Note
della traduttrice: Salve gente,
è Nacchan che vi parla èçé (Eh sì,
sono ancora viva.)
Intanto ringrazio Juju per averla letta prima di pubblicarla, avevo paurissima di aver fatto un mezzo casino XD! Bwahahahah!*_*
Ho letto Skeletons circa due mesi fa, innamorandomene follemente. Si
ringrazia la Liz per avermela fatta conoscere.*inserire cuoricino
qui* Ho deciso di imbarcarmi nella sua traduzione per due motivi:
Motivo UAN! È una fanfiction che ha riscosso molto successo in
tutto il fandom, quindi volevo che tutti gli amanti di questo pairing
la leggessero, perché merita davvero. E poi, in secondo luogo,
è un grande allenamento per me, piccola sfigata, dato che a
maggio mi aspetta un esame di traduzione inglese e BRAMO un voto
decente. e_e Un motivo dettato dall'ammmmore, uno dettato da
necessità meramente universitarie. *ride* Insomma, è
una fic che merita. E spero che questa traduzione le faccia
giustizia. E che vi porti ad amarla come ho fatto io. è_é
Disclaimers:
Ha ha.
Note
dell'autore: Questa fic mi è stata ispirata dall'oav di
Fullmetal Alchemist PIU' CARINO che io abbia mai visto. Sì, è
ancora più carino di quello dei Chibi, se qualcuno di voi sa
di cosa sto parlando. Non so dove la mia amica Su-chan lo abbia
trovato, a meno che non sia su Youtube, ma è su... oh, non
voglio spoilerarlo, ma in poche parole è la celebrazione del
centesimo compleanno di Edward Elric nel 2005.
Ora,
personalmente non penso che Ed vivrebbe fino ai 100. Perdono, non
voglio demoralizzarvi, ma considerando tutto quello che ha fatto
passare al suo corpo – passare attraverso il Gate (un sacco di
volte), morire una volta o due, automail, tutte le battaglie, e con
tutto quello che ha passato, riesco a vederlo vivere fino ai 50. Al
massimo. Comunque...
Il
film era dannatamente adorabile, dovevo scriverci sopra! Divertitevi!
XD
Attenzione:
Elricest, spoiler se non avete visto il Birthday!Oav (anche se non
spoilera niente della serie). Oh, e ho messo qualche “personaggio
originale” qui, basato sui nipoti di Ed nell'Oav. (Indovinate a
chi somigliano i tre – i primi due non contano.)
XXX
X
X
X
Ricordo
davvero poco del mio omonimo. È morto quando avevo solo sette
anni. A quell'età, cosa c'è da ricordare? Nonno era
soltanto uno dei tanti parenti. Malgrado il suo opinabile ego e il
suo sorriso amichevole, era davvero tranquillo... soprattutto
all'avvicinarsi della fine. Si stancava davvero facilmente; poteva
giocare con mio fratello, mia sorella e me soltanto per un'ora, prima
di aver bisogno di riposare. Adesso penso che fosse fantastico che
fosse così arzillo: cento anni e la capacità di
imprecare come un marinaio. Ma quando hai cinque anni, tutto ciò
che vuoi fare è giocare con qualcuno attivo quanto te.
I
miei ricordi più chiari di lui sono quelli in cui ci
raccontava le storie della buonanotte – gli piaceva parlare di
un mondo immaginario che lui chiamava Amestris. Anche se le storie
sembravano farlo triste, e guardava sempre lontano quando ce le
raccontava, Alexander, Rosalie ed io le amavamo da morire. Abbiamo
passato molte giornate estive all'aperto, facendo finta di trasmutare
i tombini. La sola idea dell'alchimia ci faceva ridere, e nonno –
ormai stanco del resto del mondo – rideva sempre con noi.
L'unica
altra volta che l'ho visto tanto felice è stata quando
sfogliava il suo album fotografico. Gli piacevano le foto. Una volta
mi raccontò che lo aiutavano a ricordare chi era.
Io
sorridevo come il bambino di sei anni che ero.
.
