Victumulae,
Novembre, 58 a.C.
La
neve scendeva lenta sopra la città, bagnando le strade e
rendendo i
ciottoli scivolosi e traditori ed era per questo motivo che il
tribunus militum Cleius
Francus Bardus, della IX legione, era smontato dal suo fedele cavallo
e lo stava guidando con attenzione, valutando cautamente il percorso
per evitare che il povero animale scivolasse e si rompesse una gamba.
"Sarebbe
un vero peccato, dopo che abbiamo lottato assieme contro Ariovisto"
pensò l'uomo, lasciando una carezza sul pelo bruno
dell'animale, che
con il muso lo aveva urtato ad una spalla, chiedendo cibo.
-Fatti
forza, amico mio- gli disse l'ufficiale con un sorriso -Alla prima
locanda che incontriamo, chiederò che ti venga portato del
bel fieno
fragante.
La
sera aveva avvolto il paese e, con esso, le Alpi che lo circondavano,
già spruzzate di bianco per le prime nevicate invernali;
sebbene
Cleius avesse fatto carriera in Germania, dove il clima era ben
più
rigido e inospitale, i morsi del freddo erano per lui più
violenti
rispetto ai suoi commilitoni, che erano soliti sbeffeggiarlo, quando
erano sufficientemente brilli, per i numerosi strati di vesti che era
solito indossare sotto l'armatura; per poi pentirsene il giorno dopo
quando li faceva marciare per ore e ore per fargli smaltire la
sbornia.
Mentre
camminava per le strade illuminate dalla calda luce delle torce che
filtrava attraverso le finestre delle modeste abitazioni, Cleius
riconobbe le roche risate di un paio dei suoi legionari provenire
dall'interno di un bordello, facilmente riconoscibile dal puzzo di
sudore, alcool e vomito, mescolato a essenze da due soldi che i
proprietari lasciavano bruciare all'ingresso per coprire i forti
odori dei loro clienti.
Anche
il fallo eretto di metallo agganciato sulla porta d'ingresso
dell'edificio era un segno inequivocabile dell'attività che
veniva
condotta all'interno.
Ad
un tratto la porta si aprì, mostrando, nel forte raggio di
luce,
proprio uno dei suoi soldati, che, in compagnia di una donna con una
pacchiana parrucca color carota, ondeggiava incerto sui piedi,
visibilmente ubriaco marcio; ben deciso a non venire coinvolto in
quella pietosa scena, Cleius allungò il passo e strinse il
cappuccio
foderato di pelliccia di coniglio attorno al volto: la mattina dopo
quell'uomo avrebbe avuto, con il post sbornia, la punizione che si
meritava per quel comportamento frivolo e, nel frattempo, il tribunus
militum non
voleva sprecare la
sua serata libera a fare un'inutile lavata di capo a uno dei suoi
soldati.
Strinse
il cappuccio con la mano finché non ebbe svoltato l'angolo e
le
risate e i gridolini non vennero portate via dal vento, poi,
finalmente, poté tornare a respirare, sebbene l'aria fredda
gli
entrasse nelle narici tagliente come una lama; il nitrito infastidito
della bestia diede voce ai suoi pensieri: faceva davvero troppo
freddo per stare fuori, era meglio trovare un locale con un bel fuoco
acceso e, magari, della cervogia e un piatto di carne.
Finalmente,
dopo una ventina di minuti di cammino, la luce di una locanda lo
avvolse, invitandolo ad entrare e Cleius, intirizzito e con le mani
che avevano assunto una lieve sfumatura blu per il gelo,
accettò con
piacere l'invito, incamminandosi verso la porta di legno rinforzato
con sparre di ferro.
