Libera Uscita
La prima percezione che investe i suoi sensi è l’odore. L’uomo giace
supino, le mani incrociate sul ventre, la schiena ghiacciata dal
contatto diretto col terreno, gli occhi ancora chiusi, rassicurati
dall’oscurità che intuisce dietro le palpebre, (perché svegliarsi di
giorno sarebbe devastante), ma l’odore…
Lo aspira più volte, prima timidamente, poi sempre più a fondo,
riempiendosi i polmoni, dimenticando all’istante il crogiolo di odori
opprimenti in cui vive da sempre.
Quello del percorso mattutino verso la postazione, che si sprigiona dai
corpi delle migliaia che lo precedono e lo seguono, lentamente, sempre
troppo da vicino perché il tutto non diventi un unico, immenso sentore
di umanità rassegnata. L’odore della disperazione.
Quello del cubicolo cui è assegnato da ormai 167 mesi: un insieme di
falsi, pungenti, dolciastri sapori ricreati con malizia mescolando
SynthoSpezie, con assoluta precisione, seguendo formule che non
prevedono, mai, decisioni autonome. Le spezie sono incolori, come il
cibo, ma danno loro l’illusione di variare una dieta sempre identica.
L’odore dell’inganno.
Quello del nido in cui si ritira al termine di ogni turno, dopo il
percorso contrario che, sotto il cielo giallastro e uniforme, risulta
indistinguibile da quello del mattino. Ha l’odore della droga che è
costretto a iniettarsi prima di chiudere gli occhi, per piombare in un
sonno di piombo, amnesico, lungo esattamente 420 minuti. L’odore dei
sogni negati, del tempo rubato.
Ma non stanotte.
Stanotte è in Libera Uscita.
È solo un altro inganno, un collegamento ai Territori Onirici attivato
mediante una droga diversa, ma gli permette di vedere la Terra del
Prima, di vivere una notte appieno: libero di muoversi, di correre,
d’incontrare altri come lui; straziati, come lui, dalla consapevolezza
di ciò che hanno perso. Ogni notte, un gruppo di fortunati riconquista
il Sogno, grazie all’obbedienza, al lavoro paziente, all’aver raggiunto
il termine di un nuovo ciclo. Stavolta è accaduto prima. Con un mese di
anticipo, perché nel ciclo precedente il suo livello è passato dal
quattordicesimo al tredicesimo: il massimo possibile, per un
Miscelatore di SynthoSpezie.
Una sola notte ogni
tredici mesi… ed io sto qui, tanto impaurito da ciò che sento da non
riuscire nemmeno ad aprire gli occhi…
Ma, anche ad occhi serrati, sta già vivendo. Il suo
corpo mortificato dall’oppressione, dalla monotonia, rivela la propria
fantastica disposizione a lasciarsi ferire dalle sensazioni:
quell’odore di terra, di umidità, di pioggia imminente, che ad ogni
respiro penetra ancora più a fondo dentro di lui; lo scorrere del vento
freddo sulla sua pelle nuda, che reagisce con ondate di brividi
violenti, tanto da fargli battere i denti; il suono distante, profondo
e maestoso del…
Tuono…
Allora apre gli occhi, li fissa sulle nuvole fosforescenti, racchiuse
fra le fronde degli alberi mossi dal vento; sullo squarcio di cielo
limpido aperto proprio sopra di lui, da cui intravede le stelle. È un
bene che il vento soffi così forte: i cumuli scorrono veloci nel cielo,
nascondendo subito alla vista gli astri che avrebbero potuto
costringerlo a contemplarli, immobile, fino al mattino.
Invece s’inginocchia e si alza in piedi. Indossa solo un perizoma.
L’oscurità intorno a lui è quasi assoluta, rotta solo dai ritmici
bagliori dei lampi che accendono le nuvole; ma in distanza, fra gli
alberi, brillano i fuochi.
L’uomo comincia a correre in quella direzione, sentendosi subito
diverso da se stesso: i rami gli frustano il viso, il respiro si
accorcia ogni momento di più, la terra ferisce i suoi piedi nudi, ma
lui non se ne cura.
Arrivato ai margini della foresta, rallenta. I fuochi che attraverso
gli alberi erano solo cupi rossori si rivelano per ciò che sono:
immensi falò intorno ai quali uomini e donne falsamente liberi si
abbandonano gli uni agli altri, senza riuscire a dimenticare che è solo
illusione, che presto finirà, che al mattino torneranno a vivere una
realtà in cui è proibito anche solo guardarsi negli occhi.
Sa già cosa accadrebbe se li raggiungesse. Verrebbe trascinato dentro e
perderebbe i confini di se stesso, com’è già accaduto ogni altra volta.
No, stanotte no. Voglio
qualcos’altro.
Raggiunge la scarpata che si solleva a poca distanza e prende ad
arrampicarsi, usando il tatto più di ogni altro senso, godendo della
prestanza fisica che è solo un altro dono del Sogno; rischiando di
cadere, d’interromperlo, ma non riuscendo con questo a desistere;
nemmeno quando le cataratte del cielo cominciano ad aprirsi e la
pioggia rende la sua presa sulle rocce ancor più instabile.
