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Prologo ~ Goodmorning Gotham
« On me dit que le destin se moque bien
de nous
Qu'il ne nous donne rien et qu'il nous promet
tout
Parais qu'le bonheur est à portée de main,
Alors on tend la main et on se retrouve fou
Pourtant quelqu'un m'a dit ...
Que tu m'aimais encore,
C'est quelqu'un qui
m'a dit que tu m'aimais encore.
Serais ce possible alors ?* »
È
una linea sottilissima quella che si trova fra rabbia e rimorso.
Entrambi divorano, consumano, a grandi morsi strappano e lacerano
lasciando un vuoto senza uscita, un vuoto in cui è facile
affondare, dimenticare. La differenza si trova nella colpa.
Chi
ha colpa non prova rabbia, ma rimorso. Le parole non dette si dilatano
nella morte, assumono forme e colori che prima non avrebbero mai avuto,
diventano un pozzo senza fondo, lo specchio impietoso, insospettabile
di un segreto troppo a lungo mantenuto. Marcisce in chi è
rimasto indietro, si trasforma in dubbio, in mostro feroce da cui non
c'è scampo.
Per
i vivi non c'è conforto nella morte ed i morti non hanno
più orecchie per sentire, né
possibilità di perdonare.
Gli
occhi azzurri di suo padre si erano chiusi su un mondo da cui lei
stessa l'aveva escluso.
Così
era scappata. Inseguita dal fantasma del proprio rimorso aveva scelto
di non vedere, di non capire che a lei, ed a lei sola era rimasto il
compito di ricordare, di perdonare.
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Il
treno per Gotham City era semi deserto il giorno in cui April aveva
deciso di partire. Odore di tabacco ed urina si mescolavano oltre il
vetro sporco del vagone. Gli altri passeggeri, come lei, facevano
semplicemente finta di non vedere.
Avrebbe
voluto dire di essere felice, ma quella vaga nebbia che sporcava il
paesaggio sembrava essersi insinuata anche fra i suoi pensieri. Che
cosa provava? Orgoglio? Impazienza? Paura, forse. Sapeva solo che oltre
il finestrino umido il mondo sembrava scivolare via senza meta, senza
trasmetterle nient'altro che un vago senso di nausea.
Gotham
apparve nella nebbia come una strana visione. La ferrovia sopraelevata
l'attraversava simile ad una gigantesca ferita, squarciando un velo di
fumo biancastro che pareva sollevarsi dalle strade quasi stessero
respirando intorno a lei, sotto di lei.
Era
impressionante. Architetture immense si sporgevano nel vuoto di una
città insonne, frenetica, sporca, come guardiani, come
nemici nascosti. Sentì un brivido percorrerle la schiena
mentre la luce a tratti svaniva, coperta dai grattacieli, per poi
tornare più accecante ancora sui bronzi anneriti, sulle
insegne ancora spente.
Per
un lungo istante rimpianse Boston, i suoi edifici di mattoni cotti dal
sole, bassi e tozzi, i comignoli anneriti dal fumo depositatosi in
centinaia di anni, le strade ampie, le avevano sempre dato uno strano
senso di sicurezza che ora sembrava essere svanito nel vuoto di quella
ferrovia sospesa.
L'appartamento
avrebbe dovuto trovarsi a pochi passi dalla stazione della
metropolitana, eppure fece fatica ad orientarsi una volta scesa dal
treno. Erano giorni che faceva avanti e indietro per sistemare tutto
ciò che aveva, per tentare di dare una forma, seppure goffa
ed abbozzata, a quella sua nuova vita, ma riuscì a perdersi
ancora, trovando la strada giusta solo dopo un paio di tentativi.
Il
gelo sembrava essere sceso precocemente su quel settembre piovoso, si
era insinuato nelle persone, ai lati delle strade ghiacciando la brina
del mattino. Osservò ancora una volta il palazzo di un
curioso rosso mattone, la scala antincendio a vista sulla facciata
disegnare una sgraziata geometria e di nuovo si pentì di non
essere riuscita a decidersi in tempo per trovare qualcosa di meglio.
L'appartamento
era modesto, ma accogliente, nulla a che vedere con il lusso moderno
degli edifici circostanti, eppure quella calda facciata di mattoni era
riuscita, almeno in parte, a restituirle una sensazione di curiosa
familiarità.
Non
le era piaciuto, di primo acchito, quello spazio semivuoto ed informe,
non assomigliava affatto agli ambienti in cui era cresciuta, ma col
passare dei giorni e con l'aumentare degli scatoloni aveva cominciato
ad apprezzare il ventre vuoto dell'appartamento all'ultimo piano. Sulla
facciata ad est un'unica grande vetrata si affacciava su un enorme
balcone in cemento e mattoni, vuoto anch'esso, ma che l'agente
immobiliare, complice la sua fretta, aveva abilmente saputo venderle
come un locale in più, uno spazio multiuso.
Nonostante
questo, April non era ancora sicura di che cosa ne avrebbe voluto fare
di quell'enorme sottotetto impolverato che il gatto color miele
sembrava già adorare.
Il
resto della casa non aveva demarcazioni di sorta, si apriva in un unico
ambiente sovrastato dal tetto di mattoni ed archetti di sostegno a
vista, eccezion fatta per la camera da letto con bagno adiacente.
Waffle
l'aspettava già sulla soglia, affamato, sembrava felice di
vederla nonostante l'avesse lasciato solo nel nuovo appartamento per un
paio di giorni. Riempì la ciotola all'angolo della cucina e
si concesse un sospiro. Erano quelli i rari momenti in cui rimpiangeva
la mancanza di un uomo nella sua vita. In ventotto anni non era
riuscita a costruire nulla che fosse mai durato davvero e non
perché avesse sempre incontrato la persona sbagliata,
piuttosto perché era sempre stata lei ad essere in difetto.
Dopo
la morte di suo padre, allontanare chiunque provasse ad entrare era
diventata la sua dote migliore. Aveva visto le sue amiche sposarsi,
senza mai riuscire ad immaginarsi al loro posto. Solo una volta aveva
quasi ceduto, per un istante aveva desiderato deporre le armi,
abbassare la guardia, lasciare che qualcuno si occupasse di lei. Poi la
paura aveva inevitabilmente preso il sopravvento.
Aprì
le tende e lasciò entrare la luce bianca di quello strano
mattino, aveva ancora decine di scatole da aprire, i mobili sembravano
essere stati disposti da un uragano nell'ampio salotto eppure la
ragazza sorrise. Nell'angolo più lontano della stanza il
distintivo di suo padre scintillò appena.
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*
Da: "Quelqu'un m'a dit" Carla Bruni.
Mi
hanno detto che il destino si prende gioco di noi
Che
non ci da niente e ci promette tutto
Sembra
che la felicità sia a portata di mano
Allora
tendiamo la mano e ci ritroviamo pazzi
Ancora,
qualcuno mi ha detto..
Che
tu mi ami ancora... E' qualcuno che mi ha detto che tu mi ami ancora.
Come
può essere possibile?
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