11
Lì
dove si trova l'abisso
“You
are young and life is long and there is time to kill today
And then one day you find
ten years have got
behind you
No one told you when to
run, you missed the
starting gun.”
Time, Pink Floyd.
“Oh,
merda!”
Jean
abbassò lo sguardo mettendosi a osservare le punte dei
propri piedi,
avendo intuito i pensieri di Logan.
Quella
era esattamente la situazione in cui Wolverine non avrebbe mai voluto
trovarsi, una di quelle circostanze che aveva fatto di tutto per
evitare e Jean lo sapeva.
Non si
era permessa di leggere la sua mente e in teoria non lo aveva fatto.
In
teoria. Nella pratica non era stato affatto necessario.
Le
emozioni dell'uomo trasparivano chiaramente, erano impossibili da
ignorare: il suo corpo parlava per lui. Per una donna intuitiva come
lei, fin troppo abituata a scandagliare l'animo altrui anche solo
osservando una persona in volto, Logan era un libro aperto, almeno
tanto quanto lo era lei per lui. Erano mesi che si comportava
così.
Era
combattuto, Jean lo percepiva, ma non riusciva a capire la ragione di
quel conflitto in Logan; c'era comunque dell'altro, un qualcosa di
cui Jean era all'oscuro e che non le permetteva di spiegarsi quella
strana condotta.
Avvertiva
in lui un grande senso di colpa, frammisto a un'adorazione crescente:
il suo guardarla per alcuni istanti mentre lei non lo notava
– o
meglio, mentre Logan pensava di non esser visto
– non
facevano altro che acuire in lui questi sentimenti.
La sua
corazza, già solitamente dura da scalfire, ormai appariva
impenetrabile anche a lei, facendolo sembrare freddo,
imperscrutabile, quasi irreale.
Tutto
ciò rendeva Jean ancora più curiosa e sempre
più confusa.
Si era
ormai abituata al suo corteggiamento – non convenzionale, ma
sicuramente sincero – dato che sapeva quanto fosse testardo,
ma
adesso era distante, in ogni modo possibile e immaginabile.
In un
primo momento aveva creduto che finalmente Logan
avesse
trovato una donna che potesse ricambiare il suo amore, ma non era
plausibile col suo comportamento: era sempre a scuola, era raro che
uscisse e se non lo si trovava all'istituto era in missione per conto
del professore.
“Deve
esserci qualcosa sotto”, aveva
pensato Jean, analizzando altri suoi comportamenti strani.
Se lei
entrava in una stanza Logan trovava sempre una scusa per andare via;
se c'era una riunione lui sedeva il più lontano possibile da
lei,
come se starle vicino gli desse fastidio.
Era
anche molto più educato, rispettoso, ma nei modi risultava
brusco,
ogni sua azione forzata. Pareva che il solo parlarle lo innervosisse
e Jean non ricordava che si fosse mai indirizzato così verso
le
persone e specie verso di lei.
Quel
giorno ebbe ancora ulteriori conferme.
Il
professore li aveva convocati: aveva sentito al telegiornale di un
incendio doloso dai retroscena bizzarri avvenuto in Texas e,
controllando con Cerebro, aveva scoperto che la causa era dovuta a
una bambina dotata della piromanzia; era dunque una mutante che aveva
scoperto così il suo dono.
Aveva
preso già contatti con i genitori che, spaventati sia
dell'accaduto
sia del fatto che qualcuno fosse a conoscenza di ciò,
avevano subito
acconsentito a un colloquio con degli insegnanti della Scuola
per giovani dotati.
Per
l'occasione aveva scelto di mandare loro due; aveva persino dato loro
due biglietti aerei, immaginando anche che Logan avrebbe declinato
l'offerta optando per un viaggio in macchina.
Jean
sospirò, alzando gli occhi al cielo: sarebbe stato un lungo
viaggio.
***
A
quanto pareva, Logan non aveva la benché minima intenzione
di essere
loquace e Jean aveva già terminato il libro che si era
portata in
borsa.
Si
ritrovò quindi a guardare il paesaggio canticchiando di
tanto in
tanto i brani che trasmetteva la radio.
