Salve, colgo l’occasione per farvi gli auguri
di Natale e per l’anno appena iniziato – aggiungo gli auguri a Bob per il suo
compleanno e a tutte le altre persone che per qualche settimana avranno
problemi a ricordarsi la propria età.
Questa fanfiction è
divisa in due parti, perché sarebbe stata troppo lunga altrimenti.
Il titolo è quasi casuale, come la citazione.
Ogni tanto ci sono piccoli spazi temporali.
Trattandosi di una fanfiction
gli argomenti sono tutti fittizi, non mi sono ispirata a nessuna storia realmente
accaduta, e non conosco né possiedo i personaggi.
Sono mie solo le parole. Per modo di dire.
Vi auguro una serena lettura.
Blasphemy
Why explore the universe
When we don’t know ourselves?
There’s an emptiness inside our heads
That no one dares to dwell
Hospital for
souls, Bring Me The Horizon
Odio le formalità.
Odio le unioni civili, militari, religiose. Che magari neanche esistono, ma le
odio.
Diamine.
Odio mio cugina, e odio il suo ragazzo. E la mia ex ragazza.
No. Non è vero. Non odio niente di ciò che ho appena citato. Odiare è un
verbo troppo potente, non me la sento di usarlo, non me la sento proprio.
Diciamo che non sopporto queste cose, o queste persone, che mi provocano disagi
interiori e talvolta mi destabilizzano, mi fanno perdere fiducia in qualcosa o
mi infastidiscono semplicemente.
Ricominciamo.
Non sopporto le formalità.
Non sopporto le unioni civili e tutte quelle altre cose che mi rompono i
coglioni.
Già meglio.
E oggi, se devo essere sincero, le sopporto ancora di meno perché tra una
settimana –che dico, ormai sono sei giorni e tredici ore – quell’inetta di mia
cugina e quel nonnulla del suo ragazzo si uniranno in un’unione civile. Il
problema, posto così, non sembra tale, giusto? Perché ancora non ho detto che, ovviamente,
trattandosi di mia cugina, anch’io dovrò andare al suo matrimonio – di
cui non me ne frega niente, ma dovrebbe essersi capito – e trattandosi di un
matrimonio organizzato mesi fa, le prenotazioni sono state fatte mesi fa. Mesi
fa avevo una ragazza, e i promessi sposi sotto alla prenotazione di Frank A. T.
Iero III avevano aggiunto il nome di Jamia Nestor. Neanche così sembra
un problema, giusto? Qualche interazione sociale indesiderata, un pranzo
gratis, vino gratis, sorrisi forzati e promesse di matrimonio vacillanti. Tutto
nella norma, sopportabile.
Ma prima ho accennato ad una ex ragazza, vero? Questo perché Jamia Nestor era la mia
fidanzata. Fino a due giorni fa.
Fino a due giorni fa doveva anche accompagnarmi allo stupido matrimonio della
mia stupida cugina. Andarci da solo sarebbe un affronto – un vero e proprio
affronto – a mia cugina, perché Frank! Abbiamo prenotato mesi fa, non puoi
dirci adesso che vieni solo tu! E non ti vergogni a venire da solo bla
bla bla
Poi, detto come va detto, di andare ad un noiosissimo e felicissimo
matrimonio da solo non se ne parla.
Di portare Jamia, come amica, non se ne parla. Non
voglio vederla, e lei non accetterebbe. Mi ha lasciato a causa di sospetti
infondati, dando prova di scarsa fiducia e buon senso. La credevo una persona
diversa, mi ha deluso.
Per questo non voglio vederla. Magari tra qualche anno. Del tipo che la
incontro per strada e il mio cagnolino – avrò sicuramente un cagnolino –
scodinzolerà curioso, poi lei dirà una cosa simile a: “Che sorpresa! Frank,
come stai?” e io le risponderò: “Ti ricordi di quella volta in cui eravamo fidanzati
ma dopo un attacco di paranoia mi hai lasciato, abbandonandomi scomodamente
prima di un grande evento sociale?”
Ora sono da solo, su una panchina, con una sigaretta. Ho la forte tentazione di
fermare tutte le persone che vedo passare per fare loro proposte come: “Ciao
sconosciuto! Vuoi pranzare gratuitamente in un ristorante niente male? Tra meno
di una settimana ti passo a prendere, vestiti un po’ elegante però, che prima
dobbiamo sorbirci la messa.” ma non penso che lo farò, sono sicuro che non accetterebbe
nessuno.
Ho pensato di invitare i miei amici, ma alcuni non possono, altri non
verrebbero neanche minacciati, e i rimanenti si sono giustificati con motivi
che neanche ricordo.
Potrei fare finta di essere malato, almeno. No? No. Perché ho già abusato
troppo di questa scusa, in passato (merito della mia pessima salute); ha smesso
di funzionare quando ho quasi minacciato mia mamma pur di andare ad un concerto
che attendevo da mesi, pur avendo la febbre e molti germi in circolo. Mi ero
messo una scatola di Tachipirina in tasca, come ad usarla come amuleto magico.
Anche se mi ammalassi sul serio, mia madre troverebbe il modo di farmi andare
alla cerimonia – a costo di attaccarmi ad una bomboletta di ossigeno.
