Soltanto una volta, alla tenera età di otto anni, Eleonore Grimm, si azzardò a porre quella domanda.
Alla
richiesta della nipote, il vecchio Augustus Black rimase un attimo in
silenzio, sorpreso. Poi il suo volto riacquistò la solita
aria di imperturbabilità. "Sei una Grimm e una Black, Eleonore.
Non fare domande sconvenienti." Rispose in modo secco. "E alzati dal
pavimento, non sei una dannata elfa domestica!" Concluse, prima di
sparire in uno dei corridoi della villa.
Erano
passati anni dalla Seconda Guerra Magica, anni in cui anche i figli del
famoso Harry Potter avevano varcato le soglie della Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts. Tuttavia i pregiudizi basati sullo status di
sangue faticavano a scomparire. E quel giorno Eleonore Grimm ne aveva
avuto piena prova.
I
suoi nonni materni, Augustus e Kayla Black, volevano bene a lei e a
suo fratello non perchè figli della loro unica figlia, Talisia
Black, ma perchè figli di una delle ultime Black rimaste e di
Brian Grimm, discendente di Jacob Grimm, uno dei fratelli conosciuti
anche nel mondo babbano per le favole, ma in realtà appartenente
ad una delle famiglie purosangue più in vista del mondo magico.
Se
Talisia, spedita negli USA durante la Seconda Guerra Magica
(perchè troppo giovane per ricevere il marchio di Voldemort), si
fosse innamorata e sposata con un qualsiasi mezzosangue, sarebbe stata
ripudiata e cancellata dall'albero genealogico, nella perfetta
tradizione della famiglia Black.
Ma
era tornata a casa sposata e già in attesa di un figlio maschio,
UN GRIMM, perciò i genitori si limitarono a cancellare il
contratto di matrimonio stipulato con la famiglia Saint Claire e ad
accettare Brian e il futuro nipotino in casa.
Fu
questo episodio che fece temere Eleonore il giorno dello
smistamento. Quasi tutta la sua famiglia materna era finita in
Serpeverde, casa alla quale sentiva già di non appartenere.
Mentre buona parte di quella paterna aveva frequentato Durmstrang.
Avrebbero accettato anche una Corvonero in casa, ma di sicuro Tassorosso
e Grifondoro erano fuori discussione.
"Hai
una enorme intelligenza e sei molto leale e corretta, non usi il tuo
nome per ottenere qualcosa, perchè vuoi essere sicura di averla
davvero guadagnata. La casa giusta per te sarebbe Tassorosso." Le
sussurrò all'orecchio il cappello, mentre lei iniziava a
scuotere la testa disperata, alla sola idea. "Ma vedo anche che sei
terrorizzata da questo mio giudizio e, con le famiglie che ti ritrovi
alle spalle, capisco il perchè, mia piccola... CORVONERO!"
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Creature del buio, esseri della notte,
voi questo siete diventate:
a nutrirvi di sangue siete destinate.
Incatenati nelle tenebre, ripudiati dalla luce,
vivrete per il resto dei secoli nel modo più truce.
Respinti dalla vostra stirpe,
disdegnati dalla vostra specie,
panico e morte ovunque avete disseminato.
Ad una vita maledetta siete condannate,
nell’umanità voi più non rispecchiate.
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Agosto 2020, Luogo sconosciuto, mondo babbano, notte
“Ahahahah! Ma sul serio gliel’hai detto? Non ci credo!” La voce della ragazza riecheggiò nella notte.
“Te
lo posso assicurare… anzi: te lo giuro! Su quello che
vuoi!” Le rispose il ragazzo a tono, poggiandole un braccio sulle
spalle e trascinandola deciso sulle strisce pedonali.
Un’auto che stava arrivando nella loro direzione iniziò a rallentare per lasciarli passare.
“Uuuh!
Una nuova coppia si sta formando!” Riecheggiò da dietro la
voce di un terzo ragazzo, che correndo li raggiunse sulle strisce
insieme ad altri due della compagnia.
La
ragazza si voltò ridendo verso di loro, fermandosi in mezzo alla
strada. Tecnicamente la sua espressione doveva servire per incenerirli,
far loro paura, ma in realtà riuscì solo a ricreare una
risatina imbarazzata. In fondo il suo amico non aveva del tutto torto.
A lei l’altro ragazzo piaceva.
“Ma stai zitto!” Ribatté soltanto.
Una
clacsata li riportò tutti quanti alla realtà. Erano fermi
in mezzo alla strada e un autista sempre meno paziente stava facendo
loro segno di sgomberare il passaggio.
Sbuffando,
la ragazza finì l’attraversamento, seguita a ruota dagli
altri, che continuavano imperterriti con le loro battutine.
Dopo
pochi minuti avevano finalmente raggiunto il parcheggio dove avevano
lasciato le loro auto e avevano iniziato i soliti riti di saluto.