D'un
tratto, però, a entrambi venne l'idea di sintonizzarsi su
un'altra
stazione; le loro dita si sfiorarono per un istante avvicinandosi
alla tastiera della radio.
Jean
istintivamente sentì il suo potere percepire qualcosa del
vecchio
Logan, il Logan che aveva imparato a conoscere.
E
non solo, non
poteva negarlo a
se stessa.
Quello
che captò fu molto chiaro.
Si
trattava di un desiderio frammisto all'amara consapevolezza di non
poter avere ciò che desideri, quel desiderio mai appagato
che
tormenta incessantemente, lasciandoti logorare, una lenta agonia
inestinguibile.
«Fai
pure»
fece
Logan laconico,
dandole
quindi l'opportunità di cambiare stazione.
«Grazie»
fu
tutto ciò che lei disse e continuò ad alternare
il
suo sguardo tra la strada che si stagliava dinanzi a lei e l'uomo
alla guida.
Lo vide
per un attimo incerto, fu solo un secondo, eppure lei lo
notò,
capendolo subito.
Non le
risultò difficile capire che cosa volesse Logan: un sigaro.
Si era
portato la mano sul torace a ridosso della tasca interna della
giacca, alla ricerca della solita confezione che teneva sempre con
sé, ma non si permise di prenderne alcuno.
Solo
allora Jean si rese conto che Logan aveva smesso di fumare.
“Come
ho fatto a non accorgermene prima?”
si chiese,
e decise di
provare
a intavolare una conversazione con un Logan che non ricordava
affatto.
«Logan,
puoi fumare, se vuoi»
esordì
gentile.
«Credevo
che detestassi il fumo»
replicò
invece
lui, con un tono
burbero nella
voce.
«E
chi te lo ha detto?»
fece
sorpresa.
È
vero, non sopportava il fumo, ma non si era mai permessa di esternare
il suo fastidio; era
davvero così trasparente per lui?
Logan
indugiò prima di prendere un sigaro dalla tasca,
già tagliato e
pronto per essere fumato. Lo mise in bocca, assaporando un gusto a
lui ben noto.
Diede
di nuovo la sua completa attenzione alla strada, ma si concesse di
guardarla per un attimo.
Fu
un'occhiata fugace, ma intensa, e persino Jean restò colpita
dall'intensità del suo sguardo.
Era
passato tantissimo tempo dall'ultima volta che l'aveva guardata a tal
modo, l'ultima volta che l'aveva spogliata di qualsiasi pensiero
superfluo, leggendo quelli essenziali, autentici.
Ma non
disse nulla; qualunque cosa avesse desiderato dire, Logan la tenne
per sé.
Era uno
dei nuovi gesti che faceva quando era accanto a lei; erano
più i
silenzi colmi di parole inespresse che non le parole effettivamente
pronunciate dall'uomo che pareva diventare sempre più
taciturno.
Logan
cercò in tasca l'accendino guidando con una mano, senza
trovarlo.
Non lo
vide nemmeno sul cruscotto o accanto al cambio, mentre Jean
guardò
nel vano della sua portiera, trovandolo. Il disappunto nel viso di
Logan quando glielo porse – le loro dita si toccarono ancora
– le
fece fare un sorrisetto di trionfo.
«Avresti
potuto accendermi il sigaro coi tuoi poteri.»
«Vero,
ma
almeno così abbiamo avuto un piccolo contatto, dato che
sembra che
mi odi.»
Logan serrò
la mascella,
incassando la battuta, senza replicare, ma le sue emozioni erano
ancora tutte lì, rivolte a lei.
E lei poteva
percepirle, ne era a
conoscenza.
Rivoli
di fumo iniziarono a vedersi nell'abitacolo, prontamente richiamati
all'esterno dal finestrino che
veniva aperto.
Jean inalò
l'aroma del sigaro:
le era mancato quel profumo pungente così familiare,
così come le
mancava Logan. Il vero Logan.
«A
proposito...»
disse
d'un tratto molto serio «non
mi sono mai scusato
come
si deve.»
«Per
cosa?»
