Premessa. Questa storia partecipa al
contest “Canzoni e Citazioni per tutti i Gusti” indetto da S_Lily_S. Il
racconto è composta da quattro lettere scritte dopo la Rivolta da quattro personaggi
diversi. Le lettere sono state scritte a catena: B ha scritto ad A, C ha
scritto a B, D ha scritto a C e A ha scritto a D. Tradotto in termini
Hungeresi: la prima lettera è di Rory per Prim; la seconda è di Gale per Rory;
la terza è di Katniss per Gale; l'ultima, infine, è di Prim per Katniss. La
storia è intervallata dai versi della canzone “Hello” di Adele.
"Ciao
è quattro lettere in tutto, però vuol dire un sacco di cose.”
Parole
Fuori. Beatrice
Masini
C.i.a.o. è quattro lettere in tutto.
Hello, can
you hear me?
I'm in
California dreaming about who we used to be
When we
were younger and free
I've forgotten
how it felt before the world fell at our feet
Ciao,
Prim.
Ecco, la
mia lettera potrebbe già finire qui.
Se ci
pensi ciao ha solo quattro lettere – come le parole che piacciono a me –
eppure può voler dire un sacco di cose. In fondo è una delle parole più
importanti, quella che usiamo sempre con tutti: con persone simpatiche e con
quelle noiose, con parenti e perfino con gli sconosciuti.
Per
questo, soltanto questa volta, ho deciso di usarla per parlare a una persona
che non c’è più. Voglio parlare con te anche se sono mesi che sei morta e, a
volte, ho perfino paura di essermi dimenticato com’era la tua voce quando
rispondevi ai miei saluti.
Perciò,
ciao. Ciao, Prim.
Potresti
sentirmi se lo dicessi ad alta voce?
Credo di
no, anche se Vick la pensa diversamente. Continua a raccontare certe fesserie a
proposito dei morti che ci guardano e ci proteggono sempre dall’alto. Lo fa per
Posy, perché è piccola e ancora non capisce bene come si possa sparire così
all’improvviso a tredici anni. Sai, abbiamo dovuto dirlo anche a lei alla fine:
le domande erano troppe. Ha passato una settimana a cercarti ovunque, come se
si volesse convincere che in realtà ti eri solo persa o nascosta.
Poi sono
incominciate le crisi di pianto e, infine, gli incubi: ma non ho molta voglia
di parlare di questo.
In
realtà, se ho deciso di scriverti, è più che altro per rassicurarti. Perché so
che, se davvero ci sei ancora da qualche parte, il tuo unico pensiero è per
noi. Sarai preoccupata per tua madre e per Katniss, che ha fatto tutto quello
che ha fatto per te e poi ti ha perso. Un po’ come è successo a Gale, che
continua a non darsi pace per via di quelle bombe. So che sei in pensiero anche
per lui, così come so che soffri ogni volta che io o i miei fratelli piangiamo
per te.
Beh, non
mentirò dicendoti che stiamo alla grande; basta guardare il buco che hanno
scavato al posto del Prato per capire come ci sentiamo tutti quanti. È come se
qualcuno avesse fatto lo stesso con noi. Ci sentiamo vuoti, intontiti. A volte
siamo arrabbiati, altre solamente stanchi.
Mamma
dice che è questo che fa la guerra alle persone: non importa se la Rivolta è
finita, c’è ancora un sacco di lavoro da fare prima di poter stare meglio.
Soprattutto,
perché tutto questo lavoro andrà fatto senza te, che non sei più qui a
prendermi per mano per scacciare quella paura che cercavo sempre di nascondere
– ma a te non sfuggiva mai.
Fa un
sacco male, lo sai, Prim? Dire che sei morta, dico.
E fa
anche paura, perché a volte non riesco nemmeno a ricordarmi come fossimo prima
che quella maledetta parola, morte, arrivasse a portarti via. In certi
momenti è difficile perfino pensare a come mi sentivo quando eravamo piccoli e
passavamo il tempo a giocare a scacchi, prima che le nostre stesse case ci
cadessero ai piedi. Eppure, ormai, non riesco a fare a meno di ripetere che sei
morta. È come quando ti fai male, ti viene una crosta e tu continui a
stuzzicarla fino a quando non si stacca. A quel punto fa un po’ male, ma almeno
la crosta è venuta via e non rischi che la ferita ti si riapra all’improvviso,
per sbaglio.
