When
I'm With You
I'm
Standing With An Army
I
know that I mess up
But you never let me give up
All the nights
and the fights and the blood
and
all the break ups
You're always there to call up
I'm in pain,
I'm a child, I'm afraid
But, yeah, you understand
Yeah, like no
one else can
But know that we don't look like much
But no one
f*cks it up like us*
-Pronto?
Chi è?
-Sono io.
Se si fosse
trovato in un qualsiasi altro momento della sua vita, Louis avrebbe
riso per quella combo di frasi che sembrava appena uscita dal video
di Adele, ma in quell'istante il nodo che aveva in gola gli faceva
venire solo da piangere. O forse era anche il fatto che la voce
dall'altro capo della linea non avesse nemmeno più in
memoria il suo
numero di cellulare. Ma non poteva pensare anche a quello o avrebbe
disintegrato i vasi di fiori che erano disposti ordinatamente -troppo
ordinatamente- sul vialetto che portava all'ingresso dell'ospedale.
Si passò una mano sulla faccia stanca e si
sistemò il cappello di
lana che aveva sperato lo nascondesse dal mondo. E da quello che
aveva fatto.
-Oh, ciao
Louis.
-E' nato.
-Louis, va
tutto bene?
-E' nato.
Mio figlio è nato.
Ecco:
l'aveva detto. E come quando l'infermiera glielo aveva mostrato
dall'altra parte del vetro, l'unico fagottino con la copertina messa
male perché si stava muovendo troppo, in mezzo a tutti quei
frugoletti uguali, anche il quel momento Louis si sentì
morire
dentro. Perché insomma: aveva finito di vivere no? La sua
giovinezza, tutte le serate con gli amici, la sua relazione con
Danielle che non sapeva bene nemmeno lui da dove fosse venuta fuori,
i suoi progetti per Xfactor...
Che cazzo
aveva combinato?
-Louis?
Adesso
chiunque gli avrebbe chiesto del bambino prima che di lui, dei suoi
progetti, del suo futuro. Ma soprattutto, quel bambino era suo.
Suo.
E se per
nove mesi aveva tentato di convincersi che si sarebbe potuto occupare
di lui solo economicamente, perché tanto una madre ce
l'aveva, una
famiglia affettuosa pure e non gli sarebbe servita anche la sua
presenza, adesso no. Adesso il solo fatto di aver concepito un
pensiero del genere gli faceva venire la nausea. Come si era permesso
lui, che era stato abbandonato dal suo padre biologico e cresciuto da
un altro uomo che si era rivelato per sua fortuna straordinario,
prendere anche solo in considerazione di far vivere ad un altro
bambino il suo stesso dramma? Così si era presentato in
ospedale e
si era fatto portare alla nursery da un'infermiera che lo aveva
guardato con sguardo severo: evidentemente anche lei sapeva che non
si era presentato al momento del parto. Ed era lì che non
poteva
farlo: non poteva lasciarlo da solo.
-Louis
ci sei?
Quei
piedini che avevano scalciato via la copertina celeste erano gli
stessi a cui avrebbe potuto insegnare a calciare un pallone; quelle
manine erano le stesse che se fossero somigliate alle sue non
sarebbero mai cresciute più di tanto; quel pianto forte e
voglioso
di essere notato da tutti era uguale a quello di tutte le sue sorelle
e si Ernst e che sua madre gli aveva assicurato essere stato anche
una sua caratteristica.
E Louis
aveva pianto.
Ed era
corso fuori dall'ospedale.
-Louis
dimmi che stai bene!
Non
si era nemmeno reso conto di essersi perso nei suoi pensieri e la
voce preoccupata dall'altra parte della cornetta quasi lo
spaventò:
ma nulla ormai era paragonabile al senso di terrore che stava
provando ormai da più di un'ora, ovvero da quando aveva
ricevuto il
messaggio del “lieto evento”. Così gli
aveva scritto la madre di
Briana. A lui era di nuovo solo venuto da vomitare.
-No.
-No,
cosa?
-Non
sto bene.
-Louis
perché hai chiamato me?