«Anni
fa, quando avevamo
a che fare
con
Stryker
e
tu leggesti la mente di Nightcrawler nei boschi... ti baciai. Non
avrei dovuto farlo e mi dispiace.»
Nel sentire quelle
parole, Jean
non poté fare a meno di ridere. Era una risata amara, ma non
riusciva proprio a capire perché, dopo tutto il tempo
passato Logan
aveva deciso di rivangare una faccenda ormai sepolta e soprattutto
perché sono state proprio queste le parole scelte per
parlarle dopo
mesi di evidente e voluto mutismo.
«Tante
parole messe in fila e tutte indirizzate
a me; sei sicuro che volessi rivolgermele?»
chiese,
senza mascherare il sarcasmo.
Logan la
guardò accigliato, come
se si fosse offeso.
«C'è
un motivo particolare per cui debba
sentirmi dire queste parole cariche di disprezzo, Jean?»
«Da
dove posso iniziare? Sei strano, molto strano. Sei diventato
un bravissimo insegnante
e ne sono contenta, ma sei
persino gentile con Scott, e
questo lo trovo strano. Vorrei
farti notare che non mi rivolgi la parola da mesi.»
«Non
direi; in questo momento sto parlando con te, mi sembra»
fu
la risposta di Logan, glissando
su tutto il resto.
«Solo
perché il professore ci ha chiesto di andare a parlare con Sasha
e per chiedere ai genitori se vogliono che venga nella nostra scuola.
Sono sicura che se avessi avuto l'occasione di scegliere la compagnia
per questo viaggio...»
s'interruppe.
«Avrei
scelto te»
ribatté
sulla difensiva, ma era chiaro per Jean che stava mentendo.
«Ti
credo, guarda, ti credo.»
Jean si
voltò verso il suo finestrino e sorrise, compiaciuta di
averlo
provocato e di aver ottenuto almeno una piccola reazione da lui.
Lasciò
che il silenzio calasse di nuovo, aumentando la distanza che c'era
tra loro; fu Logan a romperlo successivamente.
«Pensi
davvero che io sia un bravo insegnante?»
«Sì,
lo penso davvero, Logan»
disse,
sorridendogli; era
sincera e contenta dei suoi progressi, i ragazzi lo adoravano.
Non poté
fare a meno di notare
che nel cuore dell'uomo in quel momento c'era un grande senso di
colpa.
“Perché,
Logan, perché ti ostini a non parlarmi?”
«Logan,
perché non vuoi parlarmi?»
domandò,
incapace di trattenere oltre la sua curiosità che non era
solo tale.
Un sospiro rassegnato
uscì dalle
labbra dell'uomo; quella domanda a lungo rimandata necessitava di una
risposta e Jean non avrebbe sopportato un altro silenzio.
La vide mentre
aggrottava le
sopracciglia: si aspettava una replica, anzi, la pretendeva.
La
conosceva e dentro di sé sorrise perché,
nonostante tutto, era lieto che non fosse mai cambiata, almeno lei.
La
sua
Jean.
«Non
si tratta di questo, io ti rispetto. Prima
ero un coglione, ci provavo con te con tutto che sapevo che il tuo
cuore aveva accolto qualcun altro. Non sono più lo stesso di
prima.»
«Non
credo a nessuna parola da te detta, è una bugia!»
«Stai
leggendo la mia mente?»
chiese
piccato.
«Non
ne ho bisogno, Logan.»
“Non
ne ho mai avuto bisogno.”
La
maschera che Logan aveva deciso di indossare da quel momento si
incrinò. Bastarono quelle parole pungenti, eppure
così schiette,
a
fargli pensare per un attimo di dire tutta la verità, ma non
lo
fece.
Gettò il
sigaro dal finestrino e
serrò la mascella: ogni angolo del suo viso era un
concentrato di
rabbia, i suoi lineamenti divennero più spigolosi.
Imprecò a
denti stretti e si
concentrò sulla guida.
Nessuno dei due disse
più una
parola per tutta la durata del viaggio.
***
Logan
aveva deciso che avrebbe guidato fino a quando non fossero giunti in
un motel che conosceva e che era vicino alla biforcazione
dell'autostrada.
