Capitolo VI
Quando
aprii gli occhi, il buio della stanza e la sbronza della sera prima,
non mi aiutavano a distinguere se quelle parole fossero reali o solo
uno strascico di qualche sogno quasi dimenticato.
'Non prendermi per il culo Jeff, ti ho visto spendere centoventimila sterline in due ore'.
Fui davvero sveglio solo quando quelle parole, centoventimila sterline e Jeff, si posarono con lo stesso peso di due mattoni nella mia mente.
Con la
testa ancora sul cuscino di Harry osservai la sua ombra muoversi sotto
la porta chiusa del bagno. Camminava avanti e indietro, parlando al
telefono con Azoff.
La stanza era silenziosa e la sua voce fonda filtrava insieme alla luce accesa.
Rimasi immobile fra le lenzuola, in ascolto, studiando i suoi movimenti.
'Non ce l'ho una cazzo settimana, lo sai!', disse di colpo.
'Risparmiami la paternale Jeff'.
'Come vivo io non sono cazzi tuoi'.
'Non me li stai regalando, chiaro?'
Fotogrammi
nitidissimi delle nostra prima notte insieme si susseguirono davanti ai
miei occhi, in una pellicola di bocche, mani, capelli e tatuaggi.
Mi alzai a
sedere di colpo nel letto, la sensazione delle lenzuola aggrovigliate
alle mie gambe nude, insopportabile. Le scalciai via, una mano a
stropicciarmi gli occhi.
'Non
ho bisogno che mi dici come vivere la mia vita. Ho bisogno di
centoventimila sterline. Vuoi darmele, o devo rivolgermi a qualcun
altro?'
C'è
un momento, all'inizio di ogni relazione, in cui realizzi che non sai
assolutamente nulla della persona che hai di fronte. Dove capisci che
non saresti in grado di prevedere le sue azioni e reazioni, di capire
le sue motivazioni. In cui la sua vita ti appare di colpo in tutta la
sua insondabile vastità di incognite. Io quell'epifania la stavo
vivendo in quel letto.
'Oh ma per favore, ora anche la scenata di gelosia'.
'Lo è. Vai fuori di testa solo all'idea'.
Osservavo
il buio, nudo in un letto non mio, mentre le parole destinate a qualcun
altro, smantellavano la mia coscienza, in uno scambio di ruoli tra me e
Azoff.
'Crederci è un lusso'.
'Esatto, gli altri sono necessari'.
'Per chi, non per cosa'.
'Non parlavo di me Jeff'.
'Non dire stronzate, spariresti in due giorni'.
Rimasi
immobile, lasciando a quelle parole la facoltà di attraversarmi.
Non potendo sfuggirgli, mi impegnavo a assorbirne il colpo.
'Erano
anni che non dormivo così. Il risveglio migliore della mia vita,
cazzo, finché non hai deciso di chiamarmi e fare lo stronzo'.
A quelle parole voltai il mio sguardo cieco verso la sagoma illuminata della porta del bagno.
'No, passo io da te. Oggi Lou non è venuta e la casa è un casino'.
'Falla finita. Ci vediamo più tardi'.
'Ciao'.
Il
silenzio che segui il saluto di Harry fu in grado di strapparmi un
sospiro. Mi lasciai andare contro la testiera imbottita, chiudendo gli
occhi.
La porta del bagno si aprì silenziosamente.
Harry, con indosso un paio di boxer, si fermò sull'uscio, osservando il buio della stanza.
Quando mi vide sveglio, appoggiato alla spalliera, si avvicinò studiandomi con attenzione.
'Ehi, sei sveglio', constatò.
Io mugolai
un assenso vago, prima di sbadigliare e tendere una mano verso di lui.
A quel gesto Harry sembrò rilassarsi impercettibilmente, la
afferrò prima di salire sul letto in cerca di un bacio.
'Tutto bene?', mi chiese, le sue labbra a sfiorarmi il collo.
Con il suo
peso addosso era facile pensare che fosse così. Ero preoccupato
e confuso da quello che avevo sentito, ma non credevo che una sola
notte mi desse il diritto di chiedere. La mia mano fra i suoi capelli
lo accarezzava e allo stesso tempo lo tratteneva vicino.
