
Ciao » la salutò il ragazzo – o qualunque cosa lui
fosse.
«
S-Sasori? » balbettò lei di rimando al fantasma, barra
ragazzo, barra marionetta. Era un po' confusa su quello che lui
potesse essere in quell'universo parallelo.
«
Aspettavi qualcun altro? » le domandò e, lanciandole uno
sguardo che Sakura riuscì a definire "malizioso",
nonostante la sua scarsissima erudizione in materia, si introdusse in
casa sua con naturalezza, come se fosse stata una cosa "normale".
Allo
stesso modo si era diretto verso la cucina, dimostrando di avere una
totale padronanza del posto e, preso il latte dal frigorifero, lo
aveva bevuto direttamente dal cartone.
«
Queste missioni così lunghe mi uccidono » esclamò,
subito dopo, ripulendo con accuratezza le labbra dal liquido bianco
che gli si era addensato proprio negli angoli, passandoci sopra il
pollice e dando inizio così al secondo sogno erotico a occhi
aperti della vita di Sakura Haruno – dopo Sasuke Uchiha,
ovviamente.
Il
particolare che lui avesse bevuto del latte come ogni essere umano
dotato di apparato digerente, passò totalmente inosservato a
una inebetita Haruno che, riconosciuti i sintomi di un'eccitazione
bassoventrica, staccò di netto la maniglia della porta
d'ingresso.
Sasori
frequentava assiduamente la sua casa, non vi erano dubbi. Quello che
però non riusciva proprio a capire era il perché lui
frequentasse assiduamente la sua casa. Inoltre, non aveva
alcuna certezza sul fatto che lui non fosse più il crudele
assassino con il quale si era scontrata nel covo dell'Akatsuki –
quello vero, visto che ora i componenti dell'Organizzazione Alba
erano cittadini onorari di Konoha.
«
Dovresti cercare di controllare la tua forza » constatò
Sasori, avvicinandosi a lei con passo leggero.
«
Oppure potresti impiegarla in qualcosa di molto più piacevole
» le sussurrò in un orecchio, lambendo il lobo con le
labbra « Fino a sentirla venire meno » aggiunse
sensualmente, scendendo sul collo della povera Haruno che, a sedici
anni, non aveva ancora mai provato – almeno nella vita reale –
il brivido scaturito dal contatto con un uomo diverso da quello
amicale che di tanto in tanto aveva avuto con Naruto, convinta che
ogni lembo della sua pelle appartenesse di diritto – quale
diritto? – a Sasuke Uchiha.
Inutile
dire che la maniglia cadde in terra e che Sakura in un battibaleno si
teletrasportò nel punto della stanza più lontano da
Sasori.
Fuga
strategica? No, terrore
puro!
La
delusione che si dipinse sul volto dell'Akasuna per quel gesto riuscì
quasi a farla sentire in colpa, ma la consapevolezza che tutto quello
che stava succedendo fosse irreale la convinse a non farsi
impietosire, a mantenere alta la guardia e che Sasuke, a questo
punto, c'entrasse di sicuro!
L'aveva
"sistemata" con Sasori per non averla tra i piedi.
Tuttavia, non riusciva a comprendere come la sua scelta fosse
ricaduta sul marionettista. Forse aveva sentito parlare di lui da
Orochimaru, oppure in vista dello scontro con Itachi aveva reperito
informazioni sull'intera Akatsuki. Ma soprattutto... era mai
possibile che la odiasse così tanto da scegliere proprio una
marionetta come suo fidanzato così da negarle in eterno
i piaceri di una sana vita sessuale?
"Sei
veramente una carogna, Sasuke!" pensò
la ragazza, digrignando i denti.
«
Non dirmi che ce l'hai ancora con me? » ipotizzò Sasori,
ridestandola bruscamente dai suoi pensieri.
«
Perché dovrei? » gli domandò, dopo aver
riflettuto velocemente sull'atteggiamento da avere nei suoi confronti
e optando infine per la versione "fidanzata incazzata" che
ritenne più appropriata alla situazione: di solito la gente
non andava in giro a elargire baci sul collo per sport.
