† Odi et amo. Quare id faciam,
fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior †
[Agosto 1588 – battaglia di Gravelinga e
sconfitta dell’Invincibile Armada]
L’odore
di salsedine impregnava il legno marcio – si
infilava malandrino nelle narici del prigioniero, solleticandogli la
gola secca ad ogni suo faticoso respiro. Sulla pelle bruna, vellutata e morbida
al tatto, fiorivano lividi scuri e pulsanti di dolore e il torso era solcato da
tagli e ferite vermiglie, non ancora cicatrizzate del tutto.
Gli
occhi verdi erano vacui e ottenebrati dall’odio e dalla vergogna, che gli
corrodeva piano il cuore, crudele – le labbra gonfie e tumefatte erano schiuse
a mostrare i denti digrignati. Fece un movimento brusco, la pelle dei polsi
tirò e fece così male che per un attimo temette che si fosse strappata. Era
stato legato – quel figlio di puttana lo aveva legato! – e i polsi erano stretti
da una cima ruvida e indurita dal sale, annodata a un anello di ferro sporgente
dalla parete lignea. Le mani erano arrossate e formicolavano e le ferite sulla
schiena, premuta contro il legno irto di schegge, mandavano fitte lancinanti.
Gemette, riversando la testa all’indietro, ed esponendo il collo abbronzato,
unica parte rimasta intatta da quella battaglia. Rimase così, osservando i
fasci di legno che correvano sopra la sua testa.
La
Grande y Felicisima Armada era stata brutalmente sconfitta e lui, Antonio
Fernandez Carriedo, la Spagna in persona, era stato fatto prigioniero da quel…
quell’inglese. Chiuse gli occhi
stanchi, prendendo un respiro profondo. L’ondeggiare perpetuo del galeone andava
di pari passo con gli scricchiolii delle assi di legno, e il rumore scrosciante
delle onde lo rilassava – era come musica per le sue orecchie, una dolce
melodia che lo cullava e lo faceva sentire al sicuro, per quanto potesse
esserlo trovarsi tra le grinfie di Inghilterra. Arthur – il suo nome gli
solleticava il palato. Istintivamente lo pronunciò a fior di labbra,
assaporando il modo in cui rotolava aggraziato sulla lingua. Lo odiava.
Arthur
– lo mormorò sommessamente, con voce roca e spenta, e gli sembrò più armonioso
che mai. Lo desiderava. Si leccò le labbra.
«
Arthur… » Per la terza volta il suo nome uscì dalla chiostra dei denti,
stavolta sferzando l’aria e infrangendo il silenzio.
«
Sono qui. » Antonio spalancò gli occhi, sussultando e portando lo sguardo
dinanzi a sé. Inghilterra era là, in piedi davanti a lui, con solo una manciata
di piedi a separarli. Impugnava una candela dalla
fiamma tremula, e le ombre danzavano tutt’attorno, sobbalzando ad ogni
movimento vibrante del fuoco. Il volto era per metà illuminato da quella luce
aranciata e le iridi chiare lo trapassavano, inespressive.
Uno
scatto in avanti e subito i polsi urlarono dal dolore e il legno scricchiolò. Emise
un verso frustrato – lo voleva, voleva prenderlo a pugni e voleva mordergli le
labbra a sangue. Voleva fare l’amore con lui, sul suo letto, come avevano fatto
tante volte quando c’era ancora Caterina D’Aragona, voleva sentirlo stringersi
contro di lui come durante il regno di Mary Tudor, quando era fragile e debole,
divorato da quelle lotte sanguinarie per contrastare gli eretici. Voleva
amarlo, ma non poteva, poiché non si lasciava amare. L’odio era l’unico
sentimento che poteva toccarlo, per questo lo odiava. Per essere ricambiato.
«
Sono qui, Antonio. » E quelle gelide parole vibrarono nell’aria, conficcandosi
nel cuore di Spagna, ancora ribollente di quel sentimento al confine tra l’odio
e l’amore.
« Arthur! » Antonio lo
fissava come un bambino beccato a rubare la marmellata. Era seduto scompostamente
sul letto a baldacchino, e tra le mani stringeva convulsamente una lettera.
