Guardare avanti...

di Greywolf
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I suoi sogni, se tali potevano essere chiamati, non avevano una consistenza distinta.
 
Non vi scorgeva dentro nessuna immagine nitida, anzi ciò che gli si presentava dinnanzi era solo una scura massa deforme intenta a contorcersi su se stessa. E provava dolore nel farlo. Allora perché non si fermava? Perché continuava a tormentarsi e non poneva fine a tutte quelle sofferenze? Non riusciva a capirlo.
 
Si sarebbe dimostrato un mistero interessante da svelare ma al quale non avrebbe dato troppo valore. Non lo avrebbe fatto per niente... se non avesse sentito quel dolore autolesionista come suo. Viveva ogni spasmo di quella cosa informe e così lontana dalla realtà come se gli appartenesse, percepiva l’intensità acuta di quella sofferenza e non ne poteva più. Voleva solo che tutto quello finisse. Una volta per tutte.
 
Durò a lungo per la percezione che aveva del tempo. D’un tratto qualcuno doveva aver prestato ascolto alla sua silenziosa supplica perché tutto si arrestò di colpo. Di lì in poi non sogno più.
 
Il sordo eco di un dolore vivo gli pizzicò tutti i sensi, restituendogli almeno parzialmente la percezione del proprio corpo. Gli arti erano del tutto atrofizzati , dormienti a tal punto che avrebbe quasi detto di non possederli più se non fosse stato per l’impulso nervoso che gli arrivò dalla punta delle dita. Si sentiva così terribilmente pesante. Eppure non riusciva a dare una collocazione al suo corpo.
 
“Kaiza?”
 
Pensò di stare ancora sognando quando udì pronunciare il suo nome. Cercò di rispondere, di dire qualcosa ma non vi riuscì. Se lo avessero chiamato ancora una volta forse sarebbe stato più facile trovare la forza ma non sentiva più nulla.
 
Poco dopo però venne raggiunto anche da un altro stimolo. Era il tocco di qualcuno, o almeno questo credeva senza averne la certezza. Progressivamente riuscì a localizzarlo. Ora le sentiva, riusciva a sentire le dita di una mano gentile tra i capelli mentre gli accarezzava la testa. Si sentì chiamare un’altra volta.
I sensi si stavano ripristinando, il tatto per primo. Poi l’udito si fece più sensibile e percepì di avere molta sete quando il gusto gli comunicò che aveva la bocca completamente asciutta. L’olfatto gli fece notare invece che si trovava in un posto che conosceva bene. Doveva aprire gli occhi. Ora poteva.
Le palpebre erano come incollate fra loro, sollevarla di pochissimi millimetri richiese un grandissimo sforzo. Sembravano volergli impedire di abbandonare quell’oscurità, si serravano dalla luce esterna.
Il suo nome fu pronunciato una terza volta. Alla fine riuscì ad aprirli.
 
Tutto ciò che poteva e voleva vedere era di fronte a lui. Non gli importava più nulla di dove si trovasse, che giorno o che ora fossero. Ciò che più contava era accertarsi che quel viso davanti al suo, così smunto, scavato dalle lacrime e colmo di tristezza fosse davvero lo stesso accanto a cui era solito risvegliarsi ogni mattina.
 
“Y-Yu...?” esalò con voce che non possedeva, aggrappandosi alla speranza che fosse sufficiente per essere udito.
 
Le labbra di lei si inclinarono verso l’alto ma questo non le donava un’espressione felice. Gli si avvicinò per baciargli il viso ovunque sulla fronte, su una tempia, fino alla guancia tenendosi aggrappata a quella carezza tra i capelli che non si era mai arrestata. Sentì le sue labbra vicino un orecchio che sussurravano ringraziamenti che non riusciva a comprendere del tutto. Nel frattempo la donna non si arrestò nemmeno un attimo, continuando a lasciargli quei baci umidi come se fosse passato troppo tempo dall’ultima volta che lo aveva fatto. Non riusciva ad articolare chiaramente le parole, così attese che si calmasse per dire quello che voleva. Quando riuscì a concedersi un respiro più profondo finalmente sentì benissimo.
 
“Sei vivo!” la sentì constatare avendo l’impressione che dicesse più a se stessa che a lui “Vivo...”
 
Quella parola ripetuta accese un interruttore nella sua testa fino a quel momento tenuto spento. L’informe massa nera gli ricomparve ancora dinnanzi gli occhi e il dolore si ripercosse fino ad arrivare a stritolargli il cuore, minacciando di soffocarne il battito. Gli arti si rianimarono di colpo tentando di sollevare un corpo troppo pesante per loro, adagiato su un materasso anonimo in una stanza che odorava di sangue e disinfettante e in cui i bip di una macchina si alternavano con cadenza sempre più rapida.
 
“Caro ti prego” lo implorò, cercando di farlo distendere nuovamente a pancia in giù senza movimenti troppo bruschi “calmati!”
 
“D-Devo...” ansimò pesantemente “...H-Hide...”
 
“E’ inutile...” mormorò lei mentre le lacrime tornavano a rigarle le guance “...non puoi fare nulla...”
 
