Questa storia si ispira ai prompt "Haley/Gale
- Notti Luminose" lasciatomi da Macy McLaughlin e “Haley/Gale
– Pensi che assomiglio alla mia mamma?” lasciatomi da Giraffetta per
il Girotondo di Prompt di The Capitol.
Questa storia è ambientata a quasi sedici
anni di distanza dalla fine della Rivolta: Gale vive da quasi un anno nel
Distretto 12 assieme a suo figlio Joel e alla sua fidanzata, Johanna Mason.
Rory, Vick e Posy sono cresciuti e hanno dei compagni e dei figli. Haley
Mellark è la figlioletta di Katniss e Peeta e in questa storia ha circa 8 anni.
La storia si ispira largamente alla canzone “All of the Stars” di Ed
Sheeran. Se vi va, ascoltatela durante la lettura!
«In ogni cosa c'è un'incrinatura.
È così che entra la luce.»
Leonard Cohen
All of
the Stars
Era una sera come tante quella in cui la famiglia Hawthorne
si riunì nello spiazzo di prato che un tempo aveva ospitato le miniere di
carbone. Forse un po’ più luminosa e calda delle precedenti, ma pur sempre una
sera qualunque.
Gli adulti della comitiva erano seduti a semi-cerchio su una
manciata di coperte e chiacchieravano vivacemente, mentre tenevano d’occhio i
figli che giocavano poco distante. Un thermos pieno di the passava di mano in mano,
mentre agli estremi del semi-cerchio i due fratelli Hawthorne di mezzo – Rory e
Vick – rievocavano alcuni ricordi d’infanzia. Erano i pochi allegri e gioiosi
che avevano conservato di quel periodo e questo contribuì a strappare diverse
risate ai presenti, in particolare a Danielle – la moglie di Vick – e al
fidanzato di Posy, Dru, che non erano cresciuti nel Distretto 12.
Di tanto in tanto i loro discorsi venivano interrotti
dall’arrivo di uno dei bambini: i gemellini Adam e Noel, per esempio, non
perdevano occasione per atterrare in rovesciata sulle coperte e rubare un bacio
alla mamma ogni volta che il loro pallone finiva da quelle parti. La loro
irrequietezza venne più volte ricambiata da qualche commento seccato di Johanna
Mason che, seduta vicino a Posy al centro del semi-cerchio, aveva sperato fino
all’ultimo di potersi liberare almeno per qualche ora di quel clan di
demonietti che il suo ragazzo – un po’ troppo indulgentemente – definiva
‘nipoti’.
C’era solo una persona rimasta in disparte, i gomiti
appoggiati alle ginocchia e lo sguardo intento a seguire le corse del
figlioletto: Gale aveva l’aria distante, un sorriso malinconico e il vuoto
attorno, assottigliato solo dalla luce insolitamente accesa delle stelle. Non
riusciva a sentirsi isolato: da quella posizione poteva distinguere con
nitidezza gli accesi scambi di battute fra Rory e Johanna, che non perdevano
mai occasione per battibeccare. E di fronte a lui, Joel e i suoi cugini non
perdevano occasione per cercare di attirare la sua attenzione, chiamandolo e
correndogli incontro.
Eppure, era contento di essersi ritagliato un momento da
trascorrere in silenzio: in certe occasioni le parole – specialmente le sue –
lo spossavano senza motivo e finivano per sembrargli di troppo, così preferiva
tacere. E in quel momento, stava vivendo una di quelle occasioni. Perché,
anche se agli occhi di molti quella era una serata qualunque, per lui le cose
andavano diversamente. Esattamente un anno prima, in quello stesso prato, aveva
avvistato una cometa
che gli aveva fatto fare inversione di marcia, riportandolo a quella che un
tempo aveva considerato casa: il posto in cui era nato e cresciuto.
Era la cometa che suo padre aveva desiderato di vedere sin
da quando era ragazzino e forse proprio per quello, in sere luminose come
quella, guardando le stelle Gale non riusciva a meno di pensare a lui. Pensava
al signor Hawthorne e a tutte le persone che come lui non avevano più una luce
propria, spesso a causa d’altri. Spesso perché qualcuno li aveva spento
brutalmente: e a volte, sebbene indirettamente, quel qualcuno era stato lui.
Le sue riflessioni vennero interrotte da due palmi sottili
appoggiati alle sue palpebre.
“Indovina chi sono?” esclamò una vocetta allegra.
