NdT:
Salve a tutti, sono Miss Hinako e per chi non lo sapesse (ma penso che
ormai siate rimasti in pochi) sono la traduttrice di Saotome Gambit.
Visto che ho quasi finito di tradurre la magnus opus (anche
se ci vorrà ancora un bel po' per finire di postarla), ho
pensato di prendermi una pausa dalla fantascienza e tornare al
fantastico mondo canonico, o meglio, post-canonico. Le one-shot di
questa autrice mi sono sempre piaciute, così le ho chiesto
il permesso di tradurre le tre che preferisco e lei, molto gentilmente,
me l'ha dato subito. A differenza di Saotome Gambit, che sapevo essere
perlopiù ignota al fandom italiano, le storie di questa
autrice sono abbastanza popolari e c'è una buona
probabilità che le abbiate già lette e che quindi
questa mia traduzione sia un po' inutile. Ma va bene lo stesso,
consideratelo un esercizio di traduzione, ormai mi sono scoperta questo
nuovo hobby e per un po' mi ci diverto. Le posterò in ordine
di complessità (dalla più semplice alla
più complessa). Questa è la prima. Buona lettura!
Ayame aveva chiare difficoltà, con un kata che aveva
imparato
a padroneggiare tre mesi prima. Ogni volta che Ranma urlava una
correzione, lei saltava su spaventata, quasi come se si fosse
dimenticata completamente che lui era lì. Altre volte, aveva
dovuto chiamarla per nome diverse volte, prima che lei rispondesse.
“Ahia!” urlò lei
all’improvviso, sbattendo
l’alluce sull’asse allentata del pavimento del dojo
e
inciampando per la quinta volta nell’ultima
mezz’ora.
Ranma sospirò sconfitto.
“Ayame,” la
chiamò, sedendosi sul pavimento in posizione meditativa e
indicandole di fare lo stesso.
“Sì, papà – ehm,
sensei?”
Ancora un altro segno di distrazione. I suoi figli lo
chiamavano
sempre sensei, quando si allenavano, ed era rarissimo che Ayame
commettesse un errore di questo genere. Quello che le mancava in
talento, lei lo compensava sempre con la serietà. Era
determinata a seguire le regole alla lettera, a prescindere da quanto
sembrassero stupide. Non contestava mai le sue istruzioni e si fidava
completamente di lui, sempre. Ma oggi, c’era qualcosa che non
andava. Adesso che le era seduto di fronte, vide che aveva ricominciato
a mordersi il labbro, una cattiva abitudine che aveva sviluppato a
cinque anni e che si manifestava sempre quando era particolarmente
nervosa.
“Non sei concentrata, oggi,” disse,
cercando di sembrare
un istruttore severo e non un padre preoccupato. “Prenditi un
po’ di tempo per fare ordine fra i tuoi pensieri e poi
continuiamo.”
Lei chinò la testa, vergognandosi di fronte a
quello che
percepì come disappunto, e per un attimo lui
pensò che
stesse per piangere. “S-Sì, sensei,”
disse,
mordendosi il labbro.
Fu la voce strozzata a dargli il colpo di grazia, e tutte le
istruzioni della giornata furono dimenticate. “A-Ayame,
se-se...
Cioè, se c’è qualcosa che non va... Io,
um...” inghiottì a fatica, sentendosi fuori dal
suo
elemento, e allungò una mano dietro la testa per tirarsi i
capelli. “Cioè, io um... posso andare a chiamare
tua
madre...”
Questa, naturalmente, era l’opzione migliore che
aveva. I
problemi delle ragazzine pre-adolescenti erano molto al di
là
delle sue competenze, e presumeva che Akane sarebbe stata meglio
attrezzata ad affrontare quello che stava succedendo alla loro unica
figlia femmina. Sfortunatamente, doveva aver commesso un
qualche grave errore senza accorgersene, perché nel momento
in cui pronunciò
la parola ‘madre’, il fragile controllo di Ayame
cadde a
pezzi e lei scoppiò in singhiozzi.
“No! È proprio questo il problema! Io non
posso parlare
con mamma di... di questo!” pianse lei, per poi gettarsi la
testa fra le mani e sconfinare in una raffica di borbottii
incomprensibili.