. . mi raccontò un sacco di cose come quella, in realtà
– semplici estratti della sua vita che erano molto più
di quel che sembravano. Penso che Alex e Rosalie fossero gelosi di me
per questo; amavano nonno davvero tanto, e lui sembrava sempre in
qualche modo depresso quando li vedeva. Una volta, quando aveva
quattro anni, Rosalie cominciò a piangere perché
pensava che il nonno non le volesse bene. Il nonno si era
immediatamente allarmato, e velocemente aveva preso Rosie e Alex con
sé e aveva mostrato loro qualche foto. Non so cosa le avesse
mostrato. Ma le si risollevò il morale.
Io
continuavo a guardare la tv, ignorandoli come il marmocchio che ero.
O sono, dipende da quel che pensate voi.
Mamma
dice che non ho ereditato solo lo sguardo del nonno, ma anche il suo
atteggiamento. Forse è per questo che lui trovava più
facile punire me – e poi farmi l'occhiolino quando nessuno
guardava.
.
. . Questo è l'ultimo ricordo che ho: lui che mi faceva
l'occhiolino. Prima che Rosalie, Alexander e io andassimo via il
giorno del suo centesimo compleanno; dopo essere tornato al suo té
e alle sue foto – sorrise e ammiccò. Gli sorrisi, lo
salutai e gli dissi che ci saremo visti più tardi.
Sono
passati dieci anni da allora.
X
X
X
XXX
Skeletons
XXX
Era
un tranquillo pomeriggio in paese; il suo momento preferito. Gli
uccelli cantavano; i fiori fiorivano; Alchemy, il suo gattino grigio,
faceva le fusa soddisfatto sul suo grembo. . . E in generale andava
tutto bene. Alexander Elric godeva felicemente della sensazione,
sorridendo al luminoso cielo azzurro mentre sorseggiava un bicchiede
di té freddo.
Ah,
i piccoli piaceri della vita. . .
Un
rumore di passi lo avvertì della presenza di qualcuno. Il
ragazzo si bloccò, alzando lo sguardo—
“Ehi,
Al!” gridò una voce allegra in quell'esatto momento; una
voce tanto dolce e profonda e mielosa. Avrebbe riconosciuto quella
voce ovunque: apparteneva al suo fratello maggiore.
“Ed!”
salutò Alex, poggiando la bibita accanto a sé mentre il
suo fratello si avvicinava come un aliante – la vera visione
della bellezza birbante nella sua larga canottiera arancione e nei
jeans aderenti – ghignando con il suo solito sorriso,
scherzosamente falso. “Che stai facendo? Pensavo fossi andato
ad aiutare mamma a sistemare gli scatoloni e tutta la roba.”
A
quelle parole, Edward fece una smorfia; poi si raddrizzò
scrollando le spalle con non-chalance . (Come se potesse nascondere
la sua espressione.) “Sì, mh ,beh,” strascicò
con aria compiaciuta il biondo, sedendosi accanto ad Alexander, “Ho
fatto tutt-!”
“EDWARD
SIMON ELRIC, TORNA IMMEDIATAMENTE QUI!” Una
donna – la loro madre – improvvisamente urlò dal
garage, così forte e minacciosa che anche Alchemy scattò
sull'attenti, scappando dalla veranda.
“.
. .” Alex sospirò, guardando malinconicamente la sua
bibita - ora rovesciata. Ne avrebbe presa un'altra... ' Insieme
a un paio di pantaloni puliti.' “Che
cosa hai fatto ora,
fratellone?”
Edward
– che, malgrado la sua posizione rilassata, ancora troneggiava
sul suo fratellino (nonostante Alex fosse solo un anno più
giovane), - sussultò come se fosse stato colpito. “Che
cosa ho
fatto?”
gli fece l'eco, chiaramente piccato. “Tu stai automaticamente
accusando me?”
“Dovrei
accusare mamma...?”
ribatté
ironicamente il secondo. (Si irritò, lo zucchero secco nelle
sue cosce) “Il 'duh' salta alla mente.”