Dare Jamia per malata non avrebbe senso, perché come
ho già detto mi suiciderei piuttosto che andarci da solo.
Ecco! Trovato. Il suicidio.
Sono sicuro che mia madre porterebbe le ceneri in chiesa, poi farebbe ballare
le ceneri con mia cugina. Poi infilerebbe un pezzo di torta tra le ceneri.
Però niente suicidio, non voglio morire.
Ma non voglio neanche andarci da solo.
Ora devo anche buttare il filtro della sigaretta, non posso inquinare questo
terreno deturpato dalla presenza di pochi fili verdognoli d’erba.
Mentre calpesto questo triste prato, a testa bassa, mi rigiro ciò che rimane
della sigaretta ed osservo la macchia gialla di sostanze cancerogene
intrappolate nel soffice materiale del filtro. Per fortuna che almeno quelle
sono rimaste lì. Chissà cosa mi è arrivato ai polmoni.
Dovrei trovarmi vizi rilassanti meno pericolosi.
Ho buttato il mozzicone in un cestino con il coperchio posacenere. Cosa ci fa
vicino alla chiesa? E che ne so io. Perché sono nel piazzale davanti alla
chiesa da quasi un’ora? Bella domanda. Non so rispondere neanche a questa.
È un piazzale molto triste. In pratica, davanti alla porta della chiesa ci sono
due scalini, e davanti agli scalini c’è una piccola strada che dopo poche
decine di metri si mescola ad una strada vera. Ai lati della strada ci sono
delle panchine e un po’ ovunque l’erba prova a crescere.
Sulla panchina dov’ero prima è comparsa una signora dall’aria poco sveglia, che
grazie al cielo si è seduta da un lato lasciandomi abbastanza spazio.
Sulle altre panchine ci sono altre persone anziane. Un paio credo di conoscerle,
anche.
No, non ci credo. Di fronte a me c’è un ragazzo.
Che cazzo ci fai qui?
Glielo vorrei chiedere, ma penso che eviterò. Forse è qui per il mio stesso
motivo. Sarebbe fantastico! Potrei andare al matrimonio a cui deve andare lui,
e lui potrebbe venire con me a quello di mia cugina. Due pranzi gratis.
Cazzo, lo sto fissando. Dissimula.
Dissimulo.
Uh, interessante la mia mano destra.
Perfetto, pensare guardandomi le mani è molto meno imbarazzante di fissare uno
sconosciuto. Era molto bello, quello sconosciuto, comunque. Quasi quasi gli
chiedo di venire solo per poter avere la possibilità di guardarlo spesso;
potremmo anche conversare durante il pranzo, guardandoci in faccia. Sicuramente
avrà anche degli occhi irrealmente belli.
Ho alzato lo sguardo con la disinvoltura di un cameriere che versa un ottimo
vino del ’73 al Presidente della Polonia, solo per ammirare il suo pallido profilo.
È davvero pallido. Non prova neanche a nasconderlo, coperto com’è da abiti
esclusivamente neri.
Un po’ inquietante.
Non sembra il tipo di persona che va a messa.
Lo immaginerei mentre… brucia una chiesa, piuttosto. Oh, no. E se fosse qui per
studiare i movimenti del parroco per capire quale sia il momento più opportuno
per bruciare la chiesa? Ciò significherebbe che non è qui per il motivo che ha
portato qui me. Insomma, bruciare una chiesa per non andare ad un matrimonio
sarebbe un po’ eccessivo.
Sento il bisogno di parlargli. Per sapere che cazzo ci fa qui.
Devo solo riformulare la domanda, e posporla a qualche goffo saluto. Dopo
essere andato fino lì.
Lo sto guardando di nuovo, e ho notato un blocco da disegno appoggiato sulle
sue gambe. Sta muovendo una mano, ma non sta scrivendo. Quindi sta disegnando.
Risolto il mistero.
Mi sento irrecuperabilmente idiota, di sicuro stava disegnando anche prima ma
ero troppo concentrato ad immaginarlo mentre dava fuoco ad un edificio
religioso a caso.
Non penso di poter biasimare la mia vecchia prof., che ad ogni colloquio
ripeteva a mia madre quanto la mia testa amasse farsi viaggi tra le nuvole e
talvolta capitava che un aereo mi arrivasse in fronte.
Se continuassi a fissare quel ragazzo si accorgerebbe di me? Probabilmente sì.
Adesso che so perché è qui non ho più bisogno di parlargli.
Però non è vero, continuo a sentire questo bisogno. In qualche modo continuo a
sentirlo simile a me.
Potrebbe aiutarmi. A trovare qualcuno da portare al matrimonio, dico. Potrebbe
venire lui.
E se non volesse? Cloroformio. Lo porto a casa mia e lo faccio svegliare
davanti ad una bella tazza di caffè, poi mi inchino ai suoi piedi e lo supplico
di accompagnarmi. Potrei farlo anche qui, è vero. Ma non ho il caffè e mettersi
qui a pregare qualcuno che non è Dio potrebbe sembrare sconveniente. E
imbarazzante.
Analizzando per bene la situazione, si evincerebbe che comunque sia in un’ora
non ho fatto nessun tipo di progresso, e il massimo che potrò guadagnarmi sarà
una risposta sgarbata e una figura di merda. Niente di sconvolgente.
