L'alfabeto di Enea

di EtErNaL_DrEaMEr
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Prologo




       Ci sono attimi che rimangono impressi nella memoria senza un motivo preciso. Ogni tanto capita di ricordare momenti del passato che sembrano insignificanti, ma per qualche ragione rimangono impressi nella nostra mente e non se ne vanno mai. Ad esempio, Mač ricorda benissimo la festa del sesto compleanno di suo cugino Alessio, l'ultimo prima che lei e la sua famiglia si trasferissero a cento chilometri di distanza dalla cittą in cui era nata. Ricorda che era metą settembre, l'aria non era pił calda come due settimane prima e le giornate piano piano iniziavano ad accorciarsi. Era una bella festa, c'erano tanti bambini, alcuni li conosceva anche lei. A sei anni Mač era timida, ma tutto sommato socievole: le piaceva parlare con gli altri bambini, anche quelli che non conosceva bene, aveva la tendenza di fidarsi di ogni sorriso che vedeva e a non preoccuparsi del giudizio degli altri. A sei anni Mač guardava tutti dritto negli occhi.
Tra i bambini che non conosceva ce n'era uno che stava un po' in disparte e Mač non ci aveva pensato due volte: aveva mollato il piccolo rastrello di plastica sull'erba e si era allontanata dal gruppo di bimbi che stavano scavando la terra dura e compatta in cerca di un improbabile tesoro. Si era allontanata da loro per andare verso quel piccolo sconosciuto. Nel tragitto, perņ, la mamma l'aveva intercettata e sollevata per mettersela sulle ginocchia.
«Mač» aveva detto in un sospiro, «dovrei regalarti pale e rastrelli, invece delle bambole. Sei sempre sporca di fango!»
Sbuffava mentre le spolverava le mani e le ginocchia con un fazzoletto, ma Mač sapeva che anche lei era divertita. Non aveva lasciato per un attimo il bambino sconosciuto, continuava a guardarlo da lontano. Non parlava con nessuno, ogni tanto sorrideva a chi gli si avvicinava, ma non parlava. Aveva uno sguardo un po' triste, un po' lontano: anche da piccola le piaceva osservare i dettagli che il resto della gente di solito ignorava.
Quando la mamma l'aveva rimessa gił, Mač aveva ricominciato a camminare verso di lui. Forse non gli piaceva parlare, dopotutto a lei non piaceva la verdura, non puņ mica piacere sempre tutto a tutti. Perņ forse anche a lui piaceva giocare con la terra: a quale maschio non piace? Mač allora era tornata indietro, aveva recuperato il suo rastrello di plastica e un altro abbandonato lģ vicino ed era andata da lui. Non aveva parlato, aveva solo allungato il rastrello arancione verso di lui.
E lui aveva sorriso e Mač aveva pensato che avesse un sorriso bellissimo. Grande e con due fossette ai lati della bocca. Senza dire una parola, aveva preso il rastrello e aveva seguito il tuo esempio, accucciandosi sulle ginocchia e iniziando a importunare con lei quel piccolo fazzoletto di terra.
Alla fine della festa, prima di tornare a casa, Mač aveva cercato di nuovo quel bambino con lo sguardo. L'aveva trovato vicino al tavolo con le bibite e i dolci, vicino a lui c'era una signora con un vestito blu; gli sorrideva e muoveva le mani, disegnava nell'aria gesti strani che lei proprio non capiva. Poco dopo anche lui aveva fatto un gesto: si era portato la mano aperta vicino alla faccia, passandosi due volte il pollice sulla guancia destra. Sembrava quasi volesse grattarsi, come quando si viene punti da una zanzara. Poi la signora gli aveva portato un bicchiere d'acqua e lui si era guardato attorno, incrociando lo sguardo di Mač che, presa alla sprovvista, aveva alzato la mano per salutarlo e si era voltata, vedendo solo con la coda dell'occhio il saluto di lui.
Andando a casa Mač non aveva resistito alla curiositą e aveva chiesto alla mamma chi era quel bambino che non parlava mai. Lei aveva detto solo che era una persona speciale.
Ecco, ogni tanto rimangono impresse nella memoria giornate cosģ, giornate che non sono eclatanti, ma che per qualche ragione non vogliono saperne di sparire dal groviglio dei ricordi. Mač non sa perché dopo diciassette anni continua a ricordarsi di quel pomeriggio di metą settembre e di quel bambino dal sorriso bellissimo e dagli occhi un po' tristi, ma non si fa troppe domande. Crescendo ha imparato che a farsi troppe domande si rischia di uscirne pazzi e allora č meglio conservare anche i ricordi pił strani e apparentemente insensati, forse un giorno torneranno utili. Forse quel giorno č oggi e forse quel ricordo le č tornato in mente perché il ragazzo che ha davanti ha un sorriso familiare che sa di giorni spensierati di fine estate, risate silenziose e terra sulle mani.




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Nota: ho l'ansia da prestazione. Nel senso, non pubblico da tanto, non scrivo da un po' di meno e questo č un prologo che forse non sa di niente ed ero indecisa se pubblicarlo o meno perché, detta sinceramente, io le long non le finisco mai. A questa perņ ci tengo tanto, ma proprio tanto e ci penso continuamente, quindi voglio mettermici d'impegno per portarla a termine, anche se non sarą facile. Se tutto va bene, questo prologo sarą l'inizio di una storia vera e propria, nel frattempo ogni consiglio č ben accetto!:)

P.s.: la formattazione probabilmente fa schifo, scusate, ma non pubblico da lustri e sono un po' arrugginita!

P.p.s.: non č una nonsense, ma non sono capace di modificare gli avvertimenti: sono un po' arrugginita parte2!  





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