Kyūbiko no Ko
Il
bambino della Volpe a
Nove Code.
Non si può
pensare, anche solo provarci è vietato, lo scrosciare
dell’acqua che cade dal
cielo nero riempie ogni spazio, ogni vuoto lasciato dalle parole, non
c’è più
silenzio e senza il silenzio non si può pensare. Piove e
quando piove non si
pensa, non si parla perché la pioggia è troppo
forte e fredda e bagna e
colpisce e distrugge i brandelli dei tuoi pensieri.
Sasuke non
pensa, si lascia bagnare e probabilmente sta piangendo. Ha i capelli
lucidi e
bagnati, le gocce di pioggia incastrate tra le ciglia, gli occhi neri
socchiusi
e privi di vita, l’acqua che scivola per tutta la lunghezza
del suo viso, che
si appoggia sulle labbra, che precipita dal mento. I vestiti attillati,
fastidiosi, freddi incollati al corpo.
Ha freddo,
trema, la pioggia lo colpisce e gli fa male, fa male un po’
tutto a dir la
verità, è tutto bagnato e gli sembra di
soffocare. No, cioè, non è che gli
manchi l’aria in maniera disperata, semplicemente non ne ha
bisogno.
Erano andati
via tutti, poco alla volta (le persone alla cerimonia funebre o le
persone
della sua vita, non ha importanza) ed era rimasto solo lui, aveva
iniziato a
piovere, piano e leggermente, poi ogni goccia era diventata
più pesante e più
vicina alla precedente. Adesso si ritrova sotto un temporale ma non si
muove,
resta lì ancora un po’ e guarda la tomba grigia
del suo migliore amico, il
simbolo della foglia è inciso beffardo sopra il nome di chi
a quel villaggio ha
dato tutto, anche la vita.
(Perché tutte
le persone che ama lo antepongono al bene del villaggio? È
egoistico sperare
che almeno una volta lo abbiano amato più di quella stupide
case?)
“Sei un
maledetto bugiardo” urla alla fine, talmente forte che la
pioggia tace per un
secondo.
Avevi
promesso che saremmo morti insieme, che non mi
avresti lasciato da solo. Perché non hai mantenuto la
promessa?
**
“Che cosa hai
intenzione di fare, adesso?”
Continua a
piovere fuori, la pioggia sbatte contro le finestre creando dei
rivoletti
simili a lacrime sul vetro, come se la vecchia villa degli Uchiha
stesse
piangendo. Sasuke non ama particolarmente questo posto, per quanto si
impegni a
tenerlo pulito lo vede sempre sporco di sangue e sente ancora le sue
grida da
bambino. Questa casa piange da anni.
Sakura è
seduta su una vecchia sedia, le mani strette attorno a una tazza di
tè caldo
appoggiata al tavolo in legno. Ha il viso stanco, come se non dormisse
da mesi,
e anche gli occhi verdi smeraldo sono spenti, i capelli rosa legati in
una
pratica coda con dei ciuffi che scivolano davanti al viso, ha il
giubbotto
verde da chuunin ma non indossa il copri fronte da ninja. Non lo
guardava negli
occhi quando glielo ha chiesto, fissava il fumo che saliva dal liquido
bollente, adesso si porta il tè alle labbra e beve un
piccolo sorso per non
scottarsi la lingua.
È amaro.
Sasuke è in
piedi, in un punto impreciso della stanza in penombra, non ha acceso le
luci e
lascia che siano due piccole candele e i lampioni fuori e illuminare
l’interno.
Ha paura di ferirsi gli occhi con una luce troppo diretta. Indossa una
maglia
blu molto a simile a quella che portava da bambino e tiene le mani
dentro le
tasche dei pantaloni, guarda fuori la finestra come se stesse
aspettando
qualcuno.
Oh,
Sas’ke-kun, lui non
arriverà...
“Cosa dovrei
fare?” le rigira la domanda.
Sakura non lo
sa, sinceramente ha paura di cosa l’Uchiha possa fare. Lei
è triste e
spaventata, come se avessero tolto una cosa fondamentale, tipo il
pavimento
sotto i piedi o il sole lasciando una notte lunga e piena di incubi.
Aveva
sempre avuto tre certezze nella vita, solo tre ma erano sempre state
abbastanza, poche ma fondamentali: aveva la certezza del suo amore
incondizionato per Sasuke, che non lo avrebbe mai abbandonato anche se
non
ricambiata, che lo avrebbe amato con tutta la capacità del
suo fragile cuore;
sapeva che Naruto ci sarebbe stato sempre, che non l’avrebbe
mai abbandonata,
l’avrebbe protetta e aiutata, le avrebbe dato tutta la forza
necessaria per
vivere; per ultima, la certezza che sarebbe diventata abbastanza forte
da
proteggere i due uomini della sua vita, avrebbe lottato con le unghie e
con i
denti, si sarebbe spinta oltre i suoi limiti per proteggere
ciò che la rendeva ancora
viva dopo quella disastrosa guerra, sempre più forte per
poter stare accanto
alle sue due ragioni di vita.
Ma adesso.
Adesso Naruto
non c’è più, è morto e da
sotto strati di terra, chiuso in una bara stupida,
non può di certo sostenerla, non può asciugare le
sue lacrime, non può
proteggerla. Non può fare più niente.
E lei non è
riuscita a proteggerlo, lei debole come la bambina che era un tempo ha
lasciato
che glielo uccidessero sotto gli occhi, non ha fatto niente per
salvarlo. Ha
pianto e basta, non ha avuto tempo, non ha avuto abbastanza forza. Non
si è
spinta contro nessun limite per salvare uno degli uomini della sua
vita. È
morto e basta.
Vorrebbe
piangere ma non lo fa, ha pianto abbastanza e adesso
c’è il cielo a farlo per
lei, stringe la presa sulla tazza bianca e pensa solo a quanto adesso
abbia
paura. Le è rimasta una sola certezza, l’amore che
prova per Sasuke ed è per
questo che ha paura. Teme che l’Uchiha possa andarsene anche
lui.