L'edificio
era uno dei pochi, all'interno del vecchio insediamento, realizzato
con malta e pietre a vista, differentemente dagli altri, come il
bordello di poco prima, che erano stati costruiti con il legno
ricavato dalle foreste di sempreverdi circostanti; la locanda era
ampia e dall'esterno si contavano due piani superiori, con diverse
finestrelle, di cui un paio illuminate dall'interno, rivelando la
trama di assi di legno dei soffitti. Il tutto suggeriva che la
locanda fosse uno dei vecchi edifici dei tempi d'oro di Victumulae,
in cui le miniere aurifere erano ancora attive, cosa che fece sperare
all'ufficiale che fosse un luogo pulito e ben frequentato.
Legò
il suo cavallo a uno degli anelli di metallo conficcati nei filari di
pietre, slacciò la borsa con il denaro dalla sella e spinse
la
pesante porta, affacciandosi all'interno del locale: come aveva
supposto, l'ambiente era relativamente ricercato (di sicuro lo era
rispetto agli altri edifici dell'insediamento) e suggeriva pulizia e
ordine, aspetti essenziali per un militare tutto d'un pezzo dello
stampo di Cleius.
Il
pian terreno della locanda era distribuita su un'unica grande sala,
al centro della quale erano stati disposti sette lunghi tavoli di
legno di pino, molti dei quali erano occupati da altri ufficiali
della IX legione, la sua, e della VII e un paio anche dell'VIII, che
banchettavano allegramente con carne di cinghiale arrosto, pernice in
fricassea e grossi boccali pieni di uno spumoso liquido ambrato.
"Se
non altro sembra che la cervogia non manchi" pensò l'uomo,
il
cui stomaco, stuzzicato dagli invitanti profumini che aleggiavano
nella sala, iniziò a protestare per la penuria di
approvigionamenti.
-Ave,
centurione- lo salutò una signora di mezz'età
dagli scompigliati
capelli bianchi e il viso rubicondo -Desideri mangiare?
-Buonasera,
signora- rispose educatamente l'ufficiale, inclinando la testa per
sottolineare il saluto -Sì, vorrei rifocillarmi. Qui fuori
c'è il
mio cavallo, potete prendervene cura, per cortesia?
-Certamente!-
rispose quella, schioccando vistosamente le dita grassocce e facendo
segno a un giovane garzone di avvicinarsi -Va' a prendere il cavallo
del soldato e trattalo come il destriero di Cesare, hai capito
idiota?- sbraitò la donna al ragazzo che, con le orecchie
basse,
uscì al freddo per eseguire gli ordini.
-Abbiamo
le stalle più belle di tutta Victumulae- gongolò
la locandiera,
mostrando diverse buchi nel suo sorriso giallo -Ma prego, soldato,
siediti al caldo e riposati. C'è un bel posto proprio
davanti al
camino!
Arpionatolo
per il braccio, la donna, dimostrando un'inaspettata forza fisica, lo
trascinò in mezzo alla ressa dei tavoli, dove un gruppetto
di uomini
un po' alticci avevano iniziato a cantare, e lo mise a sedere in uno
spazio vuoto di uno dei tavoli proprio davanti alla fiamma , che
allegra scoppiettava nel camino annerito di fuliggine.
-Cosa
ti porto, centurione?- domandò poi con un sorriso ancora
più largo
e con una dolcezza nella voce simile a quella di una madre che parla
al proprio figliolo.
-Cervogia-
rispose subito il soldato, che poi, di fronte allo sguardo di
rimprovero della locandiera, aggiunse -E un piatto di carne e
lenticchie, per favore.
-Arrivano
tra poco!- esclamò allegra quella, per poi sgusciare
agilmente tra i
tavoli e gli avventori e svanire dietro una porticina nel punto
più
distante della sala, dove, come desunse Cleius, si trovavano le
cucine.
Mentre
aspettava, ne approfittò per guardarsi attorno e studiare la
scena:
le lunghe e confuse ombre dei clienti della taverna danzavano come
spiriti evanescenti sulle pareti rocciose della sala, saltando da un
paio di corna di cervo appese come trofeo a una testa essiccata di
cinghiale, che fissava la scena attraverso i suoi vuoti occhi di
vetro; ai tavoli, gli ufficiali delle varie legioni parlavano (o
meglio, urlavano) e bevevano in allegria, ben felici di trascorrere
l'inverno in quella regione della Gallia Cisalpina, lontani, almeno
per il momento, dal fango e dal sangue dei campi di battaglia.