Avrebbe
potuto dirgli che era il primo numero in rubrica, che aveva sbagliato
il tasto della chiamata rapida, che... No, non aveva senso. Come non
ce l'aveva tutto quello che gli stava accadendo attorno in quel
momento.
-Perché
ho bisogno di te Harry.
Era
riuscito a schivare i paparazzi per un pelo, mentre si dirigeva a
casa di Harry. O meglio, ad una delle case di Harry. Louis non
riusciva proprio a capire come facesse a piacergli così
tanto Los
Angeles ad uno come lui, poi però gli sovvenne il fatto che
di Harry
ormai sapeva ben poco e che non era il momento di crearsi altri
problemi in testa oltre a quelli che lo stavano già
soffocando. Gli
aveva inviato un messaggio mentre era ancora in macchina per farsi
aprire i cancelli della villa semi nascosta dove aveva deciso di
incontrarlo e Louis non si stupì di non trovare nessun
paparazzo
fuori: se Harry Styles voleva sparire dalla faccia della terra e far
perdere le sue tracce era capacissimo di farlo. Louis, purtroppo,
l'aveva sperimentato in prima persona e mentre l'autista lo lasciava
di fronte ad un'immensa villa moderna e di un bianco accecante sotto
il sole californiano, si chiese per quale motivazione Harry si fosse
dimostrato così disponibile nei suoi confronti. Insomma, era
vero
che i loro rapporti si fossero un poco distesi nell'ultimo periodo,
ma nulla più di un'educata convivenza che non implicava
riceverlo a
casa sua nel bel mezzo del pomeriggio, quando sicuramente aveva altri
piani in programma.
Scosse
la testa e si schiacciò ancora più giù
il cappello di lana,
cercando di non farsi sfuggire l'ultimo briciolo di sanità
mentale
che gli era rimasto. Suonò il campanello, più per
riflesso
incondizionato che per reale necessità: sicuramente lo aveva
visto
arrivare dalle telecamere di sicurezza. Dopo poco sentì lo
scatto
della serratura e vide la porta aprirsi, proprio mentre era tutto
intento a passarsi le mani nervosamente sul tessuto di jeans del
giubbotto cercando di placarne il tremore inconsueto. Quello che vide
lo lasciò abbastanza basito.
-Lou!
Quanto tempo caro!
Anne
Cox, una delle donne più affascinanti e dolci sulla faccia
del
pianeta, nonché sua seconda madre per propria investitura,
si palesò
davanti a lui in tutta la sua morbida bellezza, un sorriso identico a
quello del figlio ad illuminarle il viso e le braccia già
aperte per
accoglierlo in uno di quegli abbracci che lo avevano sempre fatto
sentire al sicuro. Un po' come quelli di Harry.
Non
gli diede il tempo di scacciare quel pensiero, perché lo
sommerse
con il suo profumo di gelsomino e a Louis parve improvvisamente di
essere tornato ai tempi poco dopo X Factor, quando ormai frequentava
più casa di Harry che la sua, dato che era la più
vicina a Londra e
passare le domeniche in famiglia era ancora un'esigenza per
ricordarsi che tutto quello era vero.
-Come
stai?
Anne
si allontanò da lui quel tanto che bastava per soppesarlo
con occhio
critico da capo a piedi, senza però riuscire a farlo sentire
giudicato, soprattutto per lo sguardo preoccupato che gli rivolse
poco dopo: evidentemente Harry non gli aveva detto nulla e Louis
gliene fu quasi grato, non sapeva nemmeno lui bene perché.
-Louis
va tutto bene? E' successo qualcosa? Lo sai che con me puoi parlare
di tutto e...
-Mami
lascialo entrare in casa almeno, prima di fargli l'interrogatorio...
Aveva
sempre avuto quella sottile vena divertita quando parlava, nonostante
il tono di voce basso e carezzevole? Harry fece la sua proverbiale
entrata in scena, comparendo alle spalle di Anne come un angelo
custode, la camicia blu che faceva risaltare in maniera quasi
dolorosa il colore dei suoi occhi mezza aperta, i capelli raccolti in
un bun che Lottie avrebbe definito senz'altro perfetto , come tutto
quello che Harry faceva dal suo punto di vista e i piedi scalzi che
attiravano l'attenzione sotto il tessuto nero degli skinny.