Arrivato in cima si alza in piedi, ansimante. Vorrebbe voltarsi
indietro, contemplare la foresta dall’alto, ma non può. Quel territorio
appena conquistato non è suo. C’è già qualcuno, accucciato presso un
fuoco tanto discreto quanto i falò, là in basso, sono invadenti. E
mentre l’uomo si avvicina capisce perché abbia sempre guardato alla
cima della rupe con desiderio. Come se già sapesse che lei sarebbe
stata là.
Sola.
Illuminata dalle fiamme; le gambe nude piegate sotto il corpo; i
capelli, ormai fradici, incollati a nasconderle il viso; una mano
aperta, a contatto con la terra, l’altra abbandonata in grembo, quasi
chiusa a pugno, come se nascondesse qualcosa.
– Da quanto tempo vieni qui? – le chiede avvicinandosi.
– Dalla prima volta, – sussurra lei senza voltarsi. – Non sono mai
riuscita a… perdermi con loro.
– Vuoi che me ne vada? – le chiede ancora.
– Perché mai… Questo posto è tuo quanto mio.
Allora lui le siede accanto, senza osare guardarla. Fissa le fiamme
morenti, assediate dalla pioggia. Sente la donna tremare di freddo e la
circonda con un braccio, senza dire niente, senza osare quasi
respirare. Ma lei non protesta, gli si stringe contro, e allora…
– Puoi… guardarmi, per favore? Fra poco saremo al buio, io… voglio
poterti ricordare, domani.
– Sarà ancora peggio… – sussurra lei. – Dovrebbero renderci capaci di
dimenticare il Sogno, al risveglio, di non esserne torturati per un
tempo tanto lungo.
Ma poi si volta e, negli ultimi bagliori delle braci, lascia che lui le
scosti i capelli dal viso, che s’imprima i suoi lineamenti nella
memoria, accarezzandoli, che venga trafitto dalla luce profonda dei
suoi occhi verdi.
Quando restano al buio sono le mani di lei a fare lo stesso, ed è nel
sapore di lui che la sua bocca trova rifugio dal fumo acre che si
solleva dal focolare, per disperdersi nel vento.
– La prossima volta verrò di nuovo qui, – dichiara l’uomo quando ancora
la tiene stretta a sé, e insieme guardano il cielo che sta già,
inesorabilmente, rischiarandosi. – Fra tredici mesi. Dimmi che ti
troverò.
– Ma io non… – sussurra lei, con uno strano sussulto.
– Se non vuoi promettere, allora non dire niente, – la prega l’uomo
voltandosi a coprirle la bocca con una mano. – Lasciami la speranza che
accadrà.
– D’accordo… – concede lei, ma c’è un tono rassegnato, nella sua voce,
che lui non sa spiegarsi.
Poi lo sente. Il silenzio ovattato del nido, che sta sostituendo i
suoni del Sogno; il calore delle coperte in cui capisce di essere
avvolto.
Disperato, si aggrappa ai residui del Sogno, per chiederle: – Dimmi la
tua sigla, così potrò, forse…
– 54R4… – gli bisbiglia lei all’orecchio…
…e per un attimo fu davvero come se fosse lì, sdraiata accanto a lui,
nel nido. Ma poi l’illusione scomparve.
– Sara… – sussurrò lui, sostituendo all’istante le lettere ai
numeri, nel gioco che aveva inventato per se stesso.
4RG0 si sollevò a sedere, prendendosi qualche momento per passarsi le
mani sul viso. Quasi gli sembrava di sentire ancora, sulla propria
pelle, l’odore di lei.
Nei giorni successivi continuò a cercarlo, quell’odore diverso da ogni
altro, mescolando quantità infinitesimali di SynthoSpezie, per non
essere scoperto, frustrato all’idea di dimenticarlo troppo presto.
E cercò lei, anche, fra la folla, muovendosi fra i propri rassegnati
compagni come mai aveva osato fare, nel tentativo disperato di
rivederla.
E poi accadde.
La vide, mescolata a mille altri, nello smisurato ingresso della
fabbrica. La donna stava per salire al primo piano, dove lavoravano i
Synthetizzatori di Essenze. Quelli che progettavano i sapori che lui
realizzava ogni giorno; i fortunati che godevano di una Libera Uscita
ogni…
Sette mesi…
Era sempre stato bravo con i numeri. Lo era diventato ancora di più,
dopo tanto tempo passato a pesare attentamente SynthoSpezie. La sua
mente calcolò, febbrile, il periodo che sarebbe dovuto trascorrere,
prima che entrambi si ritrovassero insieme nei Territori Onirici.
Più di sette anni e
mezzo… pensò, usando una delle migliaia di Parole Negate.
Ma che importava, ormai. Fu il dolore di lei a farlo decidere, quello
racchiuso nel sussulto che non aveva saputo spiegarsi.
– Sara! – gridò per liberarla, in un attimo, da tutto quel dolore. Per
liberare se stesso.
Poi accadde l’inconcepibile.
Argo corse verso di lei, facendosi strada a forza fra la folla, la
raggiunse e, dopo aver assaporato l’impavido stupore che colmava i suoi
occhi verdi, la baciò.
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