In
realtà avrebbe avuto svariati buoni motivi per "avercela
ancora con lui". In primis il fatto di averci messo mesi per
smaltire quel pessimo veleno di marionettistica produzione, poi la
cicatrice, ormai non più tanto visibile, provocata dalla sua
katana e infine la dipartita di nonna Chiyo. Ma ovviamente nessuno di
quei motivi in quel frangente avrebbe avuto un minimo di valenza e
credibilità.
«
Su, Sakura, non fare la bambina » la rimproverò lui
bonariamente, tentando un nuovo approccio, questa volta frontale, che
la costrinse a indietreggiare fino al muro.
«
Sai che non era mia intenzione ferirti. Ci hanno chiamato
all'improvviso e non ho avuto modo di salutarti, tutto qui. »
continuò, allungando una mano fino a sfiorarle il viso «
Ti ho mai detto che quando ti arrabbi diventi ancora più
bella? » le disse, sorridendo con dolcezza.
"Oh.
Miei. Kami." fu
l'unico pensiero coerente che Sakura riuscì ad elaborare,
sentendo il fiato dell'Akasuna a pochi centimetri dalle sue labbra.
Stava
per ricevere il primo bacio della sua vita, un bacio vero, da un uomo
– o qualsiasi cosa lui fosse – che aveva appena detto
"sei ancora più bella quando ti arrabbi" quando
tutti avevano sempre affermato che in modalità ira funesta
assomigliava più a un orco che a una bella principessa. Come
mai nella sua vita, in quei pochi minuti in compagnia di Sasori, si
era sentita compresa e accettata. Probabilmente fu quello, o la
possibilità concreta di ricevere il suo primo bacio –
un po' legnoso – ma Sakura cedette alle lusinghe del rubicondo
nukenin. Chiuse gli occhi, talmente forte da riuscire ad accorciare
la sua ampia fronte di alcuni centimetri, e proprio nel momento in
cui, secondo un breve calcolo di probabilità e tempistiche,
Sasori avrebbe dovuto far combaciare le loro labbra, l'immagine –
davvero inopportuna – di Sasuke Uchiha si frappose tra loro.
"
Perché non me ne va mai una dritta?" imprecò
mentalmente la kunoichi, voltando d'istinto il viso da un lato.
Ennesima smorfia di delusione sul viso del nukenin, questa volta
condivisa anche da Sakura.
«
Ho capito. Vado a fare una doccia. » si congedò Sasori,
ammettendo la sconfitta con la medesima eleganza di quando era perito
per mano di padre e madre.
"
Maledetto Sasuke! Perché? Perché devi sempre rovinare
tutto?"
continuò a imprecare la ragazza, con le spalle piantate nel
muro, il fiato corto e le guance in fiamme – e non solo
quelle.
֎
Sasuke,
intanto, camminava per le strade del Vilaggio, di ritorno dal Palazzo
dell'Hokage. Sua madre, preoccupata del fatto che il padre anche
quella sera non avesse cenato, gli aveva chiesto di portargli
qualcosa da mangiare e Sasuke aveva accettato di buon grado,
desiderando ardentemente di rivederlo – e nelle vesti di
Hokage, tra l'altro.
Il
padre lo aveva accolto con un inaspettato entusiasmo. Un
atteggiamento a cui Sasuke non era affatto abituato. Suo padre aveva
sempre avuto un comportamento austero, rigoroso; non era mai stato
avvezzo al contatto fisico – proprio come lui – e non era
solito parlare molto – sempre come lui – di conseguenza,
quando gli era andato incontro e gli aveva dato una leggera pacca
sulla spalla esclamando un « Ecco il mio ragazzo! »
carico di orgoglio, Sasuke aveva avuto la tentazione di scoppiare in
un pianto liberatorio, non molto edificante data la situazione,
benché anche all'ultimo summit dei Kage la sua entrata non
fosse passata assolutamente inosservata. Ma, nella mente contorta
dell'Uchiha, piombare nel bel mezzo di un importante incontro di
Stato brandendo una katana e ingaggiare battaglia con chiunque
risultava ben più decoroso – addirittura figo –
che commuoversi davanti alla vista del padre che non vedeva –
vivo – dalla tenera età di dieci anni. Era un Uchiha, di
questo non aveva colpa.