Appoggiò
una mano sulla spalla della madre, un gesto inconsciamente protettivo
che fece sentire Louis vagamente a disagio: la stava per caso
proteggendo da lui?
-Oh
hai ragione! Scusami caro! Vieni pure dentro Louis, così
magari ti
preparo un tea. Harry mi ha fatto scoprire un negozio fantastico di
tea, tisane ed infusi che vedrai...
Anne
sparì in quella che Louis immaginò essere
un'immensa e tecnologica
cucina che doveva venir utilizzata solo quando la donna andava a
trovare il figlio, ma lui non lo poté constatare,
perché Harry era
ancora davanti all'entrata e gli bloccava l'accesso. Non gli
passò
neanche per l'anticamera del cervello che Harry l'avesse fatto
arrivare fino a lì solo per dirgli che doveva cavarsela da
solo,
quindi attese che il ragazzo dicesse quello che era palese stesse
soppesando.
-Pensi
di sopravvivere ad un tea con i miei o vuoi prima parlare?
-Posso
parlare mentre bevo un tea?
-Certo.
E
gli sorrise in quel modo dolce che gli fece capire che Harry avrebbe
ricolto tutto, come sempre.
Erano
seduti sulla scalinata in legno che conduceva alla depandance, a
pochi passi dalla piscina in pietra bianca dove l'acqua creava
rilassanti riverberi, una tazza di tea fumante tra le mani e la
promessa fatta ad Anne di fermarsi dopo almeno cinque minuti per
raccontargli come stessero andando le cose a Doncaster.
Harry
non aveva detto assolutamente nulla da quando si erano seduti, ormai
cinque minuti prima, forse in attesa che fosse lui a cominciare il
discorso, magari spiegandogli perché aveva chiamato proprio
lui in
un momento come quello. Ma il problema era che Louis non aveva una
sola certezza nella sua vita in quell'istante se non il fatto di
essere appena diventato papà. Il solo pensiero gli fece
andare di
traverso il sorso di tea che aveva appena preso.
-Ehi...
Non puoi morire prima di avermi detto che ti succede.
Il
ragazzo continuava a non posare lo sguardo su di lui per più
di due
secondi, lo stretto indispensabile per fargli capire che sapeva ci
fosse anche qualcun altro a respirare la stessa aria, solo che questo
contribuiva unicamente a far crescere un leggere sentore di disagio
dentro Louis che non gli piaceva per niente.
-L'ho
visto.
-Tuo
figlio.
-Puoi...
Puoi non usare quella parola?
Non
voleva suonare infantile con quella richiesta, ma la parola
“figlio”
gli causava una stretta al petto che assomigliava molto, troppo ad un
attacco di panico. Ma evidentemente Harry non la pensava allo stesso
modo, perché si era finalmente voltato per guardarlo negli
occhi e
gli stava rifilando uno sguardo a dir poco ammonitore.
-Louis
sei serio?
E
quella cos'era? Rabbia? Si stava davvero incazzando con Harry per uno
stupido sguardo? Sì, a quanto sembrava sì.
-Sì,
Harry, sì! Sono fottutamente serio! Non voglio
più sentire quella
parola almeno fino a quando...
-Fino
a quando?
Appoggiarono
entrambi la tazza per terra e per un attimo a Louis parve di essere
tornato ad un tempo non ben precisato del passato quando, durante
ogni concerto, c'era quel momento in cui loro due cominciavano a
muoversi in sincrono e la cosa lo faceva sempre sorridere. Ma quello
non era il momento adatto per perdersi in ricordi di una vita che non
sapeva se avrebbe mai riavuto. Da quando era diventato così
paranoico?
-Non
lo so...
-Allora...
Vediamo se ho capito. Brianna ha partorito tuo... Ha partorito. Tu
l'hai visto e sei andato in panico, giusto?
-Non
so come tu ci sia arrivato, ma sì: questo è
quanto.
-E'
normale.
-Che?!
