That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Hogwarts - II.008
- The Sinner in Me
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 9
settembre
1971
“Guarda che fai ancora in
tempo a ripensarci… Sarebbe l’occasione giusta per
mettere quel bel vestito rosso che la mamma ti ha preso da Madame
O!”
Avevo difficoltà a stargli dietro: era venuto a prendermi su
in infermeria, aveva colto l’occasione per salutare Sirius,
canzonarlo un po’ per quel naso mostruoso che si ritrovava e,
me ne accorsi nonostante la rapidità con cui lo fece,
mettergli in mano quello che sembrava un biglietto. Evidentemente, mio
padre si serviva anche di mio fratello per comunicare con Black. Non
vedevo l’ora di tornare da Sirius per saperne di
più. Lo guardai impertinente.
“Da quando
t’interessano i vestiti da ragazza?”
Rigel mi rise in faccia, con la sua solita aria da peste, anche se
accesa da un accenno di rossore sul viso: in quei pochi giorni, lontano
dalla nostra famiglia, avevo già capito che mio fratello non
era solo il ragazzino dispettoso che conoscevo, ma, pur giovanissimo,
aveva già intrapreso la strada di nostro padre e di Mirzam
come rubacuori a Hogwarts.
“Non sono affari tuoi,
mocciosa… Piuttosto… Se fossi in te, me ne andrei
di corsa in camera a vestirmi…”
“Te l’ho
già detto, non ho alcuna intenzione di venire a quella
stupida cena da Slughorn, Rigel…”
Mio fratello si voltò, ormai non aveva più la
solita faccia scanzonata, ma quella dura che mostrava anche mio padre,
quando le questioni erano serie o io avevo combinato qualcosa di
sbagliato.
“Fai come vuoi, ma poi non
venire da me a lamentarti, se Slughorn non ti avrà
più in simpatia… o se mamma e papà ti
daranno una bella lavata di testa!”
Mi sibilò contro e riprese a camminare con passo volutamente
sostenuto: alto com’era, ogni suo passo era almeno due dei
miei, dovevo correre per stargli accanto. Riuscii con
difficoltà a superarlo e mettermi di fronte a lui,
impedendogli di proseguire: eravamo ormai quasi all’ingresso
della Casa degli Slytherins, dovevo parlargli prima di ritrovarci in
mezzo a tutti gli altri. Odiavo già quell’ambiente
fatto di spioni e pettegole.
“Si può sapere
perché questa cena è così importante,
per te?”
“Tu ancora non ti rendi conto
di chi e di che cosa sei, e quanto offendi la nostra famiglia e le
altre persone a noi vicine comportandoti
così…”
“Così?
Così come? Rispondimi!”
Mi scansò in malo modo, ora la sua faccia era davvero cupa,
come quando bisticciava con Malfoy. Quel nostro litigio era diverso
dagli altri, me ne resi subito conto: non si trattava di uno stupido
scherzo, qualcosa di giocoso e leggero. Non era il litigio per una
vecchia sciarpa di nostro padre. Era una questione davvero importante,
qualcosa che gli mandava il sangue al cervello. Non parlava, sussurrava.
“Mi sembrava di averti
già detto che, a parte Sirius, non devi stare con gli altri
Grifondoro… Con chi ti ritrovo, invece? Con chi diavolo
parlavi, poco fa, tutta amichevole e sorridente? Con un
Mezzosangue...”
“Tutto questo casino per
Remus? E’ un compagno di Sirius… un ragazzo
simpatico e gentile. E allora? Che cosa c’è di
male? Sei noioso, Rigel… Sembri Walburga Black, quando parli
così!”
Strinse i pugni e inghiottì la rispostaccia che aveva in
punta di lingua, poi mi diede le spalle, in silenzio; lo arpionai da
dietro e lo costrinsi a guardarmi, una folle rabbia stava stampata
sulla sua faccia.
“Remus è solo una
scusa… Ti sei già pentito, non è
così?”