'Si', risposi, fra i suoi ricci.
'Bene. Vuoi fare una doccia?'
'Sono affamato', dissi allora.
Harry mi osservò un momento, poi si aprì in un sorriso. Uno di quelli grandi, tutto fossette. Mi baciò ancora e poi svelto, saltò giù dal letto, per andare a aprire le tende alla finestra.
'Tè o caffè?', mi chiese, mentre raccoglieva la maglietta da terra.
Io lo
osservavo ancora nudo nel letto. Alla luce del sole sembrava allegro,
quasi felice, come se la sola idea di prepararmi la colazione bastasse
a riempirgli la vita. Doveva essere preoccupato, ma lo nascondeva bene.
'Preferirei te, ma anche un tè andrà bene'.
La risata di Harry mi arrivò da sotto la maglia, ancora incastrata sulla sua testa.
Quando
riemerse dallo scollo in una nuvola elettrica di ricci, i suoi occhi
verdi cercarono subito i miei. Sembravano enormi e pieni di uno strano
sentimento. Un lucido impasto di tenerezza e eccitazione, sciolte
nell'incredulità e in una timidezza un po' ingenua. E allora
capii. Poteva nascondere qualsiasi cosa, ma io non avrei avuto comunque
scampo di fronte a quello sguardo.
'Quindi è così che ti svegli la mattina', disse poi.
'Così come?'
'Sfacciato'.
Dovetti appoggiare la testa alla spalliera per ridere.
Lui rise insieme a me, poi raccolse i miei boxer dal pavimento e me li lanciò sul letto.
'La colazione', rimarcò, dirigendosi verso la porta.
'E il mio te?'.
'Dopo', lo sentii dire a alta voce dal corridoio.
Mi alzai
dal letto e mi diressi in bagno. Il cellulare di Harry poggiato sul
ripiano di fianco al lavandino sembrava un guanto di sfida. Ma
non capivo se ignorandolo la stessi accettando o meno.
Entrai in
cucina a piedi nudi e con ancora i capelli umidi. Harry era davanti ai
fornelli e mi dava le spalle. Una donna dai capelli biondi, quasi
bianchi, che poteva avere una trentina d'anni, stava apparecchiando la
penisola con due tovagliette grigie e l'occorrente per la colazione.
Quando mi vide sulla porta mi osservò con attenzione e curiosità, poi disse:'Buongiorno'.
Harry, sentendola parlare, si voltò senza abbandonare la padella che teneva per il manico.
'E' quasi pronto', disse con un sorriso, 'Lou, lui è Louis. Louis, lei è Lou', ci presentò.
'Buongiorno. Piacere', dissi, avvicinandomi al bancone.
'Lou mi aiuta in casa', spiegò Harry, tornando a prestare attenzione a quello che stava cucinando.
'Ti aiuto nella vita, direi', ironizzò lei, 'piacere mio Louis', disse poi, 'accomodati' e mi indicò uno sgabello.
Io mi
sedetti ringraziandola. Mi offrì del tè che accettai,
iniziando a sorseggiarlo piano, mentre osservavo Harry in mutande e
maglietta che cucinava tranquillo e Lou che metteva ordine in cucina.
Quando le uova strapazzate e la pancetta furono pronte Harry
riempì due piatti e si venne a sedere vicino a me, passandomene
uno.
'Mangi con noi?', chiese poi a Lou.
Lei rise.
'La gente normale ha già fatto colazione da un pezzo Harry', rispose, 'vado a sistemare quel casino che hai lasciato in salotto', concluse, abbandonando il canovaccio che teneva in mano sullo schienale dello sgabello.
'Sei la mia salvezza', commentò Harry con enfasi, prima di iniziare a mangiare.
'Puoi dirlo forte. E a proposito di salvezza...', disse, lanciandogli uno sguardo severo, 'Non ti starai dimenticando qualcosa?', gli chiese, alzando le sopracciglia chiare.
Harry si tese impercettibilmente sul suo sgabello, ma poi gli sorrise.
