sigar
Allora,
tanto per avvisarvi: avevo già pubblicato questa fanfiction, in
precedenza, ma poi l'avevo cancellata (ho la brutta abitudine di
pubblicare e cancellare fanfiction più spesso di quanto mi cambi
i pantaloni), perciò se a qualcuno di voi sembra familiare,
è per quello. Va be', vi lascio al primo capitolo, che ho
trovato nel mio computer mentre bazzicavo annoiata.
Può fare schifo, può piacervi, può farvi ridere...
ma se vi fa schifo ditemelo. Ovviamente sarei contenta se qualcuna di
voi lasciasse una recensione! Ora vi lascio leggere, leggiadre
fanciulle (o fanciulli, ma ne dubito), e incrocio le dita sperando che
vi piaccia!
Capitolo 1
Ho sempre voluto bene alla mia migliore amica Violet. Lei mi fa sempre
sentire a mio agio, con lei mi diverto e riesco ad aprirmi. Andiamo
quasi sempre d’accordo, nonostante le nostre evidenti differenze,
sia fisiche che caratteriali. Lei è la persona che mi ha
coperta, mettendosi dietro di me, il giorno in cui i miei pantaloni si
sono strappati drasticamente il primo giorno di liceo, lei è la
persona che riesce a farmi ridere nei momenti difficili e che mi
sostiene quando sto per cedere. Ma lei è anche quella persona
che mi ha ricattata, facendomi entrare furtivamente nella casa della
sarta di mia madre, solo per un misero pacchetto di sigarette da dare
al suo ragazzo. Ecco come mi trovo, in questo momento, a frugare come
il peggiore dei ladri nella cucina della signora Filbury.
Sembrerebbe una dolce ed innocente vecchietta, se non fosse una
fumatrice incallita, e si vocifera che faccia qualche gara clandestina
insieme ai motociclisti il sabato sera. Onestamente non credo alle voci
che girano in questo quartiere; lei è stata sempre gentile con
me, mi tratta come se fossi sua nipote e prepara delle torte al
cioccolato squisite, solo per me e mia madre. Questo è
decisamente un altro motivo per cui i sensi di colpa si fanno sentire.
Fortunatamente mi ha dato le chiavi di casa sua, nel caso dovessi
rimanere chiusa fuori casa, dicendo che potevo entrare per qualsiasi
cosa, anche per un po’ di sale. Quella donna ripone troppa
fiducia in me, ed io la sto tradendo.
Scosto i vasetti di miele che occupano la mensola, rischiando di farli
cadere per la troppa fretta. So che nasconde tutto qui, qualche volta
l’ho vista prendere una sigaretta dal nulla, e dubito che le api
fabbrichino nicotina. Finalmente riesco a vedere parecchie scatoline
rettangolari dietro l’ennesimo barattolo. Ne prendo delicatamente
una per non farmi sentire, anche se oggi dovrebbe essere la serata del
poker a casa della farmacista e di conseguenza dovrei essere sola, ma
c’è sempre suo nipote Nicolas che gira per casa e quindi
la prudenza non è mai troppa. Ogni volta che mi vede mi
intrattiene a parlare con lui ore ed ore, è carino
esteticamente, ma è appiccicoso e ultimamente allunga un
po’ troppo le mani.
Esulto come una cretina per essere riuscita nel mio intento proprio nel
momento in cui una persona entra in cucina dalla porta sul retro.
Mi giro con una velocità pazzesca nascondendo la refurtiva
dietro la schiena per vedere se Nicolas mi ha scoperta e… sono
sicura di avere l’espressione di un pesce palla.
Primo, perché girandomi sono riuscita a graffiarmi la mano
contro chissà quale mobile, secondo perché davanti a me
c’è un ragazzo alto e moro che non è il nipote
appiccicoso della signora Filbury.
Nicolas è castano, è più basso, non indosserebbe
mai una camicia nera e non è così dolorosamente attraente.
«Tu saresti?» Mi guarda confuso, bloccandosi sulla porta.
«Sheila.» Riesco a dire il mio nome senza far trasparire troppo la mia sorpresa.
Continua ad osservarmi per qualche secondo, poi va verso il tavolo e ci
si appoggia sopra con i gomiti, prendendo una mela dal cesto della
frutta. Sembra di casa anche lui, fa le cose con naturalezza. Io invece
sono ancora ferma. Vorrei uscire, scappare da questa situazione, ma la
porta è dietro di lui e si accorgerebbe di quello che ho nelle
mani. Mi chiedo perché Violet abbia così tanta influenza
su di me. Mi ha promesso un paio di scarpe nuove in cambio di un
pacchetto di sigarette; dev’essere proprio cotta. Lei ed il suo
ragazzo mi stanno aspettando fuori, davanti a casa mia. Si staranno
sicuramente chiedendo perché ci metta così tanto.
Vedo che il ragazzo ha alzato gli occhi su di me, guardandomi come se fossi pazza.