Un sorriso indulgente nascose un po’ della malinconia dal
volto di Gale.
“Probabilmente una principessa…” rispose, sollevando la
testa per incontrare lo sguardo della persona che gli aveva coperto gli occhi.
“… O magari una cometa?”
La prima cosa che vide, quando il suo campo visivo venne
sgombrato, fu un paio di iridi azzurre, incorniciate da disordinate ciocche
corvine. Il visetto sbarazzino di Haley Mellark comparve alla sua destra,
mentre la bambina si sedeva sorridendo di fianco a lui: i suoi genitori e il
suo fratellino erano rimasti a casa per una serata in famiglia, ma lei aveva
insistito così tanto per uscire con gli Hawthorne che Katniss alla fine era
stata costretta a lasciarla andare. Era difficile togliere dalla testa di Haley
qualcosa a cui teneva particolarmente e per la ragazzina ogni occasione era
buona per stare in compagnia della famiglia Hawthorne, della quale facevano
parte entrambi i suoi migliori amici.
“Che fai tutto solo, papà di Joel?” domandò Haley,
incrociando le gambe e sistemandosi una coperta a quadri sulle spalle a mo’ di
mantello. “Stai cercando una stella cadente?”
Il pilota indirizzò un’occhiata serena al figlioletto, che
stava giocando a una strana variante di Nascondino con i cugini più grandi, e
scosse la testa.
“Non ho fortuna con quelle” ammise, tornando a voltarsi
verso la bambina. Non era del tutto la verità: una sera di qualche mese prima,
proprio in quel punto, aveva visto una stella cadente. Non gli piaceva notarle:
non era mai riuscito a spiegarsi il perché, ma gli mettevano tristezza.
“Neanche io ne ho viste molte” rivelò Haley, facendo
spallucce. “Peccato, perché sono veramente belle. Qualcuna però mi è capitato
di vederla” proseguì poi, ravvivando la sua espressione. “E a te?”
“Un paio” replicò Gale, guardando verso l’alto. “Soprattutto
da piccolo.”
“E cosa pensavi quando le vedevi?” domandò la bambina,
cercando di annodarsi al collo la coperta.
Gale aggrottò le sopracciglia: era una domanda insolita, la
sua. D’altronde, però, era abituato a quel genere di richieste da parte sua.
“Non ricordo a cosa pensassi da bambino. Adesso, capita che
mi facciano pensare alle persone che non ci sono più” ammise, parlando in tono
di voce neutro. “Quelle di cui sento maggiormente la mancanza.”
Ed era vero, anche se il pensiero di esserselo fatto
scivolare fuori dalle labbra lo lasciò perplesso: non ne aveva mai parlato con
nessuno.
Eppure erano anni che i cieli luminosi, la luna e le sue
stelle lo tormentavano, facendo echeggiare alle sue orecchie suoni, risate e
frasi di alcune fra le persone che aveva perso.
Le stelle avevano il suono della voce roca e scherzosa di
suo padre, che da ragazzo era stato convinto di poter cambiare il mondo solo
avvistando una cometa.
Avevano la risata malandrina di Aris, il piccolo
ribelle del Distretto 2: il ragazzino che gli aveva ricordato quanto fosse
importante battersi con le unghie e con i denti pur di difendere i propri
ideali. Aris che aveva imparato ad amare le stelle grazie a Posy e che era
morto a tredici anni, ucciso da quell’altruismo che aveva sempre cercato di
nascondere.
Il cielo stellato, ogni tanto, risuonava anche dei sussurri
di conforto di Prim, che voleva bene al cielo tanto quanto Posy: risuonava
delle rassicurazioni che da piccola l’avevano protetta, ma che crescendo aveva
imparato a utilizzare per proteggere a sua volta. Eppure, proprio come era
accaduto ad Aris a diversi anni di distanza, il suo istinto a proteggere aveva
finito per ucciderla.
Haley dapprima assunse un’espressione dispiaciuta, per poi
scuotere la testa.
“Lasciatelo dire, papà di Joel” esclamò infine, posandogli
una mano sull’avambraccio. “Ogni tanto sei proprio strano. Non te l’ha mai
detto nessuno che quando si vede una stella cadente bisogna pensare a un
desiderio da esprimere?”
Il pilota abbozzò un sorriso.