Ed
sembrava molto felice del suo ribattere intelligente. “Non vuoi
sentire la mia
versione, Al. . .?” piagnucolò, i grandi occhi dorati
pieni di dolore. Piegò la testa di lato, imbronciandosi; la
sua coda biondo chiaro brillava alla luce del sole. Alex si rese
conto improvvisamente di quelle lunghe, setose ciocche aderenti al
suo collo nudo e sudato quando si ritrovò Edward ad un palmo
di naso. Odorava di erba appena tagliata e di una piccante, ignota
acqua di colonia. . .
E,
con suo stesso orrore, Alex arrossì, allontanandosi
rapidamente. “No!” dichiarò velocemente, forse con
più rabbia del necessario. Incolpò i suoi pantaloni
appena bagnati. 'Merda,
è COSì sbagliato-!'
“Dai, Edward, mamma sta chiamando – e tu avrai soltanto
più
guai,
se la ignori.”
“Oh.
. .!” Ed sbuffò (abbastanza rumorosamente), stizzito
come la primadonna che era. “Bene!” brontolò,
evidentemente furioso. “Ma non aspettarti che io
ti copra
la prossima volta che tu – tu-” Ci fu un momento di lotta
mentale; un largo, superbo ghigno fiorì lentamente sul viso,
così fastidiosamente affabile. E quando Edward si avvicinò
ancor di più alla risposta, Alex deglutì in anticipo.
“La prossima volta che scaricherai lemon
da internet.”
“—!”
Il viso del moretto diventò velocemente color pomodoro;
la coda strattonata
nervosamente. Gli occhi color nocciola guardarono quelli dell'altro,
pieni di agitazione. “Come fai a s— cioé —!”
'Oh,
cazzo.'
Giusto
per apparire sospetto.
Sospirando,
la testa del più giovane si piegò rassegnata. E, come
fosse
un segnale, Edward ghignò vittorioso. Avrebbe sempre vinto
contro Alexander, se ci avesse provato abbastanza. O se avesse
giocato sporco. Qualunque delle due sarebbe andata bene. “. . .
Ok. Andrò ad aiutare mamma.”
“Grazie!”
Sorrise Edward, saltellando e dando all'altro un veloce abbraccio. Le
guance già rosse di Al si infiammarono, il corpo irrigidito
dall'abbraccio veloce. “Ti devo un favore fratellino!” E
poi agitando una mano ed strizzando l'occhiolino sparì in un
secondo.
Fu
allora che Al realizzò che suo fratello gliel'aveva fatta di
nuovo.
“.
. . Dannazione.”
Furioso
per essere stato appena gabbato, Al brontolò, trascinando i
piedi verso il garage.
X
Edward e Alexander Elric
erano molte cose – fratelli,compagni di stanza (visto che
c'erano solo tre camere da letto in casa e Rosalie e i loro genitori
avevano bisogno del proprio spazio), studenti abbastanza bravi. . .
ed erano anche notoriamente testardi, dalla lingua affilata, e non
proprio noti per essere particolarmente leali nei litigi.
Specialmente quando si
menavano a vicenda.
Ma sopra ogni cosa,
erano profondamente devoti alla legge dello Scambio Equivalente –
così come il loro padre aveva insegnato loro.
Così
quando Alex aveva (più o meno letteralmente) buttato giù
dal letto di sopra Ed quella stessa notte per aiutarlo a classificare
gli scatoloni che aveva portato via durante le pulizie in garage, il
fratello maggiore non aveva avuto altra scelta che rassegnarsi ed
accettare il suo destino.
“Dannazione,
Al,” si lamentò il biondo, seduto a torso nudo e con le
gambe incrociate sul pavimento accanto al letto a castello, frugando
controvoglia dentro una scatola di scarpe. “Dopo tutto il
lavoro che ho fatto per uscirne, tu mi ci rimetti dentro?”
“Sbagliato,”
scherzò Alexander, aprendo lo scatolone di un frigorifero.
“Questo lavoro è diverso. Mamma voleva che tu l'aiutassi
ad organizzare gli scatoloni. Ora vuole che io controlli questi
scatoloni – e tu mi aiuterai.”
Edward
sospirò, salvando un orecchino orrido da un mare di carta
velina, inarcando un sopracciglio. Lo lanciò velocemente via.
“E qual è il motivo di tutto questo?”