INUTILE. Il rumore di quella parola gli risalì con un brivido gelido lungo la schiena o forse era solo una fitta dello squarcio duramente ricucito che lo avrebbe marchiato a vita. Lasciò che la moglie lo aiutasse a distendersi, coprendolo con il lenzuolo leggero che gli era scivolato dalle spalle, che tornasse ad accarezzargli il viso tremante lasciandogli di tanto in tanto qualche bacio sulla fronte.
 
“D-dov’è?” chiese allora per smentire quella che sapeva essere la verità, per allontanare quella che sapeva certezza, testimoniata da quel dolore che lo tormentava. Si appellò alle parole della donna con una speranza e una fiducia che altri non potrebbero provare con la stessa intensità. Aspettò che gli dicesse che era tutto a posto, che ciò che aveva visto era solo frutto di un incubo.
Lei però serrò le labbra, le gocce salate continuavano a correre via, fermandosi in due fossette appena sotto quegli occhi arrossati prima di cadere inevitabilmente. Non riusciva a parlare. Scosse solo la testa.
 
“Ci hanno provato, Kaiza...in tutti i modi...”
 
“N-no...no...” pregò che si fermasse, che non abbattesse quella speranza tanto intensa.
 
“...troppo tempo, troppo sangue...” continuò.
 
“Ti p-prego...non può...”
 
“...non c’è stato nulla da fare...”
 
“NO!” gridò allora affondando il viso nel cuscino urlando con più fiato di quanto potesse permettersi.
 
Non sentì il trillo che richiamava gli infermieri nella sua stanza, non badò agli uomini che lo immobilizzarono tenendogli premuta a forza una maschera d’ossigeno sulla bocca, scorse appena lo scintillio della siringa che gli iniettava un sedativo nel braccio. Perse il contatto con il proprio corpo così come lo aveva riacquistato. I muscoli iniziarono a rilassarsi tutti insieme mentre una voce già lontana gli intimava di respirare con calma e a fondo. Prima che le palpebre si chiudessero ancora, intravide sua moglie mentre lo guardava triste, una mano davanti alla bocca nel tentativo di trattenere la commozione.
 
“Sarai forte per tutti e due” così aveva detto Hideiko.
 
“Non sono così forte” pensò prima di ribaltare gli occhi e abbandonarsi a quel sonno indotto. Ormai cosa gli restava da fare se non abbandonarsi a quell’oscurità che ora pregava solo di non lasciarlo più?
 
Morto. Suo figlio era morto. Cosa aveva più importanza?
 
                                                                                        ***
 
“Kaiza?” provò a chiamarlo Yukiho, interrompendo quel silenzio da giorni assordante.
 
L’uomo non le rispose. Aveva recuperato quel poco di forze che gli erano sufficienti per tenersi puntellato sui gomiti, la testa chinata a pochi centimetri dal cuscino. Manteneva quella posizione per ore, fin quando non si rimetteva giù verso sera apparentemente per cercare di dormire. L’unico rumore che produceva nell’arco della giornata era quello provocato da lunghi sospiri a cui si lasciava andare ogni tanto. Rare volte bisbigliava ma non era possibile riuscire a distinguere nulla di preciso. Aveva consumato tutte le sue lacrime, dalla disperazione era arrivato alla più completa apatia.
 
Lei non si permetteva di giudicare il suo comportamento. Neanche lontanamente poteva immaginare cosa avesse provato nel vivere gli ultimi momenti di vita del loro bambino senza riuscire a fare nulla per aiutarlo. Quando la squadra di recupero li aveva riportati entrambi al Villaggio,aveva conosciuto la disperazione più pura. Da una parte suo marito a un passo dalla morte, dall’altra il corpo senza vita di suo figlio. Il trauma era stato troppo forte, non era stata in grado di sopportarlo.
 
Quando si era ripresa aveva dato sfogo a un dolore che non conosceva limiti. Era impassibile  per quasi una giornata incapace di andare da uno o dall’altro. Come poteva? Di Kaiza non aveva avuto alcuna notizia per molte ore. Curare il suo corpo si era rivelato più difficile di quanto i medici avessero potuto prevedere. Come le avrebbero detto dopo l’operazione, durante l’intervento c’erano state moltissime complicazioni. Oltre alla difficile emorragia da arginare per via della ferita profondamente aperta, il suo fisico era profondamente debilitato. La quantità spropositata di tonici che aveva ingerito avevano alterato il suo chakra in modo irreversibile e compromettendo il corretto funzionamento dei suoi organi vitali. Uno in particolare. Erano riusciti a riprenderlo per un soffio.
 
Nonostante questo le avevano detto che c’erano pochissime possibilità che riuscisse a farcela.
 
Lei non riuscì a prendere l’iniziativa per fare alcunché almeno finché Taisuke non venne a trovarla. Era stato lui a riportarli entrambi a Konoha col il cuore colmo di disperazione per la fine prematura di quel ragazzo così giovane e per le sorti che tenevano in mano la vita del suo più caro amico. Comprendendo la difficoltà in cui doveva trovarsi la donna, non aveva esitato ad andare da lei. Allora le aveva detto quanto fosse importante che restasse accanto a suo marito in quelle ore tanto critiche. Per lui c’era ancora una speranza e allora valeva tenersi aggrappata ad essa. Hideiko avrebbe voluto così.
 
