Fuori
dalla finestra il paesaggio era completamente coperto da un manto
immacolato che lasciava trasparire qua e là punte nerastre
di alberi ormai assopiti, i camini delle case che respiravano denso
fumo grigio che andava confondendosi con la sottile nebbiolina
biancastra che la neve disegnava nella danza che il vento continuava a
dettare a suo piacimento; in quel paesaggio degno di un film Disney il
tempo sembrava fermarsi ad ogni nuovo fiocco che le nubi lasciavano
cadere, persino l’intera città era come
addormentata in quella mattina, come se tutto il marcio del mondo
venisse coperto da un velo candido e puro.
Non succedeva sempre, però, era un’atmosfera che
solo una mattina speciale come quella poteva creare: quella di Natale,
nessun’altra.
Perché ovunque si andasse, ovunque ci si trovasse, il 25 dicembre era Natale:
tutti erano come pervasi da una sensazione di benessere e pace dei
sensi che durante il frenetico anno appena passato e quello ormai alle
porte aveva lasciato sulla pelle, ed era meglio godersela fino a quando
la mezzanotte non tornava a scandire i monotoni ritmi quotidiani.
Dopo essersi infilata almeno cinque maglioni ed essersi strizzata
nell’abbigliamento che utilizzava solitamente quando andava a
sciare, Jaqueline era corsa in giardino e si era letteralmente buttata
in quell’immensa coltre di neve che aveva ricoperto tutto il
mondo circostante: era un evento decisamente insolito che a Rio de
Janeiro nevicasse, ma questa volta era successo, e lo aveva fatto in
occasione del primo Natale che avrebbe passato insieme alla sua nuova
famiglia di lucertole aliene che aveva sostituito la sua, di famiglia.
Si era messa a correre senza meta per svariati minuti, gettandosi a
terra quando si stancava e riprendendo la sua folle corsa ogni volta
che sentiva la spirito natalizio impregnarle i polmoni, o almeno lo
aveva fatto fino a quando le gambe avevano ceduto stremate e
l’avevano costretta a sdraiarsi su di una montagna di neve
alta diversi metri che pareva più una soffice catena
montuosa: poteva non
rotolarsi anche in quella?
Era allora salita sulla cima di quell’Himalaya personale ed
aveva iniziato a comportarsi come un bambino la prima volta
che vede la neve, girandosi e rigirandosi nella stessa mentre disegnava
figure angeliche mai viste prima; ad un certo punto, quando anche il
fondoschiena aveva iniziato a congelarsi, si era messa seduta sulle
ginocchia ed aveva semplicemente osservato il paesaggio intorno,
sentendo una strana pace pervaderle l’anima, o almeno lo
aveva fatto fino a quando non le era sembrato di aver visto muoversi
qualcosa fra la neve.
Con le dovute cautele si era avvicinata a quella rientranza nevosa
strisciando sulla pancia nemmeno fosse un soldato durante
l’addestramento fino a quando non si era trovata a pochi
centimetri dalla stessa, e allora aveva allungato una mano per tastarne
la consistenza.
Poi si era presa un
infarto.
Appena le sue dita avevano sfiorato quel soffice manto bianco questo
era caduto lasciando posto ad una gigantesca pozza di oro liquido che
si era pian piano dischiusa fino a rivelare una pupilla ellittica che
si era mossa per guardarla dall’alto in basso: solo allora si
era ricordata che c’erano
dei raptor, in quel giardino.
Era stata questione di secondi prima che sentisse il
terreno sotto di lei tremare, così si era aggrappata alla
prima sporgenza solida che aveva trovato e l’aveva stretta a
sé come meglio poteva: il candido manto che prima ricopriva
quella strana montagna aveva iniziato a cadere lasciando spazio a dei
meno morbidi cristalli di ghiaccio traslucido che l’avevano
presto circondata su tutti i lati, quelle immense pepite
d’oro che avevano completato il quadro di schegge e zanne
alte quanto lei che avevano lanciato un ruggito soffocato quasi stessero
sbadigliando e la povera Jaqueline che, se rima giocherellava con la
neve fresca, ora si trovava bloccata a dieci metri d’altezza
proprio sul muso di Diantha.