Mi sono alzato senza accorgermene. Sto camminando, benissimo. Mi sembra di
essere un robot. Grande. Per fortuna non mi ha ancora visto.
Mi siedo a circa venti centimetri da lui, per non farlo sentire oppresso.
L’ho visto esitare per un attimo, quasi certamente avrà notato la mia presenza.
Ora che ho la sua attenzione devo parlare.
«Ciao.» Come inizio non c’è male. Un po’ banale, ma nella norma.
Il ragazzo si gira pianissimo e mi guarda e con un po’ di soddisfazione ho la
conferma al fatto che i suoi occhi siano bellissimi. Hanno un po’ tutti i
colori da iride, e in un certo modo sembrano magnetici. Neanche la forma è
male.
O ho una faccia molto interessante o prima era tanto immerso nel suo mondo di
grafite che vedere qualcosa di pelle e organi l’ha turbato alquanto.
«Ciao.» Anche lui punta sul semplice. L’ha detto con un tono sconvolto,
incuriosito.
Che cazzo gli dico ora? Non posso cominciare con una supplica. «Bella chiesa,
eh.» Dovrei iniziare a portarmi una boccetta di cloroformio in giro, oltre alla
Tachipirina.
Lui è ancora più sconvolto di prima. «…Sì, hm. Bella… Bella chiesa…» Ha
concluso la frase con un perfetto tono interrogativo nascosto.
Buttati, ormai non hai niente da perdere. «Personalmente non la trovo così
bella, in realtà. L’ho detto perché se la stai disegnando ci sarà un motivo.»
«Oh. Be’» la guarda, poi guarda me «è un compito. Ha a che fare con le sue
caratteristiche architettoniche.»
«Un compito, giusto. Mi stavo chiedendo per quale c- motivo un ragazzo così…»
bello e dalle presunte tendenze piromani «cioè, un ragazzo fosse qui da solo a
non fare niente. Poi ho visto il blocco ma continuavo a non capire.» Ho
rischiato molto.
«Tu perché sei qui?»
«Ero qui… da solo. A, hm. A pensare…»
«Un po’ strano, non credi?» Che fa? Mi prende in giro? Però ha ragione, sono
stupido. Spero che ridere non mi faccia sembrare ancora più deficiente, ho una
risata imbarazzante. Ho solo sorriso un po’, per fortuna.
«Già. Come ti chiami? Io sono Frank.» Finalmente una domanda sensata, c’è
ancora speranza.
«Gerard.» La sua voce è perfetta per pronunciare il suo nome. L’ho notato solo
ora, ma è bello ascoltarlo. Ha detto poche frasi ed è già riuscito a
dimostrarmi di avere una bella voce. Impressionante. Potrebbe aver fatto un
patto col diavolo, magari la chiesa la vuole bruciare davvero. «Frank. Ehm-»
Giusto. Che ci faccio qui? Perché sto conversando con uno sconosciuto? Che
vergogna. Ora me ne vado.
«Oh, perdonami.» Mi alzo. Mi sta guardando sorpreso. Forse sto agendo troppo
impulsivamente. Non che questa situazione sia scaturita da un’accurata analisi
razionale delle circostanze. «Scusa se ti ho disturbato, volevo chiederti una
cosa ma mi sono reso conto adesso che è troppo stupida. Ciao.»
«Aspetta, cosa- Non scusarti. Cosa volevi chiedermi?»
«Sul serio? Cavolo.» Eppure avevo iniziato bene… «Speravo che potessi aiutarmi,
ecco.»
«A fare cosa?»
«È complicato da spiegare. Conosci qualcuno disposto ad attenersi a stupidi
obblighi sociali in cambio di un pranzo gratis, sabato?»
«Penso che molte persone accetterebbero.» Ha lo sguardo corrucciato, è perplesso.
Provo a spiegarmi meglio.
«Sabato mia cugina si sposa, e sto cercando qualcuno con cui andare al
matrimonio. Sono così disperato che quando ti ho visto ho pensato di chiederti
aiuto. Non so come potresti aiutarmi, però. Scusami, davvero, dovrei andarmene.»
«Volevi chiedermi di venire con te?» Ah. Diretto. Ha la faccia di uno che sta
per ridere.
Solo ora mi accorgo di un dettaglio. Piccolo immenso dettaglio.
Non è che andarci con uno semisconosciuto sarà peggio che andare da solo?
Ma no, sarà divertente.
«Ecco, i-» Sarà imbarazzante ed insensato, altroché «ehm no.
Cioè, conosco solo il tuo nome. Sarebbe inappropriato chiederti una cosa del
genere…» Ora gli sorrido, per rassicurarlo – forse. «Devo andare, davvero.
Ciao, Gerard.»
Mi sono girato, bene, spero di averlo
spiazzato abbastanza da non indurlo a fermarmi proprio ora. Nel dubbio inizio a
correre.
Che figura, prima, con quel Gerard.
Spero di non incontrarlo mai più, o rischierei di cadere dal ridere.