“Non ho mai creduto a questo genere di cose” ammise,
passandosi una mano dietro una nuca. “Ma se mi capiterà ancora di avvistarne
una, prometto che terrò da parte il desiderio per te, così potrai utilizzarlo.”
Gli occhi di Haley brillarono di gratitudine e il suo
sorriso si fece più vispo.
“Allora esprimerò un desiderio per te, così non sarai più
triste quando guarderai le stelle.”
Ancora una volta, le parole della bambina sorpresero Gale.
“Chi ha mai detto che le stelle mi rendono triste?”
La ragazzina gli rivolse un’occhiata furba.
“Non l’hai detto, però si capisce che è così. Basta guardare
la tua faccia: non sembri felice.”
Il pilota scosse la testa.
“Ne abbiamo già parlato, Hales: questa è la mia espressione
di sempre, ma non significa che sia sempre triste.”
“E invece no!” ribatté pronta la bambina, mettendosi a
braccia conserte. “Hai la faccia ancora più triste del solito. E poi l’hai
detto tu che le stelle ti fanno pensare alle persone che non ci sono più!” gli
ricordò.
A questa affermazione, Gale non riuscì a rispondere: Haley
aveva ragione.
“Però la vuoi sapere una cosa?” chiese la ragazzina,
sollevando lo sguardo per fissare il cielo.
Gale sospirò.
“Spara.”
“Certe volte anche a me vengono in mente i morti, quando guardo
le stelle” ammise, strizzando gli occhi per poterle osservare meglio. “Non
quelle cadenti: quelle normali, che brillano ma se ne stanno ferme al loro
posto. E a volte quando ci penso mi sento triste, perché mi accorgo che sono
davvero lontanissime da noi.”
Istintivamente, allungò una mano per stringere quella di
Gale. Il pilota le rivolse un’occhiata indagatrice, preoccupato al pensiero di
averle trasmesso quel moto di malinconia di avvertiva, ma la bambina non
sembrava turbata.
“Eppure le stelle ci conoscono” rivelò con un po’ di
impaccio, spolverando un vecchio ricordo d’infanzia. “Sai, quand’ero piccolo
mio padre – il nonno di Joel – mi diceva sempre che le stelle sanno la storia
di ciascuno di noi, perché sono le fiabe che raccontano alle loro piccole per
farle addormentare all’alba.”
Haley distolse la sua attenzione dal cielo e gli rivolse
un’occhiata affascinata.
“Ma allora ha tutto senso!” esclamò all’improvviso, balzando
in piedi per l’entusiasmo. “Lo sai, papà di Joel, io ho una teoria. Posso dirtela?”
chiese poi trafelata, prima di tornare a sedersi di fianco a lui. Non attese la
risposta di Gale: partì subito con la sua spiegazione.
“Sai, io penso che il buio in realtà sia rotto in tanti
piccoli pezzettini e che in mezzo ad ogni pezzo ci siano tipo delle crepe. Da
quelle crepe si vede tutta la luce che c’è dietro il buio. Ed è lì che stanno
le stelle!”
Haley parlava con l’euforia che la sorprendeva ogni volta
che era entusiasta per qualcosa – il che, fu sorpreso ad ammettere con un mezzo
sorriso, capitava spesso.
“Le stelle sono un po’ come delle finestre nel buio e
attraverso di loro possiamo vedere tutta la luce che c’è dietro. Le persone che
sono morte, secondo me, stanno lì, Gale: dentro a quella luce. E le stelle
imparano le nostre storie da loro, perché gliele raccontano. Forse c’è una
stella-finestra per ognuno di loro e qualche volta ci guardano attraverso per
vederci!”
Il vortice di parole di Haley era sempre più articolato e
Gale non aveva idea di come fare per interromperlo. Non che volesse fermare la
sua inventiva, ma si accorse di sentirsi molto a disagio nell’ascoltarle. Era
strano, per un adulto come lui, essere l’interlocutore di un discorso così fantasioso.
Suo fratello Vick, da sempre un grande sognatore, probabilmente non avrebbe
avuto problemi a sostenere quella conversazione e nemmeno Posy. Ma lui e Rory
erano i due razionali della famiglia: quelli fin troppo realisti, con i piedi
ben piantati per terra. Gli riusciva difficile anche solo complimentarsi con
Haley per la sua idea sulle stelle.
“I
miei nonni ormai sono quasi tutti lì e anche i miei zii” stava proseguendo con
il discorso la bambina, additando il cielo con entusiasmo. “Zia Prim, per
esempio, secondo me è dentro quella stella. La vedi? Quella più luminosa. E
anche il nonno di Joel è da quelle parti. E perfino Ranuncolo!”