Aveva
optato quindi per un forzato sorriso, volto a bloccare le
terminazioni nervose e le ghiandole lacrimali – ogni volta che
sorrideva, non essendoci abituato, gli si paralizzavano tutti i
muscoli della faccia.
Il
padre, mettendogli una mano sulla schiena, lo aveva invitato a
seguirlo fino al suo scranno.
«
Vi ricordate tutti del mio secondogenito Sasuke, vero? » aveva
chiesto ai presenti « Mia moglie lo ha costretto a portarmi la
cena » aveva aggiunto, scoppiando poi a ridere, imbarazzato.
Già
il fatto che suo padre avesse riso, di per sé, era uno di
quegli eventi, come la neve ad agosto, più unici che rari, ma
che fosse anche arrossito, quello poteva essere solo il segno di
un'imminente apocalisse.
"Gli
Uchiha non ridono, gli Uchiha non arrossiscono"
avrebbe voluto ricordargli, ma osservando le persone sedute attorno a
quel tavolo, rimase paralizzato nel riconoscere qualcuno che
c'entrava in quel quadretto come Itachi nell'Akatsuki – quella
vera, quella cattiva.
Orochimaru.
E in ottima forma, per giunta.
In
effetti Sasuke non aveva fatto caso che a quel tavolo ci fossero sei
persone e non cinque.
"
Sei Kage... mh? "
Quale
Villaggio avrebbe mai potuto scegliere Orochimaru come guida?
"Oto.
Non ci sono dubbi".
E,
in effetti, sul cappello da Kage poggiato sul tavolo, di un ben poco
rassicurante colore viola, Sasuke aveva potuto scorgere il simbolo
del Villaggio del Suono.
Il
sennin lo aveva guardato a lungo, mostrando come sempre un morboso
interesse verso la sua persona e, un paio di volte, si era leccato
le labbra con la sua viscida lingua biforcuta. Il brivido di disgusto
che Sasuke aveva provato lo aveva in qualche modo rassicurato:
qualcosa in quella realtà parallela, in quell'illusione, o
qualsiasi cosa fosse, era rimasto invariato.
Nonostante
il disagio procurato dai due occhi serpenteschi puntati su di lui,
Sasuke aveva cercato di concentrarsi su suo padre e, più
precisamente, sull'inaspettato elogio alla
sua persona che con enfasi stava tenendo dinanzi ai suoi colleghi.
Lo
aveva definito come "il futuro del Clan", come "colui
che avrebbe portato una ventata
di
rinnovamento", ma aveva anche aggiunto un "a patto che
metta la testa a posto" che gli aveva fatto storcere il naso.
Apprendere
di essere considerato uno scansafatiche era stato abbastanza seccante
per lui che sin dalla tenerissima età si era impegnato per
essere il migliore. I bulbi piliferi del suo viso imputati alla
produzione della viril barba, già a dieci anni, erano stati
completamente resi inabili dal Katon, rendendolo glabro a vita, e le
unghie della sua mano sinistra, a forza di utilizzare il chidori,
avevano smesso spontaneamente di crescere; aveva sempre ottenuto il
massimo dei voti in tutte le discipline ed era certo che, se Gaara e
la sua combriccola di sovversivi non avessero interrotto l'esame dei
Chunin, avrebbe sconfitto Naruto. Quando poi Orochimaru lo aveva
scelto come suo allievo, barra contenitore, si era impegnato fino
allo stremo per diventare talmente forte da riuscire non solo a
infrangere il sogno del Sennin di avere la sua splendida pelle, ma
anche a sopravvivere allo scontro con suo fratello. Infine, aveva
raggiunto un discreto livello anche nel suo ultimo ruolo: il
supercattivo. Essendo stato un vendicatore per tanto tempo, gli era
bastato solo aggiungere una tonnellata di egocentrismo e un chilo di
sadismo isterico al bagaglio pregresso di negatività
paranoica per entrare di diritto nella top ten degli uomini da
eliminare a vista di tutti i Bingo Books dell'universo –
megalomane? Sì, lo era. Ma con stile.