La raptor aveva dovuto incrociare gli occhi per riuscire a vederla e
dopo un a serie di non meglio definiti ruggiti di scherno, o almeno era
così che la rossa li aveva interpretati, aveva poggiato il
muso a terra facendola scendere nel modo più
sicuro possibile per poi sedersi sulle zampe posteriori tenendo il
collo parallelo al terreno vicino alla ragazza:
«Buon Natale anche a te Diantha, davvero buon
Natale!» aveva urlato sperando che la sentisse, ed a
giudicare dal bagno di saliva di raptor che l’aveva investita
qualche secondo dopo doveva proprio essere stato così; era
ancora immersa in quello scambio di auguri fatto di ringhi compiaciuti
e sorrisi incredibilmente luminosi quando un tonfo spaventoso
l’aveva fatta cadere per terra terrorizzata: forse
l’abominevole uomo delle nevi era arrivato fin lì
con un volo intercontinentale, o forse Babbo Natale si era schiantato
con la sua slitta in giardino e Diantha sarebbe andata a
banchettare sul cadavere di Rudolph!
E invece no, niente di tutto questo: l’unico responsabile di
tutto quel trambusto era stato Ricardo che, preso probabilmente
dall’entusiasmo nevoso, si era gettato a capofitto con le ali
spalancate nel mare bianco che si era formato nel proprio
giardino con un entusiasmo che di solito era difficile vedergli
addosso, l’immenso corpo dello stesso colore che si perdeva
fra un cumulo di neve e l’altro mentre la coda alzava intere
zolle di terra candida sporca di foglie catapultandola direttamente sul
muso di Diantha, che nel frattempo si scuoteva scaraventando divertita
delle schegge ghiacciate, ovviamente incurante delle persone che
avrebbe potuto ammazzare.
Tuttavia, proprio quando Jaqueline gli era corsa incontro a braccia
aperte, non era più riuscita a vedere nulla che non fosse
della neve messa alla bene e meglio, così aveva iniziato a
guardarsi intorno confusa e attonita: fu una manciata di secondi e
alzando lo sguardo vide solo una lunga figura biancastra che era uscita
da un cumulo nevoso per poi rigettarsi in un altro e infine, terminata
l’inconsueta nuotata invernale, gli era spuntato davanti
appoggiando il muso freddo e liscio fra le mani della rossa che lo
aveva accolto nell’incavo fra il collo e la spalla
poggiandosi allo stesso a sua volta nemmeno fosse un grosso cane:
«Auguri anche a te mio piccolo drago squamoso: tanti,
tantissimi auguri di buon Natale e tutto il resto, anche se quando ci
sei tu con me il nostro Natale è tutto l’anno,
vero tesoruccio?» disse la ragazza prendendosi di rimando
quelle che erano del tutto simili a fusa di un gatto decisamente troppo
cresciuto, forse un modo per manifestare il proprio assenso o forse
solo per prepararsi a mangiarla male.
Probabilmente il primo, ma magari si sbagliava.
Quella che invece guadava la neve stizzita era Berenix, accucciata su
un albero con le ali abbandonate a terra con le quali Ricardo si
dilettava a giocherellare nemmeno fosse un cucciolo alle prese con
chissà quale scoperta, la quale non degnava nessuno di uno
sguardo nessuno ma si limitava a sonnecchiare penzolando la coda; la
poveretta ci aveva anche creduto al potersi rilassare comodamente
sdraiata, ma non ci volle molto prima che Ricardo, particolarmente
preso dall’entusiasmo natalizio, gli aveva afferrato una
coppia di ali e l’aveva tirata giù di peso
dall’albero facendola precipitare nella neve dando inizio ad
una serie di rotolamenti con amichevoli morsi annessi che distruggevano
buona parte dei piccoli arbusti nei dintorni.
