–
Il suo nome è Oscar,
ed è mio figlio!
Il Generale
ripeté queste parole alla moglie, quando, con il
fagotto di Oscar tra le braccia, entrò a vederla.
Nella stanza
rischiarata dalle candele, il viso di
Marguerite apparve tra le coperte sontuose, sudato e stravolto: era
molto
freddo, tuoni lontani annunciavano la tempesta, e il parto era stato
lungo e
difficile. Ma un debole sorriso illuminò la sua bocca,
quando la dama si
accorse che il marito le era accanto, e la guardava coi suoi occhi
azzurri e
penetranti.
–
È… un maschio, allora… –
sussurrò la donna, muovendo
appena lo sguardo sulla copertina di lana che ricopriva
l’erede dei Jarjayes. –
Finalmente… non ti ho deluso.
Il Generale, in
piedi al fianco del letto, osservò la moglie
tendere debolmente le braccia. Le donò Oscar, lasciando che
lei accomodasse la
creatura sul proprio petto.
–
Com’è biondo… e quanti capelli
ha… – sorrise Marguerite,
annusando con delizia il profumo di bimbo che emanava dal fagotto.
Marguerite aveva
perso conoscenza, un attimo dopo lo sforzo
maggiore. Era stata capace solo di sentire il pianto del piccolo, e poi
aveva
chiuso gli occhi un istante, due istanti; subito qualcuno si era preso
cura di
lei, mentre Marie e Justine, la sua cameriera personale, avevano
pensato al…
bambino.
Proprio Marie
comparve alle spalle del Generale. Sembrava
profondamente a disagio. I suoi occhi si muovevano dal Generale a
Marguerite,
finendo poi sul fagottino, con ansia.
–
È un bambino forte e sano. – disse il Generale
alla
moglie, con tono compiaciuto.
Marie si morse le
labbra, al colmo della contrarietà. Uno
sguardo del Generale, violento come una staffilata,
l’atterrì. Marguerite
cullava ancora il fagottino, apparentemente ignara di tutto.
– Madame
Grandier. – chiamò il Generale, i denti stretti in
un ghigno poco rassicurante. – Fate le vostre obiezioni, se
ne avete.
–
Signore… – si fece coraggio Marie –
… la natura non si può
piegare…
Marguerite
alzò lo sguardo sul Generale e sulla governante.
Oscar, dal petto di lei, iniziò a emettere teneri vagiti.
Agitava le piccole
mani a scatti, ascoltava i suoni e le voci, senza localizzarli.
Assorta, la
creatura aveva calmato il suo pianto, e respirava sommessa
l’odore della madre,
tastandole la pelle del collo con manine maldestre.
–
Marie… cosa intendete dire? – la voce di
Marguerite tremò
nell’aria, controcanto del timbro profondo e forte del
Generale.
– Avanti,
Madame Grandier. Che sia l’ultima volta che ve lo
sento dire. – concesse e minacciò lui. Marie,
chiamata in causa, si riscosse e
accennò:
–
Madame… questa… questa è una bambina.
Marguerite attese un
secondo. La notizia l’addolorò poco a
poco, come un veleno che addormenti, piano piano, la gioia.
Anziché sciogliere
le fasce che le impedivano di vedere coi propri occhi, Marguerite
guardò il
marito, chiedendo conferma nell’espressione del viso di lui.
Ma François
Augustin Reynier de Jarjayes parlò con toni solenni, con il
piglio profetico e
tetro di un prete alla messa del Venerdì Santo, non di
Natale.
–
L’educazione permetterà quello che la natura non
concede.
Marie gemette.
Marguerite
osservò, allora, il viso di Oscar. Le parve
bellissimo, coronato da quei capelli già così
lunghi, come un’aureola; e le
venne da pensare che quell’ultima sua creatura fosse nata
allo scoccare della
mezzanotte, come un piccolo Messia d’altri tempi, speciale
per la puntualità
della luce che portava nel mondo.