A quel punto aveva capito che doveva reagire. Nonostante quella profonda crepa dentro di sé, doveva riprendersi. E così aveva preso la sua decisione.
 
Era andata a vedere suo figlio nell’obitorio. Aveva pianto e urlato fino allo sfinimento aggrappata a lui, quasi potesse riuscire a richiamarlo nuovamente nel loro mondo. Ma sapeva che nulla avrebbe potuto restituirglielo. Così lo aveva pregato che le restasse accanto e ovunque fosse, proteggesse suo padre e gli desse il coraggio di non lasciarsi andare.
 
Poi era andata da lui. Non si era trattenuta nemmeno lì con lui, incapace di essere forte, incapace di trattenersi. I primi tre giorni erano stati i più critici, il rischio che il suo cuore si arrestasse da un momento all’altro era altissimo. Poi venne la notizia del coma. E lì pensò di non potercela fare, di non poter tollerare quello stato di morte apparente in cui suo marito versava. Eppure si era forzata a restare lì,  a stringergli la mano, ad accarezzarlo mentre gli parlava sperando che in qualche modo riuscisse a convincerlo a svegliarsi.
 
E finalmente era successo. Nonostante fosse felice che avesse aperto gli occhi finalmente dopo tante notti insonni passate a pregare affinché accadesse, era solo un debole motivo di gioia rispetto al dolore che avrebbero dovuto condividere insieme da quel giorno e per il resto delle loro vite. Ma era stata davvero felice che Kaiza si fosse svegliato, che non fosse rimasta da sola a piangere quel figlio che aveva dovuto seppellire pochi giorni prima a poco più di sedici anni, senza che avesse avuto il tempo di vivere la sua vita.
 
Non avrebbe mai creduto che però sarebbe caduto in quello stato di impassibilità, incurante delle sue parole, degli amici che erano venuti a trovarlo, di qualsiasi cosa lo circondasse. In quel momento non esisteva altro per lui che quel dolore che non riusciva ad affrontare con nessuno se non con se stesso. E lei non sapeva più cosa fare. Come fargli capire che aveva bisogno di lui...
 
“Abbiamo perso entrambi nostro figlio, Kaiza” provò ancora una volta, l’ennesima “Ti prego...dì qualcosa, qualsiasi cosa ma reagisci. Questo silenzio mi sta uccidendo...”
 
Sperò che fosse uno stimolo sufficiente ad ottenere almeno una parola, un movimento anche solo un tremito. Fu lei invece a doversi muovere, a doversi avvicinare per vedere se nei suoi occhi fosse cambiato qualcosa. Il vuoto era ancora lì. Non c’era altro negli occhi dorati che l’avevano fatta innamorare, che l’avevano sempre contemplata con amore e affetto. Nulla.
 
Tornò a sedersi composta sulla sedia, le mani tremanti in grembo. Non le restava che aspettare e sperare che prima o poi riuscisse a reagire, non importava come. Che piangesse ancora, gridasse, rompesse tutto, che facesse qualsiasi cosa. Ma quell’apatia era più affilata di qualsiasi lama.
 
“Hide” lo chiamò dentro di sé, congiungendo le mani “ci hai lasciati troppo presto...”
 
                                                                                        ***
 
Yukiho venne svegliata da un bussare deciso che la ridestò dallo stato di dormiveglia in cui si era abbandonata su quella sedia nella stanza del marito che ormai era diventata quasi una parte di lei. Anche Kaiza che si era disteso un po’, stremato anche per tirarsi un po’ su con le braccia, udì quel bussare insistente.
 
Aprì appena gli occhi ma li richiuse ben presto. Di chiunque si trattasse non gli importava.
 
“Avanti” disse la donna ad alta voce in modo da essere ascoltata da chi si trovava al di là della porta.
 
La maniglia si piegò e un uomo fece la sua entrata. I capelli legati in una coda alta, un viso severo segnato da due lunghe cicatrici sulla parte destra e un pizzetto nero a culminare il suo mento. Una figura ben nota all’interno del Villaggio.
 
“Shikaku Nara” lo riconobbe la donna, alzandosi non appena quello varco l’ingresso. Lui annuì accennando un sorriso e non appena quella fece per inchinarsi si affrettò a fermarla.
 
“Non serve, ti ringrazio” le disse con gentilezza. Poi curandosi di tenere bassa la voce le chiese “Come state?"
 
“Come si può stare quando si perde un figlio” rispose scuotendo la testa.
 
“Non posso neanche immaginare cosa state provando, le mie più sentite condoglianze” disse, poi accennò a Kaiza “E lui?”
 
Lei scosse ancora una volta il capo, non trovando parole per esprimere tutta la sua rassegnazione. Shikaku ebbe la conferma di ciò che gli era stato riferito riguardo la condizione psicologica di Kaiza con cui condivideva una rispettosa amicizia da molti anni. Per questo non aveva esitato un istante quando il Terzo Hokage si era appellato a lui affinché gli desse il supporto necessario per poter dare una scossa alla situazione di stallo in cui si trovava.
 
“Vorrei dirgli qualche parola se permetti” e con questo la scostò delicatamente e si avvicinò al letto studiandolo attentamente. Quando ebbe chiaro in mente da dove doveva cominciare, si sedette sul materasso.
 