L’intero corpo di Ranma si irrigidì dalla
paura. Le
donne che piangevano avrebbero potuto benissimo essere la sua
kryptonite, e la figlia dodicenne era l’aggressore perfetto
per
somministrargli una dose letale. Rimase lì istupidito, per
più tempo di quanto lui stesso considerasse accettabile,
prima
di scrollarsi di dosso le sue fobie e venire a patti con la
necessità di dover fare qualcosa. Inghiottendo a fatica
ancora
una volta, si spostò accanto alla figlia e poggiò
goffamente un braccio intorno alla sua spalla, dandole qualche pacca
esitante e mormorando, “su, su”.
Continuò così per un po’,
sperando che fosse la
cosa giusta da fare. Il volume del pianto sembrò diminuire,
così come la frequenza dei singhiozzi occasionali, quindi
suppose che qualcosa di buono la stava facendo. Con l’uscita
di
scena dell’iniziale fonte di panico, una parte del suo
cervello
ricominciò a lavorare e lui cominciò a
riconoscere
l’ovvia verità che doveva essere successo qualcosa
di
grave, che stava sconvolgendo sua figlia. Tuttavia, non riusciva a
capire cosa potesse essere.
Gli era sembrata normale, quella mattina. Era stata la
più
brava della classe negli ultimi esami, cosa di cui era piuttosto
orgogliosa. La sua squadra di pallavolo, a scuola, vinceva tutte le
partite e gran parte del merito era attribuito ad Ayame. Lei e i
fratelli andavano d’accordo, più o meno.
C’erano i
classici litigi tra fratelli, ma lei sembrava cavarsela bene,
all’occorrenza, e non era tipo da mettersi a piangere per
qualche
scherzo o sfottò da parte loro. Sembrava essere abbastanza
popolare e amava i suoi amici. Lei e la cugina Minami stavano sempre a
parlare al telefono.
Quindi, cosa poteva mai averla sconvolta tanto? Sembrava
andare tutto bene, a meno che non avesse un problema coi ragazzi...
Il pensiero lo colpì in testa come
un’incudine e il
sangue nelle vene si raggelò all'istante. Il
pensiero
della figlia dodicenne che aveva problemi coi ragazzi gli era
sgradito al massimo grado. Pensava di avere almeno altri due anni di
beatitudine, prima di doversi preoccupare che la figlia avesse a che
fare con i ragazzi. E se qualcuno le avesse fatto del male... Questa,
almeno, era una crisi che sapeva come gestire. Se qualche ragazzo fosse
stato meno che galante con la sua piccolina, gliel’avrebbe
fatta
pagare.
Con questo pensiero in testa, parlò, con una voce
fredda come
il ghiaccio. “Che è successo, Ayame? Qualcuno ti
ha fatto
del male?”
“No, no, papà. Niente del genere. Non
sono io, è... be’...”
Accidenti alle sue esitazioni. Stava cominciando a
preoccuparsi sul
serio. “Sputa il rospo, Ayame,” disse con
insistenza.
“Devi dirmi cosa c’è che non va!
Altrimenti, come
faccio ad aggiustare tutto?” Avrebbe fatto qualsiasi cosa per
sua
figlia. Lei doveva saperlo. Doveva sapere che lui avrebbe smosso cielo
e terra per aiutarla. Vederla così lo stava uccidendo.
“Ma-Ma papà, non posso. Non voglio che tu
e
mamma...” si fermò di botto e si chiuse la bocca
con la
mano.
Lui aggrottò la fronte, improvvisamente sospettoso.
“Che c’entra Akane? Ha fatto qualcosa?”
L’idea sembrava ridicola. Lui si fidava totalmente
di sua
moglie. Ma il panico improvviso nello sguardo di Ayame
sembrò
confermare la teoria, piuttosto che confutarla.
Oh, cavoli.
Cos’ha combinato
quella stupida, stavolta? Ha rotto una cabina della polizia? Ha fatto
scappare qualche altro allievo? Se è stata rapita
un’altra
volta, chiaramente non è stato un grosso affare, visto che
è già a casa a preparare la cena. Oh oh. La cena.
Spero
che non abbia comprato un’altra volta un veleno per
insetti, scambiandolo per condimento. La sua mente
continuò a rimuginare su tutta una serie di
possibilità,
ma alla fin fine, non era seriamente preoccupato e sentì il
bisogno di informarne la figlia, vedendola chiaramente agitata per la
faccenda.
