Mi trovavo a passare fuori dalla porta della sua camera, che trovai
aperta: l'umana curiosità mi portò a sbirciare al
suo interno, alla ricerca della sua immagine, per catturare uno scorcio
di vita completamente intima di cui io non ne avevo mai avuto diretta
esperienza.
La trovai alla finestra, mentre tutta la luminosità di quel
sole di giugno la investiva come un bagno di luce. I suoi capelli
sembravano un'aura. Forse si sentì osservata, e si
girò quel tanto che bastava per vedere me che, come il
più idiota degli psicopatici, la rimiravo in silenzio.
"Oh, ciao André, non ti avevo sentito arrivare" disse,
riprendendo a guardare il suo enigmatico orizzonte.
Non seppi interpretare quella sua indifferenza, non capii se
significava un invito ad entrare o ad andarmene. Ero ancora
lì, indeciso sulla soglia, quando lei mi sorprese proferendo
parola:
"Adoro questo periodo dell'anno: sembra tutto più limpido e
il sole sembra riuscire a trasferire anche a noi uomini un po' della
sua forza, un po' del suo splendore. è davvero un sacrilegio
essere di cattivo umore in una giornata come questa!" e sorrise, come a
schernirsi per essersi concessa più libertà di
quanto voleva e si fosse data silenziosamente della sciocca.
Poi si girò ed inchiodo il suo sguardo nel mio, regalandomi
prima un'espressione incolore e dopo, il tempo di un battito di ciglia,
un sorriso sghembo, uno di quelli che amavo, quelli che parlavano del
suo cuore più di quanto potesse fare lei stessa; che
donavano nuove sfumature al blu ai suoi occhi e che quindi mi
concedevano l'enorme onore di raccogliere un ulteriore pezzo di lei che
altrimenti sarebbe caduto nel vuoto della solitudine, nell'oblio della
sua mente o, nella più orribile delle ipotesi, elargiti a
chi non avrebbe saputo apprezzarne l'incommensurabile valore,
l'inestimabile unicità e l'indescrivibile bellezza.
Volli interpretare questa successione di emozioni che le avevano
percorso il volto come una sua presa di coscienza che fossi io ad
accogliere quei pensieri che lei riteneva sciocchi, che quelle che a
lei sembravano libertà che avrebbe dovuto evitare di far
trapelare con il resto del mondo, con me non erano altro che una nuova
visita della mia Oscar, quella piccola nanetta che avevo protetto dai
mostri sotto al letto quando aveva sette anni e che, da un giorno
all'altro, non avevo più rivisto.
Non seppi far altro che ripescare il mio cuore dalla ripida caduta che
lo aveva fatto precipitare nel mio stomaco e guardarla, no, bruciarla
con il mio sguardo che voleva essere dolce almeno la metà di
quanto era stato il suo e caldo il doppio, tanto che da farle avvertire
che un raggio di quel sole di cui tanto tesseva le doti e che aveva il
potere di ammaliarla brillasse solo per lei, proprio su di lei, che le
infondesse la forza di cui aveva bisogno e che le permettesse di non
essere triste, non oggi. Non ancora per lui.
Mise fine a questo gioco di occhi girandosi ancora verso la finestra e
ricominciando a parlare, mentre io mi decisi finalmente a togliermi
dall'uscio ed entrare nella stanza
"In realtà, queste giornate mi fanno tornare alla mente
tanti ricordi.."
"Belli, spero!"
"Magnifici, André, i più belli della mia vita: la
nostra infanzia".
E giuro su qualunque Dio che in quel momento, se avessi potuto, se
fossi stato anche solo un nobile decaduto e dimenticato dal mondo, se
fossi stato anche solo qualcosa leggermente più in alto del
nipote della governante, l'avrei abbracciata, l'avrei stretta tra le
mie braccia e le avrei confessato tutto, tutti quegli anni passati a
macerare in quell'amore così abietto agli occhi di tutti
eppure che celava in sé la potenza degli alberi, le cui
radici crescono, avviluppano, e non c'è opera, umana e non,
che riesca a tener loro testa. Le avrei detto che non ce la facevo
più a tenere a bada quella fiera tanto feroce, quel vampiro
che azzannava il mio cuore e ne traeva linfa vitale fino a
prosciugarmi, fino a farmi perdere il lume della ragione.