“Non lo
so”
dice con la voce che trema “Non so più
niente” aggiunge talmente piano che si
sente solo lei.
Il ragazzo non
risponde perché ciò che vuole fare è
distruggere ogni mattone di quel piccolo
villaggio che gli ha portato via prima onii-chan
e poi Naruto, vuole bruciare tutto con l’amaterasu,
le fiamme nere che divorano tutto finché non resta solo
cenere, urlare la sua
furia, uccidere e distruggere quei bastardi che glielo hanno portato
via. E
magari far finire pure il mondo perché non ha senso che
esista se lui non c’è a
renderlo il posto migliore che tanto sognava.
Vuole
lasciarsi andare, spalancare i suoi occhi rossi e iniziare la sua
sanguinosa
vendetta ma non ci riesce, c’è una mano sul suo
cuore che mi impedisce di
muoversi e una voce fastidiosa come il suo proprietario.
Gli dice di
non fare cose stupide.
Visto
che non ci sono più io a proteggere questi
scemi, fallo tu.
“Farò
quello
che avrebbe fatto lui” dice alla fine, sa che è
una cosa giusta quanto
dolorosa, ma gliela deve a quella stupida testa quadra
“Proteggerò il
villaggio, lui avrebbe voluto questo. Ha sempre voluto
questo”.
Sia Itachi-niisan
che Naruto gli hanno lasciato questa eredità e non
può fare nient’altro se non
accoglierla.
**
Cinque
anni dopo.
Sasuke Uchiha
è un ANBU rispettato, per quanto la gente ormai continui a
guardarlo di male
occhio è riuscito a trovare un suo posto come ombra che
protegge il villaggio
dai nemici esterni. Non parla con nessuno, a volte con Sakura
perché se la
ritrova a casa, lei si sente sola e ha bisogno di un conforto che non
trova
nell’Uchiha ma sembra che la sua sola presenza le basti. Ogni
tanto incontra
Iruka e si fanno un cenno, ogni tanto commentano qualcosa di inutile o
discutono delle novità con distacco, sa che il maestro va
ogni giorno alla
tomba per mettere dei fiori nuovi. Con Kakashi non parla più
da anni se non per
l’assegnamento delle missioni.
Sasuke si
limita ad essere un ombra.
Ogni mattina
si allena, ogni mattina indossa quell’armatura pezzo per
pezzo ricordando
quando lui e Naruto lo facevano insieme aiutandosi dove con un braccio
solo non
riuscivano ad arrivare. Ha provato a disfarsi dei ricordi, li ha
soffocati in
diversi modi ma alla fine ha rinunciato, tornavano sempre in momenti
meno
opportuni, come durante una missione, ha semplicemente capito di
doverli
accettare.
A volte quando
piove va ancora a trovarlo, guarda la tomba fredda e basta, non parla e
non fa
niente. Pensa solo a quanto lo odi per averlo lasciato solo, per non
aver
mantenuto una stupida promessa.
“Non ci ha
abbandonato, non ci ha lasciati soli” gli dice ogni volta
Sakura “Lui è con noi”.
E odia anche
lei per quella bugia così spudorata, Naruto ormai
è polvere, terra e niente,
non c’è più niente di lui e quelle sono
solo menzogne.
**
“Non è
possibile” dice Kakashi e Sasuke, da fuori
l’edificio seduto su un balcone, non
può che non essere d’accordo con lui.
Dentro
l’ufficio dell’Hokage ci sono Kakashi che tiene
stancamente le mani tra i
capelli, seduto sulla sedia in una posa abbandonata, Shizune che si
tiene le
mani strette al petto, Shikamaru che per una volta ha abbandonato la
sua
perenne espressione annoiata per sostituirla con una sorpresa, Iruka
che si
massaggia la radice del naso nel tentativo di capirci qualcosa e Sakura
che
come al solito piange silenziosamente, il viso rotondo lucido dalle
lacrime.
Sasuke
dovrebbe essere lì dentro con loro ma resta fuori
perché si rifiuta di entrare
e scoprire che è tutto vero. Non capisce.
Oltre ai
ninja, l’altra presenza è un bambino seduto a
terra in maniera scomposta che si
guarda attorno spaventato e curioso ed è proprio lui a
scatenare quelle
reazioni.
È piccolo,
avrà cinque anni o poco meno, i capelli biondi lunghi e
spettinati, pieni di
nodi, un viso
rotondo e sporco con delle
strane cicatrice parallele sulle guance dal quale svettano luminosi e
profondi
due occhi blu come il cielo estivo. Indossa degli stracci, è
sporco dalla testa
ai piedi ed è pieno di graffi e cicatrici, sembra un
po’ denutrito e selvaggio,
ha gli occhi diffidenti come quelli di un cane randagio. Lo hanno
travato
quella mattina alle porte di Konoha che correva, dove non lo sa nemmeno
lui,
avvolto in uno strano bagliore arancione: il manto del Kyuubi. Gli
shinobi di
guardia lo hanno immediatamente portato dall’Hokage e ora
sono lì a guardarlo,
a guardare quel bambino che porta l’aspetto e il nome di un
fantasma.
Ha ripetuto
mille volte di chiamarsi Naruto e che Kurama è sempre stato
con lui da che ha
ricordo, che non sa chi siano i suoi genitori, che non sa da dove venga
o
perché sia solo. Sa che è sempre stato
così e che camminava per caso da quelle
parti.
“Io sono
Naruto Uzumaki!” soffia ancora, le guance gonfie in un
broncio.
“No, che non
lo sei!” sbotta Shikamaru guardandolo con gli occhi sbarrati.
Ha visto il corpo
del suo amico venire deposto su una bara e dopo quello come
può solo pensare
che sia tornato?
“Ti dico di
sì!” urla a sua volta il bambino, le mani strette
a pugno e una scintilla
scarlatta brilla nei suoi occhi color cielo.