“Senti, Ayame,” cominciò, un
po’ incerto su
come procedere. “Non devi preoccuparti per me e tua madre.
Noi
sistemiamo sempre tutto... quale che sia il problema. Qualunque cosa ti
stia opprimendo, sono certo che verrà fuori che non
è
niente. Ora, non ti costringerò a dirmelo, se ti mette a
disagio, ma sei chiaramente sconvolta e hai già detto che
non
puoi dirlo ad Akane...”
“Credo che mamma abbia una relazione!”
sputò fuori Ayame, all’improvviso.
La prima reazione di Ranma fu di mettersi a ridere. Questa era
l’ultima cosa che si aspettava saltasse fuori dalla bocca di
sua
figlia. “Ayame, devi esserti sbagliata. Akane non farebbe mai
una
cosa del genere. Sono sicuro che lo sai che noi abbiamo
una storia... complicata ed un sacco di gente, in questa zona,
ci conosce da quando
eravamo ragazzi. Qualunque cosa credi di aver visto, sono sicuro che
era soltanto Akane e qualche vecchio amico, magari uno che aveva una
cotta per lei o cose così...”
“No, papà, non era questo. Lei gli stava
dicendo proprio che voleva uscire con lui!”
Ranma si accigliò. Questo sembrava davvero
orribilmente
equivoco, ma uscire insieme poteva significare tantissime cose.
“Chi è questo tizio, Ayame?”
“Non conosco il suo nome. È il
proprietario del negozio
di alimentari in fondo alla strada. La mamma è sempre molto
amichevole con lui. Ma... anche lui è sposato e la moglie
lancia certe occhiatacce alla mamma, quando entriamo!”
Ranma annuì, iniziando a sentirsi sempre
più
preoccupato. Eppure, non sembrava proprio da Akane fare una cosa del
genere. E poi, lei sembrava sempre così felice, insieme a
lui e
ai bambini e al dojo. Certo, litigavano. Avevano sempre litigato e
avrebbero litigato sempre, però si amavano.
“Non vuoi mica divorziare, vero,
papà?”
l’improvvisa domanda di Ayame lo riscosse con violenza dai
suoi
pensieri.
“Non essere ridicola!” rispose, senza
esitazioni.
Cavoli, che pensiero orribile. “Senti, sono sicuro che non
è niente, Ayame,” disse, non sapendo se stava
cercando di
convincere lei o se stesso.
“Ho sbagliato a dirtelo, papà?”
chiese lei, con una nota preoccupata nella voce.
“No, certo che no, tesoro,” disse lui,
avvicinandosi per
abbracciarla. “Senti, io e tua madre risolveremo questa...
cosa,
qualunque essa sia. Una ragazzina come te non dovrebbe preoccuparsi di
queste cose, capito?”
“Sì, papà,”
annuì lei. Sembrava
ancora un po’ sconvolta, ma non era più sul punto
di
scoppiare a piangere.
“Ok, ora va’ a fare i compiti, prima di
cena. Me ne occuperò io.”
*
* *
Trovò la moglie proprio dove si aspettava di
trovarla, in
cucina, tutta agitata per preparare lo stufato. Tirò un
sospiro
di sollievo, prendendo nota degli ingredienti, che sembravano tutti
abbastanza appropriati. Nei primi tempi del loro matrimonio, aveva
insistito perché lei lasciasse sul bancone tutti gli
ingredienti
che aveva usato. Rendeva la cura anti-veleno molto più
efficace,
perché poteva identificare molto più facilmente
il tipo
di veleno che avevano ingerito. Si divertiva ancora un sacco a
prenderla in giro, per questo, ma per la maggior parte la sua cucina
era migliorata e a volte era piuttosto gustosa.
Sorrise leggermente, sopraffatto, per un attimo, dal pensiero
di
quanto era stata bella la loro vita insieme. Erano state le loro
imperfezioni e le loro manie ad aver reso sempre la loro vita
così interessante. Il modo in cui avevano imparato a
lavorare
insieme, per superare le difficoltà, li rendeva migliori, in
due, di quanto fossero mai stati da soli. La paura che la figlia gli
aveva instillato lo punse come uno spillo. Se lei aveva ragione su
Akane, allora sarebbe cambiato tutto. Ma non puó avere
ragione, insisté. Non è niente. Ne sono
sicuro. Devi solo parlarle e chiarire tutta questa storia.