'No Lou. Non ho dimenticano nulla', disse, fissandola negli occhi, per poi tornare a mangiare le sue uova.
Non so cosa ci lesse Lou in quello sguardo, ma sembrò soddisfarla e disse solo:'Bene', prima di lasciare la cucina.
'Cos'era che non ti dovevi dimenticare?', gli chiesi allora, curioso, assaggiando le uova.
Harry continuava a guardare nel suo piatto, tranquillo.
'Ma niente. Lou si preoccupa per tutto, è un tipo materno', disse.
'Ha figli?'.
'Si, una bambina bellissima, Lux', rispose, con un sorriso.
In quel momento Lou rientrò in cucina con il tagliere pieno di bicchieri e coppette sporchi.
'Quando la finirai Harry?', chiese retorica, dirigendosi verso il lavello.
Harry sospirò, senza alzare la testa dal piatto.
'Ogni notte la stessa storia', continuò Lou, 'ma che problema hai, si può sapere?'
'Lou', disse solo Harry, una nota di avvertimento nella voce.
'Sul quel tavolo ci si potrebbe sciare', disse lei, girandosi a guardarlo, 'E vuoi sapere quante bottiglie vuote ho raccolto?'
'Non ora Lou', la richiamò ancora Harry, serio.
'Vuoi farti venire un infarto? Vuoi provare anche quest'ebrezza?'
La voce di Harry si fuse al rumore sordo dello sgabello che strusciava sul pavimento, sembrando ancora più dura.
'Adesso basta cazzo'.
Lou si azzittì, osservandolo per qualche istante.
Dal mio
sgabello li guardavo fronteggiarsi silenziosamente. Harry aveva
spostato il suo sguardo su di me per poi riportarlo sulla donna
dall'altra parte della cucina, un movimento veloce e deciso che ero
riuscito a intercettare, prima che lui uscisse dalla cucina,
lasciandomi li, con addosso la brutta sensazione di aver sottovalutato
qualcosa di serio.
'Scusami Louis. Non volevo rovinarti la colazione', disse allora Lou, dopo un momento di silenzio e sospirando leggermente.
'Non importa', la rassicurai, 'qui l'estraneo sono io'.
'Se fossi un estraneo non staresti seduto qui', commentò lei, prima di aprire lo sportello della lavastoviglie.
'Che vuoi dire?', gli chiesi, osservandola mentre infilava i bicchieri nel cestello.
Lou non
rispose. Continuava a afferrare i bicchieri dal lavello e a incastrarli
nell'elettrodomestico con movimenti automatici, quasi distratti. Il
tintinnio leggero del vetro riempì quel silenzio.
'Sei il primo che vedo fare colazione in questa casa'.
Lo disse girandosi a guardarmi negli occhi, per poi darmi nuovamente le spalle e tornare a occuparsi delle stoviglie.
Io non risposi. Osservai il piatto di fronte a me, ormai vuoto e all'improvviso sentii il bisogno di raggiungere Harry.
Mi alzai dallo sgabello e quando arrivai alla porta mi fermai solo il tempo di dire:'Grazie', poi imboccai il corridoio.
Trovai
Harry in camera da letto, sedeva su una poltrona in un angolo, le ante
dell'armadio di fronte a lui, spalancate. Indossava solo un paio di
jeans neri, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani tra i capelli.
C'era qualcosa di desolante e disperato nel modo in cui i suoi lunghi
capelli pendevano, inerti, dalle sue dita e nel suono del suo respiro
affannato che risuonava nella stanza, dove per la prima volta mi
sembrò di riconoscerlo per quello che era davvero, un sintomo.
La sua immobilità mi disse che non mi aveva sentito arrivare.
'Harry', lo chiamai.
Lui
alzò la testa di scatto e quando mi vide sulla porta si
alzò in fretta dalla poltrona, per afferrare una maglietta
bianca dal letto e infilarsela. Mi avvicinai mentre lui raggiungeva
l'armadio per richiuderlo.
'E' solo preoccupata per te', dissi osservando la sua schiena.
