Appena
scese dall’aereo, un bel sorriso gli si dipinse sul volto. Home sweet home:
non c’era niente da fare, per quanto ormai da anni vivesse in
Germania, tornare in Giappone era sempre tornare a casa.
Sbrigò rapidamente le questioni burocratiche,
recuperò il bagaglio e, di buon passo, si avviò
verso l’uscita.
Capire d’improvviso e senza sforzo tutto quello che le
persone intorno dicevano gli dette un attimo di capogiro, come se non
riuscisse a schermarsi da tutti i discorsi pronunciati intorno a lui.
Ma era un piacere sentire di nuovo la propria lingua. Tanto che si
trovò a formulare ad alta voce i suoi programmi:
“Adesso vado alla stazione e prendo un treno per Nankatsu.
È ora di togliere un po’ di polvere da Villa
Wakabayashi e salutare….” Il soliloquio fu
interrotto da un rumore inquietante, una specie di ruggito: ma non
c’erano animali feroci al Narita, era solo il suo stomaco che
gli ricordava di avere al proprio attivo solo il misero pasto
plastificato servito sull’aereo. Deciso a dare la precedenza
ai suoi istinti, Genzo si avviò verso un ristorantino
delizioso, già pregustando una pantagruelica ingozzata di
onigiri. Veri Onigiri Giapponesi. Gli venne l’acquolina in
bocca e il suo stomaco ruggì di nuovo come un grizzly.
Non sapeva che, dentro quel ristorante, avrebbe sì sedato un
istinto ma che ben altri si sarebbero risvegliati.
Si sedette e attirò l’attenzione della
cameriera. Anche se sarebbe meglio dire che la cameriera
attirò la sua attenzione.
Quando la chiamò, la ragazza si voltò in un
turbine di capelli lunghissimi, neri e lisci come seta, tanto lucidi da
splendere di riflessi bluastri. Nessuno ha capelli così in
Germania. Veri Capelli Giapponesi. Della serie mogli e buoi…
La chioma corvina si aprì come un sipario a svelare un bel
visetto fatto a cuore, occhi a mandorla neri come polle di buio, pelle
diafana - a Genzo parve di sentirla sotto le dita serica, morbida come
un’albicocca matura – e labbra sottili, di un rosa
tenue, da cui sbocciò un sorriso gentile quando, con un
leggero inchino, gli chiese cosa volesse.
Nonostante la visione lo avesse turbato come non mai, Genzo non perse
il suo aplomb
e disse: “Tripla porzione di onigiri e del buon tè
verde”.
La ragazza ridacchiò, schermandosi le labbra con le dita.
“Però, affamato…”.
Riflettendoci su assai meno di quanto facesse di solito, Genzo
afferrò l’occasione al volo: inarcò un
sopracciglio e mantenendosi serio disse: “Non credo che fare
commenti sulle ordinazioni rientri nelle sue mansioni, signorina
Na… - cercò di leggere la targhetta appuntata sul
petto ma i cappelli coprivano il resto del nome.
“Nanà” disse lei, arrossendo
violentemente poi proseguì: “Le chiedo
scusa… non volevo… non dica niente al titolare,
la prego…”. E così dicendo fece un
profondo inchino, non prima di avergli puntato addosso due occhi tristi
e acquosi che gli fecero rimescolare tutto dentro. Si sentì
uno stronzo per averla fatta star male ma, in realtà, il suo
piano stava procedendo alla perfezione.
“Su, su” disse sollevandole il viso con una mano e
guardandola negli occhi. “Stavo scherzando. Hai ragione tu,
ho una fame da lupi. Questi onigiri servono giusto per fermarmi lo
stomaco ma fra un po’, temo, avrò di nuovo
fame…”
Nanà lo guardò, cominciando ad intuire dove
quello volesse andare a parare. Non che ci volesse tanta fantasia: non
era di certo il primo a notarla e a provarci. Ma stavolta
c’era qualcosa di diverso. Anche lei era rimasta colpita:
quel ragazzo non era soltanto bellissimo e affascinante, sembrava anche
molto arguto, educato e in certo qual modo gli ispirava estrema
fiducia, come se lo conoscesse già da tempo. Insomma, lei
non era tipo da farsi rimorchiare in cinque minuti. Beh, non da tutti,
ecco.