Un lieve sorriso malinconico tornò a piegare le labbra
dell’uomo nel sentir nominare il vecchio gatto di casa Everdeen.
“A Ranuncolo le luci piacevano parecchio” le rivelò,
facendole una carezza sui capelli.
“Si troverebbe bene da quelle parti.”
L’espressione della piccola si fece, se possibile, ancor più
raggiante.
“Allora mi credi?” chiese, alzandosi sulle ginocchia per
poter essere alla sua altezza.
Gale esitò; tornò a guardare Joel, che aveva smesso di
giocare a nascondino e stava cercando di acchiappare qualche lucciola in
compagnia dei suoi cugini.
La bambina sospirò.
“Non fa niente se non mi credi: gli adulti non credono mai a
niente. Però almeno promettimi che non sarai più triste quando guarderai le
stelle” lo pregò a quel punto, posandogli entrambe le mani sulle spalle. “Anche
se ti faranno venire in mente le persone che sono morte. Anche se non ci credi,
puoi almeno fare finta di credere che sono sempre con noi, dietro il buio. E
ognuna di loro ha la sua stella. Anche noi ce l’abbiamo” aggiunse, dando
qualche colpetto sulle spalle di Gale. “Tu ed io. E Joel. E lì ci aspettano
tutte le persone che sono già in cielo: come i miei nonni, i miei zii e il tuo
papà.”
Qualcosa di pesante e fastidioso si ancorò all’altezza del
petto di Gale. Un dolore sottile, leggero, gli schiacciò lo sterno e la gola
gli si fece secca.
“Ma lo sai che sei proprio una ragazzina in gamba?” riuscì a
mormorare infine, sfiorandole una guancia con dolcezza. “Riusciresti a vendere
della carta a quelli del Distretto 7, se solo lo volessi.”
Haley arrossì leggermente, un sorriso compiaciuto a
illuminarle ulteriormente il volto.
“Magari allora un giorno riuscirò anche a sposarti!” esclamò poi
con fare sbarazzino, nascondendo parte del viso sotto la coperta.
Gale si passò una mano fra i capelli con fare impacciato.
“Pensavo che questa tua fissazione per me ti fosse passata”
le ricordò, punzecchiandole un fianco con l’indice.
Haley si strinse nelle spalle e nascose anche il resto della
testa sotto il plaid.
“Un po’ sì, ma non del tutto!” ammise, parlando attraverso
il tessuto. “Ehi, papà di Joel!” esclamò infine, emergendo di nuovo. “Secondo te
assomiglio alla mia mamma?”
Gale le rivolse l’ennesima occhiata interdetta.
Nonostante conoscesse quella bimbetta ormai da un anno, non
si era ancora abituato del tutto alla facilità con cui era in grado di passare
di palo in frasca in pochi secondi.
Con un sospiro rassegnato, cercò di frapporre la figura di
Haley a quella della madre. Le somiglianze fisiche fra la bambina e Katniss
erano innegabili, proprio come quelle esistenti fra lui e suo figlio. Haley
aveva la carnagione olivastra e i capelli scuri e lisci del Giacimento, ma
c’era qualcosa di diverso nel suo volto che probabilmente dipendeva dagli occhi,
ereditati da Peeta: non aveva l’aria cauta e fiera tipica dei bambini che un
tempo avevano popolato la zona in cui viveva. Il suo sguardo era solare,
sbarazzino e senza filtri. Parlava e si muoveva senza mai nascondere nulla di
quello che portava dentro, un po’ come il padre, ma soprattutto come se stessa.
Perché Haley era semplicemente Haley: una virgola di vivacità in mezzo a tutti i punti fermi che
la circondavano. Haley era l'incrinatura nel buio dei suoi genitori, quella
attraverso cui Katniss, Peeta e persino Joel intravedevano la luce delle
stelle.
E, in momenti come quello, anche lui.
"Di certo sei testarda come lei” decise di commentare
infine, scuotendo giocosamente la treccia della bambina.
Haley roteò gli occhi, visibilmente delusa: quella reazione
gli strappò un sorriso divertito.
"Ma sono anche un po’ bella?" chiese infine,
tornando a nascondersi nella coperta. "Bella come lei?"