Forse
in quella realtà parallela, illusione, o qualsiasi cosa fosse,
il fatto di aver avuto i suoi famigliari vicini lo aveva rammollito.
In
effetti non si era mai chiesto come sarebbe stato avere una vita
"normale".
Si
fermò di colpo, senza un motivo preciso e si guardò
intorno cercando di orientarsi: impegnato nei suoi contorti
ragionamenti aveva camminato così a lungo da essere giunto
fino alle porte del Villaggio.
Riconobbe
immediatamente la marmorea struttura vagamente somigliante a una
panchina
che, nonostante gli anni, sostava ancora lì, immota e intatta.
Sakura
– Colpo alla nuca – Panchina.
Questa
volta – chissà come – l'associazione di idee fu
immediata.
Era
lì che l'aveva adagiata, dopo averla tramortita, la notte che
era fuggito dal Villaggio quando lei...
Quando
lei si era permesso di minacciarlo di urlare a squarciagola e mettere
in allarme tutto il Villaggio pur di non farlo andare via. Sfacciata!
Non
che avesse rimosso la parte precedente del discorso, quella in cui
una Sakura piangente aveva proclamato di "amarlo più di
se stessa" e non aveva neanche dimenticato il ringraziamento
campato in aria con cui l'aveva gentilmente liquidata e
successivamente tramortita. Aveva semplicemente chiuso tutto in un
immaginario sacchetto e lo aveva spedito nel luogo più
recondito della sua mente, convinto che in quel modo sarebbe stato in
grado di cancellare l'imbarazzante reazione cagionata proprio da
quelle parole che per un infinitesimale attimo erano riuscite a
scalfire la sua corazza di indifferenza.
Dopotutto,
all'epoca, aveva creduto che non avrebbe avuto più modo di
rivederla – troppo ottimistica come previsione – e che
quella sarebbe potuta essere la sua unica occasione, data la
possibilità concreta di diventare il contenitore umano di un
tizio con tendenze sessuali poco chiare, per provare l'ebbrezza di un
contatto intimo con un altro essere vivente.
Superando,
come per magia, la sua totale incapacità di toccare qualcuno
senza una valida motivazione, e una volta accertatosi della totale
assenza psicofisica della ragazza, aveva adagiato le labbra sulle
sue.
"Lampone
e vaniglia."
Non
aveva mai assaggiato nessuna delle due cose – odiava i dolci –
ma era certo, anzi certissimo, che le sue labbra sapessero di lampone
e i suoi capelli di vaniglia – all'occorrenza, lo sharingan
poteva anche riconoscere sapori e odori.
Quegli
stessi rosei e vanigliati capelli e quelle stesse rosee labbra al
sapore di lampone che la Kunoichi non avrebbe mai più lavato
se mai avesse avuto anche il più flebile sospetto di quanto
era accaduto.
In
quegli anni trascorsi nel covo di Orochimaru, nel buio della sua
stanzetta umida, Sasuke non aveva mai più ripensato a quella
notte, coercizzando la sua mente a pensare ad un unica cosa: la
vendetta.
Ma
ora, dopo tre anni, con delle pulsioni molto diverse da quelle di un
tredicenne, e una prospettiva di vita decisamente più rosea,
sarebbe stato così strano pensare a qualcosa di più
frivolo?
Si
stupì di quel pensiero poco consono alla sua natura e si
rimproverò per aver obnubilato, anche se per poco, la sua
eccelsa mente con simili facezie e stimolato, di conseguenza, la
rachitica parte affettiva del suo cervello tanto da provocargli un
fastidioso pizzicore sottocutaneo all'altezza delle guance.
Era
arrossito. Come suo padre poco prima.