Jean si
era assopita e la vide addormentata, con un'espressione serena sul
viso; una ciocca di capelli – quei capelli rossi che tanto
amava –
si trovava vicina alle sue labbra e, prestando la massima attenzione,
la spostò senza che lei si fosse accorta del gesto.
Nel
mentre che si accingeva a raggiungere l'ostello, alcuni pensieri
fecero capolino nella sua mente, incupendolo.
Non
riusciva a dimenticare le lame di adamantio che, fuoriuscendo dalle
sue mani,
lacerandogli la pelle, giunsero nella carne di Jean, abbattendo
la Fenice, ascoltando
la disperata preghiera della
donna che egli amava, la
donna che tuttora ama.
Furono
le sue lame, capaci di uccidere,
a
liberarla,
mentre
dilaniarono il suo animo che, disperato, non era mai riuscito a
trovare
una consolazione
dopo averla perduta.
“Che
ironia”,
si ritrovava sempre a pensare, sarebbe morto per lei, per
salvarla,
mentre fu
lei a dover morire per salvare lui, gli altri e l'umanità
intera.
Il
sangue sulle sue mani, che diventava sempre più copioso,
scuro, lo
sentiva ancora addosso, mentre
l'abito rosso di lei assumeva un'altra tonalità
più nerastra a
ridosso dello stomaco.
Morì tra le
sue braccia
sorridendogli, grata per averla ascoltata; era nuovamente Jean, e
finalmente in pace.
In
quel mondo tutto questo non era mai accaduto, eppure lui lo aveva
vissuto e
non lo avrebbe dimenticato con facilità; non ci sarebbe mai
riuscito, a dire il vero.
Lo riviveva ogni volta
nei suoi
incubi e in ogni donna la cui corporatura e i cui capelli rossi gli
avevano ricordato Jean.
Fin
quando quei ricordi fossero vissuti in lui, il
senso di colpevolezza che lo attanagliava costantemente non avrebbe
mai smesso di esistere.
“Certe
cose non cambiano mai e certi sentimenti non svaniscono mai.”
Ma
nemmeno il suo amore per lei sarebbe mai cessato. Eppure, avrebbe
fatto quanto fosse in suo potere per non farla più soffrire.
Non in
questa vita. Anche se questo avrebbe comportato un'esasperazione del
suo dolore, il dolore di un amore irrealizzabile.
Ci
sarebbe comunque riuscito, soffocando se stesso e sotterrando il suo
sentimento quanto più possibile. Dedicarsi ai ragazzi e alle
missioni che Xavier gli affidava era un buon modo per non pensare a
lei.
“È
solo questione di tempo, presto starai meglio”, si
ripeteva,
provando a convincersi, inutilmente.
***
«Cazzo.»
L'imprecazione
e il tuono fecero sobbalzare Jean; aveva iniziato a diluviare e la
strada non era più tanto visibile.
«Logan,
dobbiamo fermarci, è rischioso viaggiare in queste
condizioni.»
«Siamo
arrivati, vedi? Altri trenta metri e potremo stare all'asciutto.»
Jean
stropicciò gli occhi ancora
assonnati, mettendo bene a fuoco: notò le luci del motel e
si sentì
sollevata.
Lo fu
un po' meno quando dovette prendere addosso tutta la pioggia dal
parcheggio all'ingresso, ma non si lamentò; per quello
bastava
Logan.
Sentirlo
bestemmiare la rinfrancò: era questo il Logan che conosceva
e di
tanto in tanto emergeva, nonostante egli cercasse di essere qualcun
altro.
Era
questo il Logan di cui si era innamorata.
Andarono
alla reception e chiesero due camere.
«Signori,
ci è rimasta una sola camera, la
pioggia ha allertato molti guidatori»
fu
la risposta del proprietario, sinceramente dispiaciuto.
«Ti
pareva»
fu
la replica di Logan, che sembrava volesse incenerire con lo sguardo
l'anziano signore.
«Non
si preoccupi, ce la faremo bastare»
disse
invece Jean, prendendo la chiave e ringraziò.