“Chiudi quella boccaccia
sorella, o rischi di fare una brutta fine… Se questa storia
arriva alle orecchie sbagliate, puoi star certa che non pagherei solo
io le conseguenze della tua stupidità…”
“E da quando ti preoccupi di
questo, Rigel? Sei sempre alla ricerca di una scusa nuova per fare a
pugni… Che cosa sono tutti questi problemi che ti fai
adesso? Che cosa c’è di male in quello che ti ho
chiesto?”
“Tu svergognerai la nostra
famiglia, se non impari, e alla svelta, a comportarti come una
Sherton… E quello che mi hai chiesto di fare, e di cui,
è vero, sono già pentito, non rientra nel modo
d’agire degli Sherton… Tu farai la fine di
Andromeda Black, se continui così… Ecco cosa
c’è di male!”
Lo schiaffo mi partì all’istante, e di tanti che
avevo già dato e che diedi in seguito a mio fratello, fu
quello più deciso e potente… E che nessuno dei
due dimenticò più.
“Non osare mai più
paragonarmi a quella lì, Rigel… Io sono libera di
avere per amico chi voglio come fai tu, è papà ad
avermelo detto… Non per questo sarò una rinnegata
come Meda Black! E quello che ti ho chiesto… Papà
ci ha insegnato il valore della giustizia… Sei tu a non
essere un vero Sherton… se sei già
pentito.”
Rimase per un attimo sorpreso dalla mia reazione, a tenersi la guancia
paonazza per il colpo che gli avevo assestato: forse credeva che come
sempre, sarebbe riuscito a farmi piangere, nessuno ne era capace quanto
lui, ma io resistetti mentre un ghigno, che non sapevo interpretare,
andava a formarsi sul suo viso. Forse semplicemente voleva che
mi comportassi a quel modo, perché dimostrassi a lui e a me
stessa ciò che ero davvero.
“Questo è proprio
il genere di frasi che devi smetterla di dire ad alta voce, piccola
stupida senza cervello! Ma forse vuoi davvero mettere nei guai persino
mamma e papà, oltre a me…”
Rimasi sconcertata, mio fratello era evidentemente impazzito. Mi misi a
correre, trattenendo a stento le lacrime, lasciandomelo alle spalle,
non volevo più neanche vederlo, avevo noia di lui, delle
persone come lui, dei suoi discorsi, di quella scuola odiosa che in
quei pochi giorni avevo già imparato a detestare. Avevo
desiderato per tutta la vita essere lì, in quei sotterranei,
ma non avevo mai immaginato quanto fosse pesante portare quel
cravattino, quanto fosse difficile percorrere quella strada. Mirzam
aveva ragione, dovevo riflettere meglio su quello che volevo per me
dalla vita. Entrai in Sala Comune e non salutai nessuno, mi sentivo
occhi curiosi addosso, costantemente addosso, sentivo dal primo giorno
di essere sempre sotto esame, come se il momento dello smistamento per
me durasse in eterno. Andai a chiudermi nella mia stanza, ero talmente
furiosa che persi perfino la voglia di piangere. Io non dovevo
piangere… Io non volevo più piangere... Io
non… Non riuscivo a capire perché fosse sempre
più difficile fare ed essere ciò che volevo.
Forse per me era meglio se fossi finita a Corvonero, forse era stato
tutto un errore. Non ero forte abbastanza per stare lì.
Nella semioscurità delle tende che avevo tirato attorno a
me, ripensai a quello che era il timore di mio fratello, guardai le mie
mani, su ogni dito era tatuato ciò che ero, ciò
in cui avevo imparato a credere. Io conoscevo bene i patti,
papà aveva posto condizioni e limiti: perché
Rigel parlava così? Che cos’era cambiato nel
frattempo? Che cosa non avevo capito? Il luccichio dello
smeraldo incastonato nell’anello mi colpì, toccai
il freddo metallo: mi ero resa conto dal primo giorno che
quell’argento non si scaldava mai col calore del mio sangue.