Forse,
per un Uchiha, il non arrossire non rappresentava proprio un dictat
imprescindibile.
Si
voltò di scatto e prese a camminare a passo svelto,
rigorosamente a testa bassa per camuffare la tonalità della
sua pelle non più tanto diafana e, imboccando strade a caso,
lontane dal centro dove sarebbe stato più facile incontrare
qualcuno dei suoi ex – o non più ex? – compagni di
Accademia, si ritrovò nel quartiere ove era sita la dimora di
Sakura.
"Maledizione!"
imprecò tra sé e sé, passando davanti all'uscio
della ragazza, deciso a proseguire per la sua strada senza deviazioni
di sorta benché provasse una certa curiosità di sapere
come se la stesse passando in quel nuovo contesto.
Sasuke,
in quell'occasione, confermò a se stesso ciò che era
già noto a gran parte del mondo emerso: era lunatico.
Giunto
all'angolo della strada, dopo essere riuscito in pochi metri a
crearsi un alibi perfetto – non era un genio del male per caso
– ritornò sui suoi passi.
Trovandosi,
a quel punto, dinanzi alla porta dell'Haruno con un discorso ben
chiaro nella mente che aveva a che fare all'incirca con gamberetti,
zuppe e... sua madre – che follia! – assunse la sua
posa migliore – non per fare colpo su di lei, ma per il suo
innegabile narcisismo – e bussò con decisione.
֎
«
Sakura? Mi porteresti un asciugamano? »
Temeva
che glielo avrebbe chiesto!
Dopo
essersi munita di asciugamano e tanto, ma tanto, coraggio, la ragazza
entrò nel bagno. Ringraziò mentalmente i Kami per aver
concesso all'acqua di diventare vapore a elevate temperature perché
l'idea di vedere in modo nitido ciò che si celava dietro la
tenda della sua doccia le creava una certa ansia.
In
realtà in quei quindici minuti in cui aveva sostato nel
corridoio, tendendo l'orecchio verso il bagno per captare ogni
singolo rumore da esso proveniente, Sakura aveva
ipotizzato che, per Sasori, la doccia consistesse in una passata di
lucido per legno su tutto il corpo e un'insaponata veloce ai capelli.
Abbastanza deprimente come immagine.
Quindi,
è abbastanza facile immaginare la faccia che fece quando
Akasuna No Sasori scostò con un colpo secco la tendina della
doccia mostrandosi in tutto il suo "carnoso"
splendore.
"Pelle,
carne, pelle, carne, pelle, carne..."
Sakura non riusciva a pensare ad altro. Sembrava fatto di carne vera,
in tutto e per
tutto. Non
che la ragazza avesse di proposito buttato un occhio lì –
sì, proprio lì – ma era così evidente da
non riuscire a passare inosservato neanche a volerlo. E poi,
francamente, Sakura non ne aveva mai visto uno in vita sua, in carne
e ossa – i libri di anatomia di Tsunade Sama non facevano testo
– ed era alquanto incuriosita dalla sua forma vagamente
somigliante a un pappagallo, o no, forse a una banana.
Si
ritrovò a inclinare la testa da un lato per concentrarsi
meglio su quella visione paradisiaca che le si era stagliata davanti
agli occhi, cercando di capire se Sasori avesse solo affinato la sua
tecnica e fosse riuscito a impiantarsi della pelle vera o se tutto
quel bendidìo fosse reale. Gli addominali sembravano davvero
scolpiti nel legno e così i pettorali e tutti i restanti
muscoli visibili del suo corpo – sì, anche quello; i
capelli rossi, bagnati e spettinati, gli davano un nonsoché di
selvaggio, assolutamente eccitante; infine, i suoi occhi marroni,
terribilmente caldi, sembravano disegnati con la tempera su quel
viso dai lineamenti dolci, bambineschi.
Comprese,
riprendendosi un attimo dallo shock, che ci fosse un solo modo per
scoprire se Sasori fosse tornato in vita come marionetta o come umano
e lei, futura erede di tutte le conoscenze mediche del quinto Hokage,
in nome della scienza, si sarebbe immolata "tastando" di
persona.