“Pulizie
di primavera?” azzardò ironicamente Alex, la sua
risposta ovattata dal cartone mentre scavava nello scatolone. (Al
suono della sua voce, Edward non poteva fare altro che ammirare la
sua opera, soddisfatto, guardando il sedere del suo fratellino
sculettare mentre scavava sempre più in fondo tra le
profondità oscure.) “Non lo so. Penso abbia parlato di
una vendita di oggetti usati, o qualcosa del genere...”
Ed
fece una smorfia. “Non parlavo delle pulizie,”
lo corresse velocemente, suonando esasperato. “MA DI QUESTO.”
Fece penzolare un altro oggetto pescato a caso – un
giarrettiera azzurra schifosamente sporca – davanti al naso di
Al, guardandolo in un misto di rabbia e divertimento. Alexander,
trovandosi di fronte l'oggetto interessato, arrossì prima di
voltarsi di nuovo. “Tutta questa... Questa spazzatura! Qual è
il nocciolo della questione? Perché abbiamo questa roba?”
“Non
che sia davvero nostra,” il moro borbottò, ancora
sconvolto. (Ed, decidendo che si sarebbe divertito con la
giarrettiera, la usò come una fionda, lanciandolo e andando a
colpire la faccia di Al. Alex lo guardò in cagnesco,
lanciandogli di rimando un vecchio mappamondo impolverato.) “Credo
sia del nonno.”
Ed
aggrottò la fronte. “Davvero?” mormorò, in
qualche modo intrigato dalla cosa mentre faceva roteare il mappamondo
tra le sue mani. “Quale dei due?”
“Quello
morto – nonno Elric.”
“Oh.”
sbadigliò il più vecchio dei due, stanco; gli occhi
dorati socchiusi in un interesse offuscato dal sonno. “Questo
spiegerebbe perché c'è così tanta roba.
Comunque, perché è qui? Perché mamma non l'ha
ancora buttata?”
“Ed!”
lo rimproverò Alexander, disgustato dal tono crudo di suo
fratello. Sedendosi sulle ginocchia, Al tolse la polvere dalla sua
maglietta e dai pantaloncini, guardandolo male. “Mostra un
po'
di compassione, ok? Era scontato che mamma non avrebbe buttato tutto
– sono sicuro che papà voleva controllare le sue cose
un'ultima volta. Nonno Elric era suo
padre,
dopotutto.”
“Beh
sicuramente ha avuto tutto il tempo di farlo – sempre che
l'abbia fatto,” strascicò Edward. “E se lo avesse
fatto, perché NOI siamo stati coinvolti?!”
“Non
lo so,” brontòlo Al, ancora infastidito. Tornò a
scavare dentro lo scatolone del frigorifero, pagine di giornale
ingiallite che gli cadevano attorno come confetti. “Forse mamma
mi ha dato questo scatolone per errore, o forse voleva vendere la
roba che c'è dentro, o forse papà non non l'ha mai con-
controllata. . .”
E
poi all'improvviso strasalì, la voce che vacillava – per
poi morire.
Silenzio.
Ed,
che ancora giocava con il vecchio mappamondo marrone, si fermò,
confuso dall'improvviso silenzio. “Al?” provò,
mettendosi seduto. Come mai era così pallido? “Alex?”
Mettendosi sulle ginocchia, il ragazzo si piegò in avanti,
scuotendo il suo fratellino. “Yo, Alexander. Che succede?”
Deglutì;
il suono rimbombò in modo strano nella piccola camera da letto
ambrata. Poi, guardando suo fratello col lo sguardo più
stranito che potesse fare, Alex tolse fuori dalla scatola quello che
sembrava un pezzo di carta scolorito. “S. . .” sussurrò,
chiaramente sconcertato. O meglio, brutalmente shockato. “S-
Siamo noi.”
X
E così era. O
meglio, così sembrava.
“Ch-.
. . che diavolo. . .?” Edward rimase a bocca aperta, strappando
la foto dalla mano ad Al, le lunghe dita tremanti. Il sottile pezzo
di carta si scosse nella sua stretta; i colori sfocati luccicavano
debolmente alla luce del tramonto che filtrava dalla finestra. “Non
possiamo essere noi-
questa foto ha almeno novant'anni!”
