I wish I had an angel
for one moment of love I wish I had your
angel tonight
[I Wish I Had An
Angel, Nightwish]
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Nata e vissuta perversa, forse ero
anche pronta a morire.
Perversa.
Tenevo sulle ginocchia graffiate uno
scrigno di legno
scheggiato, vuoto come un gelido aborto. Lo fissavo intensamente, quasi
pregando
che la speranza che vi avevo riposto vi avesse lasciato
un’impronta che io
potessi ricalcare e riprodurre all’infinito. Una, tre, mille
volte. Sul fondo
nient’altro che diamanti artificiali, forgiati per comporre
un gioiello
distrutto.
R. A. E. O. M.
Mi mancava. Mi mancava da stare male,
da farmi perdere il
senno. Mi sentivo autistica per come alienavo ogni cosa al di fuori me.
Pulsazioni non mie dentro al petto, e un ricordo a brandelli tra le
dita.
Se solo avessi potuto averlo. Per un
momento soltanto, per
un momento d’amore.
Gli avevo graffiato la schiena nei
sogni per impedirgli di
volare via da me. Doveva essere mio, volevo che mi amasse come io amavo
lui. Un
abbraccio soltanto, un bacio, l’estasi.
Gli avevo urlato addosso
supplicandolo di restare.
Gli avevo pianto addosso
supplicandolo di restare.
Gli avevo spirato addosso
supplicandolo di restare.
Ma lui mi aveva detto “Lo
sai” e io non ero più stata io, o
forse ero diventata così io da non riconoscermi
più.
“Lo sai” aveva
detto ancora, baciandomi un’ultima volta. Una
porta verso il paradiso.
“Non andare” lo
avevo pregato, aggrappandomi alle sue mani.
“Io ti amo!”
Occhi scuri ed addolorati mi avevano
risposto senza l’ombra
di una lacrima. Forse quelli come lui non piangono.
“Lo sai” disse
per un’ultima volta, e poi non ricordo più
nulla.
Ricordando la separazione, avevo
buttato tutto il mio amore
nello scrigno e lo avevo chiuso senza più guardarlo, ma ora
lo tenevo in mano
tremando, invocando un miracolo, sperando invano che lui tornasse.
Luce mi baciava i capelli tentando di
salvarmi.
Domandavo
“Perché?” in un’aritmica
cantilena stonata,
piangendomi tra le mani tra brividi e singhiozzi. Patetiche, io e la
mia
gemella di ghiaccio, stretta attorno a me come un cappio a mordermi il
collo.
Portavo un disegno triste ricamato
sulle labbra, ago e filo
che mi pendevano ancora tra i denti mentre mi sforzavo di non smarrirmi
nella
mia stessa perdizione.
Folle. Folle come un’afosa
giornata d’estate ed un sole che
ti brucia negli occhi.
Luce mi stringeva una spalla, le mani
fredde ed appassite,
sussurrandomi nell’orecchio parole assordanti.
“Lo sapevi che non si
poteva, Shetani. Lo sapevi, lo sapevi,
lo sapevi.”
Come colpi di tamburi dalle viscere
della terra. Come spari
proiettati verso una culla. Sillabe crude ed affilate come rasoi.
Sì, lo
sapevo. L’avevo sempre saputo.
“Mai innamorarsi di un
angelo.”
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A/N:
Il titolo significa: mai innamorarsi di un angelo caduto, ed è ovviamente un gioco di parole. Shetani, in lingua Kiswahili, significa malvagio, demone.
Qualcuno riconoscerà quest'angelo, qualcun altro
semplicemente si chiederà chi sia. In realtà
è tutto e niente, è una persona vera ed
esistente, ma anche l'incarnazione di tante cose di cui ci si
può innamorare nella vita e che non si possono avere
perchè qualcuno lo ha deciso per noi. Sfighe
ontologiche, come le definisco io. Eppure lo amo davvero.
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