“Come
può
essere possibile tutto questo?” chiede Iruka, cerca di capire
ma non ci riesce
“Il nostro Naruto è morto”
“E’ un
jinchuuriki” borbotta Kakashi come se fosse quello il punto
cruciale “Possiede
il chakra del Kyuubi. Ma il demone è morto insieme a Naruto,
non dovrebbe più
esistere”.
“Gli è
stato
estratto?” tenta Shizune cercando di non far tremare la
propria voce.
“No”
dice
Sakura asciugandosi le lacrime “Naruto è morto
davanti a me, io lo ho visto.
Lui non può essere Naruto”.
Sasuke stringe
le mani in un pugno, vorrebbe fare irruzione nella sala, prendere il
bambino e
urlargli contro perché, come osa quello sporco essere
prendere il suo aspetto e
il suo potere? Come osa chiamarsi Naruto?! Il peso di Kusanagi
è tentatore, se non si trattiene sa che potrebbe farla
calare sul quel corpo minuto.
“Facciamo il
punto della situazione” dice Shikamaru riacquistando un
po’ di lucidità.
“Naruto muore
in una missione per salvare i suoi compagni. Il Kyuubi muore con lui,
la sua
essenza si dissolve e solo fra mille anni potrà ricomparire
su questa terra.
Cinque anni dopo, si presenta un bambino uguale a lui, con il chakra
della
Volpe a Novecode sigillato dentro di lui, che dice di chiamarsi Naruto.
Non sa
chi siano i suoi genitori, dove sia nato, ha sempre vissuto da solo
vagando e
con solo il demone ad aiutarlo.
Qualcuno ci
vede un nesso logico?”
No, non
c’è.
**
“Iruka-san”
lo
chiama il bambino tirandolo per una manica.
Dopo il punto
della situazione di Shikamaru tutti hanno iniziato a litigare dicendo
le
proprie ipotesi, ma non hanno combinato niente riempiendo solo la sala
di
confusione e facendo piangere il piccolo biondo. Iruka a quel punto si
era reso
conto che nessun bambino, impostore o meno, aveva il diritto di subire
tutto
quello e con il permesso dell’Hokage era uscito
dall’ufficio portando il
piccolo a fare un giro.
“Dimmi
Na—“ si
interrompe perché per quanto gli venga spontaneo dirlo visto
la somiglianza c’è
qualcosa che gli ricorda che il suo amato studente è morto.
“Naruto!”
termina per lui il bambino, gonfiando le guance
“Perché non mi credete? Perché dite
che io devo essere morto?”
Lo aveva
chiesto anche a Kurama ma la volpe gli aveva detto di non sapere niente.
“Eh?”
chiede
Iruka preso in contropiede.
“Io sono
Naruto Uzumaki e
non sono morto! Io
esisto!” ribatte con cipiglio sicuro. Gli occhi
dell’insegnante pizzicano agli
angoli perché il modo rumoroso di fare di quel bambino lo
riporta indietro nel
tempo, si porta una mano agli occhi per impedirsi di piangere.
“Lo so, ti
credo” dice infine, non sa se per farlo contento o
perché è sincero. “Hai fame?
Vuoi mangiare qualcosa?”
A queste
parole il viso del piccolo Naruto si illumina e Iruka è
certo di aver colto il
segno, quel bambino deve essere denutrito, così lo porta da
Ichiraku a mangiare
il ramen.
“Non fare
domande” dice a denti stretti all’uomo dietro il
bancone quando il piccolo
sgambetta dentro con una risatina eccitata e sale sullo sgabello con
qualche
difficoltà e poi batte con trepidanza le mani sul banco in
attesa del cibo.
Quando gli mettono sotto il naso la ciotola fumante la guarda con
adorazione,
come se fosse la cosa più bella che abbia mai visto, la
fissa a lungo prima di
riscuotersi e gira la testa verso il giovane uomo:
“Iruka-san,
come lo dividiamo?”
“Dividiamo?”
chiede un attimo perplesso “Certo che no, quello è
tutto tuo”.
La bocca del
bambino si spalanca. “Davvero è tutto per
me?”
“Mangia
pure”
Naruto resta
un secondo interdetto, poi apre la bocca in un sorriso enorme pieno di
gioia e
si getta con fame sulla ciotola, come un animale.
“Se ne vuoi
ancora, chiedilo pure” lo sprona guardando divertito tutta
quella voracità, in
un minuto ha già finito la ciotola gigante.
“Davvero
posso?”
“Certo che
sì”
gli sorride e spera che non abbia lo stesso appetito del suo Naruto e
di avere,
in quel caso, abbastanza yen dietro.
Hanno mangiato
e adesso camminano per le vie di Konoha quando il bambino di ferma e si
gira a
guardare i tetti delle case con sguardo timoroso.
“Che succede,
Naruto?” gli chiede Iruka, chiamarlo per nome in quelle ore
è diventato così
spontaneo che non si sorprende più.
“Qualcuno ci
segue” dice aggrappandosi alle sue gambe, un strano bagliore
arancione
fuoriesce dal suo corpo mentre le sue pupille di allungano e la iride
diventa
cremisi. “Il suo battito è cattivo, Kurama ha
paura”.
Iruka spalanca
gli occhi, battito? Che con quel nome, battito, intenda il chakra?
Allora
significa che Sasuke-kun li sta seguendo, come ha fatto il piccolo ad
accorgersene?
“Non sono un
moccioso!” urla improvvisamente Naruto aggrappandosi ancora
più stretto alle
gambe dell’adulto mentre il manto svanisce lentamente
com’è comparso.
“Cosa?”
chiede
Iruka confuso da quel repentino cambio di umore. Naruto solleva gli
occhi blu
offesi verso di lui e con un adorabile broncio dice:
“Kurama mi ha
dato del moccioso. Io non sono un moccioso, vero Iruka-san?”
Lo guarda, le
labbra piegate e gli occhi incerti, gli stringe il cuore e fa male un
po’
ovunque perché per la prima volta la sente sulla sua pelle
la mancanza
dell’Uzumaki.
“No, non sei
un moccioso” decide di rispondere alla fine accontentandolo.