“Cosa credi di ottenere comportandoti così, Kaiza?” lo interrogò direttamente, saltando direttamente i convenevoli. Attese qualche momento, poi aggiunse “Respiri troppo velocemente per star dormendo. So che sei sveglio quindi credo che dovresti rispondermi.”
 
Ancora nulla. Nessun cenno né di ascolto né tanto meno il suo corpo non dava segno di alcun tipo di reazione. Il Nara non lo biasimava, come avrebbe potuto? Per quanto prima di fargli visita avesse simulato nella sua mente come avrebbe potuto reagire se una cosa del genere fosse capitata a lui, non vi era riuscito. Era qualcosa di troppo grande per qualsiasi uomo.
 
“Forse cancellerà il tuo senso di colpa ma lasciarti morire non lo riporterà indietro” affermò lapidario, senza usare mezzi termini.
 
L’uomo sdraiato ebbe finalmente una reazione. Irrigidì le spalle in una contrazione involontaria che forse sarebbe sfuggita a una persona qualunque ma non al genio in carica del Clan Nara. Modificò all’istante il discorso come l’aveva impostato spingendolo su quella linea più diretta.
 
“E’ un gesto estremamente egoista da parte tua, sai? Per uno che dovrebbe conoscere perfettamente quale valore ha la vita, questo comportamento è davvero riprovevole.”
 
Un’altra contrazione. C’era quasi. Yukiho gli toccò il braccio cercando di dirgli in qualche modo di smetterla. Quelle parole sembravano ferirla profondamente e Shikaku comprese che fosse perché ciò che sentiva non corrispondeva a ciò che era veramente suo marito. Sembrava volerlo rimproverare di quelle parole così dure nei suoi confronti. Questo solo con gli occhi.
 
Ma lui non cedette a quello sguardo. Se avesse dovuto colpirlo ancora più durante di quanto poteva aver fatto la perdita di suo figlio allora lo avrebbe fatto. Era l’unico modo per salvarlo. Lei lo lasciò proseguire, lasciando che ci provasse. Ormai non e restava che sperare in un miracolo.
 
“Hideiko non poteva essere salvato in alcun modo. La lama che lo ha trafitto è arrivato a danneggiargli un polmone, l’emorragia interna era troppo grave. Neanche se fossi stato insieme agli altri componenti della squadra medica, sarebbe servito a qualcosa” continuò, riferendo le informazioni che aveva raccolto “Capisci? Non è stata colpa tua se è morto...”
 
“SMETTILA!” gridò di colpo facendoli sussultare entrambi “BASTA! NON PERMETTERTI MAI PIU’ DI DIRE UNA COSA DEL GENERE!”
 
“Kaiza. Non c’è più. E’ morto.”
 
“TI HO DETTO DI SMETTERLA!”
 
Si puntellò sulle braccia, nel tentativo di potersi alzare e colpirlo. Ma senza alcuno sforzo Shikaku gli torse un braccio dietro la schiena e lo tenne contro il materasso spingendogli la testa contro il cuscino, tenendola inclinata  in modo che non soffocasse.
 
“Se fossi convinto che io stessi dicendo una calunnia non avresti reagito così,” affermò “invece tu sai che Hideiko è morto. Ma non vuoi accettarlo.”
 
Quando sentì che l’amico non opponeva più resistenza, proseguì:
 
“Sai anch’io ho un figlio...ha quasi dieci anni. E’ piuttosto in gamba nonostante la sua età. E non lo dico perché i maestri o i parenti me lo hanno ripetuto fino allo sfinimento, l’ho visto con i miei occhi. Eppure non credo di avergli mai detto quanto sono orgoglioso di lui. Ma i figli ne hanno bisogno...
 
Ho parlato con Taisuke. Mi ha detto che hai permesso a tuo figlio di attuare il suo piano invece di obbligarlo a scappare così come mi ha raccontato dell’espressione di felicità che aveva sul volto. Sono sicuro che è stata proprio quella a darti coraggio, ad allontanare la paura che avevi di perderlo.
 
Non so se sarebbe andata diversamente se lo avessi fermato. Non lo sapremo mai. Però credo che tu gli abbia dato la cosa di cui lui aveva più bisogno e questo gli ha permesso di morire sereno. L’ho visto anch’io.
 
Non lasciarti consumare dal senso di colpa. Stai distruggendo tutto ciò che ti è rimasto, ciò che sono sicuro anche Hideiko abbia cercato di proteggere a costo di sacrificarsi. Stai buttando via la tua vita, stai distruggendo quella di tua moglie. Fallo per lui... devi continuare a vivere.”
 
Il singhiozzare strozzato che sentiva provenire dal medico, lo convinse a smettere di parlare un attimo. Lo lasciò andare, tenendogli però una mano sulla spalla. Solo per fargli sentire la sua presenza. Sentirlo piangere, riaccese il dolore anche negli occhi della moglie che tentava in tutti i modi di trattenersi. Persino il Nara dovette strofinarsi l’occhio con un dito per nascondere la propria commozione. Era la prima volta che gli capitava di dire una cosa tanto difficile.
 
Consapevole che le parole non sarebbero state comunque sufficienti per fargli comprendere cosa volesse dirgli fino in fondo, decise che era arrivato il momento di procedere con l’ultimo atto di quella “missione” personale per riuscire a tirarlo fuori da un baratro così oscuro.
 