Il
loro ciarlare allegro si sollevava, espandendosi nella notte e
riempiendola. Nonostante le tante auto parcheggiate, erano gli unici
presenti dentro a quel parcheggio.
La ragazza si estraniò un attimo, alzando lo sguardo verso il cielo.
Quella
notte pesanti nubi che promettevano pioggia coprivano tutto il manto
del cielo, nessuna stella era visibile. Solo un debole raggio di luna
sfidava l’oscurità, facendo timidamente capolino da dietro
la distesa di nuvole.
Non ne capì il motivo, ma un brivido le corse lungo la schiena.
“Terra chiama Ellen! Bella addormentata sveglia!” La raggiunse di colpo la voce di Aaron.
La
ragazza scosse la testa, ricordandosi improvvisamente dove si trovava.
Alla fine, era stata felice di aver trovato quei ragazzi, che
nonostante tutto l’avevano accettata benevolmente nel loro
gruppo. Aveva spesso la tendenza a distrarsi, a rifugiarsi nel suo
mondo e per questo era stata additata più volte come
“stramba”.
“Sì? Cosa c’è?” Chiese alla fine cercando di prestare attenzione al ragazzo.
Quegli strani brividi che continuavano a correrle lungo la spina dorsale però non l’avevano ancora lasciata.
“Ti
ho chiesto…” ripetè paziente Aaron “se vuoi
che ti porti io a casa oppure se vuoi che sia Joe. Siamo entrambi in
strada, a noi non cambia.”
“Per
me è uguale, decidete voi. Non cambia neanche a me.” In
realtà le cambiava eccome, sapeva benissimo chi avrebbe voluto
che la riaccompagnasse a casa, ma non l’avrebbe ammesso neanche
sotto tortura.
“Ok,
Joe tu riporta Aubrey e Karen. Io porto Ellen, Justin e Cory. Justin
davanti che scende per primo, gli altri dietro.” Decise
velocemente Aaron, estraendo le chiavi della macchina come se fossero
un’arma e puntandole poi contro l’auto stessa.
“Apriti sesamo!” Urlò in maniera teatrale. I
lampeggianti partirono di colpo, illuminando per pochi secondi a giorno
l’intero parcheggio.
“Ma quanto sei cretino?” Borbottò Karen dirigendosi verso la portiera della macchina.
“E
devi vedere cosa combina a lezione!” Le diede manforte Justin,
precipitandosi a sua volta verso l’automobile. Lui e Aaron
studiavano nella stessa facoltà.
Ellen invece arrivò con più calma.
Prima
di salire gettò un’altra occhiata al cielo. Una nuvola si
era completamente spostata, lasciando totalmente scoperta la luna. Era
piena.
“Dai
Ellen! Domani sera andiamo in quel pub che ti piace tanto così
accontentiamo un po’ anche te! Buonanotte!” Erano rimasti
solo lei ed Aaron nella macchina. Tutti gli altri erano già
scesi, augurando a turno la buonanotte e venendo poi inghiottiti dal
buio.
Ellen
annuì distrattamente, mentre era con la testa quasi
completamente dentro alla borsa. Era talmente grande che poteva
metterci dentro di tutto, ma proprio perché ci stava ogni cosa,
non riusciva mai a trovarci nulla. E in quel momento non riusciva a
trovare le chiavi. Non riusciva mai a trovarle, le chiavi!
Poi
era nervosa, quella strana sensazione, quel brivido che le aveva
attraversato la spina dorsale nel parcheggio era ancora lì. E la
presenza di Aaron non aiutava per nulla.
“Ellen?
Ci sei?” Le chiese Aaron tirando il freno a mano, attivando le
quattro frecce e accendendo la luce. Aveva come l’impressione che
sarebbero rimasti lì ancora un pezzo.
“Sì,
non riesco solo a trovare le chiavi.” Rispose lei, cercando di
mantenere un tono di voce fermo. In realtà il panico la stava
completamente assalendo. E non capiva neanche il perché.
Cioè, fosse stata semplice agitazione perché si trovava
da sola con Aaron, avrebbe anche potuto capire, quella non era di certo
la sua prima cotta.
Il
problema era quella strana sensazione che non la abbandonava dal
parcheggio. Come se qualcosa la stesse soffocando, come se una grande
catastrofe si stesse per abbattere su di lei.
Finalmente
riuscì a trovare le chiavi e con un sospiro di sollievo scese
dall’auto. Aaron rimase a guardarla finchè lei non
sparì dietro ad un cespuglio, poi se ne ritornò sulla
strada sgommando.
Ellen
si strinse nella giacca, mentre una folata di vento più forte,
più gelida e più tagliente delle altre la
attraversò. Ancora pochi passi e poi avrebbe potuto aprire il
portone di casa e rifugiarsi al suo interno, al caldo e al sicuro. Era
quasi certa che sua madre la stesse aspettando ancora sveglia.