L’ultimo a fare la propria conoscenza con la neve fu Oregon,
che se ne stava poco lontano affiancato da Cassandra, ovviamente
strizzata in un sensuale quanto pratico completo da sci verde smeraldo
e oro pallido, con un’espressione indecisa sul da farsi; la
rossa corse incontro alla donna entusiasta e la abbracciò
dolcemente:
«Sei l’ennesima persona a cui lo ripeto, e magari
sembro pure un po’ schizzata di cervello, ma comunque
sia… buon Natale anche a te!»
«Oh non preoccuparti piccola, sei perfettamente in linea con
la giornata.» rispose ridendo e invitandola a camminare per
raggiungere gli altri tre:
«Hai già avuto modo di divertirti anche tu con
loro o sei solo rimasta a guardare?» domandò poi
girandosi ogni tanto per vedere se Oregon si era mosso
«Oh sì, anche troppo a dire la verità:
mi hanno quasi sotterrata una decina di volte e probabilmente mi sono
rotta un’unghia, ma non credevo che i raptor fossero
così amichevoli con la neve, sembrano quasi
bambin… senti Cassandra, ma Oregon cosa sta
facendo?» rigirò la domanda curiosa.
Era abbastanza lecito chiedersi cosa stesse facendo, soprattutto quando
si vedeva il raptor appoggiare appena una zampa sul manto innevato e
ritrarla subito dopo dubbioso; l’altra fece
spallucce e rise ancora una volta:
«Per un raptor che trasuda magma dalle squame è
difficile toccare la neve senza scioglierla, credo sia solo preoccupato
di rovinare la festa agli altri quindi niente, per oggi il mio adorato
marito se ne starà a guardare.»
Guardare? Solo guardare?
Stava scherzando?
Jaqueline assunse un’espressione davvero
convinta a quel punto:
«Oggi è Natale, non può starsene in
disparte, non
è questo lo spirito giusto per questa festa!»
asserì tornando indietro ed avvicinandosi ad Oregon, che
intanto aveva preso a guardarla torcendo il muso come un cane quando
gli si fa un verso strano
«Avanti, non dirmi che preferisci startene qui al rotolarti
come quei due nella neve fresca, eh? Muovi quelle chiappe
squamose su, muovile!» gli ordinò spingendo
inutilmente la coda in avanti, anche se in realtà quella non
si muoveva di un solo centimetro.
Oregon l’aveva lasciata fare per un po’, poi si era
stancato ed era andato ad accucciarsi in un angolo dove la neve era
subito scomparsa appena il suo corpo l’aveva toccata,
costringendo Jaqueline ad una mesta quanto triste ritirata che
l’aveva riportata in mezzo a quel campo di battaglia di
draghi innevati ai quali si era da poco unita Cassandra, che infatti
stava dilettandosi nel lanciare palle di neve ghiacciata da Diantha
verso Berenix e Ricardo, la prima che se le mangiava spacciandole per
granite ed il secondo che aveva perso l’equilibrio ed era
caduto sulla schiena iniziando a fare angeli di neve di dimensioni
abnormi.
Un’illuminazione,
ecco cos’era stata quella.
Senza perdere tempo Jaqueline era corsa verso Cassandra e le aveva
sussurrato qualcosa all’orecchio poi, fra una risata e
l’altra, le due donne avevano riunito i tre raptor a
complottare dietro la mastodontica coda di Diantha, che di certo era un
buon modo per nascondere qualsiasi cosa stessero pianificando agli
occhi di Oregon; sicuramente lui li aveva sì visti, ma non
aveva dato peso a cinque creature esaltate da una festa che sul suo
pianeta non esisteva nemmeno.