“C’è una cosa che devo mostrarti” gli sussurrò. Poi si rivolse in direzione della porta “Vieni avanti!”
 
Rispondendo alla sua chiamata, fece il suo ingresso un po’ impacciato una ragazzina di circa tredici anni dai capelli castani con due triangoli rossi segnati sulle guance, gli occhi stretti a due fessure che portava un po’ maldestramente un cucciolo di cane sotto ogni braccio. Yukiho la riconobbe come la figlia più grande di Tsume Inuzuka, Hana.
 
“Buonasera a tutti!” fece inchinandosi appena. Il cucciolo sulla destra cominciò ad agitarsi, mettendola in seria difficoltà nel tentativo di non farlo accadere. Era tutto nero fatta eccezione per le zampette bianche e una macchia a circondargli l’occhio sinistro. L’altro era immobile e tranquillo di un colore chiaro del tutto uniforme.
 
“Shikaku...che significa?” domandò Yukiho, confusa.
 
“Questi due cuccioli appartengono al Clan Inuzuka ma sono venuti fuori da un incrocio non previsto e viste le loro caratteristiche hanno stabilito che non potranno mai essere dei cani ninja,” spiegò l’uomo “di norma nessun abitante del Villaggio può avere in custodia cani di questo tipo e soprattutto proveniente da quel tipo di allevamento. Ma ne ho parlato con il Terzo o meglio ci è capitato di discuterne, anche se dubito si tratti di semplice coincidenza. Abbiamo pensato entrambi che fosse giusto dar loro una possibilità...”
 
“Accidenti, perché non stai fermo?” si lamentò la ragazzina, quando il cagnolino nero prese a morderle la mano nel tentativo di essere lasciato libero. Si agitò con tutti e quattro le zampine e riuscì a sfuggire alla sua presa, cadendo a terra. Fortunatamente non era alto quindi non si fece male.
 
Felice come non mai cominciò ad emettere versetti di gioia, cominciando a girare in tondo senza sosta.
 
“Ehi ma come sei agitato” constatò bonariamente la donna, abbassandosi fino a sedersi sui talloni per osservarlo meglio. Era stranamente incuriosita da quel piccolo scalmanato. Dopo giorni di tensione, di lacrime e dolore improvvisamente si sentì un po’ più leggera “sembri così brillo... quasi avessi bevuto un goccetto di troppo.”
 
Quello si mise sull’attenti non appena udì la sua voce, tirò su le orecchie e si voltò a guardarla. Poi abbaiò contento contro di lei e si avvicinò dimenando la coda con energia. Lei allungò la mano per poterlo accarezzare e il piccolo ne fu più che felice perché la grattatina dietro le orecchie lo mandò letteralmente in estasi. Cominciò a leccarle la mano per ringraziarla ma si fermò quasi subito fermandosi per annusarla. A quel punto quell’irrefrenabile cucciolo si acquietò, mettendosi seduto.
 
“Che ti prende?” chiese la donna, tirandogli su il musetto con un dito. Quello mugolò fissandola con un’espressione immensamente triste. Yukiho rimase colpita da quello sguardo. Sembrava la stessa che aveva lei l’ultima volta che aveva avuto l’idea di provare a guardarsi allo specchio. Quasi non si riconosceva... il dolore l’aveva stravolta. E ora quel cagnolino sembrava starlo vivendo con lei. Ma com’era possibile?
 
“Forza piccolo,” lo incitò cercando si farlo alzare da quella posizione “ti va di giocare?”
 
Cercò anche di grattarlo nuovamente dietro l’orecchio con la speranza che riprendesse a scodinzolare ma non funzionò. Continuava a fissarla e più lo faceva più sembrava intristirsi e lei non voleva vederlo così ma come poco prima, allegro e pieno di vita.
 
“Perché si comporta così?” chiese alla bambina che doveva senza dubbio conoscere i cani meglio di lei.
 
“Perché è sensibile,” spiegò, tirando un po’ su l’altro cagnolino dal pelo chiaro “riesce a percepire le emozioni di chi gli sta di fronte. Per questo non è adatto a fare il cane ninja! Sarebbe troppo influenzabile da quelle che potrebbero essere le sensazioni del nemico. Per questo è stato scartato dai cani da addestramento.”
 
“Quindi se una persona prova una determinata emozione, anche lui la prova allo stesso modo?”
 
“Oh no,” rispose ridendo “lui agisce di conseguenza!”
 
“Di...conseguenza?” balbettò, non riuscendo a capire il senso di quelle parole.
 
Poi lo sentì. Chinò lo sguardo e si accorse che il cucciolo si era avvicinato, arrivando a premere la testolina contro la sua gamba sempre con il muso diretto verso il suolo. Emetteva dei versi diversi da quelli di prima... sembrava davvero stesse piangendo. Lei allora lo afferrò da sotto le zampe e lo sollevò fino a guadarlo nuovamente negli occhi tristi. Quello si spinse un po’ in avanti e le leccò la punta del naso. E lei rise. Come non riusciva o poteva fare da tanto tempo. Gli diede un bacio sul musetto che lo fece di nuovo esplodere di vitalità, testimoniato dal suo abbaiare felice. Poi le si accoccolò tra le braccia, e Yukiho sentì distintamente quella sensazione dentro di sé. Lo strinse forte mentre quel calore che stava provando cominciava finalmente a placare quel dolore immenso che il suo cuore stava provando.
 