“Esatto”
si
stacca e mostra le manine al cielo chiuse in pugni, si guarda intorno e
urla
verso i tetti, verso la presenza che sente ma che non può
vedere. “Io non ho
paura di te, vieni fuori e combatti se ne hai il coraggio!”
Iruka prega
intensamente che l’Uchiha non sia così crudele da
prendere alla lettera il
farneticare di un bambino un po’ spaccone. Fortunatamente,
nella via non scende
nessun ninja con intenti omicidi e il piccolo Naruto si gira orgoglioso
verso
il giovane uomo. “Hai visto quanto sono coraggioso?”
“Lo sei
moltissimo” lo vezzeggia spettinandogli i capelli stopposi e
pieni di nodi. Si
allontana leggermente infastidito mentre cerca di rimettersi con le
piccole
manine i capelli ai loro posto.
“Neh,
Iruka-san” lo chiama poi indicando le teste degli Hokage “Ma quei brutti
musi chi sono?”
L’insegnante
ride. “Quelli, Naruto-kun, sono gli Hokage, dei supereroi
fortissimi. Oggi ne
ha conosciuto uno” aggiunge indicando l’ultimo
volto che è stato scolpito.
“Ma chi? Il
vecchietto?”
“...Vecchietto?”
“Certo, ha
tutti i capelli bianchi, come i vecchi!”
“O-i, guarda
che in realtà non è tanto più vecchio
di me. Ed è fortissimo!”
“Seh. Io posso
fare di meglio!” annuisce convinto portandosi le braccia
dietro la testa e
accentuando il suo sorriso sghembo “Anzi, sai che dico?
Diventerò uno di quei
Hokage, diventerò il più forte di loro
dattebayo!”
Iruka si ferma
in mezzo alla strada, lascia le braccia inermi lungo i fianchi e lo
guarda con
la bocca aperta, gli occhi spalancati e si rende conto di avere
veramente
davanti a sé un fantasma.
Tutto
questo non può essere vero, si dice e stringe le mani
a pugno. Oppure quel bambino è vivo, sa bene che i fantasmi
non sono nulla,
sono gelidi e non hanno carne e lui ha sentito la stretta sulle sue
gambe,
quando lo ha abbracciata ha sentito il calore di quel corpicino e il
cuore che
batteva regolare, quel muscolo pulsante c’è.
C’è carne, c’è sangue e
c’è vita.
C’è un sorriso, ci sono i capelli biondi,
c’è quella buffa espressione, lo
sguardo deciso e blu, c’è gioia e coraggio,
c’è Naruto in quel bambino.
Ma Naruto è
morto, com’è possibile?
**
“Allora, cosa
ne pensi?”
Sasuke entra
nella stanza, per tutto il giorno ha seguito Iruka-sensi con il piccolo
impostore nascosto tra i tetti delle case, non si aspettava che il
bambino si
accorgesse della sua presenza. Ripensa come ha definito il chakra,
battiti del
cuore, pensa anche a cosa ha aggiunto, oscuro; pensa a come rideva, a
come si è
sporcato con il ramen, a quello che sbraitava e come tendeva le piccole
manine
verso l’alto.
Nell’ufficio
dell’Hokage sono rimasti solo Kakashi e Iruka, il bambino
è crollato
addormentato sfinito dopo la lunga giornata sul pavimento. Ha la stessa
espressione che aveva Naruto quando dormiva, stringe le manine vicino
al viso e
il petto si solleva a ritmo regolare.
“Cosa dovrei
pensare?” dice freddamente all’Hokage, non riesce a
togliere lo sguardo da quel
corpicino minuto e non sa cos’è quella morsa che
prova dentro al cuore, se odio
o amore, non sa se vuole ucciderlo o proteggerlo con tutte le sue forze.
“Non lo
so”
ammette l’uomo passandosi una mano sul viso stanco,
è tutto il giorno che
cercano di capirci qualcosa.
“E’ fin
troppo
uguale a lui. Sembra che qualcuno lo abbia rispedito
indietro” sussurra Iruka.
“Non credo a
queste cose”
“E allora a
cosa credi, Sasuke-kun?”
Si avvicina al
bambino che forse percependo il suo chakra nell’incoscienza
del sonno si agita
leggermente, sfiora con le dita quei capelli biondi e poi scuote la
testa.
“Non credo che
sia il Naruto che conosciamo noi. I morti non tornano
indietro” dice alla fine
lasciando andare la ciocca di capelli che ha tenuto tra le dita
“Cosa avete
intenzione di fare, adesso?”
“Niente”
risponde Kakashi “Non ha addosso nulla di sospetto per farlo
considerare un
nemico. Domani farà dei controlli per vedere se si tratta di
un jutso o altre
diavolerie. Se risultasse pulito, vivrà nel villaggio. In
fondo, si tratta di
un bambino che ha bisogno di aiuto, ed è anche il
Jinchuurike del Kyuubi”
Iruka
annuisce, Sasuke non dice niente.
**
Due
giorni dopo
A Naruto quella
nuova casa piace, è grande e ha un
letto morbido su cui saltare, lo pensa mentre zampetta allegramente
verso la
porta dove dall’altra parte qualcuno bussa con insistenza.
“Yo,
Naruto-kun” quando apre la parte (a fatica, perché
la maniglia è troppo in alto
per la sua bassa statura) trova una bella ragazza a salutarlo, la
riconosce: è
quella che piangeva due giorni. Inclina la testa e la guarda attraverso
gli
occhi socchiusi stringendo le labbra in una smorfia pensierosa.
“Cosa
vuoi?”
chiede scorbutico.
La ragazza si
congela e sembra restarci male per quella risposta così
brusca e lui si sente
in colpa e allora la fa entrare. “chi sei?”
“Sono
Sakura”
si presenta guardando la stanza che sebbene sia abitata solo da un
giorno è già
in condizioni pietose “Hanno deciso che io sarò la
tua dottoressa, perciò verrò
ogni settimana a controllare la tua salute” aggiunge
inclinandosi verso di lui
facendogli l’occhiolino, poi si rialza e si dirige verso la
tavola per
appoggiare la borsa.