Lui rimase immobile di fronte alle ante chiuse, il respiro aritmico a gonfiargli il petto.
'Lo so', disse.
'Abbiamo esagerato ieri', ammisi, 'dovevo pensarci'.
'Smettila'.
'Di fare cosa?'
'Sto bene'.
'Mi preoccupo e basta'.
'Ti ho già detto di non farlo'.
'Quindi non mi dirai che hai, è così?'
Harry si
era seduto di nuovo, per infilarsi le scarpe. Alzò lo sguardo su
di me, immobile di fronte a lui. Mi guardava, valutando quella
possibilità ma poi disse solo:'E' così'.
'Perché?'
Lui non rispose. Si rimise in piedi, passandosi una mano fra i capelli.
'Avevi promesso', disse, osservandomi.
'E questo che centra ora?'
'Centra'.
Spostai lo sguardo intorno, fermandolo sulle lenzuola sfatte.
'Non puoi fare così, lo capisci?', dissi poi, sospirando impotente.
'Lo capisco. Ma devi fidarti', disse avvicinandosi e cercando i miei occhi con i suoi 'Se non ci riesci, allora finiamola qui. E' stato... bellissimo, questa notte. Accontentiamoci'.
Non c'era
rabbia nella sua voce, nessuna velata accusa o giudizio. C'era solo una
nota rassegnata che risuonò appena con l'ultima parola che
pronunciò, prima di superarmi per raggiungere il comò e
scegliere un orologio.
'Non sono uno che si accontenta', considerai a bassa voce.
Lui rimase in silenzio, fissando il cinturino che stava cercando di allacciare al suo polso.
'E io non sono uno che ci crede', disse allora, quasi a se stesso.
'Ma lo hai fatto, no? Ieri sera', gli chiesi, afferrandolo per il braccio e costringendolo a guardarmi.
'No', disse, scuotendo piano la testa, 'ci ho solo sperato', concluse, con un sorriso un po' triste.
Lasciai scivolare la mia mano lungo tutto il suo braccio, per poi afferrare la sua e stringerla appena.
'Mi fido. Ma non capisco', confessai.
'Non c'è niente da capire. Quello che ho, non fa di me quello che sono', spiegò con dolcezza.
'E chi sei?', gli chiesi in un sorriso.
Harry rise.
'Sono uno come tanti, che vuole quello che vogliono tutti', rispose, spostandomi la frangia dalla fronte.
'Che sarebbe?'
'L'unica cosa che non si può comprare'.
Mi baciò con delicatezza e poi disse: 'Ti accompagno a casa'.
L'ora di
pranzo era passata da un po' e mi rimanevano appena un paio d'ore prima
dell'inizio delle prove in teatro. Feci un gesto affermativo con la
testa e finii di vestirmi.
Quando fui pronto ci fermammo a salutare Lou, impegnata a passare lo straccio nel salone.
'Ci vediamo dopo?', gli chiese Harry, con le chiavi in mano.
Lou raddrizzò la schiena prima di rispondere.
'Ho quasi finito qui Harry, faccio la camera e poi vado a riprendere Lux', rispose lei, fissandolo.
'Ah, okey, allora a domani', la salutò Harry.
'A domani. A presto Louis', mi salutò poi, con un sorriso.
'Ciao'.
Quando fummo nell'ascensore dissi: 'Dovresti chiederle scusa'.
Harry mi sorrise e poi disse:'Lo farò'.
Il Ranger
nero sul quale salimmo era parcheggiato in un box poco distante dal
palazzo. Sembrava l'auto perfetta per Harry. adatta alla sua stazza e
alla sua eleganza. Guidò con calma, seguendo le mie indicazioni,
fin sotto al mio portone.
'Siamo vicini', commentò, dopo aver accostato lungo il marciapiede.
'E' vero', confermai, 'Sarei potuto tornare a piedi in effetti', conclusi quasi scusandomi.
'Figurati. Dovevo comunque uscire', disse lui sorridendomi.
Non riuscii a ricambiare quel sorriso, il pensiero di Azoff che lo aspettava mi paralizzava le labbra in un linea netta.