Hana guardò entusiasta Shikaku e lui ricambiò con un cenno del capo ma anche con un accenno di sorriso.
 
Nel frattempo il cagnolino dal pelo chiaro, o per meglio dire la cagnolina, sembrava incuriosita dal fratellino così contento di quell’umana che aveva davanti che volle avvicinarsi anche lei. Diede un morsetto alla mano della piccola Inuzuka, quel tanto che bastava per essere lasciata libera. Una volta a terra zampettò fino ad arrivare ai piedi di quella donna, guardandola con fare estremamente serio.
 
“Ciao,” la salutò Yukiho allungando la mano “tu sì sembri un tipetto più serio.”
 
Si lasciò toccare, non sembrava dispiacerle. Poi però anche lei fu distratta dall’odore di quella mano e come fatto precedentemente dal fratello, vi dedicò molta attenzione. Poi sollevò il musetto per guardarla ma a differenza di quanto accaduto prima, non traspariva nessuna emozione particolare. I loro occhi però si incatenarono e fu lì che accadde qualcosa che la donna non avrebbe mai potuto immaginare.
 
“M-Ma...come...come puoi?” chiese a bocca aperta, in grado solo di porre quella semplice domanda.
 
La cagnolina però era stata attirata da qualcos’altro. Guardava verso l’alto. Yukiho seguendo il suo sguardo, si rese conto che fissava Kaiza. Fu a quel punto che ebbe come un ‘illuminazione.
 
“Magari...”mormorò tra se e se. Era solo una possibilità ma forse valeva la pena provare. Non aveva più nulla da perdere.
 
Prese la cagnolina con disappunto dell’altro cucciolo che non stava ricevendo più le dovute attenzioni, avvicinandosi all’uomo che non si era più mosso e non aveva più pronunciato una parola. Teneva la fronte premuta contro il cuscino, non smettendo di bagnarlo con le lacrime che continuavano a scivolargli silenziosamente lungo le guance.
 
“Caro...” lo chiamò “hai visto che belli che sono? Ricordi Hide quanto ci chiese di poter avere un cane quando aveva sei anni? Quanto ha pianto quando gli abbiamo dovuto spiegare che non potevamo tenerne? Io...” tentennò appena quando la voce le si abbassò di colpo “...credo che se fosse ancora q-qui...sarebbe felice s-se li tenessimo con noi.”
 
“Smettila,” sussurrò, scuotendo la testa “non usare il passato. Lui...”
 
“Kaiza, nostro figlio non c’è più” asserì con un tono duro che non avrebbe mai pensato di poter usare “è questa la realtà...e anche tu devi accettarla...”

“NO!” gridò battendo i pugni sul cuscino “Non posso....non posso....”
 
La cagnolina saltò giù dalle braccia di Yukiho e finì sul cuscino di Kaiza. Allungò la testa e gli annusò il viso. Quando la donna cercò di riprenderla, lei tirò fuori i denti e le ringhiò contro. Per quanto potesse essere minaccioso un cucciolo, quell’espressione che gli venne restituita come una minaccia la intimorì. Guardo il maschietto e ciò che le trasmise era una grande fiducia. Si fidò di quella sensazione, così fece un passo indietro e restò a guardare.
 
La cucciola tornò tranquilla e si concentrò nuovamente su Kaiza. Cerco di richiamare la sua attenzione con versetti di incoraggiamento, toccandolo con le zampine senza però ottenere alcuna risposta. Sembrò indignarsi di quella mancanza di considerazione, così si avvicinò alla sua mano e gli morse un dito. Stavolta il gesto servì allo scopo perché l’uomo si lasciò sfuggire un esclamazione di dolore e cominciò a tirare indietro la mano per costringerla a mollare la presa. Quando di rese conto che non bastava a combattere la tenacità dell’animale, si puntellò sui gomiti cercando di spingerla via. La ferita sulla schiena gli bruciava da morire ma quell’ostinazione a non volerlo lasciare in pace, gli stava facendo montare una rabbia dentro indescrivibile.
 
“Smettila!” le disse, tentando di tirarla via per quanto potesse ma non c’era nulla da fare “Si può sapere cosa diavolo vuoi? Mi stai facendo male, perché non mi lasci andare?”
 
In quel momento i due sguardi si incatenarono senza scampo. Kaiza venne come ipnotizzato da quegli occhietti neri che lo guardavano con rimprovero, dolcezza...comprensione. Tutto allo stesso tempo. E poi li sentì. Non gli stava parlando telepaticamente. Eranoi suoi pensieri a farsi più nitidi...erano loro a parlare.
 
“Perché anche tu non lo lasci andare, se ti fa così male?
 
Sapevi fin dove era arrivata la lama. Hai sempre saputo che Hideiko non poteva essere salvato. Ma come potevi rassegnarti? Un genitore non può concepire l’idea di dover seppellire i propri figli. Anche se all’inizio pensavi che ciò si sarebbe potuto evitare se solo avessi rifiutato di ascoltarlo, quando lo hai visto così felice anche dopo mentre stava morendo, non ti sei pentito fino in fondo di avergli permesso di farlo.
 