Giusta osservazione. A
giudicare dalle sfumature color seppia, dal colore grigiastro, e i
vestiti indossati da quei due ragazzi – che sembravano un po'
fuori dai primi del novecento. . . La foto era ovviamente
vecchissima. Il che fece apparire le facce sorridenti ancora più
inquietanti.
Alex, ancora
giustificabilmente sorpreso, abbandono il suo scatolone –
girandogli attorno per sedersi affianco a suo fratello. “P. . .
pensi che. . .” sospirò, toccando la superficie della
piccola foto, grande tanto quanto una figurina di baseball. “Pensi
che possa essere nonno?”
La domanda aleggiò
nell'aria per un attimo, esitante. Alexander continuò
velocemente.
“Voglio
dire, è una scatola con le sue cose giusto? E lui ha sempre
amato le foto. E mamma ha sempre detto che tu gli assomigli
tantissimo. . .”
Edward non rispose
subito, estasiato dalla foto - così estasiato da non riuscire
a pensare ad altro; era così curioso. . . Esitante, fregò
il pollice sul viso del suo doppio, come se volesse toccare quel
largo sorriso.
Il ragazzo nella stampa
continuava a sorridere; il mento inclinato verso l'alto, a guardare
allegramente il ragazzo più alto, la cui mano stava sulla sua
spalla.
“.
. . suppongo abbia senso.” Ammise finalmente Ed, rischiarando
la voce. Facendo cadere la foto come se lo avesse scottato, si voltò,
giocando con la sua lunga coda. “Ma se fosse vero, allora chi è
quello?” indicò con un gesto il secondo ragazzo, che
somigliava spaventosamente ad Alex.
Il moretto poté
solo scuotere le spalle – evitando di guardare il suo sosia.
Quel sorriso era così solare, così adorabile; faceva
male guardarlo. Per cos'era? Perché questi due uomini si
conoscevano?!
“Pensi
ci sia qualcos'altro nella scatola?” chiese Al sottovoce,
ribaltando la fotografia, le facce rivolte al tappeto. Era davvero
troppo. “. . . Qualcosa su. . .?”
Edward fece una smorfia,
alzandosi velocemente. “Che importa?” brontolò,
forse un po' più a voce alta del dovuto. “Non c'è
da preoccuparsi. Nonno conosceva qualcuno che ti assomigliava un po'.
Figo. Ma non ci riguarda in nessuna maniera.” Si fermò,
insicuro di cos'altro dire o fare prima di decidere di oltrepassare
la porta. “Ho fame,” annunciò poi. “Abbiamo
ancora della pizza fredda?”
“Ti
sembro il frigo?” sbottò Alexander indignato, scacciando
via suo fratello con un gesto della mano. Cominciò a rovistare
tra la carta d'imballaggio, accartocciando tutti i fogli in una
grande palla di carta. “Vai a controllare da solo.”
“Lo
farò.”
E lo fece. Lasciando
Alex da solo.
“.
. .”
Il silezio faceva male.
Sospirando, il giovane
continuò ad ordinare la stanza, gettando qualche calzino
vagante nell'angolo, alla ricerca di altra spazzatura. Per tutto quel
tempo, la foto giaceva affianco al letto a castello –
impossibile da dimenticare, e neanche da ignorare. Provandoci
comunque il più possibile, Alexander non riusciva a tenere i
suoi occhi lontani dal retro di quella fotografia, la mente che
andava alla deriva, nel tentativo di decifrare il messaggio nascosto.
Era come se i due stessero cercando di dirgli qualcosa... qualcosa di
importante.
Chi era, il ragazzo che
gli somigliava? Il ragazzo che toccava il loro nonno con tanta gioia
e devozione? Il ragazzo che il nonno guardava con tanta attenzione e
preoccupazione?
Chi?
Prima di realizzare cosa
stesse facendo, Alex sentì i suoi piedi muoversi nuovamente
verso lo scatolone del frigo. Balzandoci dentro di sua spontanea
volontà, si ritrovò presto sepolto fino alle spalle da
vecchi giornali, scavando, cercando qualcosa che potesse aiutarlo a
vederci chiaro.