Louis
sgranò le sue iridi celesti come se fossero due nuvole
cariche di
pioggia pronte ad esplodere ed Harry poté vedere dove fosse
davvero
il problema: quello che aveva di fronte era ancora lo stesso
ragazzino di diciotto anni che si ostinava a non mettersi i calzini
anche se fuori c'erano cinque gradi sotto lo zero. Come avrebbe fatto
a prendersi la responsabilità di crescere un bambino quando
lui
stesso lo era ancora? Eppure Harry lo sapeva: Louis sarebbe stato uno
scapestrato e meraviglioso padre.
-E'
normale Louis... Tutti i padri si sentono inadeguati la prima volta
che vedono i loro figli, lo sai... E piantala di fare quella faccia
quando dico quella parola: ti ci devi abituare... Hai un figlio,
okay? Ma hai ventiquattro anni, il lavoro dei tuoi sogni, un conto in
banca che ti permetterà di non fargli mancare nulla ma,
soprattutto,
una naturale predisposizione ad essere d'esempio per qualcuno...
Louis
avrebbe voluto obbiettare ogni singola frase di quel lungo discorso,
ma sapeva che Harry non aveva finito e sospettava che il peggio
dovesse ancora arrivare.
-Sai
quando abbiamo fatto le riprese per This Is Us? Quando ho detto che
tu sei una di quelle fantastiche persone per cui è bello
sedersi ad
ammirarle, mentre sono solamente sé stesse? Ecco: lo penso
ancora...
Sentire
Harry ammettere che pensava ancora quelle cose di lui dopo tutto
ciò
che era successo tra di loro era come avvicinare le mani congelate
dal freddo ad una fiamma calda e misurata: provocava un sollievo
immediato.
-E
credo che lo penserà anche tuo figlio, se gliene darai
l'opportunità.
Harry
sorrise e a Louis si fece tutto improvvisamente chiaro.
Tra
tutte le persone che avrebbe potuto chiamare, la sua scelta era
ricaduta sul riccio perché sapeva che lui gli avrebbe dato
il
consiglio giusto, non lo avrebbe fatto sentire davvero giudicato e
non gli avrebbe mai rifiutato il suo aiuto. Forse era stato egoista
da parte sua chiamarlo, dato che era stato lui ad allontanarsi da
Harry quasi senza una spiegazione, anche se era certo che il
più
piccolo l'avesse capito eccome dove fosse il problema, e l'aveva
accettato senza mai rinfacciargli nulla. E a Louis sembrò
anche
giustificabile quel sentimento che molto tempo prima aveva covato nel
suo cuore mesi e che poi aveva deciso di soffocare, perché
troppo
complicato per lui: era davvero impossibile non innamorarsi di Harry.
-E
se non fosse così? Se mi odiasse quando scoprirà
come è rimasta
incinta sua madre?!
-E
preferiresti che pensasse di te quello che tu pensi del tuo padre
biologico?
-Mai.
-Allora
vai Louis... Vai in quell'ospedale e prendi in braccio tuo figlio e
dimostragli che suo padre è una persona fantastica...
Passarono
alcuni minuti di silenzio in cui Louis fece sedimentare quelle parole
nella sua memoria, già consapevole che gli sarebbero servite
per
trovare il coraggio di varcare di nuovo le soglie dell'ospedale e,
magari, anche quelle della camera di Briana, dato che come minino le
avrebbe dovuto comunicare la sua decisione di volersi prendere
davvero cura del bambino.
Per
un momento, però, accantonò tutti quei pensieri e
si concentrò sul
ragazzo che, perso in chissà quali pensieri profondi, stava
facendo
sciogliere il verde delle sue iridi al tiepido sole californiano,
rigirandosi tra le mani la tazza di tea ormai tiepido.