Alle
orecchie di Cleius quelle voce, rese roche e profonde dal freddo e
dai fumi dell'alcool, risuonavano come un ronzio indistinto: non gli
interessavano, esattamente come a loro non interessava lui.
Il
bastardo di una schiava, arruolato in giovane età per
ricevere una
paga e sopravvivere, promosso dieci anni dopo con onore nelle
Germanie, non era degno di sedere e chiacchierare con gli altri
ufficiali della legione, quelli che erano entrati nell'esercito per
fame di onore e non per semplice fame, quelli che avevano alle spalle
famiglie rispettabili, il cui nome era stato abbastanza da agevolarli
nella loro carriera militare.
Quelli
a cui la propria vita era abbastanza cara da non volerla rischiare
per salvare il loro comandante dall'attacco di un barbaro grosso come
una montagna, ma a Cleius non faceva differenza vivere ottant'anni o
morire a ventisei, così si era lanciato nella battaglia. Ed
era
stato promosso.
Se
prima aveva letto nei loro occhi e nei loro modi null'altro che il
disgusto dovuto a tutti coloro che erano di grado inferiore, adesso
Cleius vedeva qualcosa di più, qualcosa che aveva il colore
dell'invidia e dell'odio e gli piaceva: finalmente, dopo anni di
soprusi e di sputi sui piedi da parte di coloro che vestivano e
mangiavano meglio di lui, finalmente stava avendo la sua rivincita. E
ne era fiero.
Dopo
pochi minuti arrivò lo stesso garzone a cui era stato
affidato il
cavallo portando un vassoio di legno con la sua ordinazione, che
dispose con cura sul tavolo di fronte a lui.
-Come
sta Cornelia?- gli chiese Cleius, riferendosi alla sua cavalla e
trattenendo il ragazzo per la manica della tunica, ma ricevendo in
risposta solo uno sguardo vuoto e spento.
-Il
tribunus Francus vuole
fare il miracolo e far parlare il muto!- esclamò, tra le
risate
gutturali dei presenti, un centurione dalla faccia rossa come un
pomodoro.
Cleius
lasciò andare la veste del garzone e diresse i suoi glaciali
occhi
azzurri verso l'uomo che lo aveva schernito e, senza perdere la
propria compostezza, ribatté: -Nonostante ciò, il
ragazzo è un
converstatore più acuto e interessante di te, Artemone.
A
quella risposta seguirono delle risate ancora più forti e il
centurione, sconfitto, non poté far altro che borbottare
qualche
parola incomprensibile nel suo bicchiere di vino rosso e continuare
la cena in silenzio.
Sì,
decisamente a Cleius piaceva quella nuova situazione: solo pochi mesi
prima avrebbe pagato quella battuta con delle vergate assestate sulla
schiena, ora invece poteva godersi il gusto dolce e caldo della
rivincita.
Ora
che, finalmente, l'attenzione degli avventori era rivolta nuovamente
alla cena, il tribuno poté attaccare la propria carne e
riscaldare
le membra infreddolite con calma e nella pace della solitudine;
proprio mentre stava per chiedere un secondo boccale di birra, il
garzone si era seduto su un secchio a fianco del camino e aveva
cominciato a strimpellare una vecchia lira scheggiata e con le corde
consunte, ma da cui, grazie all'inaspettata abilità
dell'insospettabile musicista, uscì una melodia orecchiabile
e
ritmata.
All'improvviso
alle note delle corde si aggiunsero dei tintinii di campanelli e
nella sala scese improvvisamente il silenzio, rotto solo dalla
musica; sembrava che tutta l'attenzione dei presenti fosse
focalizzata su un unico punto della sala e, incuriosito, Cleius si
voltò in quella direzione per capire cosa mai fosse riuscito
a far
tacere quella banda di beoti.