Almeno adesso non sono più preoccupato per sabato. Mentre correvo in questo bar
– quello sotto “casa” mia – ho ideato il piano perfetto: dirò a tutti che Jamia mi ha lasciato la notte di venerdì, quello prima del
matrimonio. Dovrò andarci da solo e sarà orribile, ma almeno non mi sorbirò i
rimproveri di due donne stizzite.
΅΅΅
Ahia.
La sveglia. Sta suonando.
Ma io mi sono appena addormentato, lo giuro.
Oppure… No.
È stata una di quelle notti. Fantastico.
Sta ancora suonando.
Grazie, braccio, per esserti mosso, da solo non ci sarei riuscito.
Ho una strana sensazione, mi sfuggono più cose del solito. Ad esempio, il
motivo della mia esistenza, la mia collocazione geografica, il mese corrente, e
più in generale il motivo per cui ho bisogno di essere sveglio così presto.
Mi siedo, e un dolorante momento di lucidità mi fa sospirare rumorosamente.
Il matrimonio.
È oggi. Evviva.
Pensa al cibo, Frank. Puoi sopravvivere alla messa. Il prete omofobo che ti sta sul cazzo è in
un’altra città.
Il mio mantra sta per diventare cibo gratis, cibo gratis…
Noto ora che la mia camera è quasi ben illuminata, nonostante non abbia acceso niente.
Allora guardo la finestra, che lascia passare l’unica fonte di luce.
Il cielo è impressionante, ci sono dei palazzi che sembrano completamente neri
contornati da un’accesa luce rossa, come se stessero andando a fuoco, mentre il resto del cielo ignora
quell’incendio e continua ad essere cielo. Oh mio dio quelle sono fiamme! Quel
ragazzo ha dato davvero fuoco alla chiesa. Devo chiamare i pompier- ma
la chiesa è da quella parte?
Il tempo di mettere meglio a fuoco l’immagine e mi accorgo che in realtà non
sta bruciando niente (a parte i miei neuroni), è solamente il cielo che ha
deciso di optare per colori meno azzurri.
Sospiro, piantandomi una mano in faccia e strascicandola come se fosse
incollata.
Che situazione ironica. Andare ad un matrimonio – simbolo di amore e altre
cose, probabilmente – dopo che la tua ragazza ti ha lasciato. Dovrò passare
un’intera giornata a vedere mia cugina ed il suo neo-marito sorridersi e
parlottare, gli altri parenti che fanno lo stesso.
Sarà difficile non sentire la mancanza di Jamia.
Okay, non che voglia pensare a lei ora, ma ha fatto parte della mia vita
ed è strano non avere più niente a che fare con lei. Non sono arrabbiato con
lei, però. Forse perché non la sentivo più vicina come prima, forse non l’ho
mai sentita vicina. Ha fatto bene a lasciarmi, più ci penso e più la nostra
storia perde senso.
Devo prepararmi, non posso perdere tempo.
Sarà una lunga giornata.
…cibo gratis…
Dio benedica le cinture fatte bene.
Questi scomodissimi pantaloni, almeno, stanno fermi.
«Frankie, finalmente. Dov’è la tua ragazza?» Ho sempre trovato rassicurante il
fatto che mia mamma fosse più bassa di me. In un certo senso quando le parlo
capisco il punto di vista di quasi tutte le persone che parlano con me.
«Non lo so, ma tanto non è più la mia ragazza.»
«Cosa?! L’hai lasciata?»
«No, mamma, mi ha lasciato lei, ieri sera. Ha detto che non sono io il problema
quindi dovranno essere problemi suoi, non ho approfondito.» No, ha detto che il
problema sono ipotetici atteggiamenti miei, per questo sono solo suoi problemi.
«Oh, mi dispiace.» Cosa fa? Vuole abbracciarmi? Non mi abbraccia da anni, forse
gli ormoni da matrimonio la stanno rendendo sentimentale. Devo scappare. Mi
guardo intorno, velocemente. Vedo le panchine, i parenti. Ancora panchine,
ancora parenti. La chiesa. Una persona che sembra un’ombra, di fianco ad un
albero.
Completamente vestito di nero, con una cravatta a righe.
Gerard.
«Aspetta, mamma.»
Mi sto avvicinando a lui, ma non so per quale motivo. È come se non l’avessi
deciso io, mi è venuto automatico e basta. Come la prima volta.
«Gerard? Che ci fai qui?» Gli chiedo, sorprendentemente stupito. Non vorrà
bruciare la chiesa proprio oggi.
Anzi sì, ti prego, fallo.
«Frank, ciao. Hm. Sei riuscito a trovare qualcuno con cui andare al
matrimonio?» Mi guardo intorno, sembra che stia cercando il mio presunto
accompagnatore. Non c’è nessuno, no. Solo parenti e panchine.
«No, mi sono rassegnato. Meglio da solo, almeno non costringerò altri a
sorbirsi questa roba.» Ha ancora dei begli occhi.
Che fa mia mamma? Si sta avvicinando a noi? Spero non voglia abbracciare anche
Gerard.
«Tu chi sei?»
«Si chiama Gerard, è un mio amico.» Rispondo subito, sperando che se ne vada
presto. Sto provando a capire la situazione, accidenti.
Amico?
«Sì, prendo il posto della sua ex ragazza, almeno gli faccio compagnia.»
Cosa?
