Kanon aveva appena
consegnato la daga nelle mani di Saga, e la sua espressione stupita era
ben leggibile nonostante il buio della notte. Appurando di cosa si
trattasse, anche gli altri Saint – fedeli e ribelli
– si lasciarono andare a silenziose esclamazioni di stupore.
«
Per-perché
mi stai dando questo?
»
« Saga. » pronuncia,
immobile e imperturbabile Saori. « Perché
tu prenda la mia vita, ovviamente. » replica,
avvicinandosi e prendendo le mani che tenevano stretta la daga
d’oro. « Avanti,
taglia la mia gola.
» ha un’aria così pacifica, mentre
pronuncia parole tanto crudeli. « Con
questo, la tua sofferenza finirà. » Saga sembra
così sconvolto, farfugliando parole che ormai non importano
a nessuno.
Il vento
soffia, il
tempo scorre, ma Saga proprio non sembra voler usare quella dannata
arma che ha tra le mani. Ed, effettivamente, nemmeno lei ne ha voglia.
Sì, insomma, Shaka le aveva mandato quei petali con le
scritte insanguinate, così di cattivo gusto – e
scritte proprio male, aveva proprio una pessima calligrafia –
e ciò implicava che doveva raggiungerlo.
Non voleva.
Non era mai
scesa
negli inferi, nessuna delle sue precedenti vite l’aveva
fatto. Perché lei invece doveva? Non poteva attendere che
Ade risalisse in superficie, come ha fatto tutte le altre volte?
Perché scomodarsi se ben presto sarebbe stato lo zio a
venire a bussare – non tanto educatamente – alla
porta del suo Santuario?
All’improvviso
l’idea di Shaka non le sembra tanto geniale.
Perché scomodarsi quando poteva semplicemente aspettare?
La daga che
punta alla
sua gola le sembra improvvisamente pericolosa, invece di essere un
semplice mezzo, e inizia davvero a preoccuparsi della propria
incolumità. Solo che non ha minimamente calcolato quanto il
suo corpo possa essere traditore, nell’attesa e
nell’impazienza.
Aveva
incrociato le
gambe, un qualcosa che raramente faceva, ma soprattutto quando si
annoiava. Solo che quella volta è sbagliata, mentre cerca di
indietreggiare nel tentativo di eludere il raggio d’azione di
quell’attrezzo dorato. Cadere all’indietro
è inevitabile, sbilanciandosi e stringendo convulsamente le
mani intorno alla daga nel tentativo di reggersi. Saga, ovviamente, ha
un’espressione talmente perplessa e inebetita che quasi
lascia la presa. La ripercussione è inevitabile, dato che
rimbalza prontamente nella sua gola senza che lei possa fare niente per
fermarlo.
Un mezzo
insulto le
muore in gola, nel sentire Saga urlare disperato il suo nome. Bel
lavoro, lasciare la presa, scommetteva che l’aveva fatto
apposta, pensava mentre cadeva pesantemente sul pavimento di pietra e
sentiva il sangue zampillare dalla ferita appena aperta, maledicendo
quasi la daga che dopo tredici anni a quanto pare era riuscita ad
adempiere al suo compito. Doveva essere un poco soddisfatta anche essa.
I suoi
Saint urlano,
piangono, si disperano. In verità, forse più per
la perdita del loro jolly in quel conflitto ormai millenario. La dea
Atena è morta, sì, ma di certo non in maniera
così eroica di come verrà tramandato nel futuro.
Ok, questa
è una cattiveria.
Ma
è una cattiveria che mi diverte, perciò eccola
qui ♥
La storia
nasce durante una chiacchierata con mughetto su questa
immagine,
e siccome io ero ancora sotto gli effluvi del mezzo bicchiere di vino
bevuto a pranzo, ho espresso la mia idea di come Saori possa essere
inciampata dato le gambe incrociate. Sì, insomma, niente
suicidio eroico, è successo perché lei (e
l'autore) sono imbranati.
Per il resto,
che dire?
Ah, buon nuovo trauma. Questo almeno
un poco più divertente~
|