Un cuore gelato
Era
ormai inverno inoltrato, il freddo si faceva particolarmente
sentire, mentre il gelo pareva conferire all'ambiente un aroma a dir
poco amarognolo, per quanto questo fosse assolutamente impossibile:
l'aria fredda e secca non aveva sapore.
Loghain
lo sapeva, eppure quella sensazione di amarezza non lo
abbandonava, lo percepiva costantemente sulle labbra; non era mai
stato un amante di bevande forti al sapore di erbe, ma non riusciva a
non sentire un sapore simile a quello del liquore di grazia
cristallina.
Era
un fiore che cresceva, delicato e forte, anche su alture
particolarmente elevate, sommando in sé leggiadria e
bellezza,
affiancate a una grande risolutezza che dona ancora più
forza a chi
la possiede.
Sembrava
proprio che quel fiore dai
toni del cielo incarnasse tutto ciò che vedeva in lei.
Il
solo guardarla
gli
inaridiva però
la
gola, esattamente come dopo l'aver bevuto un bicchiere di alcolico,
in un sol sorso.
Dapprima si
avvertiva una specie di sollievo
derivato dalla freschezza del vetro a contatto con la
bocca, poi
ecco la
calda fiamma ingerendo il liquore, che divampava in tutto il corpo,
dando un
certo benessere,
fino a lasciare un aspro
retrogusto,
quello
di aver provato quel caldo per poco tempo, mentre si
desiderava
che durasse più a lungo.
Ormai
gli bastava soffermarsi anche un istante su quei riccioli
bruni, sul suo incarnato, su quelle labbra – che gli
sembravano
così morbide; chissà come sarebbe stato
baciarle, si chiese
spesso – mentre si rivolgeva a lui, per sentire quell'amaro
bruciore del suo sentimento non ricambiato.
Quei
giorni grigi sembravano spegnere tutti i presenti, recando
con sé uno strano umore a dir poco apatico. Come le giornate
diventavano sempre meno luminose, allo stesso modo la gente appariva
stanca... assente.
Il
tutto sembrava essere in linea con lo spirito della stagione,
chiaro simbolo della vita che si spegne, morendo, per poi rinascere
successivamente. Non era chiaro se gli altri se ne fossero accorti,
eppure il giovane non riusciva a cancellare quelle cupe emozioni.
Ma
non si trattava solo di questo.
Si
guardò intorno, nella città di Gwaren. Non era il
tempo ad
annoiarlo o a renderlo nervoso, ma erano le notti più lunghe
rispetto alla bella stagione che gli davano angoscia. Era
più
taciturno del solito, non era raro che si esprimesse a monosillabi.
Alle volte, invece, voleva soltanto camminare affondando nella neve,
fino a quando il freddo non gli fosse entrato nelle ossa, come se
questo potesse alleggerire il peso nel suo cuore.
I
giorni passati, facendo una passeggiata notturna, vide i lupi
ululare alla luna piena: gli parve di sentire un pianto colmo di
disperazione in quei versi animali. Per un attimo, ripensando a poco
prima, invidiò quelle fiere belve feroci, perché
avevano trovato il
modo di gridare al cielo la loro sofferenza.
Lui
non poteva comportarsi a tal modo, il suo orgoglio glielo
impediva. Avrebbe resistito, stoicamente, non lasciando trapelare
nulla, cercando di andare avanti, come se nulla fosse accaduto.
Adesso più che mai. Era comunque la futura regina, lo
sarebbe diventata e ciò non poteva cambiare. Non sarebbe mai
mutato il fatto che era la sua regina, nel suo
cuore che tentava reprimere ogni emozione sbagliata.
Ciononostante
le parole di Rowan continuavano a risuonargli nella
mente e nell'animo: non posso... non sarò la tua
donna.
***
Loghain
era seduto, da solo, meditabondo. Il fuoco del camino
scoppiettava scaldandolo, mentre in lui vedeva nel crepitare delle
fiamme il volto di Rowan.
Il
suo desiderio era palpabile, incessante, se lo sentiva addosso
come una lingua di fuoco eterno, immortale. Ardeva, ma non lo
bruciava, lo logorava incessantemente, frustrandolo e quanto
più il
suo animo voleva resistere a quella voglia, a
quell'amore,
tanto maggiore era il dolore che quel sentimento gli dava ogni
giorno.