Singhiozzò, il volto paonazzo e gli occhi smeraldini lucidissimi, e subito
premette una mano sulla bocca, distogliendo lo sguardo e tentando di nascondere
le lacrime – l’orgoglio non gli permetteva di mostrarsi debole, non davanti a
lui.
Arthur, la mano ancora stretta sulla maniglia
dorata della porta e i sensi di colpa avviluppati allo stomaco, guardò quel
foglio scritto stropicciato dalle mani goffe del proprio marito e volle sprofondare per aver commesso un
errore del genere. Si morsicò il labbro, chiudendosi la porta alle spalle.
Avanzò di qualche passo: non avrebbe dovuto lasciare incustodita la lettera che
il Re gli aveva incaricato di custodire e di spedire al Papa – sulla carta
scorreva crudele il desiderio di Henry VIII di divorziare da Catalina de Aragón,
in quanto bisognoso di un erede maschio: si sarebbe recato dal papa in persona
pur di mettere fine a quel matrimonio tanto odiato dal re – e Spagna l’aveva letta
tutta, fin quando le lacrime non gli avevano appannato gli occhi, fin quando la
delusione non gli era divampata nel petto e aveva bruciato tutte le sue
speranze e i suoi desideri più reconditi.
Arthur non era stupido.
Si era accorto da tempo che il sentimento che Antonio provava per lui andava
ben oltre l’ammirazione: i suoi occhi smeraldini, tersi, erano come un libro
aperto su cui le emozioni erano state trascritte in bella vista. Essi si
illuminavanodi una luce diversa
ogni qual volta incrociavano lo sguardo di Inghilterra, fiduciosi e pregni di
Amore. L’inglese, ogni volta che si scontrava con quel sentimento tanto palese,
si limitava a volgere gli occhi altrove, in un malcelato tentativo di ignorarlo
– e ignorare il senso di colpa che gli pizzicava il fondo della gola ogni
qualvolta notava di sfuggita lo sguardo speranzoso dell’iberico.
Inghilterra deglutì,
fermandosi esattamente davanti a Spagna. Con un gesto meccanico gli strappò
malamente la lettera dalle mani, la accartocciò e la gettò con rabbia tra le
fiamme del camino, bloccandosi nell’osservare i lembi candidi della carta
annerirsi e carbonizzarsi lentamente. Le labbra di Arthur si stirarono in una
linea dritta quando si volse a guardare quello che ancora era suo marito: gli
occhi spalancati e la bocca schiusa dalla sorpresa, Spagna fissava incredulo il
fuoco che divorava la fonte di ogni suo dolore.
Inghilterra lo trafisse
con lo sguardo: era la prima volta che lo vedeva piangere e quello spettacolo lo
straniva: dopo anni passati a guardarlo girare sorridente per le ali del
palazzo, la visione delle sue lacrime che gli striavano le guance arrossate non
gli piaceva. Con stizza allungò una mano verso di lui, afferrandolo per il
mento e costringendolo a far incatenare le loro iridi, così simili eppure così
dannatamente differenti. Se gli occhi di Antonio erano gentili e lasciavano trapelare
facilmente ogni emozione, limpidi come l’acqua di un ruscello, quelli di Arthur
erano glaciali, una foresta difensiva che bloccava ogni tentativo di leggergli
dentro.
« Sono qui, Antonio. »
Asserì seriamente, carezzando con inaspettata delicatezza una guancia umida di
pianto. Spagna batté confuso le palpebre, boccheggiando, incapace di proferire
alcunché:
« Arthur… io, i-io—» e
un paio di labbra sottili e ruvide si posarono delicatamente su di lui. Durò
pochi secondi, ma bastarono per mettere a soqquadro l’animo di entrambi – fece
nascere un turbinio di farfalle che si dibattevano frenetiche nei loro stomaci
e un brivido traversò le loro spine dorsali. Inghilterra non seppe mai il
perché di quel gesto d’affetto – si allontanò quasi subito, ma quando schiuse
le palpebre gli smeraldi di Spagna lo inchiodarono al posto, non permettendogli
alcuna fuga, illuminati di una luce strana, mai vista prima. Era in trappola. Un
battito di ciglia e la sua schiena impattò la morbidezza del materasso, con lo
spagnolo che lo sovrastava – e Antonio
liberò quella bestia famelica che è l’amore, lasciando che si scagliasse su di
Arthur e lo divorasse. Fu passionale e istintivo, le sue labbra carnose e
bollenti baciavano fameliche quelle del biondo mentre le mani tiepide lo
stringevano a sé, imprigionandolo nella dolce morsa della passione.