“Fra quanto?” chiese allora lei, continuando a
guardarlo fisso.
“Dipende… tu quando stacchi?”
“Alle sei”.
“Sì, credo che per le sei avrò di nuovo
fame. Tu hai fame quando stacchi?”
Nanà aveva mangiato la foglia e ora stava apertamente
flirtando. Il sorriso sghembo® che il ragazzo gli stava
riservando in quel momento l’aveva definitivamente vinta e
convinta:
“Dipende…” cinguettò.
“Da cosa?”
“Da qual è il menù”.
Genzo sentì risvegliarsi i suoi istinti più bassi
ma, seppur con notevole sforzo stavolta, mantenne la sua espressione
impassibile e il suo sorriso sicuro.
“Del tipo?” chiese con nonchalance.
“Sai, portare piatti giapponesi in giro per tutto il giorno
te li fa uscire dagli occhi… però, vicino a casa
mia c’è un bel ristorante
italiano…”
A Genzo venne da vomitare al pensiero di mangiare cibo occidentale nel
suo Paese ma per quella bambolina questo e altro… e poi quel
“vicino a casa mia” prometteva un dessert anche
meglio del tiramisù.
Quando uscì dal ristorante col numero di Nanà
scritto sullo scontrino e un sorriso da conquistadores
stampato sul volto, si rese conto che avrebbe dovuto aspettarla per tre
ore. Rifletté che a quel punto non sarebbe partito per
Nankatsu prima del mattino seguente ma era anche sicuro di aver trovato
alloggio per la notte, quindi niente albergo. Una macchina
e un bagno caldo, però, gli ci volevano proprio.
Onde evitare l’effetto “The Terminal”(1)
decise che avrebbe fatto un giro in città. Così
prese un auto a noleggio e andò a cercarsi dei bagni
pubblici.
Quando alle sei si ripresentò davanti al ristorante era
pulito, massaggiato, sbarbato, pettinato e cosparso di costosissimo
dopobarba. Un gran figo – pensò davanti a una
vetrina aggiustandosi il pantalone kaki di taglio classico
affinché piombasse alla perfezione sulla scarpa di Gucci e
il colletto della camicia nera che metteva in risalto il colore della
sua pelle.
“Wow” disse Nanà uscendo dal ristorante.
“Ho fatto quel che potevo per essere all’altezza di
una super girl(2)” disse Genzo porgendole il
braccio e scortandola verso la spider che aveva noleggiato in mancanza
della sua cara Volkswagen Eos(3): quando si trattava di far colpo su
una pollastrella i soldi facevano decisamente la felicità.
“Senti dovrei darmi una sistemata, ti dispiace se salgo un
attimo in casa mentre tu ti avvii al ristorante? Ci metto
pochissimo…”
Mentre pensava che il “pochissimo” sarebbe stato
un’eternità, Genzo rispose che non c’era
alcun problema… a proposito, dove doveva andare?”
“Sai dov’è l’istituto
Toho?”
Genzo trasalì. Ci mancava solo d’incontrare
qualche faccia di cazzo del Toho: decisamente non erano loro i primi
volti familiari che avrebbe voluto vedere in Giappone. Ma rispose solo:
“Certo”.
Per quella bambolina questo e altro.
(1)The
Terminal è un film del 2004 diretto da Steven
Spielberg ed interpretato da Tom Hanks, Catherine Zeta-Jones e Stanley
Tucci.
(2)Cavolata, non so neanche se in giapponese è
così… comunque mi riferisco, o meglio, Genzo si
riferisce ovviamente all’anime Nanà
Supergirl.
(3) Beh… un nome un destino *blink*… giudicate
voi stessi QUI
se non è la macchina di
Genzo...
Avete capito chi è lei? Mmm forse vi ho
già
dato troppi indizi... Ma non vi preoccupate... il secondo capitolo vi
divertirà comunque (almeno spero@_@)...
Ah! Quasi dimenticavo! I personaggi sono TUTTI di
Yoichi Takahashi mentre il titolo vuole rimandare a Mai
con uno sconosciuto (Never talk to strangers).
Questa
storia insieme ogni gesto, sorriso sghembo, capo di vestiario e frase
ammiccante di Genzo è dedicata a Eos e Kara, le mie
GoalKepeerLovers-Genziane preferite... e a tutte quelle come loro!
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