Qualcosa
di simile ad un lamento però la bloccò. Era un verso
strano, quasi animalesco, sofferente. La ragazza gettò
un’occhiata preoccupata al vicolo in cui si trovava, ma per
quanto avesse aguzzato la vista, non riuscì a scorgere nulla di
strano nel buio della stradina familiare che la circondava.
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Basta così Ellen – pensò tra se e sé –
hai visto solo troppi film dell’orrore e sei facilmente
suggestionabile. –
E allora perché aveva all’improvviso affrettato il passo?
Le ombre attorno a lei avevano iniziato a moltiplicarsi.
– Smettila di dire sciocchezze. È notte. –
Perché il suo istinto le diceva di mettersi a correre se voleva avere salva la vita?
Ma lei non ci riusciva a correre. Era paralizzata. Era completamente paralizzata.
Se veramente la sera successiva voleva andare in quel pub che le piaceva tanto?
Le ombre… le ombre avevano circondato ogni cosa. Ogni cosa. Neanche la luce del lampione riusciva più a vedere.
Avevano circondato ogni cosa, avevano circondato lei.
– Andiamo Ellen! Sarà saltata la corrente come al solito! –
Se voleva rivedere Aaron la sera successiva?
Corri Ellen, corri!
Non andrai mai in quel pub. Aaron non lo rivedrai più. E neanche la tua famiglia.
Sono
bestie che si nutrono di sangue. Ma prima di farlo si nutrono di altro.
Si nutrono delle tue paure. La tua mente per loro è un
banchetto. Si nutrono delle tue paure, perché prima ti tolgono
tutto, anche la speranza. La speranza di sopravvivere. E ti fanno
impazzire. Alla fine sei tu a pregare loro di nutrirsi del tuo sangue.
Solo per farla finita.
E una madre sempre più preoccupata passerà la notte insonne, girando e rigirando per la stanza.
– Sarà rimasta a dormire da un’amica scordandosi di avvisare? –
Proverà
a chiamarla sul cellulare, sentendolo squillare inutilmente a vuoto.
Contatterà gli amici che non risponderanno, sprofondati nel loro
mondo di sogni sereni, totalmente ignari di come la vita della loro
amica sia stata spezzata in un attimo.
No, la cerchi nel posto sbagliato.
Il suo cadavere completamente esangue si trova a pochi passi dalla casa.
Quella stessa casa dove tutti si sentono al sicuro finchè l’orrore non colpisce.
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1 Settembre 2020 ore 19.30, Londra, Ministero della Magia, Dipartimento Auror, Ufficio del capo Auror Harry Potter
Harry Potter fece un salto sulla sedia.
Stava
radunando le sue cose per tornare a casa dalla moglie Ginny, quando il
primo Ministro della Magia era entrato come una furia nel suo ufficio,
urlando come un pazzo.
Anche
andando indietro con la memoria al tempo della guerra contro Voldemort,
Harry non aveva mai visto Kingsley così fuori di sè.
Anzi, era sempre stata una persona alquanto pacata, pronto a dispensare
pillole di saggezza a tutti.
Ma più Harry lo ascoltava, più gli veniva voglia di urlare a sua volta.
"Come
sarebbe a dire che l'Espresso per Hogwarts è stato attaccato?"
Si limitò a chiedere con un filo di voce, buttandosi a peso
morto sulla poltrona e prendendosi la testa tra le mani. Non poteva
lasciarsi prendere dal panico. Non poteva. Non poteva e non doveva.
Ma
aveva lasciato due dei suoi figli su quel treno proprio quella mattina,
convinto che fossero al sicuro e che si stessero recando solo a Scuola.
Non che sarebbero stati attaccati appena svoltata la curva.
Non
ricordava neanche di averlo fatto, ma di punto in bianco si
ritrovò davanti al camino, con il fuoco acceso e un pugno di
polvere volante in mano, sordo ai richiami di Kingsley.
"Ci sono i miei figli su quel treno!"
Non
ascoltò il suo discorso sul fatto che ormai il danno era fatto,
che il treno era già arrivato ad Hogsmeade, che gli studenti
erano già al Castello. Che tanto valeva formare una squadra
Auror e solo dopo recarsi alla Scuola e indagare.
Non ascoltò nulla di tutto quello: il suo istinto di padre aveva ormai preso il sopravvento.
L'unica
cosa che gli interessava era irrompere a scuola e assicurarsi che sua
figlia Lily e suo figlio Albus stessero bene e fossero al sicuro.
"Hogwarts. Ufficio della Preside McGrannit."
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Animale, descrizione e nome (nessun animale che non sia previsto per Hogwarts: solo gufi, rospi o gatti):