Si
avvicinò a lui, percependo subito l'odore di shampoo alla
vaniglia – il suo preferito – e dopo aver puntato lo
sguardo su un punto preciso del suo torace, laddove un tempo vi era
la scatola contenente il suo cuore, lo sfiorò con la punta
delle dita sentendo sotto i polpastrelli la pelle calda, viva.
«
Qualcosa non va, Sakura? » le chiese Sasori, afferrando la sua
mano e facendola aderire completamente alla sua pelle.
«
Tu... » non sapeva come impostare il discorso. Non poteva
dirgli: « Tu dovresti essere una marionetta! », non
sarebbe stato affatto carino.
«
Io cosa? » le sussurrò lui, languidamente, attirandola a
sé.
E
Sakura a quel punto non ebbe più dubbi: qualcosa di
decisamente carnoso e vivo stava premendo contro la sua coscia,
mentre le labbra di Sasori si avvicinavano in modo pericoloso alle
sue.
«
Non hai sentito? » domandò la ragazza, credendo di aver
udito il campanello – o meglio, sperando che qualcuno fosse
accorso a salvarla.
«
Non aprire » le soffiò lui sulle labbra in un modo così
sexy, ma così sexy, che Sakura pensò che, in fondo, se
avesse ceduto nessuno lo avrebbe saputo e che, cazzo, ogni tanto
qualche gioia spettasse anche a lei.
Ma
quel maledetto campanello non sembrava avere la ben che minima
intenzione di smettere di suonare, in vero il suo suono sembrava più
cupo e funesto del solito – forse perché dall'altra
parte il dito indice di un Uchiha di sua conoscenza, alquanto
contrariato dalla prolungata attesa, stava violentando il povero
pulsantino che aveva avuto la sfiga di essere stato assegnato alla
dimora dell'Haruno.
Note
Autrice
Perdonate
il ritardo! Ieri sera ho avuto qualche piccolo problema di
connessione e ho dovuto posticipare a oggi.
Ecco
il secondo atto. Spero vi sia piaciuto. :-)
Dato
che questa storia è scritta quasi per intero ho pensato di
farvi un piccolo regalo: ho deciso di inserire un piccolo spoiler del
capitolo successivo dopo le note autrice. É la prima volta che
faccio una cosa del genere, quindi mi farebbe piacere sapere cosa ne
pensate.
Aspetto
con ansia... senza le vostre recensioni mi sento come una particella
di sodio dell'acqua Lete. Non fatemi esclamare "C'è
nessuno?" con una vocina idiota. Abbiate pietà di me!
Approfitto
per ringraziare chi ha recensito il precedente atto, chi l'ha solo
letto e chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Qualche
giorno fa ho iniziato a rispondere alle recensioni, ma causa forza
maggiore, ho dovuto interrompere.:-( Scusate, cercherò di
rimediare quanto prima.
Vi
lascio allo spoiler del terzo atto che, salvo ripensamenti last
minute, dovrebbe riportare codesto sottotitolo: "Sono
l'intestino attorcigliato di Sasuke"
Un
bacione
Blueorchid31
Spoiler
«
Che ci fai qui? » indagò subito Sakura, insospettita e
dall'ora tarda, e da quel ghignetto divertito che Sasuke aveva
sfoggiato appena lei aveva aperto la porta. Il dubbio che lui potesse
in qualche modo essere la causa di tutta quell'assurda faccenda
andava appurato, e in fretta.
«
Ti piace la zuppa di gamberetti? » le chiese, di rimando,
ignorando completamente la sua domanda mentre il ghigno sul suo viso
si allargava ulteriormente – aveva continuato a darle le spalle
apposta , sicuro che, una volta posta la domanda, l'espressione sul
viso di Sakura sarebbe stata talmente ridicola che non sarebbe
riuscito a trattenersi dal ridere.
"Ok.
É impazzito!" decretò la Kunoichi... (continua...)
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