E
Arthur, travolto, si lasciò amare.
Inghilterra
piegò le labbra in un sorriso di scherno, sedendosi su una cassa là vicino e
poggiando la candela a terra:
«
Guarda come ti sei ridotto, Carriedo… » sibilò, accavallando elegantemente le
gambe – e Antonio seguiva ogni suo movimento, come ipnotizzato – « Sei arrivato
a chiedere al papa il permesso di rovesciare il mio trono, dopo avermi fatto
scomunicare. Ti brucia così tanto non riuscire più a controllarmi? » Spagna continuò a perforarlo con quei suoi
smeraldi lampeggianti di brama:
«
Ti odio. » Inghilterra alzò le sopracciglia, fingendosi sorpreso, dopodiché il
sorriso si ripresentò sulle sue labbra.
«
Anche io. » Esitò appena. Seguì una pausa; « Mi fai pena, Antonio. Ti ostini a
voler esercitare il controllo su di me, come se io fossi una tua proprietà. Sei
ridicolo. »
«
Bugiardo. » Hai ragione, avrebbe
voluto dirgli.
«
Mi chiedo perché tu sia così cocciuto, talvolta. » sospirò Inghilterra, e il sorriso
si fece
mesto;
« Perché non mi lasci in pace… » mormorò, massaggiandosi la fronte.
«
Sai benissimo il perché… » mormorò l’iberico, chiudendo gli occhi e abbassando
il capo – sentiva lo sguardo di Arthur addosso a sé, perforante.
«
Sei pazzo. Malato. » Sputò, senza
smettere di fissarlo. Spagna piegò il capo di lato, schiudendo appena le palpebre e sorridendo – un brivido corse
lungo la schiena di Arthur, mozzandogli il fiato e lasciandolo atterrito
dinanzi a quel sogghigno insano che ornava le labbra dell’altro.
«
Soy enamorado, ma ti odio: tu godi
nel vedermi soffrire, Inglaterra. So quanto ti sei divertito con me, mentre mi
scopavi senza vergogna alcuna. » Mormorò rocamente. I sentimenti gli
turbinavano confusi nel petto. Lo amava, lo odiava, non lo sapeva nemmeno lui. Pochi
secondi e Inghilterra scattò in piedi come punto da una vespa, colto da una
vampata d’ira. Un paio di falcate e si parò davanti ad Antonio, gli occhi verde
acido che lampeggiavano di irritazione – la punta dello stivale di cuoio colpì
il prigioniero dritto nello stomaco. Il moro strabuzzò gli occhi, spalancando
la bocca in un muto urlo di dolore.
«
Non sai nulla. » la voce dell’inglese fu come una stalattite di ghiaccio che si
piantava dritta nel caldo cuore iberico, congelandolo. Era piegato su se
stesso, lo stomaco che gridava pietà e i muscoli delle braccia doloranti. E lì,
con le corde che gli consumavano i polsi e le schegge che gli sfregiavano la
schiena, rise – una risata incrinata e disperata, paragonabile agli aridi
singhiozzi di una persona che ha esaurito le proprie lacrime.
«
Odi et amo, Inglaterra, odi et amo. »
Inghilterra era seduto
in una stretta poltroncina imbottita dai colori scuri e pesanti. Era dimagrito:
le continue lotte intestine tra cattolici e anglicani imperversavano nei suoi
territori, e, in quanto Nazione, ne risentiva. Antonio, poggiato allo stipite
della porta, lo osservava con attenzione: era pallido e gli zigomi si erano
fatti più evidenti da quando lo aveva visto l’ultima volta, i capelli biondi
erano spenti e lo sguardo stanco scorreva sulle pagine di un libro che teneva
sulle ginocchia. Era da tanto che non lo veniva a trovare: nonostante Mary
Tudor e Felipe II fossero sposati, questi aveva deciso di non trasferirsi in
Inghilterra – visitava la consorte di rado e costringeva di conseguenza Spagna
a fare lo stesso.