«Perché hai bisogno di compagnia, Frank? C’è quasi metà della tua famiglia,
qui.»
«Mamma, non iniziare. Lo sai che vado d’accordo con al massimo cinque di queste
persone…»
«Come vuoi, caro, vado a salutare la zia. Ciao, hm, G…erard.»
Si sta allontanando. Almeno.
Ora devo solo capire il motivo per cui Gerard è qui. È comparso dal nulla, in
pratica, e si è quasi proclamato la mia ragazza. Non che abbia troppo da
ridire, non rifiuto i maschi – uno dei motivi per cui non vado d’accordo con
molte persone con cui condivido parti di sangue o DNA o quello che è –, però
prima di arrivare ad un punto di una relazione gradirei come minimo iniziare
la relazione. Prima come amici, poi ci si incontra in qualche appuntamento, poi
si vede.
Non si possono saltare troppe tappe. Non si possono saltare tutte le
tappe.
«Che ci fai qui?»
«Hm,» è imbarazzato. Bene. Anch’io «quando mi avevi parlato di un matrimonio,
hai anche detto che sarebbe stato sabato. E avevi bisogno di aiuto quindi ho
pensato di venire qui perché mi è sembrata la chiesa più probabile in cui, hm,
poter andare. Vanno bene questi vestiti?» Non gliel’avevo chiesto seriamente! –
credo. Era stata la disperazione.
Oh, che pensiero gentile. E carino. Come lui in questo momento – lo sto
pensando solo perché mi ha chiesto un parere su qui vestiti e quindi li sto
guardando, e di conseguenza sto notando il suo fisico affascinante. Camicia
bianca, pantaloni neri, cravatta bianca e nera. Gilet nero. Pacchetto di
sigarette nella taschina, odore di caffè che gli aleggia intorno.
Sembra la crittografica descrizione di un artista probabilmente gay.
E so già che è un artista, o che è sulla corretta via per diventare tale.
E se fosse gay. Cazzo, spiegherebbe molte cose. No, solo una: perché sembra
interessato a conoscermi. Va bene, in realtà potrebbe essere interessato a me
anche per altri motivi (potrebbe credere che sia bravo a procurarmi la benzina.
Per incendiare le cose).
Non sono pronto per una nuova relazione, per tutti i numi! Lasciatemi libero un
altro po’. Ora glielo dico, non vorrei che si facesse strani pensieri.
«Ehi G-» ma che faccio? Sono solo problemi miei, mentali. I vestiti, già…
«Gerard, vanno benissimo.» Forse non è proprio un abbigliamento da matrimonio
ma sto zitto. Io, il prossimamente uomo con la camicia bianca e la cravatta
rossa. «Voglio dire, guarda me.»
Fa come gli ordino sarcasticamente, e mi guarda. Sorride per sbaglio, solo da
un lato. Sembra mi stia prendendo in giro.
«E quindi? Stai benissimo.» Oh, non vorrà flirtare.
Non sono bravo in queste cose. Cristo, spero di non essere arrossito.
Mi guardo le scarpe, le altre cose che indosso, la giacca che pende dal braccio
sinistro, la cui mano è nella tasca dei pantaloni. «Grazie, se lo dici tu.»
Una bella chiesa, davvero. Anche da dentro.
Un Gesù morto di fronte, Gesù che porta la croce ai lati, Maria un po’ qui e là.
Un prete basso che parla, delle candele, gli sposi e i testimoni vicini a lui.
Un ateo nella nona fila, vicino ad uno semisconosciuto.
Tra qualche ora potrei definirlo potenziale amico, mentre aspettavamo di poter
assistere a questa coinvolgente cerimonia abbiamo conversato.
Ad ogni parola che ha detto mi è sembrato più interessante. A volte usa un modo
di esprimersi particolare, o ride da solo prima di esporre un pensiero o
un’esperienza che spesso solo lui trova divertente.
Ha un sacco di passioni nerd, più di me. E ascolta molta musica. Poi ha un
fratello.
Non ha mai capito l’esistenza dei mercoledì, e non ha mai accarezzato una
mucca.
Non voglio neanche provare a ripensare ai collegamenti che abbiamo fatto per
arrivare a queste conclusioni, in meno di mezz’ora.
Lo sto guardando.
E non so se sia a causa della diversa illuminazione, ma sicuramente i suoi
occhi – o solo quello sinistro – hanno un colore differente da prima. Dovrei
smetterla di osservarlo. Senza una buona ragione, poi…
«Tu credi in Dio?» Sussurra. Ho fatto un piccolo balzo perché mi ha spaventato.
«Nah, ho smesso di interessarmi a lui.» Sembra una di
quelle domande che i bambini fanno agli adulti, sperando in risposte che anche
gli adulti desiderano ottenere. «Tu?»
«Stessa cosa. E poi, non credo di stargli molto simpatico.»
«Perché?»
«Faccio un po’ di cose che non gli piacciono…» Mi rivolge il solito sorrisino
sghembo. Che tra l’altro lo fa apparire leggermente stronzo. O rassegnato, alla
vita.
«Ah, sì. Capisco.» Forse è gay davvero.
Comunque sia, se Dio esiste e la Bibbia va presa proprio alla lettera,
l’Inferno sembra piuttosto pieno (di persone interessanti, tra l’altro).