Ed è di
questo che avevo paura: non volevo ricordarmi tutto a un tratto che non c’eri
più. Ho cercato di accettare che sei morta piano piano, piangendo se ne avevo
voglia e prendendo a calci qualche sedia, per abituarmici. Altrimenti, un
brutto giorno, il dolore mi sarebbe caduto addosso tutto assieme come una
valanga di neve e non ne sarei più uscito.
Ha
funzionato, almeno credo. Adesso sto meglio, anche se mi manchi. Anche se la
rabbia per quello che è successo è ancora tanta e forse non mi passerà mai. Ma
se ti ho scritto è per dirti che in tutta questa tristezza e questi incubi ci
sono anche delle giornate in cui riesco a fare qualche sorriso. Qualche volta
riesco ad arrivare fino alla fine di un disegno per te senza strapparlo, Vick
non piange più così spesso e anche Posy sta incominciando a richiederci alcune
delle favole che le raccontavi tu.
Quindi,
se davvero ci stai pensando, non preoccuparti per noi e soprattutto non
piangere per me.
Anche se
a volte sto male questa è la mia vita e vorrei che sapessi che sono triste, ma
anche felice allo stesso tempo; anche se sto ancora cercando di capire come
potrebbe essere.
Ti
voglio bene – ti amo? – e te ne vorrò sempre.
C.i.a.o.
Il tuo
Re Rosso
Hello, it's
me
I was
wondering if after all these years you'd like to meet
To go over
everything
They say
that time's supposed to heal ya, but I ain't done much healing
Ciao,
Rory,
Questa è
la prima lettera che ti scrivo da mesi e avrei voluto incominciarla in maniera
più decente; ma il tempo qui in Accademia è poco e la concentrazione per
mettersi ancor scrivere ancora meno, così ti dovrai accontentare di questo. In
fondo, sono certo che non ti dispiacerà ricevere un ‘ciao’, visto che è una
parola di quattro lettere.
Ci ho
messo tanto a scriverti anche perché non riuscivo a trovare le cose giuste da
dire. Non sarebbe bastato scrivere che sono io, tuo fratello, quello che anni
fa ha promesso che ti avrebbe sempre tenuto d’occhio e alla fine ti ha lasciato
solo a fare l’uomo di casa. Al momento ho in mente solo una serie di insulti
rivolti a me e mi ha sorpreso non trovarne nessuno scritto da te nella tua
ultima lettera: probabilmente è solo perché nostra madre ci ha insegnato che, quando
non puoi dire una cosa gentile, è meglio starsene zitti.
Tu però
me ne hai dette parecchie di cose quando ci siamo salutati prima che partissi.
Mi hai sputato in faccia che vi stavo abbandonando e avevi ragione ad essere
furioso con me, nonostante sia ancora convinto di aver preso la decisione
giusta.
Vi ho
appoggiato a terra dopo anni che vi tenevo sulle spalle: ormai avevo la schiena
talmente rotta che portandovi con me avrei solo concluso per farvi cadere.
Avrei sporcato anche voi con il sangue di cui mi sono macchiato: con la mia
rabbia, il mio odio e il senso di colpa. E non ve lo meritate, così come non se
lo merita la mamma.
Mi
dispiace, fratellino. Mi dispiace perché la distanza che ho messo fra voi e me
non si limiterà a tenervi lontani da tutti i miei sbagli. Mi impedisce anche di
vedervi crescere; di vederti guadagnare centimetri in altezza ogni giorno, di
sorridere a un Vick sempre meno timido e più sicuro del suo aspetto non più
così debole. Non potrò accompagnare Posy a scuola il suo primo giorno, né
ascoltarvi, consolarvi o supportarvi in alcun modo se non economicamente.
Strano
come, adesso che guadagnarci da vivere non è più un problema, mi stia perdendo
tutto il resto, vero?
Ma non fa niente, l’avevo messo in conto. Forse è perfino di questo che ho
bisogno adesso per sentirmi in pace con me stesso: l’assenza totale. Il
silenzio che mi bruci sulle ferite così come i colpi che ho inferto hanno
bruciato gli altri. E tempo, tanto tempo.
