“Places,
places, get
in your places
Throw on your dress
and put on your doll faces.
Everyone thinks that
we’re perfect
Please don’t
let them
look through the curtains.
Picture, picture,
smile for the picture
Pose with your little
brother, won’t you be a good sister?
Everyone thinks that
we’re perfect
Please don’t
let look them
look through the curtains.”
D O L L H O U S E
I see things that nobody else sees.
[1]
Little princess
Il pavimento
della soffitta scricchiola, è qui che Sakura è
venuta a cercare conforto, tra i
vecchi scatoloni pieni di ricordi d’infanzia, quando
l’unica cosa da combattere
erano gli insulti per una fronte troppo spaziosa. Sembrava
così grande il
mondo, pieno di nuove speranze, o forse era lei piccola e molto
fantasiosa.
C’è
odore di
vecchio e muffa, ma la giovane donna non se ne cura, guarda la
bambolina che
tiene stretta tra le dita, liscia la gonna rosa e ampia, quella di una
principessa.
Ehi,
ti ricordi quando giocavi con me? Dicono gli occhi sbarrati
della bambola, occhi privi di vita e perennemente immobili. La bella principessa che
attendeva dalla torre
più alta che il principe la venisse a salvare, giocavano
all’amore perfetto
come i boccoli della bambola che adesso, guardando bene, sono tutti
rovinati.
Un singhiozzo
esce dalle labbra, il viso della bella bambolina viene bagnato da delle
gocce,
fuori il cielo è sereno e la luna spande i suoi raggi
ovunque, dentro gli occhi
di Sakura c’è la pioggia con nuvoloni pesanti che
soffocano la gola. Asciuga
quel visino di plastica frettolosamente, lascia il proprio bagnato.
Gioca con la
bambola, tira fuori anche la sua grande casa delle bambole, un regalo
di papà
al suo settimo compleanno. Sognava il principe azzurro, ora
è costretta a
rincorrerne uno dal cuore nero che nemmeno la considera troppo preso
dai propri
tormenti. E sa che non sarà lei a salvarlo, che il ragazzo
che ama sarà salvato
da un altro principe con i capelli biondi e gli occhi blu. Lei
è solo inutile.
Canta tremante
una ridicola canzoncina, solo per sentire altro oltre che le voci nella
sua
testa che le urlano la sua debolezza. Porta una mano davanti alla
bocca, non
può mollare, i suoi ragazzi hanno bisogno di lei, non
può permettersi tutta
questa debolezza.
Ma
come, Sakura-chan, dice la bambolina nel suo
vaporoso vestito e con quel sorriso preconfezionato,
tu sei solo l’inutile principessa che attende i suoi eroi.
Nelle
favole funziona così.
Che favola
ridicola e distorta è questa?
[2]
Perfect
barbie
La tazza di ceramica
è bollente tra le
mani ma Ino lascia che le ustioni le dita, le coperte leggere del letto
scivolate a terra con l’aria gelida che le aggredisce le
gambe nude. È svenuta,
ancora, durante l’allenamento, non aveva fatto colazione a
pranzo si era
concessa solo un sorso di latte. La fatica l’ha colta nel bel
mezzo di una
piccola simulazione e solo il pronto intervento di Choji le ha impedito
di
farsi male.
Stringe le dita sulla
ceramica, il caldo
non lo sente più, ora sente brividi un po’ ovunque
e il respiro faticoso. Sul
comodino la guarda con espressione di plastica la sua vecchia amica di
infanzia.
I capelli lucidi e biondi –come i suoi – gli occhi
azzurri –come i suoi – le
ciglia lunghe –come le sue –il seno prosperoso
–come il suo –la vita sottile –come
la sua – le gambe lunghe –come le sue.
Sono
perfetta,
dice la barbie.
Si morde le labbra, per
tutta la sua
infanzia aveva vestito quel giocattolo asserendo di voler diventare
bella in
ugual modo, a tutti piacciono le ragazze belle e magre, con sorrisi di
plastica
e unghie sempre perfette. Le ragazze belle trovano un ragazzo che le
ama, hanno
tanti amici e nulla le turba, dicevano questo.
Voglio
essere perfetta,
un lieve sussulto le
esce della labbra rosee e la tazza le sfugge dalle mani, rimbalza a
terra in
mille cocci, come il suono della sua
volontà distrutta anni fa, e il liquidi bollente
si spande sul materassi e
sulle sue gambe nude. Ma non lo sente, non brucia, la sua pelle non
sente
niente.
Niente.
Non vuole sentire
più niente.
Ormai si sta trasformando
in una
perfezione di plastica.
[3]
Porcelain
doll
Pelle
pallida, liscia, due occhi grandi e chiari, lucidi e pieni di paura.
Hinata
prova questa alla fine, tanta paura. Sa di dover essere coraggiosa, che
se
vuole essere finalmente apprezzata deve mostrarsi più
sicura. Papà la guarda e
non dice niente, ma bastano gli occhi gelidi per rompere quella pelle
perfetta.
Come
la porcellana.