Quando
la vide, la risposta gli fu subito chiara: dalle scale che portavano
ai piani superiori, vestita solo di una leggerissima tunica, che,
ondeggiando ai movimenti della danza, valorizzava la sue forme
armoniche e generose, una donna bellissima si muoveva con grazia,
facendo risuonare dei piccoli campanelli attaccati alle caviglie.
La
sua pelle era chiara come il latte e i lunghi capelli, raccolti in
una voluminosa treccia che scendeva lungo la schiena, avevano il
colore del sole al tramonto e come l'astro brillavano alla luce della
fiamma.
Con
una piroetta la ballerina terminò la discesa e, alzate le
braccia al
cielo, eleganti come colli di cigno, iniziò ad ancheggiare a
ritmo
della musica, mentre i suoi piedi eseguivano una complessa
coreografia che in molti in quella sala si persero, troppo impegnati
ad osservare le grazie della fanciulla muoversi sotto la veste.
Cleius,
però, rimase rapito per qualche istante dalla frenetica
danza di
quei piccoli piedi scalzi, che calcavano le pietre del pavimento con
una grazia pari a quella delle silfidi, ma fu solo quando finalmente
alzò lo sguardo che si accorse di quei grandi occhi blu che
lo
fissavano intensamente e di quella bocca carnosa inclinata in un
mezzo sorriso.
Il
soldato sentì per un istante la schiena irrigidirsi, ma non
volle
concedere alla donna la soddisfazione di fargli abbassare gli occhi e
fu così che i due si fissarono senza sosta per tutta la
durata della
danza, anche quando la ballerina, eseguito un balzo degno di
un'acrobata, si mise a danzare su uno dei tavoli, suscitando le
ovazioni e i fischi di apprezzamento degli uomini attorno a lei.
Ma
per i due, i cui occhi erano rimasti legati in un intreccio di
sguardi, le orecchie non percepivano altro suono se non quello dei
propri pensieri e, anche se non lo sapevano, essi erano molto simili
tra loro.
Quando
la musica fu terminata, la fanciulla si professò in una
serie di
profondi inchini, mentre gli avventori applaudevano con vigore e le
lanciavano monete, divertendosi ad osservarla mentre le afferrava al
volo con eleganti acrobazie.
Con
un ultimo inchino, la ragazza si congedò e Cleius, il cui
stomaco
aveva improvvisamente deciso di non accettare altro cibo dentro di
sé, decise di uscire per assicurarsi che la sua cavalla
fosse stata
posta al caldo e fornita della giusta quantità di biada e
acqua; non
si concesse di ammettere che, all'improvviso, aveva cominciato a
sentire un forte caldo al viso e al petto, cosa mai accaduta prima ad
un freddoloso del suo stampo.
Quando
uscì dalla locanda la neve aveva smesso di cadere e tra la
fitta
coltre di nubi si erano aperti degli squarci, mostrando frammenti di
cielo carichi di stelle; si strinse nel mantello e si diresse a
grandi passi verso la stalla, un piccolo edificio di legno con il
tetto di paglia, evidentemente costruito in un secondo momento
rispetto allo stabile adiacente.
Allungò
il braccio e fece ruotare la porta sui suoi cardini, mentre un
nitrito familiare lo accoglieva festoso: riconosciuto il padrone,
Cornelia aveva iniziato ad agitarsi, desiderosa di ricevere delle
carezze dal suo affezionato compagno di avventure.
Sinceramente
intenerito dal comportamento della sua cavalla, Cleius prese
l'attrezzatura per la cura dei destrieri da un secchio appeso al muro
e, lasciata una caezza sul collo muscoloso dell'animale,
passò la
recinzione e iniziò a spazzolare con cura il pelo.
Una
volta terminato, passò alla coda e alla criniera con una
spazzola
più dura e si prese il suo tempo per districare con calma i
nodi e
rimuove le foglie e i ramoscelli rimasti impigliati tra i lunghi e
spessi peli neri; di seguito, una volta che si fu assicurato che il
manto fosse pulito e che gli occhi e le narici non goggiolassero, le
coprì la schiena con una coperta e andò a
prendere del fieno da un
angolo in cui era stato ammassato.