A tredici anni ho avuto una crisi spirituale, conclusa con il mio desiderio di
diventare buddista.
Non lo sono.
Con il passare degli anni ho semplicemente deciso di essere una buona persona,
in generale. Non glielo dico, però.
Ora c’è un silenzio un po’ pesante – non so perché, ma di solito nei luoghi
“sacri” è sempre pesante. Probabilmente è il senso di colpa nei confronti di
una presunta entità minacciosa, per cose che potremmo solo aver pensato di
fare.
Ci sono i quasi sposi, seduti sui cuscini di due sgabelli apparentemente
solenni. Il prete continua a blaterare riguardo all’amore. Lui, che non è
sposato. Lui, che non ha figli. Lui, che rappresenta una religione che accetta
solo alcuni aspetti dell’amore e condanna altri tipi di amore. Lui, che
dovrebbe amare tutti e tutto allo stesso modo. Lui, che professa solo l’amore
per la fede.
Lui, che di amore non sa poi così tanto.
«Gerard, tu pensi che ti sposerai, prima o poi?» Evidentemente mi sembrava il
momento adatto per fare domande sconvenienti.
«Non sono interessato a queste cose…» Sta fissando la sciarpa della signora di
fronte a lui. «Se mai dovessi trovarmi nelle condizioni di volerlo fare,
probabilmente sarebbe con un maschio, comunque.» Lo sapevo! È gay! «Quindi no,
non penso che mi sposerò mai.»
«Già, non si può mai sapere. Alla vita piace far succedere eventi a caso, di
tanto in tanto.»
Siamo quasi blasfemi, io e lui, a qualche metro da una sacra promessa eterna.
Lo voglio.
Io e lui, a parlare educatamente di omosessualità in uno degli alloggi estivi
di Dio.
Adesso mia cugina e suo marito hanno un nodo al dito che ricorderà loro per
sempre il giorno in cui si sono vincolati agli occhi di una divinità e un paio
di centinaia di persone.
Contenti loro.
Un po’ di aria fresca, l’odore dell’inquinamento. I rumori
delle ruote che girano e delle persone che vivono.
«Non è stato troppo terribile.» Perché c’eri tu, Gerard. Fossi stato da solo mi
sarei affogato nell’acqua santa. Perché altri tipi di acqua lì non c’erano.
«Hai notato anche tu che il prete non ha mai guardato verso di noi? Secondo me
percepiva in noi una sorta di presenza demoniaca.» Ride per qualche momento,
prima di rispondere.
«Sinceramente non l’ho notato. Ah, Frank. Ora cosa facciamo?» Boh.
Non glielo dico, provo a rassicurarlo con un “Seguimi”, come farebbe un agente
dell’FBI che salva un gruppo di civili. Cerco qualcuno da seguire, ad esempio
mia mamma.
Individuata.
Gerard è al mio fianco, mia mamma qualche metro davanti.
Si stanno avviando tutti verso le macchine, chissà dov’è il ristorante.
«Aspettami un attimo qui.» Gli dico.
Raggiungo mia mamma, le chiedo quale sia la meta precisa. Non capisco il nom- ah, è quel ristorante. Percorro velocemente la
strada che dovrò fare, annuisco per confermare a me stesso, poi mi giro e ad un
metro da Gerard gli sorrido e gli faccio capire di seguirmi.
Devo ammetterlo. Mi piace la sua presenza. Mi tranquillizza, in un certo senso.
Ed è strano perché in pratica non lo conosco.
Forse perché siamo stati molto tempo in una chiesa, ma anche se non abbiamo
parlato troppo i momenti di silenzio più che imbarazzarmi mi hanno fatto
sentire a mio agio.
Siamo arrivati di fronte alla mia macchina. Sicuramente sarà abituato a qualche
cartaccia sui tappetini ed all’odore che permane di fumo, se è uno studente
sfigato quanto me.
Siamo seduti, e lo sento dire: «Ehi, hm, come facciamo per il regalo?»
«Quale?»
«Per… gli sposi.»
«Ah, ha fatto tutto mia mamma. Non preoccuparti.» Che strana domanda, come gli
sarà venuto in mente…
Accendo lo stereo consapevole che la musica gli piacerà, se quando prima
abbiamo parlato di musica abbiamo capito di avere gusti pressoché identici,
sicuramente gli piaceranno anche i Soundgarden.
Infatti, girando un attimo la testa mentre giro anche la chiave per accendere
il motore, lo noto sorridere.
Benissimo.
Sono in macchina, sto andando in un ristorante molto carino a mangiare
cibo molto costoso che non pagherò. Accanto a me c’è un ragazzo altrettanto
carino, che non ho motivo di pagare.
Conosco questo ragazzo da meno di una settimana, e abbiamo parlato al massimo
un’ora in totale. Lui è nella mia macchina e io lo sto portando in un luogo che
forse non conosce, in mezzo a persone che sicuramente non conosce.
Lo guardo.
Non sembra spaventato.
Come?
Potrei essere un assassino, un serial killer che escogita piani inutilmente
contorti. Potrei avere l’intenzione di derubarlo, o stuprarlo (molto poco
verosimilmente, non ne avrei la forza), o deriderlo.