L’anello mutò le sue forme sotto il mio sguardo,
la pietra rilasciò il suo contenuto, accarezzai la consunta
copertina del libriccino, che raggiunse le sue dimensioni originali e
l’aprii: le parole antiche mi portarono presto in
un’epoca lontana. Passai ore a leggere l’antica
saggezza di Salazar, usando la bacchetta per farmi luce sotto le
coperte. No. Io non sarei mai stata come Andromeda Black. Era
evidente, lo sapevo. Da sempre. Altrettanto evidente, però,
era che mi sentivo ed ero diversa da coloro che abitavano quei
sotterranei con me. Quello che leggevo, su quelle antiche pagine, era
troppo differente da quello che mi aveva insegnato mio padre: mi
chiedevo perché mi avesse messo in mano quel libro, in cui
oltre ad incantesimi straordinari, era indicato come procurare quel
dolore che aborriva con tutto se stesso. Forse era solo un
monito, perché mi mantenessi sulla via che mi aveva
indicato, nonostante le pressioni della mia Casa... Mio padre avrebbe
sostenuto la mia decisione di dire a Dumbledore la verità su
Sirius e Mcnair. Ancora non me ne rendevo pienamente conto, ma
c’era già un bagliore, in mezzo
all’oscurità in cui vagava la mia mente, anche se
ancora troppo tenue per vedere… Non ero io a non
essere abbastanza forte, non ero io a essere troppo sbagliata. La
verità era che le parole impresse a fuoco dentro di me non
appartenevano a Salazar Slytherin: ma a Alshain Sherton. Solo quando la
luce si fosse fatta meno tenue avrei capito… la vera e
diversa natura di mio padre.
***
James
Potter
Castello di Hogwarts, Highlands - ven. 10
settembre
1971
La lezione di Pozioni quel mattino era davvero pesante, soprattutto
perché a sorpresa quel tricheco baffuto aveva deciso di
farci delle domande a tradimento: la maggior parte degli studenti
cercava di nascondersi dentro il libro, o sotto il tavolo, o dietro al
calderone, come se quello stupido atteggiamento potesse salvarli
dall’appello. Non io: io ero pronto a tutto. Non
perché fossi “pronto”, figuriamoci se
avevo aperto il libro, un qualunque libro, da una settimana a quella
parte, ma perché contavo sulla bontà del destino
nei miei confronti: in fondo ero baciato dalla dea bendata dal giorno
della mia nascita. Peter si torceva le mani, probabilmente
già preda di qualche fitta di paura, di lì a poco
avrebbe di certo chiesto di poter fuggire in bagno. Ghignai, in quei
pochi giorni mi ero ormai chiesto più volte come avesse
fatto a finire a Grifondoro invece che a Tassorosso. Remus, seduto
accanto a Peter, al contrario di me, sembrava chino sul libro a
ripassare e a prendere ulteriori appunti, anche se non ne aveva alcun
bisogno: non faceva altro che sotterrarsi tra quelle pagine
polverose. Aveva già subito un paio
d’interrogazioni in quei pochi giorni, e mai una volta erano
riusciti a coglierlo impreparato. Scossi la testa. Quel ragazzo aveva
di certo bisogno di aiuto, e Sirius Black, almeno da quanto mi era dato
capire fino a quel momento, poteva essermi d’aiuto per
strappare Lupin al suo triste destino di secchione. Peccato che Sirius
Black fosse ancora in infermeria.