Ti ha ringraziato. Ti ha detto di essere orgoglioso di essere tuo figlio. Quali parole potrebbero essere più belle da ascoltare per un padre? La fiducia è un dono difficile da concedere in queste situazioni ma tu l’hai fatto. Ecco perché sei stato coraggioso.
 
E devi esserlo di nuovo. Te lo ha detto anche lui, ricordi? Non voleva che tu avessi la sua morte così sulla coscienza...sa che hai lottato per salvarlo, fino a che limite ti sei spinto per farlo, quanto lo hai amato fino all’ultimo istante. Non ti ha rimproverato nulla, tu questo lo hai capito. Allora non infrangere la promessa che gli hai fatto. Non distruggere ciò per cui Hideiko si è impegnato fino alla fine...proteggervi entrambi. Se ti arrendi, Yukiho resterà da sola con un dolore troppo grande per lei...
 
Hideiko non si è sbagliato su di te. Hai avuto il coraggio di fidarti di lui in quella circostanza. Puoi essere abbastanza forte per tutti e due. Devi solo accettare di lasciarlo andare.”

 
Solo allora la cucciola gli lasciò il dito e addolcì la sua espressione. Con dolcezza poi cominciò a leccare quella piccola ferita che gli aveva inferto in segno di scuse per il suo gesto. Quasi... fosse stata costretta a farlo anche se non voleva.
 
Non gli aveva parlato. Ma attraverso i suoi occhi, lo aveva compreso. Aveva capito cosa veramente lo tormentasse e lo aveva aiutato a dissipare quelle nebbie che gli impedivano di reagire. Di vedere le cose per come stavano. Ma era così difficile...
 
“Che egoista che sono,” confessò alla cagnolina che seduta lo ascoltava con attenzione, così come tutti gli altri presenti “ piuttosto che prendermi la responsabilità della promessa che ho fatto, preferivo rinunciare. Facendolo almeno non avrei più sentito nulla...nulla.
 
Però come posso continuare a vivere con questo fardello così pesante? Come posso impedire che mi soffochi? Io...”
 
Un abbaiare deciso gli impedì di abbassare lo sguardo. Tornò a guardare la cagnolina.
 
“Tuo figlio ti ha dato la risposta. La conosci. Devi solo avere il coraggio di trovarla.”
 
In fondo al suo cuore sapeva davvero come poterci riuscire? Esisteva davvero un modo?
 
Volse lo sguardo verso sua moglie che nemmeno per un attimo aveva smesso di prestargli attenzione. Gli era stata vicina per tutti quei giorni, nonostante il suo silenzio e per tutta la durata del coma, aggrappata ad una speranza incredibile. Aveva presenziato ai funerali di loro figlio da sola mentre lui combatteva per morire piuttosto che per vivere. Aveva riposto fiducia in tutto ciò che le era rimasto mentre lui aveva pensato solo a se stesso.
 
Sapeva che Shikaku non aveva lasciato la stanza. Che era ancora lì assieme alla figlia di Tsume, in attesa. Penso al suo amico Taisuke che aveva raccontato a sua moglie cos’era successo, che era stato vicino a lei il giorno del funerale, che non aveva mancato in quei giorni di andare a trovarlo.
 
“S-sei una persona speciale...”
 
“Sarai forte per tutti e due...Promettilo...”
 
“Ti voglio bene... non sopporterei di essere un peso a vita per te. Vedrai papà, sono sicuro che riuscirai a...”

 
“Dio...” ansimò mentre ricominciava a piangere “...Hide, cosa stavo facendo?”

“Caro!” esclamò la moglie avvicinandosi e toccandogli il viso con la paura che stesse per sentirsi male di nuovo.

“Yu” la chiamò lui, guardandola  con il cuore che gi esplodeva nel petto “amore mio, perdonami...”

“Non è stata colpa tua” lo rincuorò lei, mentre lasciava il cucciolo accanto alla sorellina.

“Mi spiace per tutto...perdonami” continuò lui però, incapace di trattenersi.

Lei gli baciò la fronte per cercare di calmarlo ma lui la tirò un po’ più giù per riuscire a baciarle la guancia. Un bacio premuto, determinato un po’ ispido per la barba che non si era più tagliato, un po’ umido perché l’uomo ormai non riusciva più a trattenersi.

“Questo te lo manda Hideiko, mi ha chiesto di portarlo alla sua mamma” le disse, commuovendola a suo volta “e te lo porto insieme alla promessa che gli ho fatto. Niente sarà più come prima, amore mio. Ma prometto che dedicherò tutta la vita che mi resta a difendere ciò per cui nostro figlio ha dedicato la sua. Lo giuro.”

Yukiho non disse nulla, semplicemente gli strinse la testa contro il petto, carica di affetto e profondamente grata per quella grazia che era stata concessa di avere di nuovo suo marito. A interrompere quel momento arrivarono i due cuccioli ognuno desideroso di attenzioni da parte di quello che avevano scoperto come la persona a cui avrebbero dedicato tutta la loro esistenza.

“Shikaku?” lo chiamò, accarezzando il pelo color crema della femmina.
 
“Sì?” fece il Nara, interpellato andandosi a posizionare in un punto in cui l’uomo potesse vederlo senza voltarsi.