– Signor
Generale… vi prego… pensate a quando
sarà grande…
quando sarà nell’età di potersi
sposare, come…
– Uscite,
Madame Grandier. – ordinò il Generale, con tono
perentorio. Marie strinse i pugni, ma si arrese.
La Governante
chinò il capo a Marguerite, e fece come per
prendere il fagotto.
– No.
Oscar rimane con noi. – le intimò il Generale.
Marie
uscì, allora, con passo svelto, il cuore greve.
Le si pararono di
fronte le contessine, tutte e quattro,
dalla maggiore alla minore. Tutte loro avevano visto il padre rinnegare
la
quinta figlia e presentare al cielo un figlio inesistente.
Hortense
aveva gli
occhi lucidi per questo. – “Che me ne
faccio di un’altra femmina”, ha detto –
sussurrò tra i denti la ragazzina,
ferita. Marie Anne, la secondogenita, le teneva la mano, e con
espressione
seria osservava la porta da cui era sparito il padre con il loro
fratello-sorella. Poi c’era Clotilde, che la sfuriata del
padre aveva finito
per spaventare, e che piangeva lacrimoni silenziosi, tirando su col
naso.
Catherine, la più piccola e vivace, andò ad
attaccarsi alla gonna di Marie,
chiedendo: – Ma è una sorellina o un fratellino?
– Non lo
so, piccola cara, non lo so… – si sentì
dire Marie,
confusa da tutto, addolorata per tutto. L’orologio
batté l’una. – Ma ora…
andate a dormire. Siete state giudiziose e affettuose ad aspettare
finora, ma è
tardi…
– Vogliamo
vedere la mamma. – disse Hortense, prendendo ad
accarezzare il capo di Clotilde, inconsolabile. – Vogliamo
sapere se sta bene…
– Sta
bene, bambina cara… – mormorò Marie,
prendendo per
mano la piccola Catherine. – Ora sta riposando. Domattina
potrete vederla e
parlarle.
–
François… nemmeno stavolta, dunque…
– gemette Marguerite,
stringendosi al petto Oscar con rinnovata tristezza.
Il Generale scosse
il capo. Le strinse le spalle, chinandosi
su di lei con sollecitudine, seduto a bordo letto.
–
Riposati. È tutto finito.
– Se io
fossi più giovane… e se solo fossi più
forte…
proverei a darti un altro figlio…
–
Marguerite. Mi hai dato cinque figli. Hai compiuto
egregiamente il tuo dovere.
– Lo dici
per consolarmi… sei buono, ma…
– No. Lo
dico perché è vero. E sono fiero di mia moglie,
ogni volta che guardo le altre dame. Sei una perla tra le
donne… e finalmente…
mi hai dato un erede.
Marguerite chiuse
gli occhi, ispirò profondamente e
contemplò di nuovo il marito, il cui piglio sicuro la
incoraggiò. – Credi
davvero che… Oscar… potrà…
–
L’addestrerò personalmente. Seguirò la
sua educazione,
perché è il figlio che ho sempre sognato di
avere. Lo educherò ai valori in cui
credo. Sarà un magnifico soldato, capace perfino di mettere
in difficoltà gli
altri uomini. Io ne sono certo, Marguerite.
– Ma
se… la sua natura le impedisse davvero tutto questo?
È…
una scommessa rischiosa, caro.
François
raddrizzò la schiena, posò le mani sulle
ginocchia,
in posa severa.
–
… se dovessi fallire… Oscar tornerà a
essere ciò che la
natura ha deciso. Ma questa è la mia ultima
possibilità. Non metterò più a
rischio la tua vita con un’altra gravidanza… e non
desidero un figlio che non
sia sangue del mio sangue, o che altri abbiano già educato
al mio posto.