Sospirai. Certo era strano, ma era indubbio che, senza quel pazzo
scatenato, in quei due giorni, avevo rischiato spesso la noia. Mi
guardai attorno, mancava solo lui, il mio compagno di banco: nessuno
degli altri, quel giorno avevamo lezione con i Serpeverde, aveva ancora
fatto nulla per attirare la mia attenzione. A parte due, tassativamente
seduti al primo banco: la rossa “so tutto io”, Lily
Evans, e il suo degno compare, Severus
“unticcio”Snape. Snivellus per gli amici, i miei
amici. Erano entrambi secchioni, almeno quanto Remus, ma, al contrario
di Lupin, erano sempre anche dannatamente ostili e antipatici:
d’accordo, il nostro primo incontro, sul treno, era stato un
po’ ruvido, e le scaramucce dei primi due giorni non avevano
migliorato le cose, ma per Merlino… possibile che ogni volta
che ci incrociavamo lei doveva soffiarci contro come una gatta
selvatica? Secondo me, una volta tolto di mezzo Snivellus, che tra gli
altri incommensurabili difetti era pure un Serpeverde, lei poteva anche
migliorare… ma lui… sempre così fosco,
sempre così pomposo… e altezzoso… e
dannatamente Serpeverde… sì, Snivellus meritava
proprio una lezione… lei invece, con quel nasino
all’insù… era proprio
carina… anche più carina di Emily
Bones… molto più carina…
“James…”
… con quegli occhi così verdi…
“James…”
… E quella bocca così ben disegnata, da
bambola…
“James…”
Solo al suo terzo tentativo mi resi conto che Remus mi stava infilzando
il fianco con una penna babbana dal banco vicino, per farmi ridestare:
lo feci all’istante quando mi resi conto che stavo
letteralmente sbavando sul libro di Pozioni, gli occhi persi sulla nuca
lasciata scoperta da quella coda di cavallo sbarazzina
… che bel tono di rosso avevano quei capelli…
“James!”
Remus ormai ringhiava, con l’ultimo barlume di consapevolezza
mi resi conto che Slughorn stava interrogando qualcuno, ma visto che
non si trattava di me, non mi curavo troppo della cosa e non capivo
cosa avesse Lupin da agitarsi tanto!
“… E mi
dica… quali sono gli ingredienti e la procedura esatta per
ottenere la “Pozione del Sonno”?”
“Che c’è?”
“Tu da lì… sei più
vicino… passale la risposta…”
Guardai in direzione del suo sguardo, solo a quel punto mi resi conto
che la scelta di Slughorn era caduta su Meissa Sherton:
l’atteggiamento di Remus a quel punto era a dir poco assurdo,
quella era un’altra secchiona, almeno quanto lui!
“Ma…”
Avrei voluto obiettare che per prima cosa era una Serpeverde, inoltre
non aveva bisogno di aiuto, ma lo sguardo pieno di rimprovero di Remus
mi fece morire la risposta in bocca.
“… le sta chiedendo
le pozioni del terzo anno…”
Sentii bisbigliare le motivazioni di Remus: proprio come Sirius Black,
anche lui sembrava non tener conto che un’eventuale
figuraccia di quella ragazzina avrebbe garantito punti in meno alla
nostra casa rivale. Sospirai, e mi arresi all’evidenza:
infondo, dovevo ammetterlo anch’io, oltre ad essere la
migliore amica di quel pazzo esaltato di Black, che di certo non me
l’avrebbe perdonata mai se non l’avessi aiutata,
con noi si comportava in modo molto diverso da quello standard degli
altri Serpeverde… Inoltre, pur non avendo prove certe,
anch’io iniziavo a sospettare, come Remus e Sirius, che
c’entrasse lei con la decisione di Dumbledore, di punire
pesantemente McNair: avrebbe pulito senza magia i bagni di tutta la
scuola per un mese. Ancora ridevo solo a immaginarmelo. Remus,
conoscendo le mie maggiori abilità atletiche, mi
passò il foglietto con la risposta, aveva spulciato
accuratamente e velocemente gli appunti di sua madre in fondo al libro,
io non ci pensai oltre, attesi l’attimo in cui Slughorn
abbassò la testa sul registro per fiondare il foglietto sul
banco di Mei. In meno di due settimane mi trovavo per la seconda volta
a salvarla. La cosa era a dir poco bizzarra e
imbarazzante. Non potevo fare a meno di sorridere. Mei ebbe il
tempo di aprirlo e leggerlo, poi la vidi far evanescere rapidamente il
foglietto che poteva mettere nei guai me e
Remus. Sì, era davvero una Serpeverde anomala.
Sorrisi di nuovo.
“Allora signorina
Sherton?”
“La Pozione del Sonno non
è materia del primo anno, professor
Slughorn…”
Cavolo!Davvero
una Serpe anomala!