E lo trovò; la
mano destra chiusa in qualcosa di duro e grosso; pesante. Freddo.
Ruvido. Lo recuperò senza esitazione.
“Un
libro?”
Alexander
strabuzzò gli occhi, preso in contropiede e cadendo sul suo
sedere, incrociando le gambe con la sua scoperta sul grembo. Era
un
libro – ovvio, per forza e grandezza; la pelle color cioccolato
copriva, circondandola, una risma di pergamena giallognola – ma
non era ciò che solitamente si vedeva in mano a suo nonno. Di
Edward senior erano noti i suoi gusti scientifici; non sarebbe mai
andato a zonzo con storielle di poco conto. O nient'altro, comunque,
che avesse a che fare con immaginazione. Quindi era strano che quel
libro fosse in suo possesso: un libro che, invece di contenere un
sacco di complicate parole in latino sulla copertina, mostrava
fieramente una chiusura e un disegno di qualcosa di simile a un
drago.
Al
ci credeva a stento, incapace di tenere le sopracciglia abbassate
mentre toccava il volume pesante. “E'...” mormorò
a se stesso, incapace non manifestare stupore nella sua voce. “E'
un diario.
. .?”
Sicuramente ci
somigliava – molto più di quanto potesse assomigliare a
un libro di chimica, in ogni caso. Ma c'era davvero solo un modo per
scoprire davvero cos'era. . .
E così, con un
profondo respirò, Alex ruppe il sigillo, lasciando che le
pagine si aprissero in una esplosione di polvere.
X
Maggio,
1923
Caro
Al,
prima
di tutto, lasciami dire che non posso credere di star facendo questo.
E so che, se tu fossi qui, mi guarderesti come se fossi diventato
pazzo. Ma dammi la possibilità di difendermi – non è
stata una mia idea. È stata di Heiderich. È stato lui a
suggerirmi di iniziare a scrivere un diario (parole sue, non mie)
così da – e qui lo cito - “registrare i tuoi
ricordi in questo mondo nuovo, così che potrai raccontare
tutto a tuo fratello quando lo troverai.” La mia risposta è
stata un po' volgare, lo ammetto, ma riassunta suona così: “Io
non tengo diari.” E lui, perciò, ha modificato la sua
richiesta cambiando la parola “diario” in “diario
di ricerca.”
Gli
ho detto di andare a farsi fottere.
Comunque,
immagino abbia comunque vinto, alla fine, perché sono qui, e
scrivo. Anche se questo non è un diario – non è
neanche un diario di ricerca. Perché anche se è quello
che lui ha suggerito, non era sicuramente quello che intendeva. O che
io intendevo.
Credo
sia solo stanco di vedermi depresso. E suppongo di non poterlo
biasimare. Sono passati due mesi dal mio brusca arrivo in questo
mondo incasinato, e le cose da lì sono andate solo in discesa.
Ho un lavoro, ho un compagno di stanza, ma non ho nessuna voglia di
vivere. (Tu mi diresti che sto esagerando, che sono troppo drastico,
vero Al?)
Mi
manchi, fratellino. Non posso smettere di pensare alla nostra casa,
ai nostri amici, all'alchimia. Non posso smettere di preoccuparmi per
te. Stai bene? Il tuo nuovo corpo funziona bene? Il piano del
colonnello ha funzionato? Ho bisogno di saperlo – ma non ne ho
modo.
Heiderich
è di grande aiuto. Mi ascolta, e non mi chiama pazzo. Mi porta
sempre a casa quando mi ubriaco al bar. (E so che ci vado decisamente
troppo.) È lui che mi ha dato questo diario. Si preoccupa per
me, nonostante sia un peso. E non come farò a ripagarlo per
tutta questa gentilezza.
So
che lo Scambio Equivalente tornerà a mettermelo nel culo. È
solo una questione di tempo.
Ma
per ora, non c'è niente che possa fare, oltre che star seduto
qui. Fa freddo a Monaco (è qui che sono ora, in una nazione
chiamata “Germania”) in questo periodo dell'anno, dunque
le finestre sono tutte chiuse. Non abbiamo un caminetto o molte
candele, quindi è buio – e fa freddo. Heiderich è
qui vicino, che prepara la cena, e io scrivo sul tavolo della cucina.