E lui è qui, tranquillo, che si batte le dita sulla coscia.
E io sono qui, con le mani sudate, che penso che le sue, di mani, siano
stupende.
Che situazione assurda. Due sconosciuti e un matrimonio. Eccolo, lo vedo. Il
film-commedia che non fa ridere in arrivo in tutti i cinema, con il titolo in
un orribile grassetto. Io e Gerard con le braccia incrociate, schiena contro
schiena, con una chiesa che va a fuoco alle nostre spalle. Due sconosciuti e
un matrimonio, che schifo.
Stavo dicendo, che situazione assurda. Non ci conosciamo quasi eppure passeremo
gran parte della giornata insieme. Perché? Non si sa.
Potrei chiederglielo, ma ho l’impressione che la risposta sarà imbarazzante.
«Gerard, come mai sei venuto a quest…a cosa?» Come
sempre, dovrei stare attento a ciò che penso.
«Non lo so. Mi andava.»
Ho deciso che l’accetterò come risposta, annuisco con la serietà di un bambino
che conferma i gusti di gelato che vuole nella propria cialda.
Il tempo passa, la strada cresce dietro di noi.
Il nostro tavolo è tondo. Siamo in sette. Io, (Gerard,) e
gli altri cugini di mia cugina. Ma non ho voglia di pensare a loro, penso che
continuerò il discorso che stavo facendo con Gerard in macchina, prima.
«Quindi ci sei andato, in Italia?» Ha detto che sua nonna è italiana, io gli
avevo detto che il mio è italiano.
«No, non ancora. Non abbiamo mai avuto un rapporto stretto con quella parte
della famiglia. Tu?»
Mi torna in mente il cielo rosso che vedevo in Italia, ogni sera. Toccava
l’orizzonte e salendo si incupiva, diventando di un nero opaco. L’orizzonte era
piatto, solo ad ovest delineava qualche collina. Avevo passato un paio di
settimane in campagna, i miei parenti abitano in un paese piccolo, da qualche
parte.
Oltre a quello e a qualche altro sopito ricordo non mi è rimasto molto.
«Sì, una volta. Mia mamma dice che quel viaggio è la causa del mio amore per i
cani.»
Continuiamo a parlare tranquillamente, come due compagni di scuola che da tre
anni sopportano lo stesso ambiente.
Ma non andiamo nella stessa scuola.
E non c’è nessun ambiente.
Siamo due giovani uomini che non si sono mai visti prima di pochi giorni
fa.
Più parliamo, più penso che sia simpatico ed adorabile. Ci troviamo in una
situazione decisamente insolita e la cosa mi diverte.
Un dubbio.
Eccolo, il dubbio.
Non poteva mancare.
Alla fine di questa giornata, cosa succederà?
È una persona decisamente interessante, vorrei conoscerlo ancora meglio,
diventare suo amico, festeggiare con lui il suo compleanno ed il mio, conoscere
i suoi amici – saranno simpatici anche loro. Da quello che mi ha detto prima,
il suo compleanno è stato poche settimane fa, quindi per ora mi limiterò ad
aspirare ad averlo vicino durante il mio.
E se lui fosse qui solo per il pranzo gratis?
E se mi stesse parlando per cortesia?
Forse gli sto antipatico. Mi fermo. La forchetta riposa, creando un ponte tra
il piatto ed il tavolo.
Gerard si accorge dell’assenza dei miei movimenti e mi guarda, perplesso.
«Ti senti bene?» Mi chiede. Ma non gli interessa davvero, lui mi odia.
Annuisco, rassegnato. Lui mi guarda quasi preoccupato, forse non mi odia.
«Okay.»
Continuo a mangiare confuso.
«Stavo solo pensando.» Gli dico, e forse aprendo la bocca per sbaglio ha
l’istinto di chiedermi: “A cosa?”, ma non ne sente il diritto, dopotutto ci
conosciamo da così poco.
Dunque, gli piacerebbe affezionarsi a me? Come piacerebbe a me?
Anche lui sente che siamo simili?
Sentirà il bisogno di sentire la mia presenza?
Glielo potrei chiedere – cosa farà (faremo?) dopo oggi. No, chiedergli se ha le
mie stesse sensazioni ed ambizioni sarebbe troppo strano, persino in una
situazione assurda come questa.
Non gli chiederò neanche cos’ha intenzione di fare, lo scoprirò.
Ci sono un po’ di uomini senza giacca, perciò mi sento
autorizzato a togliere la mia. Alla fine mi è servita solo come riparo dal
freddo rigore religioso in chiesa.
Ora che ho tolto la giacca, però, mi pare di sentirmi un’altra cosa addosso: lo
sguardo di Gerard.
Probabilmente sono solo impressioni.
«Vado ad appoggiare la macch- la giacca in macchina.»
Con tutta la confusione che queste persone – i miei parenti – stanno facendo
non riesco neanche a parlare.
«Allora vengo anch’io, appoggio questo.» Mi dice, sfilandosi il gilet e
venendomi incontro.
La macchina non è lontana. Camminiamo fianco a fianco, senza parlare, io
mi sto godendo il casino che pian piano viene smorzato da ogni passo. C’è quasi
silenzio.