Slughorn alzò il muso dal registro, gli occhietti porcini
fissi su di lei, evidentemente incredulo del tono piccoso della
risposta, molto poco Slytherin. Vidi e sentii non poche serpi
rumoreggiare, Snivellus si voltò verso di lei a bocca
aperta, Yaxley, un altro che sapevo stimarla tanto da far salire la
temperatura a Black, discuteva animosamente con Mulciber. Il professore
stava ormai per aprire bocca e ribattere in qualche modo, riportando
anche silenzio nell’aula, quando la ragazzina dai capelli
corvini riprese a parlare.
“Comunque
occorrono…”
Elencò i vari ingredienti, dalla faccia sorpresa di Lupin
capii che ne aveva indicati più di quanti ne avesse
annotati, e che l’esposizione della preparazione,
incredibilmente dettagliata, era molto più esauriente: se
conosceva la risposta, che senso aveva contraddirlo
pubblicamente? No, non era un atteggiamento da Slytherin, mio
padre diceva che erano leccapiedi e in quei giorni avevo imparato che
mio padre non mentiva.
“Bene, signorina Sherton, sono
cinque punti in meno a Serpeverde per
l’impertinenza…”
Ci furono mugugni e ovazioni, sorrisi da faina e qualche occhiataccia,
scambiati come sempre tra le nostre file e quelle delle serpi ma quando
Slughorn annunciò anche quindici punti, per la risposta
esatta ed esauriente, tutti quanti finimmo col restare in
silenzio. La lezione si avviò alla conclusione
senza ulteriori sorprese, appena finì l’ora, vidi
Sherton fuggire via senza una parola, poco propensa ad avviarsi alle
serre di Erbologia in compagnia di chicchessia. Non rivolse un cenno
neppure a Zelda né alla Evans, o
all’unticcio. Stranamente non si fermò
nemmeno con noi per chiedere notizie di Sirius. Passandoci
accanto, però, la vidi rivolgere chiaramente un timido
sorriso pieno di gratitudine a Remus, e un ancor più lieve
cenno di saluto rivolto a me. Era evidentemente una serpe
molto anomala. L’unica serpe capace di risultare simpatica
anche a un vero Grifondoro come me.
***
Alshain
Sherton
Stadio di Quidditch, località
sconosciuta - dom. 12 settembre
1971
“I
Tornados s’impossessano della Pfluffa con Jarvis Flitt e
segnano!! Ora il vantaggio del Puddlemere si è ridotto a
soli cinquanta punti…”
Sugli spalti, tutto attorno a noi, i sostenitori dei Tutshill Tornados
sventolarono le loro bandiere celesti con impressa la famosa coppia di
T. Sentii dentro di me il classico fremito, quello che per
anni mi aveva spinto a reagire vigorosamente e cercare la vittoria con
ancor più ardore, soprattutto quando incontravo quei nostri
rivali gallesi. Al contrario del solito, però, non ero io
sul manico di una scopa, alla ricerca spasmodica del boccino dorato.
Sì, forse ancora, dopo tanti anni, non ero abituato ad
affrontare una partita di Quidditch nel mio nuovo ruolo di semplice
spettatore. Avevo disertato per anni i campi, dopo il mio ritiro, solo
per non sentirmi addosso le sensazioni strane di quel momento.
Sospirai. Orion, alla mia sinistra, mi lanciò
un’occhiata divertita, Dei a destra, mi strinse la mano con
forza tra le sue: erano gli unici due a sapere quanto per me fosse
stato difficile accettare di lasciare quel mondo. E quanto turbato
fossi ancora adesso. Ero nato per stare là dentro, non nelle
oscure aule del Wizengamot, o in qualche locale malfamato a contattare
gente di dubbia morale, per conto di un viscido mezzosangue che avrei
voluto uccidere con le mie mani. Sospirai di nuovo.