Lui non aveva dato peso alla cosa, ma la palla di neve semi ghiacciata
che gli era arrivata addosso un peso doveva decisamente averlo a
giudicare da come lo aveva lasciato, con un’ala aperta e
l’altra incastrata fra la testa e la zampa.
Dopo lo sgomento iniziale si era subito rialzato scrollandosi la neve
di dosso non senza una certa fatica, poi aveva guardato con uno sguardo
cupo gli altri che se ne stavano a farsi gli affari loro fischiettando
ed aveva lanciato un ruggito minaccioso del quale a nessuno era
importato molto; stava giusto giusto tornando a dormire quando una
seconda palla lo aveva colpito sulle ali e, nel momento in cui aveva
girato la testa per guardarli, una l’aveva colpito in mezzo
agli occhi scatenando delle risate incontrollate da parte delle due
donne e rotolamenti vari da parti dei raptor rimasti, Diantha con i
suoi ringhi di scherno compresa:
«Che c’è Oregon, qualcosa da ridire?
D’altronde tu non puoi certo difenderti, o mi
sbagl-» non aveva fatto in tempo a finire che il raptor, di
tutta risposta, aveva sollevato con la coda un’ondata di
nevischio che l’aveva costretta a ricadere sulla schiena per
non rimanere accecata:
«Vuoi la guerra?
E guerra sia allora!» annunciò la
rossa mettendosi in groppa a Ricardo che le dava una mano a recuperare
velocemente la neve per colpire chiunque fosse sulla sua traiettoria;
nonostante l'indecisione iniziale di Oregon alla fine anche lui si era
unito alla battaglia, soprattutto quando Cassandra gli era salita sul
collo dandogli un bacio sulla fronte coperta di spesse squame nerastre,
inverosimilmente calde ma non bollenti com’erano solitamente,
e divertendosi molto più di quanto si sarebbe aspettato:
nonostante ci fossero effettivamente chiazze innevate che andavano qua
e là diradandosi per il calore del raptor, Diantha riusciva
a sopperire la mancanza con i propri poteri evocando cristalli di
ghiaccio così sottili da essere neve a tutti gli effetti,
dando una mano al figlio a non sentirsi propriamente il guasta feste
della situazione.
Fu durante quella lotta all’ultima palla di neve, tra una
codata di sfida ed un morso d’affetto, che Jaqueline si
guardò intorno vedendo
il vero spirito del Natale: lei che rideva a non finire
quando le arrivava una palla di neve sul fondoschiena facendole perdere
l’equilibrio, Ricardo che si era trovato con la coda
all’aria dopo che sua nonna gli aveva fatto lo sgambetto con
la coda, Diantha che nel suo elemento naturale dava il meglio di
sé, Oregon che si sentiva finalmente a proprio agio,
Cassandra che stava accoccolata al compagno senza lasciarlo un attimo,
Berenix che poteva pensare a qualcosa che non fosse la guerra o il
proprio dovere.
Stare uniti in famiglia,
ecco qual era il significato del Natale, stare con le persone che si
amano e passare con loro l’unico giorno dell’anno
in cui tutto, persino le preoccupazioni e i dubbi per il futuro,
passavano in secondo piano: e Jaqueline, la sua famiglia,
l’aveva trovata fra quelle mura.
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Angolino dell’autrice
Buona Natale 2015 a tutti!!!
Ve la siete trovata Diantha sdraiata in giardino o vi ha visitato
Oregon quest’anno? :’D
Quest’anno volevo proprio fare una one shot sul Natale, forse
per compensare il fatto di non averla fatta l’anno scorso, e
mi sono detta “Quale argomento migliore se non in Natale in
casa raptor?” ed eccoci qui, con questa fan fiction veloce
che però da parte sua mi piace :3
Che dire, vi auguro un buon Natale ed un sereno anno nuovo, sperando
possiate passarlo il più serenamente possibile con le
persone che amate :)
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