Le avrei detto anche, tuttavia, che avrei aspettato tutta la vita se ce
ne fosse stato bisogno, se lei ne avesse avuto, continuando ad essere
il suo attendente per la società classista e il suo
confidente nelle mura di casa. Suo amico davanti ad un
boccale di birra in una taverna, suo compagno di avventure nelle
eventuali risse che sarebbero potute scaturire, suo cavaliere mentre la
riportavo a casa in braccio e il suo servo quando, piegato da un
sentimento dilagante, le avrei poggiato le labbra sulle sue mentre lei
non ne era cosciente. Avrei continuato ad essere tranquillamente
l'altra faccia della sua anima quando, in pericolo, mi avrebbe chiamato
con la voce della sua coscienza, usando un modo di comunicare che,
anche lei sapeva, apparteneva solo a coloro i quali
provenivano da una stella gemella.
Avrei potuto attendere perché noi eravamo inevitabili, come
la luna che sorge e cala ed io ne ero certo. Doveva essere
così! E lei me lo dimostrava in attimi come questo,
così insulsi per qualcun altro, ma che per me significavano
che la mia vita stava andando dove volevo che andasse, ovvero dove
c'era anche lei. Mi permettevano di possedere una prova tangibile del
fatto che io non fossi ancora del tutto estraneo al suo cuore ma che,
anzi, facevo parte dei ricordi che lei possedeva con maggiore cura e
dolcezza, di quei ricordi che le sovvenivano quando si perdeva nei
labirinti della sua mente e voleva assolutamente ritrovare la strada di
casa.
Un giorno ci sarebbe arrivata, finalmente, se avesse utilizzato quel
coraggio che spargeva a iosa su ogni sua azione per fare i conti con se
stessa, per ammettere che non c'è onore nel vivere da soli e
senza amore. Che sono due concetti così diversi l'uno
dall'altro che non si influenzano a vicenda, che possono camminare di
pari passo nella nostra vita se siamo noi a volerlo; che non si
escludono a vicenda. A quel punto, sarebbe stato compito mio guidarla a
casa, così come facevo indirettamente e a mia insaputa
quando era da sola con i suoi pensieri, prenderla per mano e mostrarle
per quale motivo non avevo mai voluto che rifiutasse la sua natura ma
perché, invece, ero egoisticamente felice per quella scelta.
Per ora, mi limitavo a custodire quell'amore per entrambi, nell'attesa
che lei fosse pronta, quell'amore che cresceva di pari passo con noi e
che facevo sempre più fatica a controllare ma che era la
tortura più dolce che mi potesse capitare.
Come in quel momento, in cui le poggiai una mano sulla spalla con il
gesto più lieve che fui capace di usarle, per far trapelare
un po' di quell'amore ma non troppo: quel tanto che mi bastava per
mettermi in contatto con la parte più intima di lei,
utilizzando il linguaggio delle stelle gemelle.
Lei, stupita dalla mia vicinanza, si girò di scatto e mi
guardò con tanto stupore che, per un attimo, pensai che mi
avrebbe rimesso al mio posto spostandosi dal quella posizione e
ordinandomi, con il suo proverbiale e gelido tono, di lasciarla sola.
Mi regalò un altro sorriso sghembo, invece, ed io seppi che
quella era davvero una giornata in cui sarebbe stato impossibile cedere
ai brutti pensieri; quel giorno era solamente nostro. Le sorrisi a mia
volta e le parlai dolcemente, volgendo io stesso i miei occhi verso
l'orizzonte per riuscire sentirmi ancora più vicino a lei,
per riuscire a guardare il mondo attraverso i suoi occhi.*
"Mi sovvengono così tante immagini, adesso, che non riesco a
dare forma a miei ricordi. Tuttavia, l'unica cosa che mi appare chiara
è un sentimento, l'unico che ha sempre pervaso ognuno di
essi. Accade anche a te, Oscar?".
Lei smise di fissarmi e passò a quell'orizzonte, che ormai
era diventato nostro
"è la stessa cosa che capita anche a me, André.
Sono frammenti, a volte purtroppo un po' sbiaditi e altre volte nitidi
come se fossero accaduti ieri, ma il mio cuore ricorda ciò
che alla mia mente sfugge e so di rammentare tutti quei momenti come
fossero uno solo, perché solo uno è stato il filo
che ha intessuto su ognuno di essi dei ricami di straordinaria bellezza
e li ha intrecciati e tenuti insieme fino a ora. Qual è
questo sentimento, per te, André?".