Plasmerò questo erede a mia immagine. Guardalo…
– François chinò lo sguardo a
Oscar, e sorrise soddisfatto. – Com’è
bello, com’è pieno di energia. Ha una
voce così imperiosa… ce la farà,
Marguerite. Mi riempirà d’orgoglio.
Marguerite attese un
istante. Valutò ogni parola del marito,
schiarì i pensieri e sentì d’essere
spossata. Si arrese facilmente. – Che il
Signore ci protegga, dunque. D’altronde, nascere
oggi… è un segno anche questo...
– Riposa,
adesso. Te lo sei meritato, amore mio.
François
vegliò sulla moglie finché non si
addormentò. Oscar
rimase vigile, invece, con gli occhi blu che, sul viso paffuto,
parevano enormi
e fissavano il Generale intensamente, come se lo riconoscesse.
– Dicano
quello che vogliono. Tu sei mio figlio. – mormorò
François di fronte a quello sguardo.
Oscar fece il suo
primo, vero sorriso, increspando le
minuscole labbra all’insù. Un suono piccino e
acuto fu la sua risposta.
François
si trovò a sorriderle. La benedisse in cuor suo. Egli
detestava le sconfitte. Per un uomo come lui, barattare una sconfitta
con una nuova
sfida era già una vittoria; un modo coraggioso di stare al
mondo
e piegarlo alla
propria volontà.
Marie
portò le contessine a dormire, una per una. Le
affidò
alle altre cameriere, e in quella lunga notte tornò a
vegliare la porta della
camera della padrona, attendendo di essere di nuovo richiamata dentro.
Cercò di
immaginare cosa il Generale stesse discutendo con Madame.
Certo lei si sarebbe opposta. Quale donna di senno avrebbe fatto il
contrario? Quell’idea
di considerare la piccola un maschio era folle! E per tanti motivi. Per
cominciare, avrebbero dovuto mentire a tutti. E sul registro di
battesimo
cos’avrebbero scritto, che era un maschio? Ma a mentire su
cose simili si
rischia l’anima! No, il Generale avrebbe certamente dovuto
registrarla come
femmina, com’era giusto; ma allora cosa sarebbe cambiato? I
Jarjayes erano
nell’esercito da generazioni. Lui voleva dunque trasformare
una bambina in un
soldato? Povera bambina! Povera piccina! Come poteva chiederle
l’impossibile?
Con che diritto voleva cambiare ciò che Dio aveva deciso?
Gli uomini sono fatti
per la guerra e la politica, le donne per la casa, il matrimonio e i
bambini! Se
si nasce diversi vuol dire anche essere diversi! Questo avrebbe dovuto
gridarglielo in faccia, al padrone! E invece aveva avuto paura di lui,
e non
aveva saputo dare una voce coerente alla propria protesta.
In quel mentre, la
porta della camera di Marguerite si aprì.
Il Generale ne
uscì un istante dopo. Il suo passo era
tranquillo, il suo viso sereno e assorto.
–
Signore…
– Ah,
eccovi. Madame si è addormentata. Assistetela e prendetevi
cura di mio figlio.
Marie seppe in quel
momento che la decisione era stata
presa; irrevocabile, come tutte le decisioni dettate dalla passione e
dall’orgoglio.
“Ma non
può finire così”, tornò a
pensare Marie con istinti
battaglieri, mentre andava da Marguerite. “Questa sua stramba
idea gli si
ritorcerà contro, anche se ancora non lo sa! Voglio proprio
vedere la
contessina Oscar quando
impugnerà una
spada… sarà un totale disastro! Le femmine in
casa, gli uomini alla guerra,
così va il mondo! Le femmine non combattono! Ah, se ne
accorgerà, il Generale!
E quel giorno gli dirò: io vi avevo avvertito, caro
Signore!”.
Il giorno dopo,
Marguerite era ancora molto debole a causa
del parto. Marie l’assistette personalmente, incerta se
parlarle a cuore aperto
oppure aspettare. Madame Jarjayes, tuttavia, non sembrava avere pesi
sul cuore.