'Vuoi salire?' gli chiesi allora, di slancio.
Harry si girò a guardare il mio palazzo.
'Mi piacerebbe, ma...', prese fiato tornando a guardarmi, 'Devo andare', concluse.
Non ne fui
nemmeno deluso. Harry afferrò il cellulare dal cruscotto e mi
chiese il numero, che gli dettati, poi fece partire una chiamata
per lasciarmi il suo.
'Ci sentiamo più tardi, okey?'
'Okey'.
Mi baciò, accarezzandomi una guancia.
Lo osservai allontanarsi dal marciapiede e desiderai essere ricco.
Salii in
casa giusto il tempo di cambiarmi e poi andai in teatro. Le prove
furono un mezzo disastro. Ero distratto e agitato, ogni sforzo fatto
per concentrarmi sul mio lavoro non portò a nulla. Uscii dal
teatro stanco e irritato. Tornai a casa intorno alle otto.
Quando il cellulare squillò, rimasi deluso nel leggere il nome di Nial. Harry non si era ancora fatto vivo.
'Come va Lou?', mi chiese Niall con il suo solito tono allegro.
'Bene. Che fine hai fatto ieri sera, si può sapere?'.
'Una fine stupenda Lou', disse, lasciandosi andare a una risata, 'Io e El abbiamo spostato la festa a casa sua' concluse, soddisfatto.
'Te l'avevo detto che era interessata', commentai.
'Dovrei darti retta più spesso'.
Risi divertito.
'Vedi di ricordartelo, la prossima volta', ribattei.
'Ci proverò. Quindi...tu e Harry Styles, eh?', ghignò nel microfono.
'Non ti aspetterai mica i dettagli, vero?'
'Neanche per scherzo. Volevo solo farti i miei complimenti Lou' disse in tono complice.
Sbottai di nuovo a ridere.
'E per cosa?'.
'Andiamo
Tommo, non fare il modesto con me, okey? Mezza Londra darebbe un
braccio e tutto il suo patrimonio per farsi Harry Styles e poi arrivi
tu, dal nulla e senza muovere un dito finisci nel suo letto. Qual
è il tuo segreto?', chiese a metà tra l'ironico e lo sbalordito.
'Il mio fascino irresistibile?', domandai retorico.
'Okey,
ho capito, non vuoi dirmelo. Non importa. Comunque, sono felice per te.
Qualsiasi cifra spenderai ne varrà sicuramente la pena per
Harry. E' un bravo ragazzo, nonostante tutto', continuò bonario, 'e poi te la meriti' concluse ridendo.
'Già', dissi, con poco entusiasmo.
'E ora che ti prende?'
'Ma niente, solo...aveva detto che mi avrebbe chiamato', confessai, spostando lo sguardo fuori dalla finestra.
'Avrà avuto da fare'.
'Si, infatti, con Azoff'.
Niall rimase in silenzio per qualche istante, respirando lentamente nel microfono.
'Non sarai mica geloso, vero?', mi chiese un po' stupito.
'Io...', ma non mi fece nemmeno finire di parlare.
'Ascoltami Lou. Harry è magnifico e io lo adoro, ma è una puttana e non puoi essere geloso di una puttana', io rimasi in silenzio e lui continuò, 'Divertiti,
goditela ma lascia stare la gelosia, lo dico per te Louis. L'hai
sentita Eleanor ieri, Azoff lo mantiene. Lascialo fare e prendi da
Harry quello che può darti. Vivrai meglio e ti costerà
meno'.
Sentirlo
parlare così seriamente mi innervosì. In quel momento
avrei davvero voluto pensarla un po' come lui e liberarmi da quella
sensazione che ronzava nelle mie vene, ma che aumentava fino a rendermi
sordo, solo immaginandomi Harry vicino a Azoff. Non dissi a Niall che
tra me e Harry non c'era nessuna compravendita, perché se non
riusciva a concepire la mia gelosia, non avrebbe mai potuto accettare
la mia decisione di avere una relazione con qualcuno che si vendeva per
soldi. Stavo spostando un oggetto dal suo posto prestabilito.