Mi sarebbe caduta una ben poco virile lacrima se fossi stato da solo.
"Felicità, Oscar, la più grande che riesci a
concepire."
A quel punto, fece un gesto che avrei portato per tutta la vita
marchiato a fuoco dentro di me: posò la mano sulla mia, che
tenevo ancora sulla sua spalla, ed iniziò a far scivolare
ripetutamente l'indice su di essa, in una strana e dolcissima carezza.
Il mio povero cuore fu sballottato ancora una volta dai miei polmoni,
in debito d'aria, e rischiò di cadere nuovamente nel mio
stomaco, ma io fui più lesto ripresi il controllo di me
stesso
"Ma, se ne osservo con più attenzione la trama, mi accorgo
che quella è solo la parte più superficiale, un
arabesco che rende il tessuto pregevole e unico; quello che tiene tutto
insieme, tuttavia, Oscar, è la tenerezza."
Sentii le sue dita interrompere quella carezza e temetti che stesse per
porre fine a quel momento straordinario. Ero pronto ad essere
trascinato di peso e riportato brutalmente alla realtà, ma
lei non aveva ancora finito di sorprendermi: strinse la mia mano ancora
un po', come se avessi mai potuto andare via da lei!, e riprese a
scrivere poesie con il suo indice
"Non penso di averti mai detto quanto mi sei stato fondamentale,
André, ora come allora"
"Oh, lo fai ogni giorno: me lo dici in così tanti modi che
non basterebbe una settimana per elencarli tutti! Non devi
preoccuparti, Oscar, io lo sento. Non c'è alcun bisogno che
tu me lo dica."
Stavolta mi serrò la mano, senza più lasciarmi
l'onere di dover trovare vocaboli articolati per descrivere una
sensazione infinitesimale. Così, mi sentii autorizzato a
poter azzardare ancora e presi ad accarezzarla a mia volta, disegnando
cerchi sul dorso della sua mano con il pollice.
"Sono felice anche per un'altra ragione"
"E quale sarebbe?" le chiesi, curioso
"Sono riuscita a cancellarti dagli occhi parte di quella sofferenza che
ti portavi dentro, a causa dei tuoi genitori. Me lo ricordo ancora lo
sguardo che avevi, quel giorno che arrivasti a palazzo: eri impaurito e
triste, oltre ogni dire. Ho sempre evitato di parlare di loro, dopo che
Nanny mi confessò che erano la ragione delle lacrime che ti
vedevo versare quando eri da solo e pensavi che nessuno ti vedesse. Eri
così tenero e smarrito, André, ed io
così imbranata, già a quell'età!, con
quel genere di cose, nel consolare e dare conforto, che preferivo
andare via, lasciare che ti calmassi da solo; in più,
credevo che non volevi che ci fossi io con te, in quei momenti,
altrimenti mi avresti resa partecipe. Quando tornavi da me non c'era
traccia del pianto, era come se tu non fossi mai stato triste, ed io
cercavo di inventarmi sempre le cose più divertenti e
strampalate da fare insieme, così da farti dimenticare la
tristezza, almeno per un po'. Passati i primi tempi, ti scovai sempre
meno a piangere, e pensai di esserci riuscita, di averti cancellato la
sofferenza dalla mente. Che presuntuosa, vero?"
Stavolta, una goccia strabordò da uno dei miei occhi, senza
che io potessi fare nulla per impedirlo, ma fu subitamente spazzata via
dalla mia mano sinistra. Davvero la mia Oscar aveva fatto questo per
me? E che malia le avevano fatto per farle confessare addirittura tutto
questo? Non che ne fossi infastidito, tutt' altro!, ma non mi
capacitavo di quanto mi stesse concedendo, quel giorno, quella piccola
peste!
"No, Oscar, per niente. è tutto vero: sei riuscita a
scacciare via il dolore. Quando guardo indietro mi sento felice,
completamente. Ed è anche vero che non ti volevo vicino a
me, per questo mi nascondevo: non volevo che mi vedessi piangere. Eri
già così coraggiosa e forte, alla tua tenera
età, che non volevo essere da meno ai tuoi occhi"
"Vuoi sapere un segreto? Mi sono data la tua stessa spiegazione,
perciò correvo sempre da te quando c'era un temporale o i
mostri sotto il letto: credevo che, dato che io volevo i miei genitori
con me, tu non riuscissi a dormire per lo stesso motivo e che avremmo
potuto darci conforto a vicenda."