Un
colonnello strambo di qui, uno degli insegnanti di volo, sembra avermi preso in
simpatia e mi tiene sempre sott’occhio: credo abbia capito che c’è un bel po’
di roba che non va in me. Cose che si sono rotte per via della troppa rabbia
con cui le ho maneggiate. Una volta mi ha detto che più i giorni passano e più
si guarisce dentro, ma fino ad ora a me non è andata un granché.
La
verità è che non so nemmeno più se valga davvero la pena ricomporre i pezzi.
Sei mesi fa avevo in mano gli strumenti per mettere finalmente le cose a posto,
ma me li sono fatti sfuggire di mano e ho rovinato tutto. Chi mi dice che non
accadrà una seconda volta?
Non lo
so, Rory, non lo so.
Forse un
giorno tornerò da voi più integro, meno malmesso.
Forse il
tempo è davvero in grado di strofinare via un po’ di quello schifo che ha
incrostato i vari pezzi di ciò che ero un tempo, va’ a sapere.
L’importante,
per ora, è che voi ne rimaniate intoccati. Perché se c’è del buono che è uscito
fuori da tutto questo, se tu e i nostri fratelli siete finalmente liberi di
poter scegliere il vostro futuro, è giusto che questo buono ve lo prendiate. Ve
lo meritate, Rory. È un vostro diritto. E sapere che potete vivere senza avere
addosso il peso delle Mietiture o di un futuro da trascorrere nelle miniere è
l’unica cosa che riesce a restituirmi un po’ di orgoglio per come sono andate
le cose.
Spero
solo che, ovunque sia, papà possa pensarla come me.
Ti saluto,
fratellino. Prenditi cura di te stesso e abbraccia gli altri da parte mia.
Ciao,
Gale
Hello from
the outside
At least I
can say that I've tried
To tell you
I'm sorry for breaking your heart
But it
don't matter, it clearly doesn't tear you apart
Ciao
Gale,
È strano
mettere per iscritto delle parole che fino a un anno fa pronunciavo tutti i
giorni.
È
altrettanto strano e difficile parlarti, anche se so che non spedirò mai questa
lettera. Eppure sentivo di doverlo fare, perché ero stanca di sentire questi
pensieri ronzare per la testa.
Il
problema è che ci sono dei giorni in cui il dolore è così forte che per
difendermi la mia mente cerca di rimuovere tutto quello che è accaduto negli
ultimi anni. In quei momenti tutto si fa offuscato: la morte di Prim, i
bombardamenti nel Dodici, gli Hunger Games. I ricordi si fanno opachi e non
sono più capace di distinguere cosa sia accaduto realmente dai prodotti della
mia immaginazione. Il dottor Aurelius dice che ogni tanto può succedere: la mia
mente ha architettato una sorta di meccanismo di difesa.
Ciò che
non ho raccontato ad Aurelius è che a volte non mi accorgo nemmeno che qualcosa
è cambiato. In questi momenti di stordimento credo sempre di essere io, la
ragazza del Giacimento del passato, quella che non si è mai offerta volontaria
per salvare sua sorella. La mia vita è sempre la mia vita. E poi un giorno mi
sveglio, mi guardo intorno, e non riconosco niente. Assolutamente niente.
A quel
punto i ricordi tornano tutti all’improvviso, come un proiettile. Mi ricordo
che Prim non c’è più. Che mia madre mi ha abbandonato ancora una volta e che
perfino tu hai lasciato il Distretto 12.
E la
sensazione di impotenza e il dolore che ho dentro diventano ancora più forti.
Sai,
Gale, domani sarà trascorso un anno dal giorno in cui la Coin e Snow sono
morti. Un anno dall’ultima volta che ci siamo visti e parlati.
In tutti
questi mesi ti ho pensato spesso, anche se sto incominciando a farlo sempre
meno; mi sedevo contro lo sperone di roccia che usavamo come punto di ritrovo e
chiudevo gli occhi, illudendomi che prima o poi, riaprendoli, ti avrei trovato
lì.
All’inizio
ero certa che saresti tornato: non avresti mai lasciato la tua famiglia ed ero
convinta che non avresti nemmeno abbandonato me in un momento simile. Ancora
una volta, non avevo tenuto conto della fedeltà cieca che riponi nelle tue
convinzioni.