“Uh? Altri
controlli? Che noia, dattebayo” sbuffa perché
è da ieri che gira per l’ospedale
a fare cose noiosissime e adesso vuole giocare un po’. Appena
termina la frase
Sakura si immobilizza, le mani stretta sulla tracolla e gli occhi
sbarrati, il
respiro si immobilizza tra le sue labbra.
“Tutto
bene?”
chiede il bambino accorgendosi dello strano stato della ragazza e
avvicinandosi
a lei.
“Oh? Certo che
sì” si riscuote girandosi a guardarlo con uno
sforzatissimo sorriso sulle
labbra “Solo, non dire più quella parola, per
favore”
“Uh? Che
parola?” chiede ingenuamente spalancando gli occhi chiari.
“Dat-tebayo”
dice tremante.
“Eeeh? E
perché non posso dirla, a me piace. E non lo faccio apposta,
‘tebayo”
“Ma ti ho
detto di non dirlo!” scatta Sakura, urla, e sbatte con rabbia
la mano sul
tavolo. Il bambino si ritrae spaventato, gli occhi grandi di paura e la
guarda
con la bocca spalancata , sembra a un passo dalle lacrime.
Haruno prende
un grande respiro e chiude gli occhi maledicendosi, perché
deve sempre
lasciarsi andare così tanto ai sentimenti? Perché
per una volta non può essere
calma e imperturbabile come lo è Sasuke-kun?
Perché non c’è Sasuke-kun? Lui
saprebbe cosa fare, lui è bravo in tutto quello che fa.
“Mi
dispiace”
sussulta, il piccolo bambino si è aggrappato al suo vestito
stringendolo con
forza “Scusami, non lo faccio più, ma non
piangere”.
Si passa una
mano sulla guancia, la trova umida con sorpresa, è proprio
un disastro; si era
imposta di restare calma e lucida, di essere gentile e paziente, invece
ha
iniziato subito a piangere come la solita bambina.
“Sto
bene”
dice mente cerca di fare un altro sorriso rassicurante davanti allo
sguardo
dubbioso del bambino; il suo cuore sussulta quando il piccola allunga
l’altra
manina facendola scivolare tra i suoi capelli rosa.
“Sono molto
belli” dice rapito fissando le sfumature che fanno le ciocche
colpite dal sole
“Hanno lo stesso colore di certi fiori nella
foresta”.
“Ti- ti
ringrazio” balbetta sentendosi come colpita da mille aghi.
Non può farcela, non
ci riuscirà mai.
“Neh,
Sakura-Chan!”
“Che
vuoi, bakamono-Naruto?”
“Certo
che i tuoi capelli
sono molto belli. Quando li avevi lunghi erano bellissimi, ma
così corti mi
piacciono ancora di più!”
Un tonfo la riscuote
da quel ricordo, la borsa è caduta a terra provocando quel
rumore. La fissa,
non sente nulla, nemmeno la voce insistente del bambino che la chiama
chiedendole se sia tutto okay, nel suo cervello tutto si è
azzerato, c’è
silenzio e il suo cuore che batte regolare.
Tum,
tum, tum.
Abbassa lo
sguardo, Naruto è ancora aggrappato al suo vestito e muove
la bocca ma non esce
nessun suono e ha i graffi sulle guance proprio come lui,
e gli occhi blu spalancati come lui,
il viso rotondo come lui,
la bocca come lui e—
“Io... io devo
andare” dice scoprendo si sapere ancor parlare.
“Cosa? Ma sei
stata pochissimo. Non andare via” sente finalmente, il
bambino si aggrappa con
più forza ai suoi vestiti.
“Devo
andare”
ripete meccanicamente, con uno scatto della mano stacca quelle del
bambino, non
vuole essere toccata, non può aggrapparsi a lei con quelle
mani uguali a quelle
di lui. “Devo
andare”
“Ma...”
“Devo
andare!”
strilla, gli occhi spalancati, il viso distorto dalla paura e da
qualcosa che
non riesce a capire, odio o pietà?
Molla la presa
sui suoi vestiti e la guarda immobile mentre sbatte con forza la porta
alle
spalle, Naruto non ha capito, Naruto si sente sbagliato.
Sakura corre
via lontana, corre e piange come una disperata e non sa nemmeno dove
sta
andando finché non sbatte contro il petto di un uomo.
“Sakura-chan?”
chiede sorpreso Iruka-sensei guardando le lacrime che scendono dagli
occhi
verdi, porta le dita sulla faccia della ragazza nel tentativo di
asciugarle.
“Che succede Sakura-chan?”
“Sensei!”
fa
disperata, aggrappandosi alle sue spalle e nascondendo il volto sul suo
petto,
si aggrappa con tutte le sue forze, disperata come solo una persona
passionale
come lei può essere.
“I-io n-n-o-n
vo-voglio” soffia tra le lacrime, singhiozza e balbetta
“No-n-n vo-vog-lio
p-più-ù ve-ved-erlo”
“Parli di
Naruto?” indaga cercando al contempo di rassicurarla facendo
passare le sue
mani lungo la schiena tremante della ragazza.
“NO!”
grida
aggrappandosi ancor più forte “Lui-i no-on
è Na-ru-to. È un-n mo-mostro, un
impo-posto-re. Pe-perché ha-a pre-so il-il pos-sto
di—.”
“Va tutto
bene” la rassicura “non devi rivederlo se non vuoi,
non sei costretta.
Kakashi-san manderà qualche altro medico. Va tutto
bene”
“Na-ru-to”
balbetta “Pe-perc-hé ha l-la su-uah
fa-faccia?”
“Non lo
so” le
da qualche pacca sulla spalla “Non lo so”.
Sakura è
pietosa, lo pensa Sasuke che ha visto tutta la scena dal cornicione
della casa
del piccolo Naruto. Scuote la testa e torna a spiare
l’interno, il bambino fissa
ancora la porta, le mani ancora sollevate dove prima stringeva il
vestito di
Sakura. Non sta piangendo, ma trema leggermente, lo vede portarsi le
braccia al
petto.