A Marie parve, sì, un poco più pensierosa, e
spesso il suo viso diafano restava
assorto a contemplare Oscar, che nemmeno a dirlo appariva bella come un
angelo
del Paradiso, o come un Bambinello; ma non c’era alcuna
traccia di rimorso, in
Marguerite. Forse si poteva anche capire: dopo anni e anni di tentativi
infruttuosi, l’idea di avere finalmente dato un erede al
marito doveva appagare
il cuore fragile di Madame. “Anche questa è una
follia bella e buona,
pretendere una cosa simile e fargliene una colpa, povera
padrona!”, protestò
Marie nella sua mente, talmente forte che si girò a
osservare la signora,
nemmeno temesse d’essere stata udita.
Una
mezz’ora dopo, bussarono.
–
Perdonatemi, Madame Jarjayes, – disse Justine, entrando
–
c’è una persona per Madame Marie…
– Una
persona? – fece Marie, aggrottando la fronte. –
Dille
che sono occupata.
–
Ma… ha detto di dovervi solo consegnare una cosa…
–
insistette Justine, e questo era raro, considerata l’ottima
disciplina di tutti
i servi di casa Jarjayes.
– E
allora? Che la lasci a Monsieur Jean, la prenderò
più
tardi…
–
… è una donna, si chiama Michelle.
C’è un bambino, con
lei. – aggiunse la cameriera, e Marie si fermò.
Per un attimo, la tristezza la
vinse, improvvisa e impietosa. Marie guardò Justine, e
l’altra le sorrise,
consapevole.
Marguerite, che
aveva seguito quelle parole, s’informò subito.
– Di chi si tratta, Marie? Lo sapete?
–
… è… mia nuora, Madame. Con suo
figlio…
Marie tacque, e
così Marguerite e Justine. Un non detto
triste e doloroso lasciò la sua impronta sulle tre donne.
Solo Oscar si fece
sentire dal suo giaciglio sontuoso, con un piccolo vagito frutto di
discorsi
solitari e sogni a occhi aperti.
–
Marie… – riprese Marguerite, con dolcezza.
– Andate da
lei. Qui mi può aiutare Justine.
–
Ma… le visite, Madame… oggi è Natale,
e per il pranzo…
Marguerite scosse
serenamente il capo.
– Non
preoccupatevi, Marie. Siete libera, questa mattina.
Marie
chinò il capo e si allontanò con deferenza. Ma
mentre
scendeva le scale, il cuore le tremò, e cercò di
prepararsi al meglio a quella
visita inaspettata, tanto gradita quanto era dolorosa, in un modo
inspiegabile.
Michelle aspettava
nelle cucine, dove l’avevano portata
prima di annunciarla a Marie. Portava in braccio un bimbo dai capelli
castani
che si guardava intorno, gli occhioni verdi e attenti a quanti
più dettagli
possibile: il viavai di camerieri e cuochi doveva sembrargli parecchio
curioso,
così il piccolo muoveva il capino rapidamente, cambiando
spesso obiettivo.
Michelle lo guardava con malinconia, senza dirgli nulla.
Marie
entrò. Vide la nuora di schiena, i lunghi capelli
castani che tanto somigliavano a quelli del piccolo che le cingeva le
spalle
con un braccino. A quella vista, gli occhi le si annebbiarono, li
asciugò
immediatamente. Avanzò verso la donna, la chiamò
dolcemente.
–
Michelle… sono qui.
– Oh.
Mamma… – disse subito Michelle, voltandosi con un
sorriso triste, ormai consueto sul bel viso di lei. Si chinò
per dare e
ricevere un bacio, con il bimbo che le rimaneva aggrappato e osservava
curioso anche
la nuova arrivata.
– Come
stai, cara? Oh… e chi è questo bellissimo
giovanotto?
