Ancora?
Sono ancora qui.
Seduta sul davanzale a guardare
verso il basso, attraverso quel vetro tagliato che un giorno tagliò anche me,
per dispetto o per compassione, non me lo disse mai.
Stringo tra le mani i pezzi
frantumati di una pallina natalizia. E tu mi diresti che è un peccato averla
rotta, ma a me piace sentire il sangue della mano scorrere lungo il braccio.
Sull’asfalto bagnato dalla
pioggia vedo riflesse le immagini distorte di un televisore difettoso, gettato
da quell’anziana al terzo piano che urla acida contro la poltrona scomoda.
C’è un uomo senza faccia seduto
su una panchina al fondo della via.
Si rivolge ai fiori sepolti sotto
il cemento e canta loro una ninna nanna con parole afone e dal sapore
insipido.
C’è un bambino senza vita
sdraiato vicino a quei fiori addormentati.
Ancora urla al mondo il suo
sconcerto con una smorfia distorta dipinta sul volto. Le sue orecchie
sanguinanti e assordate dalle bombe attendono disperate il suono della ninna
nanna del vecchio.
C’è una mamma senza figlio che
culla un cane spelacchiato in una culla giocattolo.
Fa segno di tacere a chi tenta di
distoglierla dal suo diletto e sorride apprensiva al suo cucciolo.
Gli prepara il latte e poi lo
rovescia per terra. Gli offre i biscotti e glieli sbriciola in testa.
C’è un leone senza criniera e
senza denti, più somigliante ad un gatto che ad un re della foresta.
Si ostina a portare una corona di
cartapesta rubata al compleanno di una bambina.
E’ scappato dallo zoo e ora
girovaga per le vie senza nome e senza meta di una città sconosciuta e bianca.
Legge i cartelli vuoti e annuisce sapiente.
Non sa più ruggire e, per questo,
ha deciso di andare a lezioni di canto presso un’insegnante di scuola media. E
poi, chissà perché, vuol essere vegetariano. Ha adottato un coniglio e con lui
divora le carote dei contadini zoppi.
C’è una ballerina vestita di
speranze disperate che ha smesso di ballare e che piange lacrime nere. Accarezza
una bambola di porcellana a cui, un giorno, hanno staccato la testa, andata
perduta in un tombino della periferia.
E’ accompagnata da una batterista
candida e posata che preferisce mangiare le rose al posto del cioccolato.
Ci sono io, poi, sdraiata su un
lampione, intenta ad osservare un mondo al rovescio che è quasi migliore di
quello dritto.
Mi sento una calza spaiata e
bucata in una lavatrice abbandonata nella discarica. E qui non arriva nemmeno
l’odore di ciambelle caramellate cucinate dalle nonne apprensive.
Puoi vedere le mosche danzare
verso un cielo tendente al grigio che sbuffa annoiato in attesa della compagnia
di una luna rosicchiata dalle stelle gelose.
Tu non mi sei ancora venuta a
salvare. Te lo ricordi, almeno, che avevi promesso?
Aspetto quella lettera senza
francobollo che dicesti di avermi inviato anni fa, ma, sai, io non l’ho proprio
mai vista.
Forse è un po’ colpa mia, perché
non ho ancora piantato una buca delle lettere in mezzo a questa distesa di
vuoto, ma non ho avuto tempo di andare a comprare i chiodi verdi, come piacciono
a te.
Però, in compenso, ti voglio
regalare quella panca su cui scrivemmo in nero che mai ci saremmo separate.
Adesso, a ripensarci, viene quasi
da ridere, ma cosa ci posso fare se, ormai, mi hanno tagliato i fili e io sono
caduta così a fondo?
Non riescono a capire che mi
hanno soffocata; non riescono a vedere il mio petto viola e scucito. Ma vogliono
ancora che balli insieme a loro, proprio come facevo con te, sotto la pioggia
scrosciante.
E io mi sono anche un po’
stancata di raccontare sempre la stessa storia, con la stessa intonazione allo
stesso pubblico di ieri e di domani.
Sono stufa di ricominciare da
capo.
Questa nostalgia sa di muffa
sotto sale. Brucia sulla lingua tagliata e mi soffoca col suo sapore
polveroso.
E dimmi un po’ tu se mi dovevano
rubare anche il dolore…
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