Se in
tutto questo tempo non sei più tornato è perché credi che sia meglio così.
Forse hai ragione: saperti lontano fa meno paura, perché il nostro rapporto si
era incrinato talmente tanto da riempirsi di schegge. Nel cercare di
aggiustarlo ci saremmo sicuramente fatti del male.
Eppure
non riesco a fare a meno di pensare che, se solo tu avessi insistito, forse ci
saremmo riusciti.
Se ti fossi
imposto come un tempo, invece che sparire, magari avremmo potuto salvare
qualcosa dalle fiamme del nostro incendio.
Invece
tu non ci sei: non sei tornato, né hai intenzione di farlo, secondo Hazelle.
Troppi ricordi dolorosi, le hai detto. Troppi promemoria dei tuoi sbagli.
Proprio
come mia madre; e proprio come lei, non hai capito che l’unica cosa di cui
avevo bisogno un anno fa era qualcuno che affrontasse quei ricordi, le
conseguenze di quegli errori, pur di tendermi una mano. Le persone che più amavo
sono scappate e questo non può che ferirmi, perché nonostante ciò che dicevi di
provare per me hai trovato il modo di dimenticarmi, di rinunciare a me così in
fretta.
E ti ho
ferito anch’io, lo so, con l’indecisione con cui ho contribuito a crepare il
nostro rapporto – e il tuo cuore. Ti ho ferito non concedendoti quel perdono
che mi hai chiesto con gli occhi l’ultima volta che ci siamo visti. Un perdono
che forse pronuncerei ora, se solo t’importasse. Se solo tu fossi qui ad
attenderlo, ad attendermi. A guardarmi le spalle come facevano il ragazzo e la
ragazza che anni fa hanno stretto amicizia nei boschi, finendo per diventare
inseparabili.
Ti avrei
abbracciato con la stessa sicurezza di un tempo, ma a questo punto non credo
più che il mio affetto e le mie scuse potrebbero servire a qualcosa.
Perché
tu non sei qui e probabilmente non tornerai mai.
E ciò
che è peggio è che questo pensiero, forse, fa soffrire solo me.
Ciao, Gale.
Catnip Katniss
Hello from
the other side
I must've
called a thousand times
To tell you
I'm sorry for everything that I've done
But when I
call you never seem to be home
Ciao
Katniss,
Sono
qui, vicino a te.
Ti sto
chiamando da ore, forse perfino da giorni, ma non sembra che tu possa sentirmi.
Immagino che sia perché non ci troviamo nello posto, anche se mi basterebbe
allungare una mano per toccarti una spalla, per farti una carezza. Per
pettinarti i capelli come facevi tu con me quando ero piccola.
Ti
chiamo, eppure non ho più una voce, né un corpo: ogni parte di me si è dissolta
nel momento in cui hai gridato il mio nome per l’ultima volta. Quando quei
paracadute sono esplosi mi hanno trascinata via da te, in una sorta di limbo
invisibile. Sembra vuoto, ma non importa perché vedo tutto ciò che accade
dall’altra parte e questo mi fa sentire più vicina alle persone a cui voglio
bene. Ogni giorno, da qui, ti osservo andare a caccia; vedo Ranuncolo
gironzolare per ciò che rimane del Prato, con la coda tutta arruffata, e Rory
che cerca in tutti i modi di stargli alla larga, ma senza successo: ho notato
che Ranuncolo cerca sempre di strusciarsi contro le sue caviglie. Credo che
l’aiuti a sentirmi più vicina e so che, in fondo, anche per Rory è lo stesso.
Ci sono
anche delle cose brutte, dall’altra parte.
Quasi
ogni notte vedo Gale in lacrime, dopo essersi svegliato con un sussulto per
qualche incubo e la rabbia con cui cerca di nascondere tutto ai compagni di
Accademia. Quando succede, mi volto dall’altra parte. Non l’avevo mai visto
piangere: non voleva che guardassi quando soffriva.
Vedo le
famiglie sfollate del Distretto 12 e di Capitol City che si fanno forza per
mettersi in piedi, tirarsi su le maniche e ricominciare. Osservo i feriti più
coraggiosi, che si impegnano per rimettersi in sesto, e quelli che hanno perso un
parente caro, troppo stanchi per tornare a combattere l’ennesima guerra: anche
se questa si chiama vita e non ha bisogno di armi per farti vincere.