"Vuoi sapere anche tu un segreto? Ogni volta mi fingevo addormentato
per non farti capire che anche io, infondo, avevo una gran paura! Ma
poi arrivavi, puntuale come un orologio svizzero, subito dopo il primo
tuono, ti rannicchiavi sotto le mie coperte ed io ti abbracciavo,
sperando che tu credessi ancora alla mia recita"
Non potei trattenermi dal sorridere dolcemente a quei ricordi. Lei si
voltò di scatto e, con un'espressione fintamente sorpresa,
esclamò:
"Allora era come immaginavo! Che sciocchino che eri, André!
Che bisogno c'era di fingere! Sembra quasi che io ti facessi vivere
sull'attenti e che tu avessi sempre paura di sbagliare, con me!" e
tutto questo lo concluse apponendoci un'espressione un po' delusa.
Allora io mi decisi per rinforzare la stretta che ancora attanagliava
la sua spalla, parlando con una profondità che volevo
servisse a rendere indiscutibile la veridicità delle mie
parole:
"Non devi assolutamente pensare questo, Oscar, perché nulla
si allontana di più dalla realtà: è
vero, vivere con te non è mai stata una passeggiata, ma non
c'è stato un solo momento in cui io mi sia sentito giudicato
o deriso da te, neanche un misero attimo in cui tu mi abbia fatto
sentire...inferiore. Eppure, ne avresti avuto tutti i mezzi; e tutto il
diritto" ora fu il mio turno di mostrare un'espressione amareggiata.
"Perché non lo sei, André. Non l'ho mai
pensato, per questo non l'ho mai fatto. E no, non
è assolutamente un mio diritto: non è nei
privilegi di nessuno potersi arrogare un diritto che neanche il buon
Dio si è tenuto per sé. Noi siamo uguali,
André. E non intendo solo davanti all'evidenza e alla
società. Siamo uguali in una maniera che non
saprò mai comprendere né spiegare. Non intendo
dire che lo siamo in ogni sfumatura, anzi: tu sei calmo e riflessivo,
io imprevedibile ed istintiva; tu sei così limpido
nell'esprimere ciò che provi, io entro in un labirinto da
cui non so più uscire quando si tratta di queste cose; tu
sei paziente, io l'esatto opposto. Purtuttavia, io e te siamo uguali...
ecco, mi sto perdendo in un altro labirinto! Ma tu hai compreso quello
che la mia testa sta cercando di rendere incomprensibile ma che il mio
cuore ha ben chiaro, vero André?" mi chiese, proponendomi la
stessa espressione di pochi minuti prima.
E cosa dovrei risponderti, Oscar? Che condivido ogni singola parola ed
anche di più, perché il mio, di cuore,
è arrivato dove il tuo è ora anni addietro? Che
vivo solamente per questi momenti perché mi donano un po' di
speranza che prego non sia mera illusione?
"Non c'è alcun bisogno che tu me lo dica. Io lo sento,
Oscar" le dissi, riutilizzando le parole di poco prima.
Ma non me la sentii di finire la conversazione a quel modo, lasciando
troppi sottintesi che ero convinto che lei non avrebbe saputo (o
voluto?) cogliere. Azzardai ancora un po', spingendomi di un millimetro
aldilà di quel limite che era diventato la mia vita e
sperando di non fare il passo più lungo della gamba.
"Il mio cuore ha ben chiaro tutto, Oscar, da molto tempo ormai. Il tuo,
tuttavia, molte volte mi appare confuso e spaesato. Un po' come ero io
quando arrivai qui. Mi vorresti far credere che io, invece, non sia
riuscito a scacciare in te la tristezza?"
"Oh no, questo non è assolutamente vero! è solo
che...non si è bambini per sempre: le cose cambiano, le
responsabilità ed i problemi da affrontare aumentano in
numero e in gravità..."
"Hai ragione, Oscar, ma una cosa non è mai cambiata e mai lo
farà: tu non sei sola. Io non me ne sono mai andato e...non
ho in programma di farlo a breve!" dissi, con il sorriso anche nella
voce, per alleggerire la tensione che sentivo andava creandosi, per non
farla scappare ancora da me.