«Hai bisogno di qualcosa?»
In questo momento Nicolas ci raggiunge. Spalanca gli occhi nel vedermi
e subito un sorriso – tra il malizioso e il felice – si fa
spazio sul suo volto. Sono spacciata.
«Shishi!» Pronuncia quell’orribile soprannome, allargando le braccia. «Che bello vederti!»
Subito il suo sguardo si sposta sul ragazzo moro, che nel frattempo ha
pulito la mela sulla sua camicia. «Non posso dire lo stesso per
te.»
Evidentemente i due non vanno molto d’accordo. Nicolas lo sta
guardando con disprezzo, ed io sto pensando ad una scusa decente per
spiegargli la mia mano dietro alla schiena.
Il ragazzo – di cui ancora non so il nome – si alza, sollevando le mani in segno di resa.
«Siamo cugini. Non dovresti trattarmi così.» Lo sta
prendendo in giro, lo vedo. Quindi sono parenti. Non c’è
nessuna somiglianza tra loro. Mentre Nicolas lo fulmina con gli occhi
cerco di filare via, ma non riesco a fare nemmeno un passo.
«Aspetta! La nonna dovrebbe arrivare adesso, perché non
l’aspetti?» Mi viene un mezzo attacco di panico a sentire
quelle parole. Porto avanti la mano libera, sventolandola.
«No no! Non avevo intenzione di rimanere qui molto…»
Ho la voce così stridula che risultare credibile sarà
davvero difficile. «Ero solo venuta per prendere un po’ di
latte, ma non ce n’è quindi penso di tornare a
casa…» Faccio davvero schifo ad improvvisare, me ne rendo
conto solo ora. Mi chiedo come faccia a non accorgersi che nasconda
qualcosa. Mi accorgo che il mio braccio è piegato in un modo
alquanto naturale, e sembra che io abbia messo la mano nella tasca
posteriore dei jeans. Perlomeno ho qualche speranza.
«Davvero? Eppure mi sembra che questa mattina ce ne fosse.»
Fa per avvicinarsi al frigo, e quando sta per aprirlo, facendomi
così vergognare da morire, arriva la mia salvezza.
«Ha ragione, non ce n’è. L’ho finito io»
e lo dice in un modo naturalissimo. Ringrazio in tutti i modi possibili
suo cugino, perché forse è vero o forse è
semplicemente una balla per proteggermi – cosa che dubito
fortemente – ma sta di fatto che Nicolas gli ha creduto e si
è allontanato.
«Non fare quella faccia. Vado a comprarlo io.» Ghigna,
lanciandogli la mela. Vedo il fumo uscire dalle orecchie di Nicolas.
Sentiamo un clacson suonare insistente al di fuori
dell’abitazione, il cugino più basso e più
arrabbiato si volta verso di me, riacquistando il sorriso. «Devo
uscire con alcuni amici. Vuoi venire, Shishi?»
Scuoto decisa la testa. «No, grazie.» Mi sforzo di sorridere.
Alza le spalle. Non ho nemmeno il tempo di registrare le sue mosse, si
avvicina lasciandomi un bacio sulla guancia neanche fossimo grandi
amici e se ne va.
Quando sparisce dalla mia visuale rilascio un sospiro di sollievo e
rilasso i muscoli, rendendomi conto di aver stritolato il pacchetto di
sigarette.
Ora il ragazzo è in una posizione migliore, posso uscire senza
destare sospetti. È proprio quello che faccio, ma quando gli
passo vicino mi afferra il polso destro costringendo tutto il mio corpo
a girarsi verso di lui. Porta la mano incriminata tra la mia faccia e
la sua, osserva la scatolina tutta stropicciata e vedo i suoi occhi
ghignare insieme alla sua bocca.
Sono sicura di aver riassunto la faccia sorpresa da pesce palla.
«Penso che tu conosca mia nonna, se sei entrata così
spontaneamente in casa sua. Di conseguenza sai anche quanto ami le sue
sigarette, ed io ti posso assicurare…» Mentre parla ha
abbassato la mia mano, ha cominciato ad accarezzarmi il braccio fino ad
arrivare al pacchetto, togliendolo dalla mia presa. Mi accorgo in
ritardo di quello che ha fatto, sono troppo occupata a capire quanto
neri siano i suoi occhi «… che si accorge quando manca
qualcosa nella sua cucina.»
I suoi occhi non si staccano dai miei e il suo ghigno si è
accentuato. Porta la mia mano destra – ora vuota – alla sua
bocca, facendo un baciamano perfetto.
«A proposito, io sono Alexander.»
Sono esterrefatta e a dir poco scombussolata, ma riesco a riacquistare un contegno, anche se l'imbarazzo mi sta divorando.
Provo a parlare, schiarendomi la gola. «Piacere di
conoscerti» balbetto, prima di fuggire a gambe levate. Quando
sono all'aperto tiro un sospiro di sollievo. E solo allora mi rendo
conto di stringere una sigaretta tra le dita.
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