“E’
andata
via” dice, come a rimarcare l’ovvio. Si sposta sul
letto dove ci si getta sopra
con un balzo.
“Perché
sono
solo?” chiede, ha gli occhi liquidi e stringe il cuscino tra
le braccia
bisognoso di un abbraccio vero.
Non
sei solo, Naruto. Ci sono io con te. Gli risponde Kurama nella
sua mente
**
La gente e
cattiva e parla tanto, i loro sussurri sono taglianti come vetro e si
spostano
veloci fra le vie spinti dal vento, arrivano di casa in casa e ogni
sussurro
porta parole cattive e sguardi carichi di odio e disprezzo.
È passato un
anno da quando il bambino che dice di chiamarsi Naruto è
arrivato alle porte
del villaggio, un anno da quando Sasuke ha preso a seguirlo di
nascosto, da
quando ha messo piede in quelle vie. Gli abitanti di Konoha avevano
visto nel
piccolo un demone, l’idea si era rafforzata con la presenza
del kyuubi dentro
di lui, un demone che aveva ucciso l’amato eroe del Villaggio
della Foglia e
rubato il suo corpo per vivere e perseguitarli. Odio gridavano i loro
sguardi,
assassino le loro parole, dicevano ai propri figli di non parlargli, di
non
guardarlo, ignoralo è un mostro,
perché è
ancora qui?, perché l’Hokage non lo manda via?,
mostro, mostro, mostro.
Naruto camminava
con sorrisi allegri tra quelle parole piene di odio, mostro,
e la gente si scansava, lo ignorava come se non esistesse. Era
doloroso per il piccolo essere ignorato o guardato con tanto odio, non
capiva
cosa avesse fatto di male, non trovava senso in tutti quegli sguardi e
non
capiva perché le poche persone che gli parlavano con
gentilezze poi iniziassero
a piangere. Non capiva, cos’aveva di sbagliato?
Sasuke non sa
cosa prova per quel corpicino tutto , non sa cosa lo spinga a seguirlo
ogni
giorno, a spiarlo e fissarlo. Lo segue la mattina, il pomeriggio e la
sera, di
notte lo guarda dormire e non va a casa finché non
s’assicura che non gli
capiterà niente, che sarà al sicuro. Lo sa che il
demone della volpe lo
protegge, ha già visto più volte il chakra del
novecode avvolgerlo per
proteggerlo dalle rovinose cadute frequenti nelle sue corse vivaci,
solo che
non riesce a lasciarlo solo.
Lo odia perché
ha la faccia del suo Naruto, ma non può non proteggerlo:
è come se gli sia
stata data una seconda possibilità.
È cresciuto da
quando è arrivato e i vestiti che gli erano stati regalati
da Iruka non gli
vanno più (a proposito, il maestro ha iniziato a venire a
salutarlo sempre meno
perché è impegnato con l’Accademia e il
biondo ormai passa le giornate in
completa solitudine) e quando va in giro i pantaloni sono troppo corti
e
lasciando scoperti parecchie centimetri di caviglia. Guarda la tuta
arancione
che tiene in mano, non sa perché gliela abbia comprata,
è stata una cosa
istintiva, l’ha vista in un negozio e l’ha presa,
tutto qui. Gliela appoggia
sulla sedia e poi lancia uno sguardo al bambino addormentato, la testa
bionda
spunta appena dall’ammasso di coperte sotto cui si
è rifugiato.
È
così
indifeso, potrebbe ucciderlo adesso e la volpe nemmeno se ne
accorgerebbe. Ma
non lo fa.
Lo vede
agitarsi e sbadigliare, si fa attento e velocemente come è
entrato esce dalla
stanza per non essere visto dal bambino che si sta svegliando. Lo
guarda mentre
si stropiccia gli occhi con le manine, poi si alza a sedere e le
coperte
scivolano dal suo corpo scoprendo il pigiama azzurro con i pinguini. Si
guarda
intorno, convinto di non essere solo con lo sguardo assonnato che si
illumina
non appena lo posa sui vestiti nuovi; elettrizzato scende dal letto
gettando di
lato le coperte e zampetta con i piedi scalzi fino alla sedia,
accarezza la
stoffa con le dita, un sorriso meraviglioso sulle labbra.
“Guarda,Kurama,
è bellissima!” esalta tutto felice con la volpe
che porta dentro. Poi alza lo
sguardo e sempre con quel bel sorriso guarda il soffitto, come se
stesse
vedendo il cielo. “E’ stato lui,
vero?”
**
Naruto sta
giocando sull’altalena, dondola lentamente e guarda i muri
dell’Accademia, ha
sei anni a e fra pochi mesi potrà andarci anche lui. Vuole
diventare forte come
il maestro Iruka, anzi di più! Vuole superare i supereroi
scolpiti nella roccia
ed essere così amato da tutti, la gente ama gli eroi quindi
se lo diventerà non
dovrà più subire quegli sguardi pieni di un
incomprensibile rancore.
Sente la campanella
suonare e decretare la fine delle lezioni, la porta di apre e tanti
bambini
escono dall’edificio, alcuni portano cartelle sulle spalle,
altri ridono tra
loro. Ci sono i genitori e li accolgono a braccia aperte, i figli ci si
gettano
veloci oppure scappano ai baci con “Mamma, ma io sono
grande!”
Vede un
bambino prendere la mano del padre, vede una ragazza pettinare i
capelli della
sorella e due genitori battere pacche orgogliose sulle spalle del
figlio.
“Kurama, ma
dov’è
la mia famiglia?” chiede aggrappandosi con più
forza alle corde dell’altalena
mentre dondola sempre più in altro.
“Kurama?”
chiama quando non ottiene risposta.
I
tuoi genitori sono dovuti andare via, ma hanno
lasciato me con te in modo che potessi proteggerti al loro posto.
Sorride. “Sono
stati gentili. Ma vorrei che fossero qui con me”.