Apro lo sportello posteriore della macchina, allungo una mano verso Gerard per
chiedergli il gilet e lo appoggio sui sedili insieme alla mia giacca. Chiudo la
porta.
Ho voglia di fumare, così mi appoggio alla mia macchina e prego affinché il
pacchetto di sigarette sia nella tasca dei pantaloni e non della giacca.
Lo tiro fuori, prendo due sigarette e quella che non infilo in bocca la porgo a
Gerard.
«Grazie ma-» inizia ad avvicinarsi le mani nella zona del cuore, poi si guarda
il petto e si interrompe. Fa un passo verso di me e prende la sigaretta, con
un’aria strana. Non avevo mai toccato le sue mani, prima, ma le sue dita
sembrano soffici. «Grazie.»
Gli allungo anche l’accendino.
Mi ritrovo ad osservarlo: chiude gli occhi, come se stesse per baciare
qualcuno, l’accendino gli è sempre più vicino, come il viso di qualcuno che lo
sta per baciare, che si ferma troppo presto però. Poi, l’ultima parte della
sigaretta diventa arancione, e nera, il fumo esce.
Spero di sembrare disinvolto, mentre mi riprendo l’accendino ed accendo la mia
sigaretta.
«Si sta bene, non credi?»
«Sì, sono piacevoli i luoghi silenziosi.» Risponde, le sue parole inciampano
sulla sigaretta ed escono impacciate.
È buffo.
Sto sorridendo a metà.
«Potremmo scappare.» Propongo, in un momento di pigra speranza. Chi si
accorgerebbe della nostra mancanza? Potremmo fare un giro, fermarci in un bar,
bruciare qualche chiesa, se gli va.
Lo vedo ponderare l’idea «E perderci il dolce?»
«Cazzo, no.» Non mangiare la torta ad un matrimonio è immorale. Nonostante ciò,
non mi sento pronto ad abbandonare questo parcheggio tranquillo.
«Frank,» lo guardo «prima di andare, devo chiederti una cosa.» Getto
solennemente la sigaretta, e con la punta della scarpa la faccio aderire ancora
più solennemente all’asfalto.
Sicuramente ha catturato la mia attenzione. Vuole la mia anima? La mia fetta di
torta?
«Vedi, possiamo dire che mi devi un favore? Visto che ti ho evitato una
giornata vuota.»
Non avrà la mia fetta di torta. «Sì, potremmo, in effetti. Forse.» Per merito
mio, però, ha pranzato in un bel ristorante gratis… ma non glielo dico.
«Ecco. Quindi saresti disposto a ri- hm, a ricambiare
il favore?»
«Cosa vuoi che faccia?» Spero che non sia illegale, sono troppo giovane per
andare in prigione.
Anzi, sono abbastanza grande per andarci, è questo il problema.
«Tra un mese, più o meno, si sposa mio fratello e anche se sarà una cerimonia
con molta meno gente di questa ha insistito nel prenotare un posto ad
un’inesistente persona che sarebbe venuta con me. Forse sperava che mi
fidanzassi.» Si ferma, e l’idea che mi trasmette è quella di aver avuto l’intenzione
di aggiungere: “o che trovassi qualche amico”, ma di aver trovato quel pensiero
troppo triste per essere espresso nel momento sbagliato. «Frank, i pochi amici
che ho vanno già al matrimonio perché sono amici anche di Mikey
– mio fratello –, sei l’unico che potrei invitare.»
Questo significa che vuole rivedermi, e che forse è qui solo perché sperava gli
ricambiassi il favore. Ma no, è qui perché gli andava, ora mi sta proponendo
questa cosa perché si fida di me, o qualcosa del genere. Tutte quelle cose sul
diventare amici magari le condivide anche lui.
Sembra in attesa, dovrei confortarlo con una risposta.
«Vuoi che… venga con te?» annuisce lentamente, guardandomi di sfuggita «Certo!
Sarà divertente, non pensi?»
Ed eccoci qui: due sconosciuti e due matrimoni. Ora il titolo è
cambiato, e gli sconosciuti sono diventati quasi sconosciuti. Quel quasi
mi trasmette più speranza di quanto dovrebbe, implica una probabile
trasformazione di “sconosciuti” in “amici”, il che mi rende sereno.
Lo guardo, mentre le sue pupille si contraggono sotto il potere del sole e
ammiro la bellezza del complesso dei suoi occhi. Dal taglio, alle ciglia, al
bianco latteo del bulbo ed ai mille colori – non che li abbia contati –
racchiusi dal collaretto scuro. «Allora, andiamo a prendere il dolce e poi
scappiamo?»
«Okay.» Risponde, ignaro della luce quasi fastidiosa che mi sta riflettendo in
faccia.
Ci incamminiamo, io osservo la mia ombra deforme mentre il sole ci copre le
spalle.
Ho deciso di tagliare qui la narrazione per
lasciare un episodio divertente nella prossima parte.
Non l’ho ancora conclusa, quindi non so quando la pubblicherò.
Potrei, conoscendomi, decidere di dare un titolo a questi “capitoli”, o
addirittura di non limitarmi alla pubblicazione di una seconda parte. Tutto
dipende da dove mi porterà la mente e- credo di aver parlato troppo, torno ad
ascoltare canzoni di Halloween.
xoxo Coffee_Time