Vieni dalla Nonna, tesoro!
– Saluta
la Nonna, André. – sussurrò Michelle,
affidando il
piccolo all’abbraccio di Marie.
– Non mi
dici niente? Eh? Ti piace questo posto? – chiese
Marie al piccolo che, per quanto perplesso, si era lasciato accogliere
da
un'altra presa. André ridacchiò timidamente e
deviò lo sguardo, andando a
osservare una torta sul ripiano vicino a loro, che una cameriera stava
decorando con fette di mela e cannella.
– Non
parla ancora? – chiese Marie, sorridendo con il favore
tipico che si riserva ai cuccioli, belli e teneri per definizione.
– Parla,
sì. Ma credo sia un po’ intimidito… sta
vedendo
troppe persone. Vero, André? – mormorò
Michelle, e il bambino per un attimo
cercò lo sguardo della madre, con gli occhi sgranati. Le
sorrise e si portò il
pollice alla bocca, tornando a guardarsi intorno.
– Vieni,
Michelle… andiamo nella mia camera. – disse Marie,
portando con sé il bambino in braccio. Michelle si
chinò per raccogliere un
cesto, e la seguì.
Quel cesto fu la
prima cosa che la donna consegnò a Marie,
appena furono sole.
– Buon
Natale, mamma. – disse, e Marie mise giù
André con triste
stupore.
– Non
dovevi, cara...
Le due donne si
abbracciarono. Poi Marie le indicò un
tavolino con due sedie, in un angolo della camera in cui si trovavano
anche un
armadio, uno specchio, una toletta e un lettino.
– Ho
ricevuto il tuo regalo, mamma. Nemmeno tu dovevi.
– Oh,
tesoro. Finché posso, voglio che non vi manchi niente.
– Ma sono
troppi soldi.
– Mi
pagano bene. Il padrone è un buon uomo…
– una punta di
fastidio, al ricordo della notte appena trascorsa. –
… tutto sommato.
–
André. Fai il bravo. – ammonì Michelle,
distraendosi un
attimo. Il bambino stava trotterellando verso la toletta, e in quel
momento
cercava di arrampicarsi sullo sgabello che gli avrebbe fatto guadagnare
i suoi
oggetti invitanti: spazzole, contenitore per il talco, il grande
specchio
rettangolare…
– Lascialo
fare, cara. – intervenne Marie. – Non
c’è niente
che possa rompere. E poi sembra un bambino molto tranquillo.
Michelle
annuì. – Lo è.
Marie la
osservò. In ogni movimento della donna era impressa
una profonda malinconia, simile agli intarsi pregiati che un orafo
lascia su
una superficie d’oro. Era una donna bella e semplice, ma il
dolore aveva
rifinito ogni sua espressione come una mano d’artista. Marie
le prese entrambe
le mani nelle sue: mani affusolate, dalle unghie lunghe e belle, mentre
quelle
di Marie erano paffute e tozze, d’eterna bambina.
– Ti
somiglia molto. – sussurrò Marie con dolcezza.
Michelle
esitò, e gli occhi le si fecero lucidi. – Lo
so… e
ne sono felice. Se non mi somigliasse tanto… somiglierebbe
di più a lui. Ma anche
così… ogni giorno, ogni
momento in cui guardo nostro figlio… provo un dolore
che…
Marie era pronta.
Sapeva che avrebbero parlato di lui.
Nondimeno, dietro gli occhiali
sentì pizzicare lacrime insidiose. Michelle si
coprì il viso con le mani,
cedette. Marie fu rapida, l’avvolse in un abbraccio forte e
sollecito, e lasciò
che tutto quanto, acqua, sale, inconsolabile lutto, scivolasse via
dagli occhi
verdi di Michelle.