“Ehi, ‘Kane,” disse, con una
voce che suonò più sottile ed esitante di quanto
avrebbe voluto.
Lei si girò e gli sorrise raggiante.
“Ehi. È
già finito l’allenamento? Avete fatto
presto.”
“Sì, um, Ayame era un po’...
fuori fase, oggi.”
“Oh, davvero? C’è qualcosa che
non va?”
chiese lei, mentre una piccola ruga di preoccupazione si formava in
mezzo alle sopracciglia.
“No, non proprio. Niente che non possa
risolvere...”
“Ok,” disse lei, chiaramente
tranquillizzata dalla sua
rassicurazione. Tornò ad occuparsi dello stufato, senza
altri
commenti.
“Dimmi un po’, che hai fatto
oggi?” chiese Ranma, cercando di sembrare naturale.
“Non molto. Ho dato lezione stamattina, sono andata
a fare spese... Oh! Non indovinerai mai chi ho incontrato!”
“Chi?” chiese lui, sorridendo con affetto.
Avrebbe
dovuto saperlo fin dall’inizio che lei non
gliel’avrebbe
tenuto nascosto, qualunque cosa fosse.
“Mikado Sanzenin.”
“Sul serio? Non ci ha mica provato, vero?”
chiese lui.
“Ha! Come se io gliel’avessi lasciato
fare. No, è
molto più tranquillo, adesso. E poi, penso che persino lui
sappia che è meglio non far arrabbiare i Saotome.”
“Non è un più un
playboy?”
“Direi di no. È davvero un
peccato,”
cantilenò lei, con un tono di simpatia molto poco
convincente.
“La sua vanità sembra aver subito un grosso colpo,
per via di una notevole stempiatura.”
“Ma non mi dire!” ridacchiò
Ranma. “Ben gli
sta, con tutte le donne che ha avuto quando era più
giovane.”
Lei lo guardò curiosamente, soffermandosi sulla
testa piena
di capelli. “Non mi sembra che a te abbiano fatto
effetto,”
commentò, con aria indifferente.
“Ha ha,” osservò lui, in tono
piatto. “Molto divertente.”
Lei sorrise, assaggiando lo stufato con un cucchiaio da
portata, per
poi dirigersi alla credenza, in cerca delle numerose spezie che non
cessava mai di divertirsi a sperimentare. “Sai, in
realtà
sembra essere diventato una brava persona, tutto sommato. Si
è
sposato. Sembra molto devoto a sua moglie e lei è una
signora
dolcissima. E poi, è magnifico coi bambini. Insegna
pattinaggio
alla pista del quartiere, adesso. È lì che io e
Ayame lo
abbiamo visto. È andata così bene, agli esami,
che come
ricompensa le ho promesso di portarla lì. Sembra proprio che
sia
interessata a prendere lezioni.”
“Bello,” disse Ranma, con
un’aria un po’
confusa. “Allora... non l’hai incontrato al
negozio?”
“No,” chiese lei, curiosa.
“Perché?”
“Nessun motivo,” disse lui, perplesso. Era
sicuro che
Ayame avesse detto che era con qualcuno al negozio di alimentari, che
Akane aveva per così dire progettato di uscire insieme, e
conoscendolo, Mikado avrebbe facilmente potuto dire qualcosa che Ayame
poteva fraintendere. Aveva senso. Ma se non era lui, quello che avevano
incontrato al negozio di alimentari...
“Non è successo nient’altro,
degno di nota?” indagò.
Lei ci pensò su, per un attimo. “Ah,
sì! Come ho
fatto a dimenticarmelo?” disse, accigliandosi.
“Sono andata
a trovare Kasumi alla clinica di Tofu, per vedere se aveva bisogno di
aiuto con quella nuova raccolta di fondi che sta organizzando. E
indovina un po’ chi c’era, lì?”
Ranma trattenne un sospiro esasperato, impaziente di sentire
solo
della visita al negozio di alimentari. “Chi?”
chiese,
gentilmente rassegnato ad ascoltare, nonostante tutto.
“Akito, tuo figlio,” ringhiò
lei. “A quanto pare, ha fatto di nuovo a botte, dopo la
scuola.”
L’interesse di Ranma si accese e lui si permise
questa
deviazione. “Perché ti riferisci sempre a lui come
a ‘mio figlio’,
quando fa qualcosa che implica il mettersi nei guai?”