In
tre anni non aveva fatto altro che guardarla, ammirarla,
stimarla, rispettarla – dapprima come guerriero, è
il caso di
dirlo – e quando la vedeva non riusciva a smettere di
osservarla.
La guardava e la desiderava con tutto se stesso.
La
amava, non lo negava; era pazzo di lei, e ammettere il
contrario sarebbe stata una bugia che forse avrebbe affermato solo a
voce alta in caso qualcuno si fosse accorto di tutto, mentre il suo
cuore non avrebbe mai smesso di gridare a gran voce la
verità.
Non
smetteva di desiderarla, la voleva, sentiva quasi come una
necessità anche solo sfiorarle il viso, toccare la sua
pelle, per
poi lambire ogni parte del suo corpo, inebriandosi del profumo di
Rowan così fresco eppure così ardente,
come il suo essere testarda, che Loghain amava.
Voleva
carezzarle i capelli, giocare con i ricci di quella chioma
– indomabile come lei, si
diceva – e
baciare il suo
collo, assaggiandola, affamato.
Voleva
intrecciare le mani con quelle di lei, lasciarle per
carezzare la linea della sua schiena e la curva dei suoi fianchi con
minuzia, non perdendosi la benché minima sensazione.
Voleva
sentire i brividi della ragazza mentre le sfiorava le
natiche, mentre si perdeva a stuzzicarle il seno, mentre sprofondava
in lei, mentre lei lo accoglieva.
Immaginava
il respiro di Rowan caldo e invitante, così come i
suoi sospiri che non facevano altro che acuire il suo desiderio.
Immaginava
le labbra di lei che si facevano strada sul suo collo,
andando verso il suo collo, lasciandogli una scia di baci delicati e
umidi al contempo.
Immaginava
Rowan graffiargli la schiena, imprimendo dei segni
nella sua carne, glielo avrebbe lasciato fare, non desiderava altro.
Immaginava
i movimenti di Rowan contro di lui e i suoi e il calore
crescente della ragazza sotto il suo tocco, mentre la frenesia
cresceva e le dimostrava il suo amore baciandola, a lungo, ancora e
ancora.
Il
ragazzo scosse il capo e imprecò tra sé,
consapevole che
tutto questo non sarebbe mai accaduto.
Si
diede dello stupido, perché poche ore prima aveva pensato di
alleviare il suo tormento dicendole quanto l'amasse e nonostante
sapesse da sempre che la ragazza fosse promessa a Maric, aveva
comunque deciso di confessarle quanto sentiva, sperando che lei capisse.
Non
poté fare a meno di pensare che l'oscurità che
aveva avvolto
loro due prima, mentre le prese le mani tra le sue, adesso lo aveva
del tutto inghiottito, schiacciandogli l'anima.
L'asprezza
nel tono di voce di Rowan lo aveva ferito molto più delle
parole stesse, ma assieme furono più micidiali di una
stilettata ben
assestata da un assassino celato nell'ombra, pronto a colpire al
momento propizio.
E,
mentre le braci continuavano ad ardere, lasciava che il suo
cuore sanguinasse; nessun guaritore avrebbe potuto mai sapere
dell'esistenza di quello
squarcio pieno di dolore e curarlo.
***
Rowan
intanto era lì, sulla soglia del salone; non aveva
più
compiuto un passo dopo che si era resa conto che la sagoma dell'uomo
accanto al camino era quella di
Loghain.
Indossava
ancora l'abito di seta rossa e istintivamente si portò
le mani sulle spalle nude, lasciate scoperte dal vestito, come se quel
piccolo gesto potesse proteggerla da se stessa, dal
tumulto delle sue stesse emozioni.
Si
ritrovò a fissare un punto imprecisato del pavimento, mentre
i
suoi pensieri ritornarono a quello che le aveva detto il cacciatore...
e a
ciò che aveva visto in quella tenda. La luce che veniva
spenta non
le aveva lasciato alcun dubbio e anche quei sospiri giunti
successivamente non le
permisero altro se non di andare via, mentre schegge di ghiaccio
iniziarono
a stanziarsi per dimorare nel suo cuore, attanagliandoglielo.