'Dimmi che hai capito Lou', mi chiese, di fronte al mio silenzio, 'Lo so che lo volevi da sempre, ma l'hai appena conosciuto, Cristo Santo, rallenta', concluse sospirando.
'Ho capito Niall', risposi allora, cercando un po' di convinzione dentro di me.
'Bene. Ora distraiti un po'. Esci, vai a diverti', propose, leggero.
'Si, forse hai ragione'.
'Ce l'ho. Ci sentiamo presto', mi salutò lui, prima di attaccare.
Senza
nemmeno pensarci lasciai il cellulare sul divano, andai in camera dove
mi cambiai infilando una tuta, per poi tornare in cucina e cercare
qualcosa da mangiare. Cenai in piedi poggiato al lavello, masticando
piano il mio sandwich, tenendo d'occhio il mio cellulare, in attesa di
vederlo illuminarsi.
Avevo
capito il discorso di Niall. Lo avevo capito bene, ma non sempre
ciò che si comprende è quello che siamo in grado di fare.
****
'Harry non chiamò, vero?'
'No Liam, non chiamò. Né quella sera, né quelle dopo'.
Louis si
versò altro vino. Il cd si era fermato, lasciando la casa
silenziosa e la sua voce sottile libera di riempire quel silenzio.
Sembrava stanco.
'E' tardi', dissi, 'finirai di raccontarmi il resto un altro giorno'.
'No. Per favore. Voglio farlo sola una volta', disse lui, pregandomi con lo sguardo.
Non ero
sicuro che fosse una buona idea, ma avevo imparato che era quasi
impossibile non cedere di fronte a quegli occhi. Rimboccai il mio
bicchiere e mi rimisi comodo sul divano.
'Quindi, non chiamò. Lo hai fatto tu?', gli chiesi, spronandolo a riprendere il racconto.
'No', rispose, 'non lo chiamai'.
'Non vi siete più sentiti?'
'No'.
'Non capisco'.
Louis sospirò, fissando le sue mani strette intorno al bicchiere.
'Sei mai stato geloso Liam?', mi chiese.
'Si, è capitato'.
'Io
lo ero, tantissimo. Sapevo che Harry era andato da Jeff, che gli
avrebbe dato dei soldi, tanti e non mi facevo illusioni su cosa volesse
in cambio Azoff; e quando Harry non chiamò quella sera, e
né quella dopo e quella dopo ancora, e così per giorni,
non ero solo geloso, ero ferito. Gli avevo creduto. Pensavo che dopo
averne parlato a casa sua, lui fosse disposto a provarci. Ma lui non
chiamava e io pensai di essermi illuso, che mi avesse solo preso in
giro. In fondo è questo che fanno le puttane, no? Vendono
un'idea d'amore. Fanno e dicono quello che vuoi tu'.
'Ma tu non avevi pagato'.
'E' vero, ma gli avevo dato la mia fiducia'.
'Non chiamasti per orgoglio', constati.
'Per
orgoglio, certo, ma non solo. Ero arrabbiato. Incazzato nero al dire il
vero, e deluso, da lui e da me stesso. Dalla mia stupidità,
dallo scoprirmi così ingenuo e facile da ferire'.
Louis
bevve dal suo bicchiere, rimase in silenzio per qualche istante come
riflettendo sulle sue parole, poi mi guardò con un mezzo sorriso
fra le labbra.
'So cosa stai pensando', disse allora.
'Davvero? E cosa?', lo sfidai.
'Che ero solo un piccolo uomo pieno di sé, incapace di gestire il minimo affronto al suo amor proprio', disse con una smorfia.
'Ti sbagli. Credo sia normale sentirsi feriti. Essere respinti non è mai bello, in qualsiasi modo accada', spiegai.
'No, non è bello', convenne lui, sospirando piano, 'ma
io ero davvero pieno di me. Avevo dato per scontato che Harry mi avesse
solo preso in giro e non mi chiesi mai il perché, troppo
concentrato sul mio orgoglio ferito'.
Fece tutte queste considerazioni con lo sguardo fisso sulla foto di Harry. Il suo rimpianto era tutto nei suoi occhi.