– Devi
essere forte. – disse, ma suo malgrado si trovò a
singhiozzare. – Fabrice... è sempre con
noi… lui ha posto la sua benedizione su
di te e André… io lo so… lo
so…
– Mamma,
perdonami… dopo più di un anno… io
piango ancora mio
marito, ma tu… anche per te è
difficile… era tuo figlio…
– Non
pensarci. Pensa ad André… cosa gli fai vedere, la
sua
mamma che piange? – Marie sorrise, pur nel dolore. E si volse
a cercare, con lo
sguardo, il piccolo nipote, che aveva sì gli occhi dolci
della madre e i suoi
capelli e la sua bocca, ma ricordava, purtroppo, anche Fabrice. Era
possibile
intuirlo anche solo dal suo modo di guardare, timido e posato, che
pareva pieno
di consapevolezza: così era stato suo padre.
Ma il piccolo non
c’era più. Marie scattò subito a
guardare
la porta: era aperta, con uno spiraglio abbastanza largo
perché vi passasse un
bambino curioso e disinibito.
Marguerite sedeva
sul letto. Cullava Oscar tra le braccia,
cantandole la ninna-nanna che era stata per tutte le sue figlie.
Rifletteva sul
destino di quella figlia speciale, e sorrideva tra sé e
sé.
Una bambina tra gli
uomini. Una bambina a dimostrare
costantemente quanto sia assurdo designare a priori i ruoli, imporre
una vita
alle donne e un’altra agli uomini. Una donna che avrebbe
compiuto cose diverse
da quelle delle altre donne…
Perdonami,
Signore, se
non mi oppongo a tutto questo. Perdonami, se accetto così
facilmente che il suo
destino sia straordinario e difficile. Proteggi Oscar e rendila nobile
e forte
più di qualunque altra donna che esista…
In quel momento,
Marguerite sentì un suono di piccoli passi. Era entrato
qualcuno, qualcuno d’imprevisto. Un bimbo, immobile al centro
della stanza,
stava fissando lei e Oscar.
Per un attimo,
Marguerite sentì addosso lo sguardo del
bambino. Ebbe la sensazione che in quegli occhi verdi risuonasse una
forma di
accusa, o peggio, il pronostico di un giudizio futuro: tale
è il potere d’uno
sguardo innocente, così libero e vibrante da caricarsi di
ogni nostra temuta
condanna.
Ma poi,
André chinò il capo con un sorriso timido, e
tornò
bimbo. Marguerite lo accolse con dolcezza.
– E tu...
chi
sei?
André
esitò. Osservava soprattutto Oscar: ne sembrava
rapito, e Marguerite sospettò che solo la sua presenza
adulta gli impedisse di
dar sfogo alla curiosità, e avvicinarsi.
– Vieni
pure avanti. Non aver paura.
André
fece qualche passo avanti, a zig zag e non diritto,
come se procedendo a gambero potesse eludere eventuali pericoli.
Costeggiò il
letto, vi si appoggiò; e finalmente fu al cospetto di
Marguerite e della
piccola creatura di cui, annegata di coperte e fasce, si scorgeva
appena il
visetto, le manine minuscole e qualche ciuffo biondo.
Marguerite
osservò Oscar, prima di mostrarla ad André. La
bambina aveva gli occhi aperti, sgranati. Il cambio di voce della mamma
l’aveva
strappata al sonno.
André era
stupito, teneva la boccuccia aperta, e non parlava
ancora. Oscar strizzò gli occhi e agitò i pugni
piccini.
– Si
chiama Oscar. – disse Marguerite, ridendo per quei
gesti maldestri e leggeri, a loro modo impetuosi come la corsa di una
piuma al
vento.
– André! – gridò Marie,
appena varcò la soglia e scovò
il bimbo presso il letto di Madame.
Il bimbo,
richiamato, finse di non sentire. Restò ad
osservare serenamente Oscar, tanto che Madame Marguerite intercedette
subito
per lui.
–
È vostro nipote, vero? Non preoccupatevi, Madame Marie.
