- Dialogo con la mia spada
- ovvero: perché Yumichika litiga a morte con la sua zampakuto ogni
volta che cerca di entrarci in comunicazione
-
- Il Quinto Seggio dell’Undicesima Brigata si era sistemato in un angolo
tranquillo del giardino che ornava, inutile da anni salvo che per lui, una
zona della caserma dell’11° brigata.
- L’ombra gentile delle fronde creava splendidi giochi di luce sui suoi
capelli neri e lucidi, e lui sapeva benissimo che ciò lo rendeva ancora più
bello.
- Non c’era nessuno ad ammirare cotanta meraviglia, ma Yumichika godeva
del fatto di sapere di essere bello, indipendentemente dal fatto che ci
fosse presente qualcuno che lo rimirasse.
- Era seduto sull’erba morbida, con la zampakuto posata sulle ginocchia.
- Ikkaku gli aveva spiegato i vari passi per arrivare al bankai:
comunicazione con la zampakuto, e sottomissione. Una conoscenza profonda e
solida con la propria arma era indispensabile, e aveva insegnato all’amico
come entrare in comunicazione con la zampakuto.
- Sulla Terra, né lui né Matsumoto erano riusciti a stabilire un buon
rapporto con le rispettive armi. La provocante luogotenente sosteneva che la
sua arma fosse capricciosa e snob. Un carattere perfetto, per un gatto di
cenere, ma anche molto simile a quello della padrona.
- Riflettendoci a mente fredda, in un raro momento di umiltà, Yumichika
aveva dovuto ammettere che litigava con la sua Ruriiro Kujaku anche perché
i loro caratteri erano, essenzialmente, troppo simili.
- Accarezzò sensualmente la lama della spada.
- -Ruriiro Kujaku. Vediamo se oggi hai voglia di fare due chiacchiere. Tra
belli dovremmo andare più d’accordo, sai?- mormorò, avvicinando la lama
alle labbra, fino a sfiorarla. Gli parve che la lama della sua zampakuto
vibrasse leggermente, compiaciuta dall’essere chiamata, per una volta, col
suo vero nome.
- Malgrado detestasse avere una zampakuto basata sul kido, una zampakuto i
cui immensi poteri poteva usare solo di nascosto, come il peggiore dei
ladri, amava l’eleganza del vero sprigionamento della sua arma.
- Chiuse gli occhi, e si trovò immerso nell’azzurro.
-
- Azzurro, azzurro ovunque guardasse. La tonalità preferita da Fujaku, in
tutte le sfumature dall’azzurro pallido dell’alba al blu chiaro.
- Era immerso in un cielo, e nubi color azzurro-viola lo percorrevano,
placide.
- -Sei un egoista, Yumichika. - lo
apostrofò una voce androgina alle sue spalle.
- Il ragazzo si voltò, deliberatamente lento, trovandosi dinnanzi la
materializzazione della zampakuto.
- Un essere androgino, alto e snello, l’ampio petto coperto di piume di un
vibrante azzurro, sì che non si poteva dire se era maschio o femmina.
- Del capo si vedevano solo il mento e le labbra, perché la parte superiore
era coperta da una maschera di pavone, il cui becco porporino ombreggiava il
naso.
- La maschera si fondeva alla carne, e gli occhi blu che si aprirono
rifletterono per un istante tutto il cielo, e lo shinigami dinnanzi alla
creatura.
- Un fruscio delle piume che scendevano dal capo e dai fianchi, come un
manto, accompagnò il movimento della creatura. Fiori color celeste chiaro,
splendidi e teneri, occhieggiavano tra l’azzurro intenso delle piume,
cadendo a terra, subito rimpiazzati da altri.
- -Sei davvero un egoista. Trattarmi
così male e poi venire a chiedermi aiuto quando nessuno guarda. È così
mortificante…-
- Le labbra sottili si tesero in un bellissimo broncio. Involontariamente,
Yumichika sorrise, ricordando la prima volta in cui la zampakuto gli aveva
rivelato il suo nome, la prima volta che aveva visto quell’essere nato
dalla sua anima, androgino e bellissimo come lui stesso lo era.
- Le zampakuto, in fondo, hanno sempre qualcosa, molto, del loro padrone.
Aveva detto che era l’essere più bello che avesse mai visto, escluso sé
stesso ovviamente. Avevano iniziato subito a bisticciare, per questo.
- -Non essere sciocco, mia caro. Le conosci le regole del gioco: mai, MAI di
fronte a qualcuno che non sia un nemico da uccidere. Nessuno deve vedere e
restare vivo per raccontarlo. -
- La creatura agitò un braccio.
- -E dire che sono così bello e
potente… Potrei ricacciare il titolo di Zampakuto più elegante a quel
cumulo di ghiaccio di Sode no Shirayuki! Basterebbe che tu dicessi il mio
nome, il mio vero nome, e io lo farei, lo sai. Ma mi chiami sempre in
quell’orrendo modo!-
- Incrociò le braccia, coperte di piume color blu, dai riflessi metallici
violacei. Le lunghe piume terminante con gli “occhi” di pavone che
scendevano dalle sopracciglia fremettero di sdegno.
- -Ruriiro Kujaku. - Yumichika pronunciò il nome della zampakuto piano, ma
lo vide fremere di piacere, come un gatto sotto una carezza -Ricorda che
sono sempre uno shinigami dell’undicesima brigata. Non usiamo il kido. Se
scoprissero che sei una zampakuto che usa il kido, diverrei la barzelletta
di tutti. -
- -E allora fatti cambiare di brigata!
Tanto ormai lo sanno tutti che hai battuto quello shinigami vicecapitano!
