Amy
aprì gli occhi di scatto e si mise a sedere nel letto, col
fiato corto. Si posò una mano sul viso sudato e bollente,
respirando a fondo. Un altro incubo così, uno solo, e
sarebbe scoppiata a piangere.
Non che quegli incubi ricorrenti fossero tristi... ma la inquietavano
molto. Erano ricchi di strane ombre, sussurri e tanto buio. Solo a
pensarci le si stringeva il cuore.
E tutti terminavano con un'unica visione. Un colore. Rosso sangue.
Scese dal letto, toccando il pavimento di marmo freddo con le punte dei
piedi, alla ricerca delle pantofole che il suo gatto, chissà
come, trasportava sempre in giro per casa.
Ne trovò, come al solito, una sola, la destra.
Sospirò. Rinunciò a cercare l'altra e scese le
scale fino alla cucina, dove proprio il micio la aspettava.
- Ah, eccoti, disgraziato, - disse, sorridendo. Parlava
spesso con il suo gatto.
In risposta, Midnight chiuse gli occhioni verdi, sbadigliò,
e attaccò a lisciarsi il pelo nero. Saltò
giù dal bancone della cucina e sparì nel
corridoio.
Amy non se ne curò: come lei, Midnight era un tipo
indipendente... ma sapeva essere affettuoso.
La ragazza aprì la credenza, sbadigliando, alla ricerca di
qualcosa da mangiare per colazione.
Non si preoccupò di fare silenzio. La madre era sicuramente
andata al lavoro almeno un'ora prima. Amy si sentiva un po' trascurata
da Rachel, proprio a causa del suo lavoro, ma sapeva che una
professoressa deve fare sempre il suo dovere, soprattutto se la sua
scuola è lontana da casa. La capiva. Però avrebbe
tanto voluto una madre di quelle davvero presenti, una madre che la
aspettasse a casa con il grembiule e una torta nel forno, una madre che
andasse a chiederle se volessero fare qualcosa insieme nel weekend, o
semplicemente una madre che le chiedesse almeno ogni tanto come stava.
Amy chiuse gli occhi e allungò le mani nella credenza.
Estrasse delle fette biscottate. Prese anche la marmellata
all'albicocca, la sua preferita, e si sedette al tavolo, prendendo al
volo un coltello dal cassetto delle posate. Consumò la sua
colazione in pochi minuti, bevve velocemente un bicchiere di latte e
salì in camera sua per vestirsi.
Spalancò le ante dell'armadio bianco, leggermente stizzita.
Non sapeva mai cosa mettersi.
Decise di fare proprio come si era scelta la colazione: chiuse gli
occhi e allungò le mani.
Ed ecco capitarle dei semplici jeans neri e una T-shirt anch'essa nera,
con degli scheletri disegnati. Li indossò al volo,
infilò le solite Converse, afferrò la borsa a
tracolla e volò giù per le scale, chiudendo la
porta con un tonfo sonoro.
***
Il tempo a scuola per Amy passava velocemente, così
velocemente che a stento se ne accorgeva. Alle otto entrava e, puf!, in
poco tempo arrivavano le tredici e trenta. Forse era perché
non aveva molti amici.
Malgrado fosse in terza superiore, non si era ancora ambientata del
tutto in classe. Se ne stava sempre nel banco in fondo all'aula, di
fianco all'unica ragazza con cui scambiava due chiacchiere, Alexia. Ma
nemmeno con lei parlava di cose importanti.
Nell'intervallo, Amy era solita girare sola per i corridoi, con l'mp3
al volume massimo e lo sguardo fisso nel vuoto.
Malgrado tutto, non si sentiva mai sola a scuola. Aveva sempre con
sé la sua unica, vera amica, la musica. Lei sì
che non la abbandonava mai quando era disperata. E condivideva con lei
i momenti più felici.
Amy non capiva perché i suoi compagni non le parlassero
più di tanto, e tantomeno le interessava. Non sentiva di
appartenere al loro mondo. Era troppo diversa, e non solo
esteriormente. Per lei quei ragazzi non erano nulla, persone con cui
era costretta a condividere un po' del suo tempo, tutto qui; ed aveva
la netta sensazione che anche loro pensassero la stessa cosa. Dunque
per lei il fatto che il tempo trascorresse così velocemente
era una fortuna.
La ragazza uscì dalla classe, sistemandosi la tracolla e
stringendosi nel cappotto nero: aveva cominciato a piovigginare e lei
non aveva l'ombrello con sé.