Lei, dopo che ci eravamo incastonati gli occhi, tornò a
guardare l'orizzonte
"Potresti, però, e dovresti: magari riusciresti a fare
quello che io non sarò in grado di fare. Potresti farti una
famiglia, trovare una donna che ti meriti ed avere dei bambini..." la
sua voce ridotta ad un sussurro, la mia presa a stritolarle la
clavicola: non mi era sfuggita quella scelta di parole.
"...sono così curiosa di vedere come potrebbe essere tuo
figlio: non posso fare a meno di figurarmelo come te quando eri
piccolo. Un dolcissimo bambino dai capelli neri e gli occhioni
verdi...- un sorriso che andava lentamente spegnendosi - ...certo,
c'è da considerare anche il contributo della madre...ma non
mi riesce di pensare ad un qualcosa di diverso da questo. Tu ci hai mai
pensato?"
"A cosa? Ad avere bambini?"
"Sì"
"Certo, Oscar. Alla nostra età ci si sarebbe già
dovuti porre questo quesito da tempo!" risi. Ma non riuscii a
contagiarla
"Allora è un sì?"
"Sì, ne vorrei, Oscar. Sempre a patto di trovare la donna
giusta." un sospiro le scivolo dalle labbra
"Già, quella sì che è una bella
impresa! - prese ad usare un tono più leggero - E
c'è qualche futura madame Grandier all'orizzonte?" e rise di
gusto.
Io, che fino a quel momento avevo cercato di apparire il più
naturale possibile difronte a quella conversazione che di normale non
aveva nulla, a quella battuta spalancai gli occhi e cominciai
seriamente a chiedermi se quella fosse davvero Oscar e, se
sì, cosa le fosse accaduto!
Nonostante lo sbalordimento iniziale, non potei fare a meno di trovare
intrigante quel gioco, che sicuramente racchiudeva in sé un
risvolto favorevole alla mia causa, a patto che riuscissi a restare in
equilibrio sul mio limite
"Per ora, all'orizzonte scorgo solo due bambini, uno con i capelli neri
e gli occhi verdi ed uno po' più basso, con i capelli biondi
e gli azzurri che giocano a rincorrersi sul bagnasciuga di una
spiaggia. Non so se tu riesca a vederli, perché,
effettivamente sono molto lontani: sono in Normandia" e le indicai
davvero un punto inesistente, usando spudoratamente quella scusa
patetica per poter avvicinare il volto al suo dal lato sinistro,
guancia a guancia, e rendere quella posizione, troppo fredda per i miei
gusti, in quello che di più simile ad un abbraccio potesse
esistere, alzando il mio braccio sinistro sulla sua spalla.
Sì, avevo azzardato pesantemente, molto probabilmente molto
più di quanto avrei dovuto, ma non avevo saputo resistere:
il suo odore, la sua vicinanza, la sua mano che non aveva mai smesso di
accarezzare la mia, tutta quella conversazione inconcepibile stavano
violentando la mia innata pazienza da troppo tempo e usando armi che mi
erano del tutto nuove e sconosciute per poter preparare
così, su due piedi, una difesa efficacie.
E così mi lasciai guidare dal mio istinto, che in rarissimi
casi si era mostrato in errore per quel che concerneva Oscar: sperai
che questa non fosse una di quelle rare volte. Avevo davvero detto
molto, troppo persino per qualcuno più cieco e sordo di
Oscar, ma, ad onor del vero, mi ero comunque lasciato un margine di
errore, una rete di sicurezza su cui atterrare senza ferire nessuno:
tutto poteva avere una più innocua e leggera
interpretazione.
E sapevo che lei avrebbe preferito quella. Finse di essere pure lei
alla ricerca di quella visione, sporgendosi leggermente in avanti e
aguzzando gli occhi
"Ah, sì, eccoli, li vedo anch'io! Tuttavia non mi pare
assolutamente che quello biondo sia più basso dell'altro!
L'unica cosa che riesco a vedere è che il biondino sta
battendo sonoramente il moretto, che mi sembra alquanto abbattuto:
forse è una cosa che gli capita abbastanza spesso!" disse,
interrompendo, mio malgrado, quella sorta di abbraccio e girandosi
completamente verso di me, le braccia appoggiate con i pugni sui
fianchi e l'espressione di chi la sa lunga.