Jean aprì
la porta della camera,
sbuffando per il freddo derivato dagli abiti zuppi di pioggia. Logan
la osservò, intirizzita come un pulcino e sorrise: era
così
bella...
«Allora
ci vediamo domani»
disse
«cerca
di riposare.»
«Vuoi
scherzare? Tu non dormi in macchina»
fece
lei, con un tono che non ammetteva repliche.
«Ma
davvero?»
fu
la risposta di sfida di Logan.
Jean non era
abbastanza forte
fisicamente per pararglisi davanti, bloccando il suo folle gesto;
avrebbe potuto farlo desistere controllandogli la mente, ma si
limitò
a sfiorargli la spalla.
«Sarai
diventato anche un bravo professore, ma resti sempre per certi versi
come uno studente recalcitrante e ostinato. Tu
resti qui, va bene?»
gli
disse, non nascondendo una vena di allegria per aver notato il suo
Logan
«Nel
caso puoi dormire sulla poltrona, se proprio non desideri dividere il
letto»
proseguì.
Logan
strabuzzò gli occhi chiedendo: «Mi
stai leggendo di nuovo nella mente?»
«Te
lo ripeto, non ne ho bisogno.»
Così
si accomodò sulla poltrona, mentre Jean andò a
fare la doccia.
Si
tolse il giaccone e Logan poté vedere bene la curva dei suoi
fianchi
e del seno grazie alla camicetta bagnata, che aderiva al corpo di
Jean come una seconda pelle.
Non era
bella, era bellissima, e lo sarebbe sempre stata.
La
pioggia continuava a imperversare e accompagnato dal tambureggiare
dell'acqua sul tetto in legno Logan si ritrovò a pensare che
tutti i
suoi sforzi erano stati inutili.
Per
quanto avesse tentato di allontanarsi da lei, adesso erano davvero
tanto vicini, in una stanza piccola, ma accogliente, le cui pareti
sembravano volessero farli riavvicinare.
Desiderava
abbracciarla, sentire la schiena di lei a ridosso del suo torace, e
cullarla, baciandole il collo, promettendole che non l'avrebbe mai
più ferita.
“L'unico
modo per farla stare bene è starle lontano. Ottimo lavoro,
cazzone!”
Jean aprì la porta del bagno e gli sorrise, i lunghi capelli
rossi
che le ricadevano sul volto, fuoriusciti dalla spugna
dell'asciugamano in cui li aveva avvolti.
Si sedette sul letto, fissandolo.
Logan ricambiò lo sguardo, stando bene attento a non
interrompere
quel contatto visivo.
Egli notò che la sua bellezza ora era diversa: Jean gli
appariva più
matura, più saggia, più comprensiva... e
attraente.
Per
un istante pensò alla Fenice, alla creatura dentro di lei.
“Sarebbe
emersa anche in questa vita?”
pensò, non senza riflettere all'eventualità che
forse sarebbe stato
meglio che l'entità cosmica lo avesse ucciso,
così non avrebbe più
sofferto.
«Vorrei
leggerti la mente»
le
parole di Jean lo riportarono alla realtà.
«Io
dico di no»
disse,
mettendosi sulla difensiva «e
vado a dormire in macchina.»
Si alzò
dalla poltrona in uno
scatto e aprì la porta.
«Logan!»
la
sentì chiamarlo, mentre la sua mente continuava a ripetergli
di non
voltarsi e di andare via.
“Non
voltarti, perché se lo fai potresti fare la cazzata di
baciarla,
mandando a puttane tutta la distanza che sei riuscito a
creare.”
Stette per un attimo immobile davanti la porta e quell'istante si
rivelò fatale.
Jean si era alzata e, rapida, aveva poggiato la sua mano destra su
quella di Logan, che teneva ancora la maniglia della porta ben salda.
Quel tocco delicato e leggero fu più eloquente di ogni
parola,
quella carezza fu come un urlo a gran voce, l'urlo disperato di Jean
per fargli capire che desiderava averlo accanto, che restasse con
lei. Quel grido silenzioso raggiunse il suo animo e prese saldamente
la mano di Jean nella sua; con calma poi richiuse la porta,
guardandola in volto.