Uscì dal cancello e provò un moto di disappunto
nel vedere le nuvole grigie all'orizzonte. Altro che pioggia, era in
arrivo un bel temporale.
Sapeva che si sarebbe inzuppata completamente, ma non le andava di
correre. Arrivò a casa dieci minuti più tardi del
solito, bagnata fino all'osso. Lanciò la tracolla ai piedi
del divano e salì le scale fino al bagno, intenzionata a
levarsi quei vestiti zuppi di pioggia.
L'acqua calda della doccia la rinvigorì. Le gocce scorrevano
sul suo viso, come un lento massaggio. Avrebbe potuto addormentarsi
tanto era rilassata.
Uscì dalla doccia ed indossò i pantaloni della
tuta e un maglione di sua madre. Aveva il suo odore ed era morbido e
caldo come un suo abbraccio; un modo come un altro per sentirla
più vicina.
Improvvisamente si accorse di non aver ancora visto Midnight. Lo
chiamò, ma ovviamente non ottenne risposta.
- Meglio mettersi al lavoro con i compiti, - si disse,
tornando in salotto. Si chinò a prendere la borsa per
verificare che il suo contenuto fosse ancora tutto intero ed asciutto;
non era così.
Nel vedere le condizioni del libro di antologia, scoppiò a
ridere. Le pagine erano così bagnate da essere quasi
illeggibili. Appoggiò il libro sul termosifone e decise di
passare il pomeriggio in compagnia del libro di matematica. Ma che
bello!
***
Tra un'espressione e l'altra il tempo volò: Amy
finì i compiti che erano già le otto di sera.
Dopo quelli che le erano sembrati secoli, alzò lo sguardo
dal libro e si guardò attorno. Era buio pesto.
Nonostante fosse autunno, la sera calava già alle cinque,
accompagnata da un forte vento gelido. Amy amava il vento freddo, che
le sferzava il viso e giocava con i suoi capelli. Per questo, appena
poteva, si sedeva sul davanzale della finestra aperta. Rachel
l'ammoniva sempre. "Ti ammalerai", diceva.
Ma ad Amy non importava. Anzi, le sarebbe anche piaciuto ammalarsi, una
volta ogni tanto, giusto per saltare la scuola. Ovviamente, per la
legge di Murphy, lei che era fragile come un vaso di cristallo, si
ammalava solo in vista di eventi importanti, concorsi e gite.
- Amy? - una voce femminile interruppe i suoi pensieri. Un
rumore di tacchi si propagò per tutta la casa: era sua madre.
La donna, trafelata, si affacciò alla porta del salotto: -
Ciao, tesoro! Tutto bene? - e proseguì, senza aspettare una
risposta: - Scusa se ho fatto tardi, c'era una riunione.
Amy sorrise in risposta e si alzò dalla sedia di legno
scuro, raccolse i libri in tutta fretta e li postò in camera
sua.
- E accendi la luce quando fa buio, o diventerai cieca! -
sentì urlare sua madre. Amy non poté fare a meno
di ridere: era tipico di sua madre, preoccuparsi di cose come il buio.
Sapeva benissimo cosa c'era dietro la scusa della cecità:
sua madre aveva paura di ladri, killer e gente malfamata. Il loro
quartiere ne era pieno. Rachel però evitava di parlarne;
come se Amy non sapesse!
La ragazza scese di nuovo le scale e corse in cucina, sedendosi al
tavolo. Le piaceva guardare la madre cucinare e voleva vedere che cosa
avrebbe preparato quella sera.
- Che cosa vuoi di buono? - sorrise lei, togliendosi la
giacca. Amy sorrise di rimando: era raro che le due andassero d'amore e
d'accordo e non voleva interrompere quell'armonia con una delle sue
solite uscite. - Quello che vuoi, - disse con tono gentile. - Non ho
molta fame.
- Non hai mai fame, tu - si lamentò la madre. In
effetti era vero, Amy mangiava di rado e molto poco, a volte l'unica
cosa che consumava nella giornata era la colazione. Forse per questo
era così pallida ed esile.
- Facciamo così, stasera mangio primo e secondo.
Mi voglio rovinare! - scherzò Amy. Rachel sorrise. Sarebbe
stata una piacevole serata.
COMMENTI
@ Carlos Olivera: spero che questo primo capitolo non abbia deluso le
tue aspettative... fammi sapere! ;)
@ kamy: grazie per i complimenti! Chissà, forse il padre
è un elfo e forse no... ma credo che lo scoprirai presto! ^^
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