Gli
parve così distante, quasi uno sconosciuto in quell'istante,
come se
non avesse mai capito davvero chi fosse e forse, era stato davvero
così: in fin dei conti, Louis aveva scelto di non sapere
più nulla
di lui, di non scoprire che tipologia di uomo stava diventando, che
direzione stava intraprendendo per il suo futuro. Perché
Harry era
cresciuto, era diventato un affascinante giovane uomo sicuro di
sé e
con le idee ben chiare su chi volesse essere, mentre lui... Beh, lui
si era perso un po' per strada e se ne erano accorti tutti. Sua madre
in primis, che anche se non glielo faceva mai notare verbalmente, gli
lanciava quegli sguardi, quelli pieni di preoccupazione ed ansia, che
lo facevano sentire pure peggio. E poi Lottie, con i suoi gesti
d'affetto che un tempo erano riservati ai momenti in cui erano da
soli ma che nell'ultimo anno si erano inspiegabilmente moltiplicati
anche in pubblico. Per non parlare di Oli, che gli stava sempre
dietro, tanto che Louis non glielo doveva nemmeno più
chiedere se
l'avrebbe accompagnato da qualche parte: prenotava direttamente due
biglietti aerei e gli comunicava l'orario della partenza. Ed infine,
c'era Liam. Da quando Zayn aveva abbandonato il gruppo e loro si
erano terribilmente avvicinati, il ragazzo era diventato la sua
ombra, quasi peggio di una mamma apprensiva. Le domande sembravano
sempre fatte per caso, ma la realtà era che lo stava tenendo
d'occhio e Louis lo sapeva perfettamente.
Si
sentiva come in mezzo ad una giungla, piena di ostacoli, di insidie,
di decisioni da prendere e lui, dopo aver girato in tondo per troppo
tempo, aveva semplicemente deciso di smettere di camminare e
aspettare che tutto quello lo sovrastasse, inghiottendolo per sempre.
Gli era persino sembrato un miracolo quello di essere riuscito ad
innamorarsi di nuovo del suo lavoro e solo ora si accorgeva di come,
anche il quel caso, fosse stato tutto merito di Harry. Era assurdo il
modo in cui quegli occhi brillanti e quelle maniere affascinanti
ritornassero ciclicamente nei momenti più importanti della
sua vita.
Fu durante il primo concerto dopo l'abbandono di Zayn che Louis si
ritrovò ad osservare Harry intrattenere la folla come se
fosse nato
per fare quello, cercando di ridare alle fan almeno un decimo di
tutto l'impegno e la dedizione che avevano spero per loro cinque.
Forse era stato proprio per quello, per il fatto che quelle persone
avessero pagato per vedere cinque ragazzi su un palco ed invece se ne
erano ritrovate solo quattro, Louis aveva pensato fosse per quello
che Harry ci avesse messo così tanto ardore in ogni singola
nota ed
in ogni singolo gesto, ma la verità fu che con il passare
dei
concerti, Louis si accorse che quello che era stato un piccolo
sedicenne di Holmes Chapel era diventato un animale da palcoscenico
che amava il suo lavoro più di sé stesso. E non
c'erano mal di
gola, giornate storte o imprevisti che reggessero: Harry dava sempre
il mille per cento sul palcoscenico e Louis si fece contagiare da
quell'energia. Era riuscito a riscoprire la bellezza dell'esibirsi di
fronte a migliaia di persone, la sensazione inebriante di sentirle
cantare parole che aveva composto lui ed era tornato a sorridere.
Poi, però, era arrivata la rottura con Eleanor, la storia
del
bambino e tutto quello che c'era dietro e Louis si era perso di
nuovo, lasciando che le radici soffocanti dello star system lo
inghiottissero.
Harry
allentò di un poco l'elastico che gli raccoglieva i capelli,
tanto
che qualche ciocca gli finì inavvertitamente davanti agli
occhi,
impedendo a Louis la vista di quello spettacolo che per un attimo lo
aveva condotto a considerazioni che nemmeno pensava di essere i grado
di formulare.
-L'hai
detto a Liam?
La
sua voce risuonò più roca di prima, forse per
colpa del silenzio
prolungato in cui erano caduti entrambi, ma il tono era ancora
gentile, come il suono delle foglie degli alberi che li circondavano
quando erano scosse da leggeri soffi di brezza: quel posto era
magnifico e Louis pensò che rispecchiasse perfettamente
Harry.
-Io..
No, non ancora.
-Ti
ammazzerà, lo sai?