Io le risposi con un una linguaccia e dissi:
"Magari è solo stanco di sentire quel biondino presuntuoso
vantarsi per sua stupida vittoria, cosa che accade spesso, è
vero, ma solo perché è davvero scorretto:
difatti, mi sembra di aver scorto, dato che io stavo guardando da prima
di te, che quella piccola peste bionda abbia annunciato l'inizio della
gara d'improvviso, senza dare a quel povero moretto il tempo di
prepararsi! Mi sa che vincesse con l'inganno ogni sua sfida!" a quel
punto le parti si invertirono: io con una smorfia di
superiorità sul viso e lei, che invece di limitarsi a farmi
una boccaccia, mi sferrò un bel pugno nello stomaco
"Rimangiati quello che hai detto, villano! Oppure accetta la mia sfida
da uomo e corri a prendere il tuo fioretto: tra cinque minuti davanti
alla fontana, e ti farò pentire di avermi calunniato a quel
modo!" e le vidi negli occhi quel magnifico ed indomabile fuoco che le
divorava l'anima: lo stesso che divorava la mia; infondo, eravamo figli
di una stella gemella.
"Con piacere, mio pallone gonfiato: la punzecchierò con il
mio fioretto tanto da sgonfiarla da tutte quelle arie che si da!" e
corsi via, sapendo che mi sarebbe arrivato un altro pugno a quella
frase; infatti la sentii urlare:
"André!!! Brutto...." ma non potei udire altro.
Mi stavo già precipitando giù per le scale alla
ricerca della mia spada, pronto e eccitato alla prospettiva di quello
che sarebbe accaduto di lì a poco: un altro duello con lei,
che di duello non aveva proprio nulla. L'avrei definito più
un duetto. Perché la vedevo la gioia nel suo sguardo, quando
danzavamo a quel modo, e lei era lì con me in quei momenti,
solo con me e con nessun altro.
Ed io ero totalmente ipnotizzato, desideroso di incappare in qualche
contatto fugace ma anche attento a non farmi infilzare, dato che Oscar
non ci andava giù leggera! Però io lo adoravo
così, questo nostro gioco: io ero quello paziente, io quello
calmo ed io quello riflessivo e dovevo moderare i colpi di testa di
quella piccola scheggia impazzita.
La amavo così tanto.
Era tutto quello che cantava alla vita*. Ed io, che sapevo quello che
il suo cuore ancora non poteva (o non voleva?) comprendere, avrei
cantato per lei per tutto il tempo necessario. Fino a che non sarebbe
riuscita a riconoscere quella melodia che le parlava di lei, di me, di
noi. Fino a che non sarebbe riuscita a trovare la strada di casa.
*Una frase un po' rimaneggiata di una canzone di Ed Sheeran (che,
secondo me, è un fan di Lady Oscar pure lui!)
**Frase tratta dal manga.
Devo ammettere che sono anni che leggo e rileggo senza sosta fanfiction
su questi due testoni in questo sito, ma non ne ho mai pubblicata
nessuna, fino ad ora. Ragion per cui, se qualcuna di voi dovesse
rileggere in queste parole qualcosa di somigliante a ciò che
già scritto, le chiedo umilmente perdono: non l'ho fatto in
maniera consapevole. Se così fosse, provvederò
immediatamente a fare ciò che è necessario per
non ledere i diritti (e l'unicità!) di alcuno. Spero
comunque che vi sia piaciuta, nonostante che non sia un tripudio di
originalità. Oscar è un po' (tanto) diversa dal
solito ma io avevo bisogno di lei oggi almeno tanto quanto lei aveva
bisogno di André: anche lei ha i suoi momenti di
insicurezza di ricerca di calore umano. E poi sono sempre
stata convinta che quel poveretto di André, se è
rimasto trent'anni appresso ad Oscar, non deve essere sempre stato
trattato con la freddezza che vediamo in lei! Ci sono così
tanti momenti che non conosciamo che sono avvenuti tra quei due e
André ha sì quella vena di masochismo un po'
troppo marcata ma non è completamente rimbambito! Deve
essere rimasto con lei anche e soprattutto per quei momenti che non
conosciamo, in cui lei era solo la sua Oscar. Infondo, lui la conosce
molto più di noi.
P.s. forse proprio la frase "ora come allora" l'ho letta da qualche
parte. Però, controllando, ho visto che nessuna fanfiction
ha questo titolo. Comunque sia, chiedo perdono a priori!
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