Non
ti basto, moccioso?
Ride.
“Sì, tu
mi basti, volpaccia” salta giù
dall’altalena e atterra appoggiandosi con le
mani per non cadere in avanti. Alcuni dei genitori lo hanno visto e lo
guardano
con disapprovazione, tengono nascosti i figli dietro le proprie gambe.
“Be’,
che
avete da guardare?” bercia gonfiando le guance graffiate
“Io non vi ho fatto
niente!” e scappa via tra gli alberi lasciandosi alle spalle
quegli sguardi che
gli bucano la schiena.
Sasuke,
accovacciato tra i rami degli alberi, lascia vagare gli occhi ancora
per
qualche secondo sull’altalena che continua a dondolare sempre
più piano fino a
fermarsi, poi lo segue.
**
Naruto aveva
compiuto sette anni aveva pensato che andando all’accademia
tutto sarebbe
migliorato, che avrebbe finalmente incontrato qualcuno con cui ridere e
passare
il tempo (oltre che con la vecchia volpe, si intende)
Invece nella
scuola ha trovato gli stessi sguardi carichi di odio che trova per
strada, solo
che alcuni adesso lo insultano apertamente e gli fanno dei dispetti
orribili.
Aveva sperato che Iruka-sensei potesse renderlo meno solo, magari
essere
gentile e consolarlo, ma lo tratta come tutti gli altri studenti,
spesso lo
rimprovera perché non fa i compiti per casa e non segue
attentamente le
lezioni. Si sente ignorato, per questo si è trasformato in
una piccola peste:
dipinge cose oscene sui muri dell’Accademia, tira i gessetti
contro Iruka,
mette le rane nella borse delle sue compagne e tanti altri dispetti, ma
non
funzionano e riceve solo insulti e strigliate cattive.
È seduto
sull’altalena, nessuno la usa e allora fa compagnia lui a
quel vecchio gioco, e
guarda i compagni mangiare la merenda preparata dai genitori mentre il
suo stomaco
brontola perché lui non ha niente da mangiare, la mattina si
è alzato tardi e
non c’era nessuno ad avergli preparato qualcosa. Si spinge
lentamente per
distrarsi dalla fame, ne ha tanta, e ignora i bambini che lo guardano e
bisbigliando.
“Sono a
casa!”
grida quando apre la porta e sebbene sapesse già che nessuno
avrebbe risposto
il silenzio lo colpisce comunque come un pugno in piena faccia.
Richiude la
porta alle spalle e i suoi occhi corrono a uno strano contenitore sopra
il
tavolo, curioso si avvicina e lo guarda con gli occhi spalancati, un
principio
di sorriso gli compare sul volto. Lo apre con un po’ di
difficoltà perché è
chiuso ermeticamente ma quando finalmente toglie il coperchio il suo
viso si
illumina e spalanca completamente la bocca incapace di contenere il
sorriso:
dentro ci sono degli onigiri e
hanno
un aria buonissima.
“E’
stato lui, non è
vero?” urla eccitato a Kurama
che può sentirlo benissimo anche se non strilla
così tanto, come gli fa notare.
Naruto ride e ignora quel tono burbero unendo le mani tra di loro, alza
lo
sguardo e dice:
“Itadakimasu¹”
**
Fa freddo, i
respiri delle persone si condensano in nuvolette che salgono verso il
cielo
grigio, qualcuno dice che fra un po’ nevicherà e
che è strano tutto quel gelo in
una città calda come Konoha, sarebbe la prima nevicata dopo
undici anni.
Naruto sfrega
le mani tra di loro protette dalla lana di alcuni vecchi guanti che ha
ritrovato a casa e ci soffia sopra per riscaldarle, ha la punta del
naso rossa
e una sciarpa troppo grande striscia fino a terra. Ha chiesto a
Iruka-sensei di
mangiare del ramen insieme da Ichiraku ma lo shinobi lo ha liquidato
velocemente con un sorriso di scuse perché doveva correggere
i compiti, ha
anche ribadito il fatto che il bambino non li avesse fatti tutti.
Quindi adesso
è solo e andare a mangiare il ramen da solo non è
una bella cosa per questo è
andato all’alimentari e ha comprato delle scatole di ramen
preconfezionato da
scaldare a casa, le tiene dentro una borsa di plastica che sbatte con
insistenza contro il suo fianco.
C’è un
grande andirivieni
di persone per la via, tutti stretti nel propri cappotti scuri e le
mani ben
nascoste nella tasche, le sciarpe alte fin sopra il naso e Naruto si
sente
infinitamente basso in mezzo a tutte quelle persone alte e rese grosse
per
tutti i vestiti che indossano. Si stringe nelle spalle e cerca di
scivolare fra
la folla ma un uomo lo colpisce con
il
gomito alla schiena e per non cadere mette le mani avanti aggrappandosi
al
cappotto lungo di un’altra persona, la borsa gli scivola
dalla spalla
rovesciando per la strada gelata tutta la sua spesa. Fa
un gemito strozzato perché cadendo ha
sbattuto il ginocchio e adesso gli fa male.
“Ma guarda
dove vai, brutto ba—” La voce stridula della donna
a cui si è appoggiato si
spegne quando il bambino punta gli occhi blu sul viso
dell’estraneo per
chiedere scusa. Gli occhi della donna sono attraversati da un lampo
d’odio e
con uno scatto lo allontana con sprezzo. “Non mi
toccare” sibila.
Le persone si
sono fermate a guardare la scena e bisbigliano fra loro mentre la donna
si
allontana con passi secchi e furiosi lamentandosi con la propria amica,
come se
fosse stata contagiata da una brutta malattia, e guardano il bambino
raccogliere le sue scatole di ramen istantaneo e metterle nella borsa
con le
mani tremanti per il freddo, nessuno alza un dito per aiutarlo. Lo
guardano
dall’alto della loro statura con gli occhi socchiusi
in disprezzo e cappelli calati sul
viso.
Perché?
Perché
lo guardano così? Che cosa ha fatto per meritarselo?