Lo chiamò ancora, questa volta in un sospiro, avvicinandosi
a lui,
piano, cingendolo con le braccia.
Contraccambiò
la stretta e sentì
il suo corpo vicino; la maschera era ormai distrutta e ogni barriera
abbattuta.
E
a Logan andava bene così: aveva deciso di smetterla di
fingere e di
gettarsi verso di lei, lì dove si trovava l'abisso che
sembrava il
più incolmabile di tutti.
Jean lo
baciò dapprima sulla
fronte, scendendo poi sul naso e restando sorpresa del fatto che fu
lui a catturarle le labbra in un bacio che aveva aspettato da tanto,
ma che non aveva mai confessato apertamente, nemmeno a se stessa, se
non proprio durante quel viaggio.
«Mi
eri mancato, Logan, io...»
Un altro bacio,
più famelico del
primo, la interruppe, mentre le sue mani andarono verso i capelli di
Logan, il cuore che le batteva forte e che parlava per lei.
Jean sentì
di essere del tutto
in sintonia con lui e tutto quello che non avevano detto sinora
adesso sarebbe stato rivelato.
L'abisso
era stato varcato e Logan avrebbe lottato ancora
contro
i ricordi di un futuro che non sarebbe mai accaduto e che non poteva
rivelarle.
Aveva
paura, ma sentiva che adesso
sarebbe stato tutto più facile con
lei.
“Certe
cose non cambiano mai e certi sentimenti non svaniscono mai.”
“And
you run and you run to catch up with
the sun, but it's sinking.”
Informazioni storia e note autrice.
Nome
autore (sul forum e sul sito): Layla Morrigan Aspasia sul
forum,
_Branwen_ sul sito.
Titolo
storia: Lì dove si trova l'abisso.
Prompt
scelti: citazione di “Time” dei Pink
Floyd.
Fandom:
X-Men.
Coppia:
Logan/Jean.
Introduzione:
Quella era esattamente la situazione in cui Wolverine non
avrebbe
mai voluto trovarsi, una di quelle circostanze che aveva fatto di
tutto per evitare e Jean lo sapeva.
Non
si era permessa di leggere la sua mente e in teoria non lo aveva
fatto.
In
teoria. Nella pratica non era stato affatto
necessario.
Jean
si rende conto che qualcosa non va in Logan che, ancora più
scontroso di quanto lei ricordasse, non vuole rivelarle il motivo
della sua assenza, nata da quella distanza che ha creato e che cerca
di accrescere sempre più, anche se in cuor suo è
proprio l'ultima
cosa che desidererebbe fare.
Note
dell’autore: Dopo aver rivisto Days of
future past
ho pensato a una
piccola
storia introspettiva ambientandola
dopo questo film,
seguendo il
filone
canon in
cui Logan ricorda gli avvenimenti di The last
stand,
mentre Jean non ricorda nulla dato
che gli avvenimenti del primo film citato annulla quelli del secondo.
Da qui
anche il dilemma
dell'uomo e tutti i sentimenti che prova.
Jean,
specie nei fumetti, è sarcasmo munita e sa essere anche
molto
pungente, e ho voluto renderla così. Ho
sempre molto amato la loro complicità, tutte quelle parole
non dette
oltre alle emozioni palpabili tra loro; mi auguro di averle rese al
meglio. È
la prima volta che
scrivo di loro e ringrazio Emmevic per l'occasione che mi ha fornito.
La
formattazione per i dialoghi usata è quella della Mondadori.
Il
titolo viene da un episodio del gioco Dragon Age
Inquisition che
ho pensato
potesse essere calzante. Il
nome della scuola di X è ovviamente in italiano; quando
posso avere
il corrispettivo nella mia lingua senza che sia forzato lo uso
volentieri.
Un
grazie di
cuore a _Schwarz
per la consulenza e il betaggio.
Spero
che possa piacere e buona lettura.
E
che nessun Capitan America mi dica “linguaggio”.
Logan è così,
prendere o lasciare, imprecazioni e tutto.
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