Mentre
ne sollevava una grande quantità con un forcone di legno,
vide con
la coda dell'occhio del movimento appena fuori dalla stalla e
udì
delle voci; riconoscendo tra esse una voce femminile, non
poté
impedirsi di osservare quello che stava capitando attraverso le
fessure create dall'affiancamento delle assi.
Nella
penombra della strada riconobbe la figura sottile della ballerina,
che si era cambiata d'abito e che adesso indossava degli spessi
indumenti di lana grezza, e, assieme a lei, vi era anche quell'orso
di Artemone, il quale, ripresosi dalla batosta con galloni di
alcolici, era tornato all'attacco tormentando la ballerina.
-Coraggio,
tesoro- la incitava l'uomo, i cui movimenti traballanti e incerti lo
facevano sembrare davvero un orso -Perché non mi fai vedere
quelle
belle mosse che hai fatto prima? Magari potrei insegnartene io
qualcuna. Che ne dici?
-Stia
lontano da me, signore- rispose gelida la ragazza, allontandosi di un
passo dall'uomo -Non sono una delle danne del bordello, da me stasera
avrete la danza nella locanda e nulla più.
-Non
fare la difficile, piccola!- insistette quello, allungandosi di
scatto e afferrandola per un polso; Cleius si lanciò verso
la porta,
pronto ad uscire imbracciando il forcone, ma la reazione della
ragazza lo congelò lì dov'era: con uno scatto
felino, la donna
aveva arpionato l'avventore per il braccio, aveva fatto leva sulla
sua spalla e l'aveva rovesciato a terra come un sacco di patate. Il
tutto nel tempo di un battito di ciglia.
Senza
nemmeno curarsi se l'uomo fosse vivo o morto, la donna si
avviò a
lunghi passi verso la stalla, trovandovi Cleius con ancora in mano il
forcone una volta che ebbe aperto la porta; per un istante i due
rimasero bloccati ad osservarsi, occhi negli occhi come pochi minuti
prima nella locanda, ma questa volta non c'era nessuno tra loro e la
cosa per un istante li irrigidì.
-Vi
conviene riporre il forcone se non avete intenzione di usarlo- disse
finalmente la ragazza, spostando i grandi occhi blu dall'uomo al
forcone -Potreste cavare un occhio a qualcuno.
-Sono
in grado di maneggiare delle armi- ribatté l'uomo, obbedendo
però
al consiglio della fanciulla e posando l'oggetto a ridosso della
parete -Cosa ci fai qui? Non fa troppo freddo per gironzolare per le
stalle?- domandò poi, ricomponendosi e assumendo la sua
solita aria
da duro.
-Io
qui ci dormo- rispose quella senza fare una piega e prendendo in
contropiede il tribuno, che rimase a bocca aperta, capace soltanto di
dire -Ah...
-La
cosa vi sconvolge a tal punto?- domandò la ragazza
divertita,
lasciandosi cadere nel cumulo di fieno.
-Credevo
che alloggiassi nella locanda- rispose Cleius, ponendosi davanti a
lei e squadrandola dalla testa ai piedi, mentre quella giocava
distrattamente con i ramoscelli di paglia.
-In
realtà non ci ho mai dormito- disse quella -La padrona non
mi ha mai
permesso di occupare una delle stanze dei clienti, ma preferisco
così: almeno non sono costretta a sentirla russare. Certe
volte
sento i suoi grugniti persino da qui.
-Sei
una sua schiava?- domandò diretto Cleius.
-Diciamo
che sto qui solo perché al momento non ho ancora trovato una
sistemazione migliore. La padrona è gentile, mi ha accolta
quando
mia madre è morta di febbri e non mi ha mai costretta a
giacere con
i clienti della locanda. Tutto sommato, non è tanto male.