'Sei troppo duro con te stesso Lou', lo ripresi.
'Non posso farne a meno', confessò.
'Avevi i tuoi buoni motivi per pensare quelle cose di lui', insistetti.
'E' vero', assenti, 'nell'arco
di quel mese Niall mi riferì di averlo incontrato più
volte, con Azoff o con altri. Questo mi confermava solo quello che
già pensavo. Per lui non era cambiato niente. La sua vita
continuava come sempre. Ma non riesco a non pensare che sarei dovuto
andare oltre le apparenze e capire che per quanto suoni come un luogo
comune, anche le puttane hanno un cuore e dei sentimenti che
influenzano le loro azioni. Magari non è vero per tutte, ma era
sicuramente vero per Harry', concluse, distogliendo lo sguardo, come a nascondere la sua vergogna per non averlo capito.
'Suona come una giustificazione', dissi, scettico.
'No
lo è. La verità è che non sapevo nulla della sua
vita e del suo passato. La sua famiglia lo aveva amato? Era mai stato
innamorato? Era mai stato deluso, o tradito, o ferito? Diceva che la
sua malattia non faceva di lui quello che era, ma sappiamo che non
è così, che essere gravemente malati ci cambia, ci rende
sensibili a cose che ai sani quasi non interessano. E tutti quei soldi
che aveva chiesto a Azoff poi, che genere di vita sostenevano e
perché?'.
Louis scuoteva la testa al ritmo delle sue domande.
Io mi
ritrovai nudo di fronte a me stesso, la mia insensibilità, il
mio egoismo e la mia superficialità in piena luce e pensai che
era così che si doveva essere sentito Louis, quando capì
di essersi sbagliato su Harry.
'Forse Niall aveva ragione', dissi allora, 'Forse hai corso troppo', conclusi, pensando a quel suo amico che non avevo mai conosciuto.
'Forse.
Forse quella notte non sarebbe dovuta andare così. Dovevo
aspettare, cercare di conoscerlo, di capirlo, ma...io lo volevo e basta
e quando è questo che senti davvero, difficilmente ti fermi a
riflettere sul modo', disse lui, con un nota di predestinazione nella voce.
'Cosa successe poi?', domandai, curioso.
Louis lasciò andare una piccola risata, alzando gli occhi al cielo.
'Successe
l'inevitabile. Non penserai davvero di andare in giro per Londra e di
non incontrare proprio l'ultima persona che vorresti vedere, vero Liam?', mi chiese lui, con una smorfia.
Io risi.
'Ma certo, il fottuto destino', commentai sarcastico.
'Chiamalo
come vuoi. Io so solo che ogni volta che mettevo piede fuori di casa
tremavo. Ma non capivo mai se per l'eccitazione di rivederlo, o per la
paura che potesse accadere davvero', scosse la testa, 'fu un periodo tremendo', concluse.
'Immagino. Ma poi accadde, no?', lo incalzai.
'Si'.
'Quando?'
'Quando ormai non ci speravo più. Quasi due mesi dopo'.
NOTA AUTRICE:
Chi non muore si rivede!
Se
qualcuno sta ancora leggendo, in realtà, non ho molto da dire,
ho sempre la speranza di aver descritto gli eventi e le intenzioni in
maniera abbastanza chiara da essere capiti.
Ma se qualcuno dovesse avere dubbi, o domande, sentitevi liberi.
L'unica
info che posso aggiungere è che questo capitolo l'ho
completamento inventato di sana pianta. Niente di tutto quello che
avete letto succede realmente nel romanzo di Dumas, e sicuramente
questo ha influito molto sui tempi di stesura e mi fa capire che la
storia, inevitabilmente e anche con personale soddisfazioni della
sottoscritta, sta prendendo una strada tutta sua, anche se di base il
plot rimane invariato.
Ne
approfitto per ringraziare chiunque mi abbia letto, aggiunto alle varie
liste e mandare un abbraccio al quel santo del mio edito!
Angelique
Lover, You Should've Come Over la trovate anche su Wattpad (Angelique79).
Questo è il mio account Twitter @sunbozzi79.
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