In uno sprizzo
di orgoglio raddrizza la schiena tenendo la borsa con presa sicura, le
ciglia
arcuate nel viso distorto dalla rabbia, li guarda tutti e ogni volta
che
incontra gli occhi di uno di loro quello distoglie lo sguardo, come se
la sola
vista gli facesse ribrezzo. Gonfia le guance e sbraita: “Si
può sapere che cosa
vi ho fatto?! Smettetela di guardarmi così!” sente
gli occhi pizzicare, le
lacrime lottare per uscire e ha un nodo in gola che gli fa morire le
parole.
“Io
diventerò
l’Hokage più forte, ve lo farò vedere
‘teb-bayo!” grida prima di dare la
schiena a quel muro di persone e correre in una via secondaria verso
casa. Sta
correndo da pochi minuti quando va a sbattere contro qualcun altro.
“Mi
scusi”
soffia senza alzare il viso perché non vuole essere
riconosciuto, non vuole
vedere ancora quello sguardo.
“Naruto-kun?”
conosce la voce e la sorpresa gli fa sollevare il volto verso la
ragazza dai
capelli rosa avvolta in una sciarpa verde.
“Sakura-chan!”
dice ma la felicità gli muore in gola non appena vede gli
occhi della giovane
donna iniziare a tremare, pronti ad accogliere le lacrime che
scenderanno lungo
il viso pallido.
“Naruto-kun”
ripete con quella voce sorpresa, come se avesse visto un fantasma
Digrigna
i denti. “Perché... perché ogni volta
che mi vedi inizi a piangere?” sussurra
senza reprimere la rabbia.
Sakura ripete
il suo nome con il tono inclinato, tremante, e solleva una mano per
toccare la
testina bionda del bambino ma lui la scaccia con furore e riprende a
correre
verso casa con il cuore pesante e troppe domande in testa.
Quando entra a
casa ha gli occhi umidi e le guance tutte rosse, ma dopo aver corso
così a
lungo si sente bene, è contento che il cuore gli batti
così veloce per la
fatica e non per la rabbia. Lascia cadere la borsa a terra con poca
grazia e le
scatole di ramen rotolano per il pavimento, toglie anche il giubbotto,
i guanti
e la sciarpa, getta tutto a terra e accoglie con piacere il calore
della sua
piccola casetta. Muove le dita arrossate per scaldarle e tira
giù la zip della
felpa che indossa guardando la stanza disordinata, le magliette sporche
sparse
a terra, il letto da sistemare e le sua colazione ancora sul tavolo.
Prende uno
dei ramen in scatola che sono rotolati fuori dalla borsa e lo appoggia
sul
banco, il rumore sebbene lieve nella stanza silenziosa sembra un
frastuono.
Mangiare il
ramen da solo non è bello.
Fa un piccolo
sorriso. “Perché non entri e ti fai vedere? Riesco
a sentire il battito del tuo
cuore, lo so che ci sei”.
Sasuke seduto
sul cornicione spalanca mitemente sorpreso gli occhi. Il bambino da
dentro la
casa continua a parlare:
“Tu mi segui
praticamente da sempre, sei tu che mi sistemi i vestiti
nell’armadio e che mi
compri le verdure, vero? Lo so che sei fuori vicino alla finestra, a
volte ti
siedi sopra il tetto. Perché non entri?”
La finestra si
solleva e una ventata di aria gelida entra dentro la casa colpendo le
spalle
del bambino e facendo ondeggiare la felpa aperta, sorride apertamente e
il
cuore gli batte furiosamente nel petto né per la rabbia e
né per la corsa,
crede sia l’emozione.
“Io lo so chi
sei...” dice socchiudendo gli occhi e girandosi verso la
persona che è entrata
nella stanza. È un ragazzo sui vent’anni alto e
bello, sembra una statua di perfezione
e armonia coni capelli neri che gli coprono una parte di volto, gli
occhi scuri
e grandi che lo fissano senza nessuna particolare emozioni, lucidi come
le
pietre nere; Il naso è dritto e lungo, la bocca piccola e la
pelle chiara come
la neve, un viso ovale e dolce. Indossa uno strano mantello nero per
proteggersi dal freddo. Lo
guarda e non
dice niente, lo guarda e basta.
“Io lo so chi
sei” ribadisce il piccolo Naruto allacciando le mani dietro
alla schiena, sorride
allegro e felice.
“Tu
sei un angelo, vero?”
NDA.
Chi mi legge, sa benissimo
quanto io sia logorroica
e quindi dubito sia sorpreso dalla lunghezze del testo (sedici pagine
di word
auf auf), per quelli nuovi che sono arrivati fin qui: complimenti!
Nella mia testa era nata
come una one-shot, solo che
non potevo buttarvi trentacinque
pagine tutto in un colpo, vi ammazzavo (non che adesso io abbia risolto
lol)
quindi l’ho divisa in due.
EEEEee, in certi punti mi sono
messa a piangere come una matta, da sola, tipo che passavano
i miei e mi
vedevano piangere davanti al computer. NORMALISSIMO!
Sì, mi rendo conto di
aver fatto una cosa abbastanza angst ma non trovate che il piccolo
Naruto con
il pigiama azzurro con i pinguini sia una cosa totalmente tenerella?
(Perché
parlo come Leopardi?)
Detto questo, lascio la
parola a voi (sempre che
siate sopravvissuti fin qui hahah) e alle vostre
recensioni/critiche/lacrime/pomodori che fate tanto felice
Sas’ke/ramen/mele/fragole/commenti
e tutto il resto, si accetta ogni cosa qui! No, dai seriamente, non
lasciatemi
da sola in questa valle di lacrime auto creata T_T
Lo so che in
tutti gli anime lo traducono con buon appetito, in realtà
è un ringraziamento,
letteralmente dovrebbe essere “Io ricevo qualcosa”
e lo si dice in segno di
umiltà, tipo: “Grazie per avermi offerto questo
cibo”.
Quindi boh, parentesi
lessicale molto brutta perché le cose non so spiegarle io.
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