A
Louis, per la prima volta da quando era arrivato il messaggio che il
bambino fosse nato, venne da sorridere. Anzi, da ridere. E non si
contenne. Poteva sembrare incoerente, affetto da sdoppiamento della
personalità, persino pazzo, ma non gli importava
perché vicino a
lui c'era Harry e Louis lo sapeva che con il riccio poteva essere
semplicemente sé stesso. E quando lo vide passare da
un'espressione
piuttosto confusa ad uno strabiliante sorriso con le fossette gli
sembrò di essere tornato nel loro primo appartamento a
Londra,
subito dopo X Factor, durante una delle centinaia di sere passate a
mangiare schifezze seduti sul divano, a parlare del nulla, con
stupidi film in sottofondo che nessuno dei due guardava davvero.
Gli
era mancato tutto quello e, soprattutto, Louis si rese conto che gli
era mancato Harry. Così la sua risata si
trasformò in qualcosa di
indefinito, venendo rotta da un paio di singhiozzi che diedero il via
libera a pensanti lacrime di rigargli il volto stanco.
Quand'era
stata l'ultima volta che aveva pianto? Forse una settimana prima,
quando aveva scoperto che una delle bambine che aveva incontrato
durante l'ultimo evento di charity organizzato con mamma non ce
l'aveva fatta ed il mondo gli era sembrato per l'ennesima volta un
posto schifoso. Ma ora stava piangendo per sé stesso e per
tutto
quello che si era lasciato sfuggire dalle mani in quell'ultimo anno e
mezzo.
E
poi eccole, le uniche braccia che sapevano confortarlo davvero,
quelle che non solo la raccoglievano dentro di loro ma lo
ricomponevano pezzo per pezzo, frammento dopo frammento e lo facevano
rinascere. Gli abbracci di Harry erano sempre stati così e
quello
che si erano scambiati durante il loro ultimo concerto prima della
pausa aveva riaperto dentro di lui una piccola voragine, un desiderio
logorante di recuperare quello che aveva perso. Inspirò a
fondo
l'odore di Harry e si sentì improvvisamente forte come mai
negli
ultimi tempi: quello che il riccio riusciva a fargli era decisamente
inspiegabile, ma Louis si rese conto di essere tremendamente
fortunato a poterne godere.
-Andrà
tutto bene, Lou...
Fu
allora che ebbe bisogno di sapere che lui ci sarebbe stato,
nonostante Louis l'avesse ferito, nonostante forse i suoi sentimenti
non fossero mai cambiati.
-Tu
ci sarai?
-Sempre
Lou... Io ci sarò sempre.
Non
poté non sentire il piccolo sospiro che seguì a
quella promessa, ma
Louis decise di ignorarlo perché aveva bisogno di Harry
nella sua
vita ed avrebbe trovato un modo per far funzionare le cose.
L'infermiera
fortunatamente era cambiata ed essendo le dieci di sera l'ospedale
era particolarmente silenzioso. Non sarebbe potuto entrare nella
nursery a quell'ora della notte ma la sua popolarità per una
volta
si rivelò parecchio utile e così ora stava
osservando l'ostetrica
prendere in braccio un fagottino ormai mezzo sveglio per poi
dirigersi nella sua direzione. Gli aveva fatto indossare uno
scomodissimo camice verde sopra i vestiti ma appena scorse il visetto
tondo del bambino tra il tessuto del lenzuolino desiderò
improvvisamente potersi fare una doccia disinfettante per togliersi
di dosso qualsiasi cosa potesse anche minimamente attaccarlo. Era
così indifeso che dovette reprimere a forza l'istinto di
dire
all'ostetrica di tenerlo in braccio lei, però poi si
ricordò le
parole che Anne gli aveva detto a cena, quella sera, circa il fatto
che i bambini fossero molto più forti di quanto apparissero.
La
storiella su come Harry avesse ferito Gemma lanciandole un cucchiaino
dritto in fronte a soli dieci mesi, lo aveva fatto ridere per minuti
interi. Sapeva perfettamente come si prendesse in braccio un neonato,
perché di sorelle e fratelli ne aveva avuto a sufficienza,
ma quella
volta era diverso: quel bambino era suo. Era suo figlio.
Quando
la donna glielo pose in braccio, quello che Louis sentì non
fu né
paura né terrore né insicurezza ma solo un
travolgente e smisurato
amore per quegli occhi leggermente assonnati che erano dello stesso
identico punto di azzurro tipico della famiglia Tomlinson.
