L
L’Infanzia di Maria
Prologo- All’ora sesta
Forse fu all’ora sesta forse alla nona
Cucito qualche giglio sul vestitino
alla buona
Forse fu per bisogno o peggio per
buon esempio
Presero i tuoi tre anni e li
portarono al tempio
Presero i tuoi tre anni e li
portarono al tempio
Di quel
giorno ricordi poco e nulla, fragile sposa.
Ricordi
forse i volti dei sacerdoti?
Ricordi
forse le loro parole, calme, rassicuranti, mentre ti portavano via dalla casa
dove tua madre ti diede alla luce, appena qualche anno prima?
Ricordi
qualcosa del giorno che morì, la tua bella madre senza marito, lasciandoti,
quasi come unica eredità e lascito, al tempio?
No.
Non
ricordi molto di quei giorni, bambina.
Perché è
questo che sei, sposa.
Una
bambina. Una bambina, o forse una ragazza.
Ma una
ragazza, una ragazza, non una moglie e non una madre. Non sei nulla di tutto
questo, Genkay. Ammettilo.
E mentre
il tuo futuro marito ti conduce via, non sai fare altro che nascondere il volto,
d’una straordinaria, terribile bellezza, tra le pieghe dell’abito.
Guardi
un' ultima volta il tempio dove sei cresciuta.
Ma non
c’è rimpianto nei tuoi occhi, non c’è tristezza nel tuo cuore.
Tu non
ami quel posto e loro lo sanno.
E forse
è per questo che ti hanno data in sposa.
Tu non
ami quest’uomo. Lo sai, e lui lo sa e lo sanno i sacerdoti:ma non per questo non
lo sposerai e non per questo non gli darai un figlio.
Rabbrividisci, stringi le gambe, sposa?
Rabbrividisci, stringi le gambe, sposa, sposa bambina, gemendo e piangendo in
cuor tuo al pensiero.
Ma lui
non lo saprà.
Non lo
saprà, Genkay: non dovrà mai saperlo perché ora lui è il tuo legittimo sposo,
perché avrà diritto di vita e di morte su di te. Su di te, sposa che non vuoi
essere e che di certo sarai, perché è per questo che ora ti conduce via, per
portarti al suo paese e prenderti in moglie.
Devi
arrenderti.
Arrenderti a questa maledetta, stramaledettissima vita. Non sarai mai libera e
lo sai. L’hai sempre saputo in verità: i sacerdoti non t’avrebbero lasciato e lo
sapevi.
Adesso
sei la moglie di quest’uomo, futura madre dei suoi figli. Ha accettato di
prenderti in sposa nonostante tu, nel tuo intimo, chiedessi solo una cosa:di
ottenere la libertà.
Quella
libertà che sognavi quand’eri piccola e servivi i sacerdoti nei piccoli servizi,
seguivi le ancelle del tempio a prendere acqua alla fonte: tu sognavi di correre
libera lontana da quella prigione, fatta di inni e di preghiera. Bagnavi le
candide mani nell’acqua corrente e vedevi il tuo bel viso, l’incantevole volto
dagli occhi d’ebano scuro.
Molta
gente, al villaggio, voleva la tua mano.
Ma
nessuno ti amerà. Nessuno ti amerà mai per quello che sei, per quello che sai
fare, per la forza che le tue braccia bianche tengono nascosta, forse nessuno ti
amerà e basta.
Ti
ameranno per i primi tempi, ameranno l’immagine pura e casta che si sono fatti
di te, ma presto capiranno che non hanno sposato Genkay: loro hanno sposato
l’idea di Genkay, hanno sposato la fanciulla dolce e innocente che si
aspettavano.
Non ti
amerà quest’uomo per quello che sei, e allora ti odierà, ti picchierà e ti farà
del male, e tu non potrai fare altro che subire, subire e stare zitta, che è ciò
che sei stata abituata a fare: eseguire gli ordini, chinare il capo, e tacere.
Tacere e
accettare, in silenzio.
Questa è
la vita che ti aspetta, Genkay, e tu lo sai.
Sai che
vivrai infelice per il resto della tua vita, sai che non sarai altro che una
serva.
Sai che
sarai una schiava finchè vivrai, e morirai infelice e sola, e forse allora sarai
libera.
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