Si avvicinò all’inglese
e gli posò la mano sul capo, carezzandogli dolcemente i capelli. Gli era
mancata la sensazione di quelle ciocche seriche contro il suo palmo – gli era
mancato tutto di lui, in verità, da quelle sue sopracciglia cespugliose
perennemente corrucciate alle mani affusolate e infreddolite. Arthur sussultò
per quel contatto inaspettato e subito volse lo guardo inasprito verso chi
aveva osato interromperlo nella lettura, probabilmente con l’intento di
cacciarlo via dalla biblioteca a suon d’insulti, ma non appena vide il sorriso familiare
di Spagna le parole gli si incastrarono in gola. Spalancò gli occhi,
meravigliato:
« Antonio – non mi hanno
avvertito del tuo arrivo… » Affermò, mentre la mano calda dell’altro gli
scorreva sulla guancia per poi posarsi sulla spalla.
« Volevo farti una
sorpresa, mi amor » rispose il compagno, chinandosi poi a depositargli un bacio
tra i capelli, a cui Inghilterra rispose con un sospiro. Chiuse gli occhi,
assaporando l’odore di salsedine, di sole e d’oro che sprigionava Antonio – era
approdato da poco e il sapore delle terre straniere che aveva visitato si era
ormai incastrato nei suoi abiti.
« Che leggi? » i suoi
pensieri furono interrotti dalla voce squillante del compagno, e Arthur posò
gli occhi sulle pagine in cui era immerso fino a poco tempo fa:
« Il Liber Catullianus,
sono arrivato agli Epigrammata… » Non fece in tempo a terminare la frase che
subito il libro sparì tra le mani di Spagna che, senza tanti preamboli, si era
comodamente seduto sulle sue ginocchia, gli aveva passato un braccio attorno al
collo e gli si era accoccolato addosso – e quelle membra tiepide a contatto col
suo corpo infreddolito gli fecero subito mancare il respiro: era da tanto tempo
che non percepiva quel calore familiare addosso e in più l’odore salmastro di
quella pelle bronzea continuava a solleticargli le narici, trascinandolo in un
piacevole stordimento.
« Odi et Amo…? » lesse
Antonio con voce sommessa, poggiando la guancia tra i capelli biondi del
consorte.
« Mh? » Fece questi,
scrutandolo perplesso. Spagna volse i suoi smeraldi scuri in quelli chiari di
Arthur:
« Querido, come si può
amare e odiare allo stesso tempo una persona? » L’altro gli rivolse uno sguardo
perplesso:
« Non lo so » ammise «
sono due sentimenti potenti e contrastanti e—
« Un po’ come te e Francia » Il tono di Spagna si fece gelido, quasi
rabbioso nel pronunciare il nome della nazione nemica, e cinse le spalle di
Inghilterra con un braccio, stringendolo a sé con una possessività che mal si
addiceva al suo volto sorridente – ma quel sorriso era diverso dai soliti, e
questo Arthur lo sapeva: era un sorriso tagliente, minaccioso e famelico, il
sorriso di un predatore che non ha alcuna intenzione di lasciar andare la
propria preda. Preda che non aveva la minima voglia di soccombere. L’Inglese
affilò di rimando lo sguardo, raddrizzando la schiena:
« Mi stai forse
accusando di tradirti, Spain? » Corrucciò le sopracciglia, di colpo scostante e
diffidente. Antonio rimase lì per lì congelato sul posto, per poi sciogliersi
in una di quelle sue risate, calde e secche come la sabbia desertica, e
stringersi ancora a lui, stavolta senza quella nota possessiva a incrinare il
tutto. Agilmente, Spagna si sistemò a cavalcioni sul bacino del compagno e
allacciò le mani dietro la sua nuca, facendo combaciare le due fronti affinché
l’inglese si trovasse costretto a guardarlo negli occhi.