“Perché di certo non l’ha preso
da me, questo comportamento!”
“Disse la ragazza che, per mesi, aveva l'abitudine
di picchiare metà della
popolazione maschile della scuola tutte le mattine, finché
non
sono arrivato io a portare un po' di pace ai poveri studenti del
Furinkan.”
“Quella era legittima difesa!”
“Sì, sì, e allora,
cos’è successo a nostro figlio? Ha
vinto? Ma che sto dicendo? Certo che ha vinto,”
professò orgoglioso.
Akane roteò gli occhi. “Ranma, questa non
è una
cosa da incoraggiare, ricordi? È ancora alle
elementari!”
Lui sospirò. “Sì, hai ragione.
Non dovrebbe fare
a botte con un ragazzino delle elementari. Gli
parlerò.”
“In realtà...”
cominciò Akane,
accigliandosi ancora. “I ragazzi con cui ha fatto a botte non
erano della sua scuola.”
“Ragazzi? Più di uno?”
Akane annuì. “Otto, per la
precisione.”
“Wow. Non male. Ma se non erano della sua scuola, di
dov’erano?”
“Di un liceo della zona. Sembra che facciano parte
di una
banda di strada o... qualcosa del genere. Hanno rubato il pallone ad un
compagno di classe di Akito e Akito gliel’ha fatto
restituire.
Hanno resistito, per un po’. Comunque, non ha niente di
grave,
solo un taglio sul gomito, che gli hanno fatto con un coltello,”
disse lei enfaticamente, brandendo il suo coltello da cucina, prima di
cominciare a tagliare le carote.
Ranma fischiò a bassa voce. “E gli altri
ragazzi?”
“Si riprenderanno, a quanto ho sentito. Tra una
settimana o due.”
Ranma sorrise orgoglioso. “È proprio mio
figlio.”
Lei si accigliò di nuovo.
“Perché ti riferisci sempre a lui come a
‘tuo figlio’, quando fa qualcosa che ti
impressiona?”
“Credo che non ci sia neanche bisogno di dirlo. I
miei geni sono pieni
di pura magnificenza. I tuoi geni sono tutti imbranati e...”
La
tirata si interruppe, quando il coltello da cucina volò
attraverso la stanza e si infilzò nel muro, pochi centimetri
sopra la sua testa.
“Attento, o i tuoi capelli
spariranno più rapidamente di quelli di Mikado. Con un po’ di
pelle
annessa, magari.”
Lui rise nervosamente, togliendosi da sotto il coltello.
“Stavo solo scherzando, amore,” la placò.
Soddisfatta, lei tirò fuori un altro coltello e
ricominciò a tagliuzzare. “Comunque sia,
apprezzerei lo
stesso se ci scambiassi due parole. E preferirei che la conversazione
non si limitasse a fargli le congratulazioni. Per favore, gli dici di
darsi
una calmata? Almeno, finché non sarà al
liceo?”
“Certo, certo, tutto quello che vuoi, Akane. Ma
veramente non sei neanche un pochino orgogliosa?”
Lei storse il naso. “Io sono prima di tutto una
madre e, secondo,
un’artista marziale. Terzo, una moglie,” aggiunse
di
sfuggita, provocando uno sbuffo indignato da parte di Ranma.
“Ho
promesso che non gli sarei stata troppo addosso, a patto che tu non te
li portassi via per mezzo mondo in un viaggio d’allenamento
decennale, ma questo non vuol dire che me ne starò zitta,
quando
le cose cominciano a sfuggirci di mano. Che è esattamente
quello
che sta succedendo!”
“Sì, ok, ho capito,” cedette
Ranma.
“Detto questo... suppongo di essere anche un
po’ orgogliosa, sì.”
Ranma sorrise con aria d’intesa, ma saggiamente, non
disse
nient’altro. “Sì, ok. Allora,
cos’è
successo al negozio di alimentari?” chiese, tornando alla
discussione originale che sperava di avere.
Akane smise di tagliare le carote, per un attimo, e si
accigliò, irrigidendosi leggermente, come se fosse confusa.
“Che cosa?” chiese.
“Ho chiesto, che è successo al negozio di
alimentari?” ripeté lui, avvicinandosi a lei,
deciso a
scorgere qualsiasi segno di disagio, se c’era.
Lei sbatté gli occhi diverse volte, prima di
scrollare le
spalle e gettargli un’occhiata da sopra la spalla.