Potresti diventare un vicecapitano!- l’essere scivolò su piedi dalla
pelle turchina, fino alle spalle di Yumichika, circondandone le spalle con
le proprie braccia color del cielo.
- -Potresti anche divenire un
capitano, adesso. Quell’arrancar che ha battuto Madarame, che è stato
sconfitto dal capitano-bestia… con me, tu avresti potuto batterlo. Con me,
chiamandomi col mio nome. -
- -Mi ha fermato quel bastardo di Shuuei. - cercò di troncare Yumichika.
- -Se tu fossi stato un bravo ragazzo
e mi avessi trattato bene fin dal principio, avremmo distrutto subito
quell’arrancar assegnato a noi. - il sussurro della creatura scivolava
nelle orecchie di Yumichika, le piume che gli accarezzavano sensualmente il
collo -E poi, saremmo potuti andare ad
aiutare il tuo amico Ikkaku. -
- Se c’era una creatura asessuata, mezza uccello e coperta di fiori
bianchi, che poteva esprimere lussuria e lascivia, era Ruriiro Kujaku.
Yumichika arrossì fino alle orecchie.
- -Stupido, stupido Fuji Kujaku!- il ragazzo scansò l’essere.
- Per fare lo shikai, era sufficiente conoscere il nome della spada.
- Per il bankai, era necessaria la sottomissione, ma ogni volta che provava
a incontrarsi, e scontrarsi con la sua spada, finiva tutto per degenerare in
interminabili bisticci e provocazioni. Yumichika lo detestava, perché la
sua zampakuto conosceva ogni suo più piccolo segreto, ogni più recondito
desiderio anche inespresso, e non esitava, malizioso, a spiattellarglieli in
faccia.
- Al sentirsi chiamare Fuji, la creatura si inalberò, con una smorfia di
disgusto.
- -Io sono e resterò per sempre uno shinigami dell’undicesima brigata. -
- Stavolta fu Yumichika ad avvicinarsi.
- I volti dell’uomo bellissimo e della creatura bellissima erano vicini, e
Yumichika capì perché il mento delicato e le labbra eleganti della
creatura gli erano subito piaciute: le vedeva ogni mattina allo specchio,
erano le sue labbra e il suo mento.
- -E tu, mia caro, resterai il mio piccolo, sporco segreto. Farà pari per
tutti i segreti che tu hai su di me. - i capelli di Yumichika
s’intrecciarono con le piume della maschera-volto.
- -Sei così crudele… - mormorò
la zampakuto, prima di spingerlo via.
- Yumichika aprì gli occhi sul giardino dell’undicesima brigata.
- Si alzò, elegantemente, e rinfoderò la spada.
- -Sei così crudele, e mi fai
arrabbiare e mi ferisci, ma continuo ad amarti, mio splendido shinigami.-
mormorò Ruriiro Kujaku a sé stessa.
-
- -Ikkaku, sei sveglio? Ti ho portato un pensierino!-
- Ikkaku aprì un occhio, dal suo letto nella stanza dell’ospedale, e
guardò la porta.
- -Con te che strepiti in tal modo, sarebbe difficile dormire comunque. –
borbottò.
- Yumichika posò sul comodino una bottiglia di sakè e due bicchierini, e
subito vide Ikkaku illuminarsi.
- -Come vanno le ferite? –
- -Uno strazio. Mi hanno detto che gli organi interni sono ancora messi
male, e che devo muovermi il meno possibile. La cosa brutta è che temo
abbiano ragione, perché se mi muovo troppo sento dei dolori atroci. Il
capitano Unohana dice che la mia milza era quasi spappolata, e l’intestino
annodato come un gomitolo attorno al fegato, e mi ha detto di stare steso
fino a nuovo ordine. – Mi viene a controllare ogni due o tre ore.
- Yumichika inarcò le bellissime sopracciglia. Il capitano Unohana, eh?
Ecco perché Ikkaku se ne stava buono buono. Quella donna sapeva essere
spaventosa.
- Lui non si era mai fatto tanto male da dover essere minacciato per stare a
letto, le sue prognosi erano sempre di un paio di giorni di riposo a letto o
di una dozzina di giorni in cui non doveva strapazzarsi, ma Ikkaku, quando
si feriva, lo faceva in grande stile, facendosi sbregare da capo a piedi, o
frantumare le ossa come grissini.
- -Ci hanno pestati ben bene, eh? Anche io ne avrò ancora per un po’ con
questo braccio. – indicò il braccio, fasciato e appeso al collo. Una
tripla frattura spalla-avambraccio-braccio, scomposta, non era una cosa
divertente, neanche dopo essere passati per le mani dei migliori elementi
della Quarta Compagnia.
- -Già…- commentò cupo Ikkaku, a cui, più che il dolore fisico,
bruciava l’orgoglio, calpestato dalle parole di Iba.
- Yumichika gli porse il bicchiere di sakè, pieno.
- -Se lo scopre Unohana taichou, mi distrugge, mi cura e poi mi distrugge di
nuovo, ma non potevo non portartelo. – disse, in tono complice.
- Ikkaku rise, bevvero assieme, e poi nascosero la bottiglia nel comodino,
dietro gli effetti personali del ferito.
- -Sai, ho provato di nuovo a dialogare con la mia zampakuto, prima. –
fece Yumichika, sorseggiando il sakè.
- -Ah si? E come è andata?-
- -Come al solito. È testarda, vanitosa e presuntuosa, si può fare davvero
poco con un tipino del genere! Ogni volta che ci parliamo litighiamo a
morte!- disse, apparentemente seccato, ma sorrideva.
- In fondo, ogni spada ama il suo padrone, e ogni padrone ama la sua spada,
anche se ci litiga ogni volta che ci fa due chiacchiere.
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