Ha cercato di leggere di soppiatto quando ho iniziato a scrivere
(vuole sapere di più su di te, Al, ma io non gli dirò
niente), ed è per questo che scrivo in inglese. Non sa
leggerlo, e non gli piace. Dice che è troppo complicato. A me
piace, invece: è vicino alla lingua che parlavamo a casa. Il
tedesco è più difficile per me. Ma credo che lo
imparerò.
Spero
che tu stia bene, Al. Mi manchi – mi manchi un sacco. Ma devo
dirlo, mi sento meglio dopo aver scritto questo. Forse Heiderich
aveva ragione.
Scriverò
ancora, più tardi.
-
Ed
X
Alexander
osservò con gli occhi spalancati quella scrittura, chiedendosi
confusamente se il suo cuore avrebbe mai ripreso a battere. Quando
aveva letto all'inizio 'Caro Al,' si era sentito per un momento come
se la lettera avesse attraversato il tempo, trovando la strada per
giungere a lui. Ma no . . . 'Il
nonno aveva un fratello minore?'
E che diamine erano
tutte quelle parole su altri mondi? Un corpo nuovo? Un colonnello?
Alchimia? Suonava tutto un po' come le sue storie della buonanotte.
Che ovviamente non
potevano essere vere.
. . . giusto?
“Hey,
Al-” (Alex quasi saltò per un miglio, stringendosi il
petto quando suo fratello lo rese partecipe della sua presenza) “Ho
comprato la piz-”
Ma il biondo si zittì
non appena vide la faccia tonda di suo fratello. Piegando la sua
testa, perplesso, il più grande poggiò i piatti su un
comodino incasinato, sedendosi accanto all'altro sul pavimento. “Che
succ- hey, dove lo hai trovato?” disse, indicando il diario con
voce inquisitoria; gli occhi dorati grandi e innocentemente
perplessi. “Nella scatola?”
“É
un vecchio diario epistolare.” replicò velocemente
Alexander, poggiando il libro tra i due – sopra la fotografia.
“Lettere che il nonno scriveva al suo fratello minore.”
Edward
sembrò sorpreso. “Fratello minore?” ripeté,
stupito. “Non sapevo che il nonno ne avesse uno.”
“Beh.
. .” Alex schiarì la sua voce cautamente, molestandosi
il ginocchio con l'indice. “Forse non lo aveva.”
“Huh?”
Una pausa, e aggrottò le sopracciglia. “Che vuoi dire?”
Al scrollò le
spalle, in qualche modo turbato. “Nella prima lettera continua
a parlare di cose come altri mondi e alchimia. . . come le storie
della buonanotte che ci raccontava. Forse era. . . um. . . lo sai. .
.”
“Pazzo?”
lo completò secco. Suo fratello annuì, sentendosi
agitato – e un po' colpevole.
“Eh.
Potrebbe, credo. Ma. . .” il biondo si fermò un
momento, guardando fuori dalla finestra. Il crepuscolo così
com'era venuto se n'era andato; la luna splendeva, ora. “Ma il
nonno non ti aveva mai detto niente su suo fratello? E non ti aveva
fatto vedere delle foto?”
“.
. . Cosa?”
Edward
spazzò via la chiara indignazione del più giovane.
“Beh, ricordi quella volta, quando tu avevi – non so,
cinque anni? Aveva mostrato delle foto a te e Rosie quando eravamo
andati a trovarlo. Io non le avevo viste, ma ricordo che tu eri
felice di averle viste. Erano di quel ragazzo?” Puntò il
dito contro la foto che giaceva sotto il diario. “Forse lui
è
il fratello del nonno. Questo spiegherebbe perché te l'aveva
fatto vedere – tu e Rosalie vi lamentavate che non vi volesse
bene perché sembrava sempre triste quando vi guardava. Deve
essere stata la somiglianza con te. Forse tu gli ricordavi suo
fratello.”
“.
. .”