Le parole di Haley riuscirono a intenerirlo; non ne era
certo – Haley gli era sempre sembrata piuttosto sicura di sé - ma di tanto in
tanto gli era parso di cogliere un barlume di titubanza nei momenti in cui la
bambina si paragonava alla madre.
"Sei senz’altro una delle bambine più carine del
Distretto 12…” la rassicurò infine, sforzandosi di apparire il più serio
possibile. "… Assieme alle mie nipotine. Parola di ex-soldato
dell’Aeronautica."
Il sorriso della bambina emerse da sotto un lembo del plaid
e in breve tempo anche il resto del suo volto riapparve: era tornata raggiante.
"Forse è perché mi chiamo come una cometa” azzardò,
intrecciando le dita dietro la nuca. “Le comete sono un po' come delle stelle,
eh? E le stelle sono sempre belle."
“Direi di sì” approvò il pilota, ricambiando il suo sorriso.
La fissò qualche istante, mentre la bimba tornava a
sollevare lo sguardo verso l’alto, e infine decise di imitarla.
"Posso dirti una cosa, Gale?” esclamò dopo qualche
minuto Haley, senza distogliere lo sguardo dal cielo.
L’uomo si limitò ad annuire.
“Sai, secondo me le stelle sono illuminate perché così è più facile trovarle. E così magari ognuno un giorno potrà trovare la sua. ."
La sua affermazione galleggiò morbida sopra di loro per
qualche istante, attendendo con pazienza che Gale l’assorbisse a pieno.
“E con ognuno voglio dire proprio ognuno: tutti noi, perfino
Baker” aggiunse, menzionando il suo gattino. “Così, un giorno, saremo di nuovo
tutti insieme, solo che saremo dall’altra parte del cielo: dove sta tutta la
luce.”
Ancora una volta, Gale avvertì la confusa sensazione di
dolore che aveva provato poco prima. La gola tornò a bruciargli.
"E se uno si perde?” mormorò infine, il tono di voce
improvvisamente rauco.
Haley si voltò verso di lui, un improvviso lampo di
tenerezza a illuminarle il volto. Gli apparve più grande, in quel momento: non
ricordava sua madre, però; sembrava solo più grande.
“Allora le stelle lo riporteranno a casa” dichiarò con
decisione, tornando a stringergli la mano. Questa volta il pilota ricambiò la
stretta. Il peso fastidioso all’altezza del petto era ancora lì – come sempre
– ma a quello, d’altronde, ci aveva ormai fatto l’abitudine.
Eppure si sentiva stranamente meglio, rispetto a poco prima.
La notte luminosa che lo circondava gli sembrava meno minacciosa e più
amichevole, quasi confortante. Fin da bambino aveva sempre temuto la luce più
della notte: il buio nascondeva gli orrori del giorno e tutti gli sbagli,
mentre la luce li metteva a nudo e non le si poteva sfuggire.
Quella sera, però, le stelle erano dalla sua parte.
Erano anni che smarrito la via verso un luogo che gli
appartenesse per davvero eppure, per qualche minuto, si sentì come se l’avesse
ritrovata.
Per qualche istante si sentì a casa e a condurlo lì erano
state le stelle: capitanate da una Cometa.
So
open your eyes and see
The
way our horizons meet
And
all of the lights will lead
Into
the night with me
And
I know these scars will bleed
But
both of our hearts believe
All
of these stars will guide us home
All of the Stars. Ed Sheeran
Note
Finali.
Ho ascoltato All of The
Stars per caso, una volta, e me ne sono innamorata subito. Inizialmente volevo
scriverci su qualcosa pre-saga, ma quella rompipalle di Hales mi mancava e alla
fine non sono riuscita a resistere e l’ho buttata dentro al racconto. Gale e
Haley nelle mie altre
storie incentrate su di loro hanno questo rapporto particolare – uno
pseudo miscuglio fra un’amicizia e un rapporto zio/nipotina – e ho sempre
immaginato che lui trattasse la piccola sempre un po’ con quella dolcezza che
ai tempi riservava solo per Catnip ( e che adesso riserva soprattutto al suo
figlioletto). La citazione del Piccolo Principe l’ho inserita per continuare la
serie di Gale!centric ispirate appunto ad alcune frasi del libro omonimo: “Quarantatré”
e “Se tu mi
Addomestichi”.
E niente, grazie infinite a chiunque sia
passato a leggere questa storia! Significa molto per me!
Un abbraccio e a presto!
Laura