“Niente,
in realtà. Ho solo fatto la spesa. Perché me lo
chiedi?”
Lui strinse gli occhi con disappunto. Non riuscì a
vedere
alcun indizio che lei gli stesse mentendo. O gli stava dicendo la
verità, oppure stava facendo un ottimo lavoro, a mentire.
Lui
sapeva perfettamente che lei era una pessima bugiarda, eppure,
c’era qualcosa che non quadrava. “Nessun
motivo,”
disse, in tono irritato. “Che mi dici di domani? Hai
piani?”
Lei scrollò di nuovo le spalle. “No, non
proprio. Dare
di nuovo lezione la mattina, aiutare Kasumi, fare una scappata al
negozio di alimentari...”
“Di nuovo?” ora, la voce era decisamente
sospettosa.
“Ci sei appena andata oggi! Perché devi andarci di
nuovo?”
Lei lo guardò curiosamente, notando il tono
inquisitorio
della voce. “Ho rovesciato una bottiglia di salsa di soia,
questo
pomeriggio. Me ne serve un’altra, per la cena di domani.
C’è qualche problema?”
“No,” disse lui, a denti stretti.
“Nessun
problema. Solo che... tu lavori troppo. Perché non lasci
andare
me a prenderla, al posto tuo?”
Lei sollevò un sopracciglio. “Davvero?
Ok, se proprio
vuoi,” disse, allungandosi per dargli un bacio sulla guancia.
“È molto dolce, da parte tua.”
“Già, dolce. Sono proprio io,”
sospirò lui. “Torno subito.”
“Vuoi dire che vai adesso? Ma la cena è
quasi pronta.”
“Oh, non preoccuparti, non ci metterò
molto,” disse lui, e poi uscì di casa di corsa.
*
* *
Nonostante le sue rassicurazioni che ci avrebbe messo solo un
attimo, si ritrovò a trascinare il passo. Ma perché lo sto
facendo? si chiese. È
ridicolo! In tutti questi anni di matrimonio, Akane non mi ha mai dato
motivo per non fidarmi di lei. Non ci credo neanche per un attimo che
mi abbia tradito. Senza parlare del fatto che il tizio che prova a
mettere una mano addosso a MIA moglie dev’essere piuttosto
stupido.
Sospirò. Nonostante questi pensieri, si sentiva ancora
inspiegabilmente preoccupato. Qualcosa non andava. Oltretutto, Ayame
era una ragazza intelligente e sembrava davvero pensare che stesse
succedendo qualcosa. Non era tipo da fraintendere completamente una
situazione.
Quando infine raggiunse il negozio di alimentari, ancora non
era
sicuro di quello che avrebbe fatto e finì per restare
lì
fuori in piedi, mentre i minuti ticchettavano via veloci. Si rese
conto di avere paura. Paura di averla persa. Non era una paura
sconosciuta, per lui, ma dopo essere stati sposati così a
lungo,
era certamente diminuita. Adesso che erano cresciuti e avevano i
ragazzi e una vita insieme, il pensiero di perderla era mille volte
meno intenso di quando erano stati ragazzi loro stessi.
“Dev’essere uno sbaglio,” disse.
“Deve
esserlo e basta. Io mi fido di Akane. Mi fido...” Prese un
respiro profondo e fece per entrare nel negozio, quando un uomo alto e
allampanato ne uscì e prese a camminare lungo la strada.
Notando
Ranma, però, si fermò.
“Ranma?” chiese. “Ranma
Saotome?”
Ranma si girò a guardare il tizio. Gli sembrava
stranamente familiare. “Sì?” chiese.
Gli occhi dell’uomo si spalancarono per il sollievo.
“Oh, grazie al cielo sei tu! Speravo proprio di beccarti. Ti
avrei telefonato, ma mia moglie non avrebbe mai capito
perché
stavo chiamando a casa tua. È così sospettosa! Ho
cercato
di spiegare, ma proprio non mi crede e onestamente penso che sia sul
punto di uccidermi...”
“Ehi, ehi, fermati lì, um...
amico,” disse Ranma,
cercando di trovare un senso al discorso confuso dell’uomo.
“No-Non mi riconosci?”
“Um, certo, sei... um,” si
fermò, schioccando le
dita e massaggiandosi il retro della testa. “Um...”
“Non ne hai idea?”