-In
effetti mi sembra che tu sia cresciuta perfettamente sana...-
considerò il soldato, pentendosi un attimo dopo aver
pronunciato
quelle parole, che avevano causato uno sguardo penetrante e
bellissimo negli occhi della fanciulla -Voglio dire- cercò
di
rimediare -Non sono in molti quelli che possono vantarsi di aver
atterrato il tribuno Artemone.
-L'orso
ubriaco?- rise la ragazza, la cui voce risuonò limpida e
cristallina
nelle pareti della stalla -Non è stato nulla di eccezionale:
se non
l'avessi fatto cadere io, l'avrebbe fatto da solo prima o poi.
-Non
ho mai visto una donna fare una cosa del genere- insistette Cleius,
felice di aver fatto ridere la sua interlocutrice -Chi te lo ha
insegnato?
-L'orso
non è stato il primo uomo con cui ho avuto qualche
"problemino".
L'esperienza fa acquisire l'arte.
La
curva di un sorriso illuminò il volto di Cleius che, dopo
aver
chiesto con lo sguardo il permesso di sedersi accanto a lei,
domandò
con una gentilezza che da lungo tempo era rimasta celata in lui:
-Qual è il tuo nome?
-È
buon uso che ci si presenti prima di chiedere il nome a qualcuno-
rispose di rimando la ragazza con un sorriso malizioso.
-Io
sono Cleius Francus Bardus, tribunus militum
della IX legione, tu chi sei, fanciulla?
-Mi
chiamo Naevia- sorrise la ballerina -Piacere di conoscerti Cleius.
-Piacere
mio- ricambiò on sincerità il tribuno,
sdraiandosi sulla paglia con
le braccia intrecciate dietro la testa -Ahhh- sospirò
accomodandosi
su quel soffice giaciglio -Se avessi avuto un paio di gambe come le
tue, probabilmente sarebbe stato tutto molto più facile.
-Oh
sì- esclamò con una punta di ironia la donna
-Avresti potuto
sgambettare per i tuoi legionari! Scommetto che avrebbero gradito
molto!
-Molto
divertente, Naevia- replicò quello, facendole una boccaccia,
alla
quale la ragaza rispose prontamente mostrandogli la lingua -Per tua
informazione da giovane ho ricevuto moltissime dichiarazioni d'amore.
-Stiamo
parlando di quanto? Cinquant'anni fa?- rise di gusto Naevia,
sdraiandosi di lato accanto all'uomo per ascoltarlo meglio.
-Sei
una ragazza irriverente, Naevia- ribatté l'altro, faticando
a
trattenere un sorriso divertito -Molti non apprezzerebbero un simile
comportamento da una fanciulla.
Quella
fece roteare gli occhi al cielo e, dopo aver emesso uno sbuffo,
rispose: -A me non interessano "molti". Di uomini ce ne
sono a legioni là fuori e per tenerli a bada molto spesso
basta
colpirli sotto la cintola col potere delle parole. Non si aspettano
di più da una ragazza che balla sui tavoli mentre loro
mangiano e a
me di loro non interessa altro che le monete che mi danno alla fine
dell'esibizione.
-Direi,
a questo punto, che decisamente non sei il genere di ragazza che
sogna di diventare la matrona di una bella casa della capitale-
ridacchiò Cleius.
-E
non poter mai mettere il naso fuori casa senza essere considerata una
di facili costumi?- chiese quella -No grazie. Non ci tengo a
rinchiudermi in una gabbia dorata. Preferisco il fango della strada
sotto ai miei piedi e il cielo aperto sopra la mia testa. Tu invece-
proseguì, guardandolo negli occhi -Non mi sembri un soldato
come
tanti: ho visto come hai sistemato quell'orso. Altri se la sarebbero
presa con Flavius, il ragazzo muto, tu invece hai messo a tacere quel
bruto, infischiandone dell'opinione di tutti. Non è cosa
comune.
-Non
vedo perché avrei dovuto prendermela con il ragazzo: lui
stava solo
facendo il suo lavoro.