“Le tue parole mi hanno salvato,” disse “ se non fosse stato per il tuo aiuto...non lo dimenticherò mai.”

“Ciò che conta è che hai capito cosa devi fare adesso.” si limitò a rispondere l’uomo con finta serietà che celava un sospirato sollievo.

“Ho capito. Lo farò, non dubitare!”

“Molto bene”annuì soddisfatto “Hana, allora direi che possiamo andare!”

“Certo signor Shikaku!” annuì la ragazzina. Poi si avvicinò ai due coniugi: “Non appena starete meglio, passate al nostro allevamento per cani ninja. Avete alcune carte da firmare!”

“Come? Cioè...loro due?”

“E’ evidente!” esclamò lei come se fosse una cosa ovvia “Vi hanno scelto! Devolveranno da oggi in poi tutta la fedeltà che hanno solo e unicamente a voi e nessun altro, qualunque cosa accada! Ogni cane nasce per questo scopo! E sapete non credo sia una coincidenza che due cani del genere siano nati in questo momento...”

“Ma noi...insomma è una grande responsabilità, non so se...” cercò di dire Yukiho, dando sfogo alle paure che in quel momento serpeggiavano dentro di lei.

“Se li riporto all’allevamento verranno soppressi,” comunicò loro con distacco “ve l’ho detto, ogni cane resta al fianco di una sola persona per tutta la vita. E ora che ho visto che hanno scelto voi due, bè non sarebbero più di alcuna utilità.”

Kaiza notò il guizzo rapido che Hana ebbe nei confronti di Shikaku, come se fosse alla ricerca di una conferma. Ma l’uomo era un ninja di altro livello, non avrebbe dato un segno così palese di complicità.

“Teniamoli”

“Caro, davvero... vuoi?”

“Solo se lo vuoi anche tu.”

La donna esitò. Poi guardò quel cucciolotto tutto nero, pieno di aspettative e di vita. Sorrise timidamente e annuì.  Lui accarezzò la cagnolina e non ebbe bisogno nemmeno di pensarci un momento di più.

“Allora vi aspettiamo all’allevamento!” concluse salutandoli la bambina.

“Tornerò a trovarti, vecchio mio” si limitò a dire il capo del Clan Nara prima di lasciarli soli.

Kaiza si adagiò nuovamente sul materasso, stanco e stremato mentre la moglie gli carezzava amorevolmente i capelli e i due cagnolini si ricavavano uno spazietto sul suo materasso prima di crollare contemporaneamente per il sonno. Per la prima volta da giorni sentiva di respirare più liberamente, un senso di quiete finalmente cominciò a diffondersi debolmente dentro di lui.

Aveva detto quello che pensava prima. Nulla sarebbe stato più come prima, la morte di Hideiko avrebbe lasciato ad entrambi un vuoto incolmabile che nemmeno la profonda devozione dei due nuovi membri della famiglia avrebbe potuto lenire. Lui non avrebbe mai smesso veramente di sentirsi in colpa per la debolezza che lo aveva spinto ad arrendersi piuttosto che prestare la dovuta attenzione a ciò che suo figlio gli aveva voluto dire con le sue ultime forze.

Solo sopprimendo il suo dolore per qualche istante era riuscito a rendersene conto. Kaiza non era riuscito a salvare suo figlio ma era stato quest’ultimo invece a salvarlo dal nemico più insidioso di tutti: con le sue parole infatti lo aveva protetto da se stesso.

“Vedrai papà, sono sicuro che riuscirai a...”

“Imparerò Hideiko...” mormorò prima di lasciarsi scivolare in un sonno più sereno “vivendo, imparerò a guardare avanti....”
 
 
 
 
 
 



Note d’autore: Ebbene eccomi qui ancora una volta. In riprovevole ritardo come sempre ovviamente.

Con questo extra si conclude il racconto flashback riguardante Kaiza quindi dal prossimo capitolo, riprendiamo la narrazione e quindi a concentrarci su Naruto. Il che significa che inserirò anche l’etra promesso da due mesi su lui e Sora (neanche stavolta l’ho inserito altrimenti probabilmente avreste dovuto aspettare un altro mese).

Allora se vi state chiedendo perché abbia dedicato praticamente quattro capitoli a Kaiza è presto detto. E’ fondamentale per poter affrontare la questione di Naruto. Tutti i personaggi di questa storia dopotutto devono trovare il loro modo di guardare avanti, ognuno però ha le sue debolezze quindi il percorso è diverso per tutti. Inoltre mi sono profondamente affezionata al personaggio di Kaiza e alla sua storia e per questo ho voluto renderle merito al meglio possibile.

Ciò che spero è che non vi abbia annoiato. Immagino che siate ben interessati ad altro leggendo questa storia. Comunque come già detto dal prossimo riprendiamo con la narrazione generale. E cominciamo ad avviarci...

Detto ciò posso solo garantirvi che pubblicherò prima di Natale. Ma non vi dico quando perché tanto non riesco mai a rispettare quello che dico e me ne dispiace molto. Purtroppo sono così...

Spero che a qualcuno sia piaciuto e che continuerete a proseguire la lettura nonostante la mia lentezza di pubblicazione e narrazione! Un saluto caro a tutti e alla prossima! ^^




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