“Adesso McCrown del Puddlemere si lancia verso la porta,
Williamson cerca di sferrare contro di lui un bolide potente, McCrown
scarta abilmente, in questo modo il bolide rischia di colpire Stevens
e… ma ecco… ecco scendere Mirzam Sherton in
picchiata, ha di sicuro visto il boccino… si era nascosto
tra le nubi… Merlino… sembra di essere tornati
indietro nel tempo, ha lo steso stile di suo
padre…”
“E’ proprio vero,
Dei, tuo figlio ha lo stesso stile e lo stesso occhio, di questo
vecchio musone!”
“Ahahahah, Orion…
è inutile cercare di provocarlo… Quando
è così preso, non ti ascolta
neanche…”
Dei mi strinse ancora di più la mano, Orion rise di fianco a
me, non gli risposi, ma gli lanciai la solita occhiataccia in tralice,
quella che gli riservavo quando si ricordava di essere stato un
Dongiovanni, e se ne ricordava proprio con mia moglie.
“… Johnson dei Tornados non ha ancora capito dove
cercare… Tutti lo stiamo vedendo, ora: è a pelo
dell’erba… Sherton ormai è troppo
veloce, Johnson non lo riprenderà mai….
Williamson e Stevens cercano di intervenire…”
“Ohhhhhhhhhhhh”
“No, non ci siamo, quel colpo
non era per niente corretto, ma Sherton sembra danzare
nell’aria, non sono riusciti nemmeno a sfiorarlo, troppo
veloce... non ci… wow… bellissima mossa davvero!
Quel bolide era davvero difficile da evitare, ma Mirzam l’ha
saltato per un pelo, Sherton è già di nuovo
saldamente in sella alla sua scopa…”
“Forza Puddlemere...”
“Le urla stanno facendo tremare lo stadio…
ossì… ecco… ecco…
ci…
sììììììììììì…
Mirzam Sherton ha afferrato il boccino… lo stadio
è in tripudio, ovunque le bandiere blu del Puddlemere
sventolano… ecco che sentiamo tutti l’inno storico
della squadra… sugli schermi potete vedere sovrapposte le
immagini del giovane cercatore del Puddlemere e quelle del suo commosso
genitore, anche lui è venuto a vedere questa straordinaria
partita!!… bellissima quella mossa… Siamo tornati
indietro nel tempo!”
Guardai Orion, sorrisi sotto i baffi, Dei nelle ultime battute si era
stretta al mio fianco con tutta la forza che
aveva… sì, di buono c’era
almeno questo: che ora arpionava il mio di braccio, non più
quello di Orion Black… Da quel punto di vista, era un bene
essere sceso da quel manico di scopa: non che avessi mai corso veri
rischi, ma sapevo cosa aveva avuto Orion nel cuore per un
po’, e non l‘avevo mai trovato piacevole. La baciai
con passione, com’era nelle nostre abitudini, anche se ora
stavamo festeggiando la prima vittoria di nostro figlio, non
più le mie…
“Non ti smentisci
mai…”
Orion mi sussurrò piano a un orecchio e rise sonoramente,
mentre attorno a noi si accalcavano gli amici di un tempo: era davvero
tutto come allora… La mia attenzione, però, non
era per il mio vecchio mondo, né per mio figlio: quel giorno
ero lì per qualcun altro, qualcuno seduto nel sedile davanti
al mio, qualcuno sulla cui spalla per tutto il tempo, avevo tenuto la
mia mano, io, non suo padre…
“Allora Regulus, ti
è piaciuta la partita?”
Il bambino era ancora immobilizzato dall’emozione, la partita
era stata bella e appassionante come poche: nel caos che ormai stava
aumentando, si voltò verso di me e annuì, ancora
senza parole, il suo viso era trasfigurato dalla felicità.