Non
soltanto si era pentita di indossarlo e di essere andata da
Maric, ma si era soprattutto pentita di aver sperato di poter essere
una gradita ospite, pensando che, nonostante le varie risate in
gioventù riguardo quel matrimonio combinato, il principe si
fosse
accorto di lei e avesse iniziato ad amarla.
Esattamente
come era successo a lei.
Fece
per andare via, ma sentì lo stridore della panca che veniva
mossa: Loghain si era alzato. Probabilmente l'avrebbe anche chiamata.
«Rowan»
esordì,
confermando la supposizione della ragazza. Aveva imparato a
conoscerlo, dopotutto, e avrebbe dovuto rendersi conto che,
benché
laconico, a lei dedicava sempre più di una parola. Erano sempre le sue
parole
migliori.
Si
voltò, sebbene la tentazione di andare via e di fuggire nei
boschi
la tentasse nuovamente, pronta per sostenere lo sguardo di Loghain,
che in qualche modo gli apparteneva come un tratto distintivo.
Intanto
lui si mosse per andarle vicino, facendola inavvertitamente sentire
piccola e vulnerabile.
Appena
la vide il
ragazzo pensò che, per qualche ragione, era diventata
esattamente
come le altre persone che si lasciavano passivamente cullare
dall'inverno: se prima Rowan era per lui come un fresco venticello
autunnale che smuove un tripudio di foglie dai colori caldi, lo stesso che riusciva a spogliarlo mettendo a nudo la sua vera anima, adesso
non riusciva a capire perché si era lasciata contagiare da
quel
grigiore maledetto.
Era
bellissima, e triste, Loghain non poteva non notarlo, e si
sentì
inerme, oltre che inutile e stupido. Non sarebbe mai stato colui che
l'avrebbe fatta ridere, perché non era lui che Rowan aveva
scelto,
colui
che sarebbe stato capace di farla sorridere, di amarla, di
proteggerla.
Non
sapeva cosa dirle, ma con lo sguardo indugiò sulle sue
spalle
muscolose, apprezzando l'aderenza del vestito e come la avvolgeva.
Sì, era davvero bellissima e si ritrovò a
fissarla in volto.
Non
interrompeva quel contatto visivo, non fissava altro che gli
occhi di Rowan, che sembrano privi di quella luce che li animava.
Notò un leggero rossore, e il fiato corto di lei. Non c'era
che lei,
era solo lei che contava.
Alzò
la sua mano destra e con l'indice seguì la curva dello
zigomo della ragazza.
Le
sorrise, uno di quei rari e spontanei sorrisi a lei riservati,
e la guardò ancora.
Lei
ricambiò lo sguardo, ma Loghain sentì la sua
assenza.
Avrebbe
potuto farla indietreggiare fino a farla andare a ridosso
del muro, per poi baciarla, avrebbe potuto prenderla per le spalle,
travolgendola in un bacio passionale come aveva sognato per tanto
tempo, avrebbe potuto...
Ma
non fece nulla di tutto ciò.
Le
sorrise ancora – l'ultima volta,
si ritrovò a pensare – e andò via,
portando con sé un'onda di
sferzante gelo.
Gli
bastò guardarla per capire cosa
fare, come agire, dopo aver rapidamente pensato all'azione.
Non
ci sarebbero stati né pentimento
né rimpianto nella sua decisione.
Se
gli era occorso poco, in quei tre
anni, per innamorarsi di lei, non era detto che in altri tre anni
sarebbe riuscito a smettere di amarla.
Intanto
però, rendere ancora più
profonda una distanza che non sarebbe mai stata colmata gli era parsa
la scelta più saggia da intraprendere.
Ne
era sicuro, non l'avrebbe mai
dimenticata, ma era altrettanto sicuro di non volere su di
sé quelle
iridi spente.
Quelle
iridi sì ardenti di vivo amore, ma non
destinato a lui.
Nel cuore della notte, accompagnato
dal freddo che permeava nelle mura del castello, sentì per
un
attimo
il suo cuore gelarsi al pensiero di non rivederla mai più.
Preparò
comunque il fagotto per
partire. Sapeva che era la cosa giusta.