Naevia
sorrise e per un secondo si perse ad osserevare il volto dell'uomo al
suo fianco: nonostante qualche rughetta sulla fronte dovuta a
un'espressione perennemente corrucciata, i muscoli facciali di Cleius
era distesi e rilassati e la bocca arcuata in un sorriso appena
percettibile; il profilo del naso era irregolare, Naevia ritenne che
se lo fosse rotto più volte, e la linea della mascella era
forte e
squadrata. Il tutto completava un quadro armonioso ed affascinante,
che la fanciulla non poté impedirsi di ammirare.
-Quando
finirò il servizio- disse ad un tratto Cleius, facendola
sobbalzare
impercettibilmente dalla sospresa -Mi piacerebbe comprarmi un piccolo
appezzamento di terreno vicino al mare, dove le acque sono calde e il
sole splende tutto l'anno, e vivere lì, coltivando vite e
ulivi per
ricavarci vino e olio da vendere.
-Io
non ho mai visto il mare- confessò la donna, nella cui voce
traspariva il desiderio di ammirare quella distesa d'acqua perdersi
all'orizzonte.
-Potresti
venire a trovarmi, di tanto in tanto- ribatté l'uomo -Ti
farei
assaggiare il mio vino e ti porterei a cercare conchiglie sulla
spiaggia.
-Me
e la compagnia di danzatori che avrò fondato nel frattempo-
rise di
cuore Naevia, la cui risata scemò quando vide negli occhi
dell'uomo
uno sguardo strano e, all'improvviso, il cuore cominciò a
batterle
forte dietro allo sterno, facendole fischiare le orecchie.
-Spero
che quando verrai a trovarmi- disse pacatamente l'uomo -Vorrai
concedermi di trascorrere del tempo in solitudine con te: non potrei
sentire la tua risata nel caos delle danze.
-E
cosa succederebbe se, invece, te lo negassi?- chiese quasi sottovoce
Naevia, avvicinandosi all'uomo, che rispose: -Attenderei la volta
dopo, quella dopo ancora e ancora nella speranza che un giorno tu
possa cambiare idea.
Come
mossi da forza che li spingeva ad azzerare la distanza tra loro,
Cleius e Naevia si ritrovarono l'una nelle braccia dell'altro, ad
assaporare le loro bocche sconosciute, ma che così bene si
incastravano tra loro, come metà di una cosa sola. Ai baci
che si
concessero accompagnarono le carezze per imparare a conoscersi
meglio, a scoprire le cicatrici e le forme dei loro corpi con la
calma di chi vuole imprimere nella memoria ogni singolo dettaglio.
Proseguirono
senza parlare finché il sonno li vinse e, abbracciati,
scivolarono
nel mondo dei sogni, dove il mare ruggiva, la sabbia era tiepida
sotto ai loro piedi e le loro mani intrecciate affinché
né il vento
né il tempo potesse mai separarli.
Angolo
dell'autrice: salve
a tutti e
benvenuti alla fine della prima one shot della raccolta Sceglierei
sempre te.
Spero che vi
sia piaciuta e che vi abbia intrattenuto piacevolmente per qualche
minuto.
Come
avrete compreso, Cleius e Naevia sono proprio i nostri Clint e
Natasha in un contesto romano del I sec. a.C.; ho cercato di adattare
i loro nomi e le loro personalità al contesto in cui li ho
inseriti,
cercando il più possibile di evitare strafalcioni storici.
Se,
nonostante i miei sforzi, fossi comunque inciampata da qualche parte,
vi chiedo di non esitare a correggermi, così da poter
rimediare.
Credo
sia doveroso anticipare che non ho idea della frequenza di
aggiornamento che potrò impiegare in questa raccolta, visto
che, tra
gli impegni universitari e la stesura della mia long fic principale,
il tempo da dedicarvi non sarà molto.
Ad
ogni modo, spero che l'idea e il suo sviluppo allo stato attuale vi
sia stata gradita e che vorrete esprimere un'opinione a riguardo per
farmi sapere cosa ne pensate e se avete suggerimenti per migliorarmi.
Mando
a tutti un grosso bacio!
Lady
Realgar
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