Gli smeraldi di Antonio
erano pieni di devozione, straripanti dell’amore più puro e sincero, e Arthur
si trovò inspiegabilmente senza fiato, travolto da emozioni troppo intense per
essere spiegate. D’istinto si sporse verso quelle labbra carnose, solcate dal
più tenero dei sorrisi. Fu un bacio rapido, dolce e affettuoso, a cui Antonio
rispose con uno di quei suoi sorrisi raggianti, di quelli che riscaldavano
dentro:
« Mi amor, non dubiterei
mai di te e della tua fedeltà, so che non mi tradirai mai… » e la magia si
frantumò di colpo: un’ombra scura calò repentina sul suo volto, spegnendogli il
sorriso e raffreddando la sua espressione; « E’ di Francia
che non mi fido. » Il suo tono di voce,
freddo e tagliente come la lama di un’alabarda, fece rabbrividire la nazione
più giovane: conosceva abbastanza bene Spagna, e ben sapeva cosa era capace di
fare quando delle interferenze rischiavano di mandare all’aria i suoi piani. Lo
aveva visto accendere impietoso i roghi designati agli eretici protestanti. Lo
aveva visto uccidere persone con una freddezza calcolatrice che mai si era
aspettato di vedere. Come poteva quella persona capace di tante barbarie contro
vittime innocenti essere così dolce, passionale, talvolta addirittura
sottomesso nei suoi confronti?
« Te amo, Arthur… » L’inglese
esitò:
« I love you too » Mentì.
Spagna
gettò il capo all’indietro, lo sguardo folle che trapassò quello di Arthur, impassibile.
Rideva ancora, isterico, producendo un verso altisonante che infranse brutalmente
il silenzio e frustò le orecchie del britannico. “Odi et Amo”, continuava a
gracchiare Antonio con voce distorta – e Arthur si sentì morire dentro, il
cuore che gli implodeva per i sensi di colpa. Gli si strinse un nodo in gola
mentre continuava a scrutare gelidamente Spagna – voleva scappare via da lì,
voleva che quel pazzo smettesse di ridere come se non fosse successo nulla,
voleva fermare quel suono atrocemente straziante che grattava contro la gola di
Antonio. E lo fece.
Si
avvicinò nuovamente, afferrando malamente Spagna per il bavero della camicia –
che un tempo era bianca, ma ora si ritrovava screziata del rosso sangue del suo
proprietario. Fece cozzare la sua fronte con quella di Antonio, che smise
improvvisamente di ridere, spiazzato dal comportamento dell’altro:
«
Guardami, Antonio. » E per la prima volta, quando Spagna immerse i propri
smeraldi nei prati di Inghilterra, vide,
percepì, sensazioni tenute nascoste per troppo tempo – gli scrutò l’anima.
«
Sei così… ostinato. » Inghilterra parlava a fatica, la voce vibrava di emozioni
contrastanti ed esasperate – lui stesso era esasperato da quella situazione. Antonio
lo aveva amato. Antonio lo amava ancora – e lo odiava, perché, per tutto il
tempo in cui erano stati sposati, tutte le volte che si erano baciati o avevano
fatto l’amore, Arthur lo aveva illuso. E ciò feriva entrambi.
Spagna
era corroso da un sentimento contrastante al confine tra odio e Amore – amore,
quel sentimento originario così puro che si era però evoluto in qualcosa di più
oscuro: Ossessione. Inglaterra era la
sua ossessione e desiderava possederlo con la stessa intensità con cui voleva
annientarlo.
Dal
canto suo Arthur era dilaniato dai sensi di colpa – lo era stato per tutto il
tempo. Non amava Spagna, non lo aveva mai amato, ma, ogni volta che incontrava
quelle gemme verdi così devote, non riusciva a dire di no, a ferirlo. E si
lasciava amare, inerme, incapace di contrastare quel sentimento così potente.
Era stato un codardo, lo ammetteva, perché non aveva mai avuto il coraggio di
dirgli ciò che provava davvero. Non si può fingere di amare.