“Neanche una. Scusa, amico. È stata una
serata un
po’ strana. Non riesco a ricordare dove ci siamo
conosciuti.”
“Hikaru Gosunkugi? Andavamo a scuola insieme. Ti
ricordi?”
“Ah, sì! Gosunkugi, certo. Sì,
mi ricordo di te. Sei, um, sei cambiato, credo.”
“Sì, be’, ho messo su qualche
muscolo,” disse l’altro, orgoglioso.
Ranma sollevò un sopracciglio. I capelli si erano
assottigliati ed ingrigiti e lui era diventato un po’
più
alto e meno incurvato, ma le costole spiccavano ancora sotto la camicia
bianca e gli occhi erano ancora infossati e bordati dalle occhiaie. Con
il senno di poi, Ranma non riusciva a capire come aveva fatto a non
riconoscerlo, ma lo attribuiva più alla sua scarsa memoria
che
ad un vero cambiamento di Gosunkugi. “Sì, certo. I
muscoli. Mettiamola così. Sono sicuro che è
questo, il
motivo. Ad ogni modo, posso fare qualcosa per te, Gosunkugi?”
“Sì, certo! Vedi, Akane viene sempre a
fare la spesa qui, nel mio negozio, e io...”
“Aspetta un attimo, questo è il tuo
negozio?”
ringhiò Ranma, e la sua aura combattiva si accese in un
lampo.
“Gosunkugi, hai esattamente trenta secondi per dirmi cosa sta
succedendo esattamente tra te e mia moglie!”
“Nie-Niente! Assolutamente niente! È
quello che ti stavo dicendo! È tutto un grosso
equivoco!”
“Venti secondi,” disse Ranma, in tono
minaccioso.
“Ok, ok. È per via di quelle bambole di
carta del liceo. Te le ricordi?”
“Usi ancora quella roba?” urlò
Ranma. “Dieci secondi!”
“No! Non le uso da un sacco di tempo. Ma
è questo il
problema, la magia ha ancora effetto! Lei continua a pensare che
‘domani’ dobbiamo uscire insieme.”
L’aura di Ranma vacillò leggermente,
mentre un ricordo
si faceva strada in un angolo della sua mente. “È
scaduto
il tempo.” Gosunkugi inghiottì a fatica e Ranma
sospirò, incrociando le braccia. “Ma...
continua.”
“Gra-Grazie,” balbettò
Gosunkugi. “È
stata l’ultima bambola di carta che ho usato. Ti ricordi cosa
ci
ho scritto, vero?”
Ranma strizzò gli occhi; il ricordo era
lì, ma proprio non riusciva ad afferrarlo.
“Um...”
“Ci ho scritto, ‘Esci con me,
domani’. Ma
naturalmente, non l’abbiamo mai fatto, perché
nella sua
testa, non importava che giorno fosse, il nostro appuntamento era
sempre fissato per quello successivo. Ed eccoci qui, più di
dieci anni dopo, e lei crede ancora che dobbiamo uscire insieme.
DOMANI! Ogni volta che viene, è la stessa cosa!
‘Oh, ciao,
Gosunkugi, che bello vederti. Non vedo l’ora di uscire
insieme a
te, domani!’ Non riesco a farla smettere! Ti prego, ti prego,
devi aiutarmi! Mia moglie è davvero un tipo geloso e, se
questa
storia continua, ho paura di quello che potrà fare! Ti
imploro!
Tieni tua moglie lontana da me!”
Con un bel botto, l’aura combattiva di Ranma si
sgonfiò all’istante. E poi, Ranma
cominciò a ridere.
Intanto, a casa Saotome, Akane andava avanti e indietro con
impazienza per la sala da pranzo, davanti ai suoi tre figli, che erano
già seduti a tavola. “Quello stupido di
Ranma,”
ringhiò. “Gliel’ho detto che la cena era
quasi
pronta, ma lui è corso lo stesso fuori di casa. Ora, si
raffredderà tutto!”
“Non penso proprio che sarà molto peggio
di
così, quando si raffredderà, mamma,”
disse
lentamente il figlio maggiore, Ichiro, sollevando una cucchiaiata di
stufato e osservandola con sospetto, mentre la girava sottosopra e la
sbobba si rovesciava di nuovo nella ciotola.
“Non cominciare, giovanotto,”
abbaiò Akane, proprio mentre sentirono la porta
d’ingresso che si apriva.