Ha
la labbra rosee e le manine piccole, il vestitino elegante e i piedi
nudi sulla
neve. Sente freddo, un pochino, ma resta lì ferma a guardare
quei petali
bianchi di ghiaccio cadere dal cielo. Le montagne sono tutte bianche,
sembra
stiano piangendo. Quel cielo grigio fa così paura, sembra
pronto a chiudersi su
di lei per spezzare definitivamente il suo corpicino.
È
fragile, come la bambolina di porcellana che tiene stretta al petto, la
sua
unica compagna di giochi –è troppo timida,
spaventata, per avere amici.
La
neve le finisce sui capelli corvini e il respiro si condensa in
nuvolette di
vapore, è l’unico segnale che dimostra che
è una cosa viva. A
differenza della bambola, lei respira; ma non per
questo non è abbastanza fragile.
Basta
solo una distrazione, scivolare tra le mani di una padrona incauta, e
finire in
mille pezzi, fragile quanto la porcellana.
La
stringe più stretta al petto. Non
farmi
cadere, grida disperata la bambolina, per questo la tiene
stretta. In
realtà Hinata vorrebbe solo, solo che qualcuno, una persona
gentile, la possa
tenere stretta per impedirle di spezzarsi a terra. O perlomeno,
qualcuno il cui
sorriso le faccia dimenticare questa paura.
[4]
Red
hair
doll.
Karin
ha sempre avuto in tutta la sua vita una sola bambola, aveva i capelli
rossi e
glieli accarezzava sempre distrattamente mentre attendeva che la madre
tornava
a casa da un massacrante giornata all’ospedale. Allora non
sapeva quanto dolore
costassero quei sorrisi tirati che le venivano rivolti.
Lei
comunque non aveva amici, aveva solo questa bambolina, con i capelli
rossi come
lei e amava pettinarli sempre.
Chissà
che fine ha fatto, se lo chiede sempre, non ha avuto tempo per
portarsela con sé
ed ora le notti sono lunghe e dolorose senza un amica. Era
un’amica finta, lo
sa bene, ma era confortante nella solitudine. Karin è sempre
sola e sembra che
a nessuno importi, forse non sanno quanto faccia male avere nulla da
stringere
al petto.
Era
un’amica finta, ma le sembra che tutto questo mondo sia finto.
Finto.
Finto.
Finto.
Ha
freddo un po’ ovunque e gli occhi secchi. Ha sempre avuto
paura di restare
sola, di non avere nessuno che le sorridesse. Anche quello finto della
bambola
dai capelli rossi andava bene. Un mondo finto va benissimo, basta non
restare
sola.
Chissà
che fine ha fatto la sua bambola , se anche lei si sia sentita come si
sente
lei adesso quando è stata dimenticata in un angolo della sua
vecchia casa.
Una
bambolina dai capelli rossi dimenticata, ecco cosa.
[5]
Dollhouse.
È
una principessa, non è mai stata viziata ma
l’affetto che tutti provavano per le
lei la avevano portata a conquistare molti pupazzi e giocattoli.
La principessa primogenita
della sabbia.
Il
preferito di Temari, però, è una grande casa per
le bambole, arredata alla
perfezione con dei bellissimi tappeti e i mobili ben decorati; ha anche
le
bamboline di una famiglia di quattro persone: il padre, la madre, la
sorella e
il fratello.
Giocava
sempre alla famiglia, era una famiglia felice e lei muoveva i
personaggi
attraverso le stanza della casa di plastica. Ben pensandoci quella che
lei
stessa inventata era una vita di plastica, preconfezionata a perfetta.
Stringe
la bambolina che aveva sempre rappresentato la madre tra le dita, la
stringe
con troppa forza e si spezza, come è successo alla sua mamma
–non può ancora
crederci.
Non
piange perché non può, è solo furiosa.
Con nessuno in particolare, con suo papà
che ha permesso che accadesse, con il nuove fratellino che ne
è la causa, con
la vita che è così bastarda e con quella casa di
bambole che l’ha sempre illusa
di una vita perfetta.
Non
piange perché non può permetterselo, ora che la
sua famiglia è spezzata –umana –non
può permettersi di perdere tempo così
inutilmente, ha due fratellini di cui
prendersi cura e una casa da tenere in ordine, deve diventare forte per
proteggere la sua famiglia, quello che resta. Il fatto è che
non ha tempo.
Non
esita, prende la casa tra le mani e la getta via, nella spazzatura. Non
ha più
tempo per giocare, non può permettersi di essere ancora una
bambina che gioca
con le bambole alla famiglia perfetta. Deve lottare per mantenere
intatta quel
poco che resta.
Il
mondo non è una casa di bambole.
Note:
La
canzone è “Dollhouse”
di Melanie Martinez e consiglio vivamente di ascoltarla.
Non
ho molto altro da aggiungere, spero che vi sia piaciuto (è
la prima volta che
scrivo in questo fandom senza mettere in mezzo il NaruSasu) e
recensioni/critiche/cipolle/mele
sono sempre ben volute.
Baci
V.
Ps,
le cipolle no, scherzavo.
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