Antonio
deglutì a vuoto, completamente in balìa di quello sguardo penetrante. Avere
Arthur a quella distanza lo destabilizzava, e in più quel contatto visivo era così
inaspettatamente espressivo da mozzargli il fiato – percepiva il dolore che
provava Inghilterra. Un dolore diverso dal suo, ma ugualmente devastante.
Le
mani del biondo, ancora ancorate al bavero della camicia, iniziarono a tremare
– Arthur stesso iniziò a tremare, e i suoi occhi, spalancati, si annacquarono.
Un singhiozzo roco rimbalzò fuori dalle sue labbra. A Spagna gli si mozzò il
respiro: sgranò gli occhi a sua volta, incredulo.
«
Arthur…? » la voce era appena un sussurro, un refolo caldo che carezzò il volto
dell’altro.
Perle
d’acqua salmastra si incastonarono tra le ciglia dell’inglese, aggregandosi
l’un l’altra e scivolandogli lentamente lungo le guance nivee e scavate. Un altro singhiozzo, forte e limpido, sferzò l’aria.
« Y-you don’t un-understand how… how
hard it was for me… God, I’m such a horrible person, Spain- » le
parole arrivavano sconnesse alle orecchie di Antonio che, paralizzato,
continuava a fissare inerme il suo nemico che piangeva, stravolto dal dolore. Arthur
gli sembrava così fragile in quel momento, tremante come una foglia, pareva
potersi spezzare da un momento all’altro.
«
I- I’m sorry » Il cuore di Antonio
perse un battito nell’udire quella parola, una delle poche che aveva mai
imparato in inglese. Inghilterra continuava a fremere; le ginocchia cedettero e
si lasciò cadere a terra, distrutto, le mani ancora strette attorno alla stoffa
della sua camicia e gli sguardi ancora incatenati. La fronte coperta da ciocche
dorate si staccò da quella di Spagna, e il volto dell’inglese fu nascosto nell’incavo
del suo collo – la pelle dell’iberico era morbida e calda e lo faceva sentire
in qualche modo a casa – e pianse, sfinito.
Antonio
poggiò la testa su quella di Inghilterra, un sorriso mesto a solcargli il volto
stanco. Chiuse gli occhi e sospirò piano:
«
Un giorno ti perdonerò Arthur. Per ora né le tue lacrime, né le tue scuse,
potranno risanare le mie ferite. » Piegò appena il volto, strofinando le labbra
tra i capelli di Inghilterra: « Ora vattene. » gli soffiò nell’orecchio, con un
tono indifferente che fu come una stilettata dritta nel cuore colpevole di
Arthur. Questi si irrigidì, allentando la presa sul bavero e allontanandosi
lentamente, lo sguardo vuoto. Si rialzò, con ancora le ciglia imperlate di
lacrime, e si voltò, esitando appena prima di andarsene:
«
E sia… »
*
Antonio e Arthur erano fin
troppo diversi. Il primo, dalla pelle dorata e i riccioli color cioccolato, era
come il Sole – ovunque andasse, era luminoso, raggiante, e il suo sorriso
riusciva a catturare l’attenzione di tutti. Il secondo, dai capelli come di
filigrana d’oro e dalle membra eburnee, era la pioggia – grigio e malinconico,
talvolta aggressivo come un temporale estivo, talvolta delicato come la fine
pioggerella autunnale. Eppure queste due nazioni appartenenti a due mondi
totalmente diversi, erano finite col collidere.
*
[Settembre 2015 – Meeting mondiale]
Spagna
sussultò appena, destandosi da quel sogno ad occhi aperti non appena America
decretò ufficialmente la fine della riunione. Sospirò, alzandosi e sistemando i
documenti nella propria ventiquattrore con gesti meccanici. Assottigliò lo
sguardo vacuo, la testa che gli pulsava dolorosamente: i pensieri gli vorticavano
in mente, confusi. Non riusciva a capire perché fosse stato tutto quel tempo a
pensare a una cosa accaduta mezzo millennio prima – davvero, non se lo spiegava.