“Sono a casa!” urlò Ranma dalla
soglia.
“Era ora!” gridò Akane di
rimando. “Spero
che tu abbia una buona scusa, per averci messo quarantacinque minuti a
prendere una bottiglia di salsa di soia!”
Ranma non rispose. A quel punto, era già arrivato
in sala da
pranzo e, con un sorriso di giubilo, sollevò Akane fra le
braccia, le fece fare un giro a mezz’aria e poi la rimise a
terra, baciandola fino a farle mancare il fiato. Quando finalmente si
ritrasse, Akane sbatté le palpebre diverse volte, sorpresa,
cercando di schiarirsi la mente confusa. “Wow, questo
è
stato...”
“Schifoso,” dissero in coro Ichiro e Akito.
“Zitti, ragazzi,” risposero Ranma e Akane,
girando la testa e zittendo i due con un’occhiataccia.
Ayame, intanto, sorrideva raggiante ai suoi genitori.
“Questo
significa che andrà tutto bene, fra voi due?”
chiese.
Akane la guardò sorpresa. “Certo, tesoro.
Perché non dovrebbe andar bene?”
Ranma rise. “Sì, Ayame, è
tutto a posto. È stato solo un equivoco.”
“Cosa è stato un equivoco?”
chiese Akane, ancora perfettamente confusa.
“Niente di cui preoccuparsi, cara. Ecco,”
disse, offrendole un mazzo di fiori. “Questi sono per
te.”
“Oh!” disse lei, sorpresa, mentre sul viso
si
alternavano la gioia e il sospetto. “Ehm, grazie. Per quale
occasione?”
“Solo perché ti amo,” sorrise
lui.
“Ahhhh,” disse Ayame.
“Che schifo,” dissero Ichiro e Akito.
Akane ricambiò il sorriso, sollevandosi sulle punte
dei piedi
per dargli un bacio sulla guancia. “Anch’io ti amo.
Aspetta
un attimo, che li metto nell’acqua,” disse,
facendosi
strada verso la cucina.
Non appena se ne fu andata, Ranma sprofondò sulla
sua sedia,
piegandosi con aria cospiratoria verso la figlia. “Tutto un
equivoco, avanzato dai tempi del liceo. Cavoli, certo che è
stato proprio un periodo da pazzi, quello. I dettagli te li spiego
più tardi.”
Ayame annuì enfatica, sentendosi come se le
avessero tolto un
gran peso dalle spalle. E in più, c’era la
prospettiva di
ascoltare una delle vecchie storie del suo papà, che non
finivano mai di divertirla.
“Ma per fartela breve,”
continuò Ranma, rivolto ad Ayame. “Cambieremo
negozio di alimentari.”
“Ah, sì?” chiese Akane,
ricomparendo nella stanza, dietro di lui.
“Um, sì,” disse Ranma.
“Sai, è solo
che ricevo una specie di vibrazione negativa, da quel posto. Ne ho
trovato un altro, non molto distante.”
Lei scrollò le spalle, lasciandosi cadere sulla
sedia accanto
a lui. “Per me, va bene. So cosa vuoi dire, in
realtà.
Gosunkugi è carinissimo e tutto, ma la moglie davvero mi
lancia
certe occhiate stranissime!”
“Bene, allora è deciso.”
“Ma Ranma?”
“Sì, Akane?”
“Dov’è la mia salsa di
soia?”
NdA:
Onestamente, non sono
riuscita a pensare ad un finale migliore, ma la storia di per
sé
aveva delle parti carine, quindi ho pensato che potevo anche postarla.
In realtà, l'ho scritta qualche anno fa, ma ho sempre
pensato di
non aver azzeccato la battuta finale e non l'avevo mai postata. Ora, mi
sembra che non sia poi così male. Questa storia, a
differenza
della maggior parte delle mie storie, si ispira alla versione anime
dell'episodio delle bambole di carta di Gosunkugi. Nell'anime, lui
mette una bambola dietro la schiena di Akane, che dice 'Esci con me,
domani'. Nel manga, invece, gliene dà una che dice 'Non
odiarmi'. Mi è venuto in mente che sarebbe stato divertente
se,
anni dopo, lei pensasse ancora di avere un appuntamento con lui il
giorno successivo, e così è nata questa storia.
Spero che
vi sia piaciuta.