Erano
le tre e mezza di notte quando arrivò la notifica di un
tweet. Aveva
lasciato il wifi acceso apposta per eventuali messaggi da parte di
Louis, ma forse quello era stato sperare troppo. Appoggiò la
chitarra sul letto ed afferrò il telefono poco distante: era
un suo
tweet ed il contenuto per un momento lo lasciò senza fiato.
Louis si
era presentato a casa sua dieci ore prima non riuscendo nemmeno a
pronunciare la parola “figlio” ed ora lo stava
tweettando al
mondo. Sentì l'impellente esigenza di bere qualcosa di
freddo,
nonostante la temperatura fosse più che fresca all'interno
della sua
stanza. Arrivò in cucina ed aprì il frigorifero,
afferrando al volo
una bottiglietta d'acqua e per poco non fece un infarto quando,
richiudendo l'anta, si ritrovò a fissare il volto assonnato
di sua
madre Anne illuminato solo dalla luce lunare.
-Mamma
mi vuoi uccidere?
-Sono
davvero così brutta?
-No,
sei splendida come sempre...
Le
cinse le spalle con un braccio nudo e le lasciò un dolce
bacio sulla
testa: adorava essere così tanto alto, perché gli
permetteva di
essere fisicamente protettivo con le donne della sua vita.
-Però
la prossima volta avverti.
-Va
bene... A proposito: che ci fai in cucina a quest'ora?
Si
sedettero sugli sgabelli del bancone che occupava buona parte della
stanza, senza degnarsi di accendere le luci perché tanto, lo
sapevano entrambi, potevano capirsi anche senza vedersi. E poi, la
luna quella notte era piena e stava facendo chiarezza su più
elementi di quanti si sarebbe mai aspettata.
-Potrei
farti la stessa domanda, Anne...
-Devo
preparare i panini per Robin che ha deciso di alzarsi alle quattro
per andare a pescare non o capito dove... Tu invece?
-Io
ho appena letto un tweet...
-Louis?
-Mm-mm...
Le
passò il telefono ancora aperto su quello che il
più grande aveva
scritto e reso noto al mondo intero e poi si mise a fissare un punto
imprecisato oltre la finestra: l'indomani si sarebbe messo sotto uno
di quegli alberi per finire di comporre la canzone che aveva
cominciato quella notte.
-Sarai
per sempre innamorato di lui, non è vero?
Harry
chiuse gli occhi a quell'affermazione appena sussurrata di sua madre,
come se facendolo quello potesse continuare ad essere un segreto che
si sarebbe portato dentro per sempre e che nessun altro avrebbe
dovuto svelare. L'immagine e le sensazioni dell'abbraccio di quel
pomeriggio tornarono prepotenti sullo schermo nero delle sue palpebre
ed un sospiro rassegnato gli sfuggì dalle labbra.
La
notifica di un messaggio lo fece tornare a galla dal gorgo di
emozioni in cui stava annegando e quando si voltò verso
Anne, che
gli stava porgendo il suo telefono, capì di chi fosse quel
messaggio.
Era
una foto. Non una qualsiasi. L'avrebbe stampata e usata come
segnalibro per il suo diario, perché quello sguardo carico
d'amore
che Louis stava rivolgendo al frugoletto che teneva in braccio era la
cosa più spettacolare che avesse mai visto.
-Sì..
Ma ora lui amerà per sempre qualcuno che lo merita davvero...
Hi
sweethearts**
stavo
scrivendo tutt'altra cosa, sempre da un prompt trovato su twitter, ma
poi è successa tutta sta storia e... Lo so che non sono
fatti miei,
che la vita è di Tomlinson e tutto quello che volete, ma io
dovevo
metabolizzare la cosa e questo mi è sembrato il modo
più sensato...
Quindi mi scuso per eventuali errori ed orrori di battitura, ma
è
uscita parecchio di getto sta storia.. E nulla: se le cose fossero
andate davvero così, io sarei la personcina più
felice di questa
terra **
Spero
abbiate voglia di lasciare qualche commentino o qui o su Twitter
( @93ONED )
P.S. La
canzone da cui sono tratti titolo e citazione è Army di
Ellie
Goulding -have a listen **
Lots of
Love xx
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