Alexander era sbalordito
– si limitava a fissare suo fratello. Ed, che realizzò
con imbarazzo che aveva difeso suo nonno (ed aveva trovato delle
giustificazioni frivole per qualcosa che i più avrebbero
considerato una solida prova di insanità), arrossì di
un chiaro rosso. “Cioé, è solo una supposizione.”
mormorò, toccando il tappeto con l'alluce.
Al
tossì. “Um... Sì, io non... ecco... insomma,
avevo quattro anni! Non mi ricordo!” La sua fronte si aggrottò
in mille pensieri; agitò le nocche, un po' abbattuto. “Ma
suppongo. . . che non abbia importanza. . . ”
“Perché
ti stai facendo così tanti problemi, comunque?” chiese
Edward freddamente, cercando di recuperare un po' di 'orgoglio
maschile'. “É solo una vecchia foto e un ancor più
vecchio diario. Perché non lo buttiamo e basta?”
Ma questo evocò
una risposta ferma.
“No,”
replicò Alex senza esitazione. “No, voglio leggerlo.”
Ed
– che, dopottutto, non era davvero sorpreso (Suo fratello era
una sorta di storiofilo)
– inarcò comunque un sopracciglio. “Perché?”
Era una domanda
abbastanza semplice. Ma ciò nonostante, Al non rispose per un
po'. . . invece fissò quel matto corsivo nella pagina prima.
“Io. . .” rosicchiandosi il labbro inferiore, Alexander
guardò disperatamente suo fratello maggiore. “Sento che
c'è qualcosa che dovremmo sapere di lui. Come se ci fosse
un'ultima storia della buonanotte che non ci ha raccontato, ma che
avrebbe voluto dirci.”
“.
. . hai di nuovo mangiato dentifricio?”
“Fratellone!”
“Hey!”
urlò Edward, difendendosi con le mani alzate e un sorriso
felice, schivando il cuscino. “Sto scherzando! Fai come vuoi,
non mi importa. E poi, se nonno era davvero pazzo, forse troveremo
una buona idea per un romanzo, o qualcosa così.”
Tipico di Ed. Non
prendeva mai niente sul serio. In ogni caso, quando Alex voltò
pagina per leggere la nota successiva, suo fratello non andò
da nessuna parte. Anzi, indugiò – probabilmente volendo
leggere anche lui.
Sfortunatamente,
sembrava che questa nota avrebbe impiegato un po' più di
lavoro, nel leggerla: la pergamena era imbrattata di inchiostro e i
resti di qualche altro liquido. Anche la scrittura era stranamente
irregolare, veloce come se ci fosse una sorta di ingorgo invisibile
nella pagina. . .
X
Maggio1923
Al
– non ce la faccio più,
noncelafacciononcelafacciononcelafacciovoglio vederti adessoe non
voglio aspettare. Dove sei? Dove potresti essere? Mi sta
aspettandoancora nellportale? Vogliostare con te vedertiadesso.
Tivoglioadesso.
Mi
manchi, iltuocaloree sorrisoetutto di te. Ti voglioconme così
che possa toccart-
X
Alexander chiuse di
colpo il libro con un forte SMACK. I suoi occhi erano enormi, le
guance rosse come ciliegie. Edward, d'altra parte, guardava il tutto
stranamente divertito.
“Io.
. . uhm. . . credo fosse ubriaco,” sbraitò Alex,
chiaramente terrorizzato.
“Ubriaco?”
gli fece l'eco Ed, ridendo, il suo sorriso che si trasformava in un
ghigno divertito. “Al- io credo fosse gay.”
XXX
Oh,
quanto hai ragione, Edward Jr. XD
Comunque,
fortunatamente aggiornerò presto – visto che ho in mente
alcuni progetti amabili (e altri un po' meno) per entrambe le coppie
di fratelli Elric. ;)
Spero
vi sia piaciuto!
Ps:
Non ero molto sicura dell'anno in cui Edward ha oltrepassato il
portale e sia venuto dalla nostra parte; ero abbastanza sicura che
fosse nel 1920, più o meno. . . e poi ha passato tre anni
senza Al? Giusto? Credo. . .? Aiuto. . .? (Inserire gocciolina
qui)
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