È
un bimbo molto buono. Quanti anni ha?
– Un
anno… e mezzo, circa.
–
Oh… ed è già così grande.
–
André, saluta Madame. Torniamo dalla mamma.
Marguerite sorrise.
André le fece un piccolo sorriso di
rimando, poi si nascose addosso alla gonna della Nonna, sbirciando con
un
occhio solo da quel riparo. Marie lo strinse alle ginocchia, chinandosi
un poco
e accarezzandogli il capino riccioluto.
–
Scusatelo, Madame. È molto timido, non è nemmeno
vestito
in modo adatto… lo porto subito via. Andiamo…
– e prese il braccino del
piccolo, assicurandosi la presa sulla sua manina.
–
Arrivederci, André. – disse Marguerite, e Oscar,
in
braccio a lei, si muoveva ancora a scatti, con minuscoli vagiti che
assomigliavano a risate. André continuò ad
ascoltarla e guardarla, anche mentre
Marie lo portava via.
–Arrivederci,
Oscar! – disse il piccolo, con vocina sottile.
Marie, al saluto del
nipote, lo guardò sorpresa. Il piccolo
venne via guardandosi sempre dietro, e rideva solo con le labbra,
senza far
suono.
Il Generale Jarjayes
venne loro incontro dal corridoio,
diretto alla camera della moglie. Marie arrossì
violentemente: aveva creduto
che il padrone non tornasse da Versailles fino all’ora di
pranzo, invece era
rincasato prima, e procedeva col suo passo rapido e agile sul pavimento
di
marmo, i tacchi che rintoccavano come il ritmo di una parata.
– Signore.
– si inchinò subito, e si tenne stretto
André.
– Marie.
Che cosa significa?
–
Perdonatemi… è mio nipote. Mia nuora è
venuta in visita… lo
riporto subito di sotto.
Il Generale non
replicò. Indugiò piuttosto sul bambino,
soppesandolo con i suoi occhi severi. André non rideva
più: serio, con la
boccuccia aperta, sostenne lo sguardo dell’uomo adulto, il
visetto tutto
rivolto in su, perché il Generale era altissimo per lui.
André non
avrebbe ricordato nulla di quel giorno di Natale
del 1755, tantomeno Oscar.
L’avrebbero
fatto François e Marguerite. Cinque anni più
tardi, Michelle disse addio alla vita a causa di una malattia simile
a quella
del marito Fabrice. Nonna Marie, con un nuovo peso nel cuore, chiese il
permesso di occuparsi lei stessa del nipote, crescendolo come fosse un
figlio.
Il Generale glielo accordò, a una condizione…
… il
resto è una storia che conosciamo.
(disegno
realizzato dalla fantastica mangaka giapponese Kodemari)
______________
Note.
- Per la rassegna
“Christmas Carol”
indetta dalla premiata
ditta Orny&co., il mio contributo natalizio! Buon Natale (e
dunque buon compleanno) alla nostra Oscar! Per chi volesse, dedico a questa rassegna anche il capitolo 41 della mia long Rivoluzione, dal titolo, appunto, "Natale 1789. Il cuore, un bambino", pensato in tempi non sospetti!
- Il titolo di questa OS, come probabilmente molti avranno intuito, è ispirato da un film di Tim Burton, con Amy Adams e Christoph Waltz, sulla storia di Margaret Keane, pittrice che negli Anni Sessanta dipinse quadri di bambini con occhi enormi - questo dettaglio è incredibilmente parallelo allo stile dei manga e anime che amiamo, e mi è sembrato calzasse a puntino.
Un abbraccio forte
e
fortissimo e superfortissimo alle mie donnine, sempre nel mio cuore, e
a
chiunque si trovi a passare da queste parti in questi giorni di festa.
Tanta
serenità a tutti voi! Con affetto, vostra VF.
(l'immagine
mi è stata passata da mamma Orny81)
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