Si stiracchiò, dopo ore costretto a stare seduto non vedeva l’ora di andarsene,
prendere il primo aereo per Madrid e tornarsene a casa a dormire, magari col
sonno tutti quei pensieri negativi sarebbero slittati via. Afferrò quindi la
ventiquattrore, voltandosi per dirigersi all’uscita; neanche un passo e subito
qualcuno gli venne addosso, facendolo rovinare a terra.
«
Mierda! » Sibilò, mentre la valigia si apriva e le sue scartoffie scivolavano
sul pavimento.
«
Fucking frog! » Antonio si irrigidì quando, alzando il volto, si ritrovò
addosso niente di meno che Inghilterra. Poco più in là, piegato in due dalle
risate, c’era Francis, colpevole del misfatto. Con le folte sopracciglia
corrucciate, Arthur si rialzò, togliendo con le mani della polvere invisibile
sulle ginocchia. Occhieggiò poi Antonio, ancora semisdraiato a terra, e sbuffò,
dopodiché gli porse un po’ riluttante la mano – era pur sempre un gentleman,
lui:
«
Ah! Sorry Spain, è tutta colpa della fottuta rana… » Borbottò, irritato. Spagna
sospirò, scansandogli la mano e rialzandosi da terra:
«
Non importa, Inglaterra… » Lo guardò
poi negli occhi, sorridendogli dolcemente: « Ti perdono… » si chinò quindi a raccogliere i documenti sparsi a
terra
Arthur
batté un paio di volte le palpebre, spiazzato da quell’occhiata e quella frase
così inspiegabilmente ambigue. Scosse poi la testa, preferendo non indagare sul
vero significato di quelle parole sibilline:
«
Sei strano, Spain, più strano del solito » Alzò le spalle, allontanandosi. Antonio
ridacchiò, fra sé e sé:
«
Odi et Amo… » Inghilterra si bloccò sul
posto. Si voltò appena, guardandolo con la coda dell’occhio:
«
Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior » Mormorò di rimando. Si sorrisero, complici. Forse non tutto era
perduto.
Note:
Salve
ragazzuole, eccomi ritornata con la seconda spuk! :D E’ basata su ciò che è
accaduto prima e appena dopo l’Armada: la guerra anglo-spagnola infatti fu una
di quelle guerre che non ci si aspetterebbe mai, considerato che fino a quel
momento i rapporti tra Spagna e Inghilterra erano stati piuttosto buoni!
Infatti la Spagna era restia a ingaggiare battaglia con l’Inghilterra, poiché
teneva alla sua alleanza e non voleva distruggere tutto(?). Poi però Elisabetta
I se ne è fregata altamente, iniziando a far attaccare le navi spagnole dai
pirati Inglesi come Francis Drake e a quel punto Filippo II si è giustamente
arrabbiato e ha iniziato a reclamare il trono inglese, affermando che gli
spettava di diritto in quanto marito della defunta Mary Tudor di Inghilterra –
Bloody Mary, per intenderci, quella che voleva cattolicizzare l’Inghilterra
condannando i protestanti. Ecco perché l’Invincibile Armada. In poche parole,
Spagna voleva il culo inglese(?)
Prima
però di tutta questa manfrina, prima ancora della nascita di Elizabeth I e
Felipe II, ci fu Enrico VIII, il bastardo che mi rovina male l’OTP.
Praticamente, nonostante fosse felicemente sposato con Caterina di Aragona,
voleva per forza un figliuoletto maschio così, gira che ti rigira, chiese al
papa di divorziare con quella poraccia. Tanto ha detto e tanto ha fatto che
alla fine riesce nella sua impresa e si sposa l’amante, Anna Bolena, madre di
Elizabetta I. Caterina di Aragona farà quindi una brutta fine, in quanto,
nonostante fosse amata dal popolo, fu buttata fuori a calci dalla corte inglese
e costretta a morire in solitudine per un cancro.
I
matrimoni tra Spagna e Inghilterra quindi non furono per niente felici, poveri
i miei ciccini <3 Se ci sono altre domande sui riferimenti storici non
esitate a chiedermelo <3 Bacini baciò,
La
Tigre Blanche
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