Ma
soprattutto vedo la mamma, intenta a lavorare in uno degli ospedali più grandi
del Distretto 4. L’osservo prendersi cura di tante persone, ma mai di te. La
guardo mentre accudisce i suoi pazienti e cura ferite di ogni tipo, trascurando
quelle di sua figlia – di mia sorella. Spesso la sento piangere e chiedere
scusa, ma non so mai a chi stia pensando. Forse a papà, forse a noi due.
A volte
vorrei farlo anch’io: piangere, intendo. Mi piacerebbe, ma per quanto mi sforzi
credo che qui non sia possibile farlo. C’è troppa calma che mi scivola dentro e
non sono nemmeno sicura di avere ancora un corpo o qualcosa con cui potermi
mettere a singhiozzare.
C’è solo una
cosa di cui sono sicura: cerco di dirtela tutti i giorni, ma tu non riesci a
sentirmi. E fa un po’ paura, perché è in quei momenti che capisco veramente di
essere sola. È come scappare da un mostro e bussare, e gridare alla prima casa
che trovi per cercare aiuto: però non risponde mai nessuno.
Per questo ogni
tanto vorrei piangere. Mi sento triste perché vorrei riuscire a dirti che mi
dispiace. Perché so che, se adesso sei sola, la colpa non è solo della mamma.
Non è colpa di Gale, né della guerra, che come tutte le battaglie distrugge
ogni cosa e se la prende soprattutto con chi non c’entra niente. La colpa è
anche mia, perché sono stata io a infiltrarmi nelle squadre di soccorso
nonostante avessi solo tredici anni. È colpa mia perché l’ho fatto di nascosto
dalla mamma, che si sentirà per sempre in colpa per non essersene accorta in
tempo. Così come si sentirà in colpa Rory, perché non è riuscito a fermarmi. E
Gale, che ha fatto di tutto per proteggermi, ma poi qualcosa gli è sfuggito di
mano. E te, che sei convinta di aver dato inizio a tutto questo, rifiutandoti
di morire ai primi Hunger Games.
Non mi piace tutto questo: non volevo
morire. Non volevo essere il motivo delle lacrime e del dolore di tutte queste
persone. Ma se proprio devo essere morta, sono contenta di poterti ancora
vedere, di starti vicina anche se tu non mi senti. Se proprio devo essere
morta, sono felice di poterti parlare un’ultima volta, per dirti quello che non
ho fatto in tempo a dirti quando sono arrivati i paracadute.
Te lo dico adesso, anche se so che non
puoi più sentirmi: andrà tutto bene, Katniss.
Solo questo; andrà tutto bene.
Arrivederci, sorellona.
Prim
Note Finali.
Non sono capace di scrivere
lettere e non ho idea del perché sia finita a scriverne quattro, ma la canzone
mi ha fatto tanto pensare a due delle mie OTP più grandi (Rory/Prim e
Katniss/Gale) e il testo mi ricordava più una conversazione a distanza e a
senso unico, piuttosto che un dialogo botta e risposta. Così, ho sfruttato l’idea
delle lettere.
Ho faticato un po' con l'IC dei
personaggi, un po' perchè sappiamo pochissimo del post-rivolta e un po' perchè
scrivere una lettera è diverso dal parlare. Soprattutto quando si scrivono
lettere che non verranno mai spedite (come quelle di Rory e di Katniss) e nelle
quali possono magari comparire pensieri che non verrebbero mai fatti ad alta
voce. Inoltre, scrivendo del post-rivolta vengo sempre molto influenzata dal
mio head-canon personale e questo si riflette nella caratterizzazione dei
personaggi. La lettera di Prim forse è un po' troppo matura per una tredicenne,
ma siccome è stata ‘formulata’ post-mortem, in un certo senso trovavo che un
tale registro le si adattasse di più. Inoltre, anche lei è dovuta crescere molto
e in fretta nel corso dell'ultimo libro e per questo sin da dopo i
bombardamenti mi è sempre parsa una ragazzina molto matura e piuttosto
intelligente. E niente, spero che le lettere risultino comunque abbastanza
credibili!
C.I.A.O.!
Laura