Avevo vissuto con quel ragazzino per circa due mesi, durante
l’estate era rifiorito sotto le mie cure, ma erano bastati
quei pochissimi giorni di lontananza perché ripiombasse
nelle sue paure e nelle difficoltà. Soprattutto
dopo la partenza di Sirius, sembrava che fosse accaduto qualcosa che
l’aveva spaventato a morte, temevo fosse rimasto sconvolto
dal risultato dello smistamento, poi Orion mi aveva accennato al brutto
litigio tra lui e Walburga: credevo che almeno fossero abbastanza
maturi da evitare di dar spettacolo di fronte al bambino, invece
evidentemente erano anche più stupidi di quanto avessi mai
immaginato. Quel giorno, però, lì, in quello che
era il suo ambiente naturale, era ritornato a essere sereno e pieno di
speranza come riusciva a essere se veniva aiutato: l’avevo
scoperto durante l’estate. Era rimasto seduto tutto il tempo
proprio sul bordo della poltroncina, tanto che l’avevo
afferrato per la spalla e tenuto stretto per impedire che si sporgesse
troppo, le dita strette sul freddo metallo della tribuna: si vedeva
quanto fosse animato da entusiasmo e come riuscisse a stento a
controllarsi. E soprattutto avevo visto benissimo i suoi occhi
incollarsi su quel boccino più e più volte, aveva
stoffa aveva istinto: era un cercatore nato.
“Ragazzo mio, hai ereditato,
tu solo di tutta la famiglia Black, il nobile sangue dei McMillan,
quello che ci rende grandi in quest’ambiente. Hai
già il fiuto per il boccino! Se vorrai, potrai venire ad
allenarti da me d’ora in poi, ad
Amesbury…”
Regulus finora non mi aveva staccato gli occhi di dosso: era facile
capire che, come suo fratello, anche se per motivi diversi, amava
ricordare che, pur alla lontana, eravamo parenti. Ora aveva
stampato in faccia l’entusiasmo tipico di un bambino la
mattina di Natale. Eppure la sua non era sorpresa, quanto piuttosto
felicità per una promessa mantenuta. Sirius me
l’aveva fatta di nuovo, l’aveva messo a parte della
verità, benché gli avessi chiesto chiaramente di
non farne parola con Regulus. Non potei fare a meno di
sorridere: Sirius Black era proprio il degno figlio di suo padre.
“Regulus può venire
ad Amesbury un paio di volte per settimana, vero Orion? Non
c’è Rigel, e Mirzam non è sempre
presente, ma ancora qualcosa di Quidditch dovrei
ricordarmelo…”
Feci un occhietto al ragazzino, che non resisteva più dal
saltarmi addosso felice.
“Non vorrei che desse troppo
disturbo a te e Dei… sai… con i bambini
piccoli…”
“Non ci darà alcun
disturbo, Orion, anzi a me farebbe tanto piacere…”
Dei gli accarezzò una guancia: era
“innamorata” di Regulus, me l’aveva
confidato durante la sua permanenza a Herrengton; in effetti, aveva
qualcosa che ricordava Rigel alla sua età, tanto che avevano
legato subito: speravo per lui, però, che avesse
più giudizio di mio figlio nello scegliersi le amicizie, e
per questo premevo affinché Orion si occupasse seriamente
almeno di lui.
“Oh papà, ti
prego… ti prego, farò tutto quello che vuoi, te
lo giuro…”
“Regulus… un
po’ di contegno! Non ti ho di certo insegnato a pregare come
una femmina!”
Quel povero ragazzino, che chissà per quale motivo era
riuscito a trovare il coraggio di avvicinarsi e abbracciare suo padre,
s’impietrì immediatamente, divenne paonazzo, si
morse il labbro mortificato. Gli misi una mano sulla spalla e subito
alzò gli occhi su di me, intimorito ma di nuovo pieno di
speranza e gratitudine. Se la cosa non fosse stata tragica, avrei riso,
almeno tra me: il mio migliore amico era evidentemente un dannato
bastardo, che non conosceva per niente i suoi figli, e faceva con loro
gli stessi esatti errori che suo padre aveva fatto con lui.
“In amore e in guerra tutto
è lecito, Regulus, anche pregare, se in palio
c’è la nostra felicità o qualsiasi
altra cosa per cui valga la pena lottare. Ti prometto che affineremo
insieme anche altre qualità, oltre il Quidditch,
così che tu possa mettere nel sacco tuo padre senza che
nemmeno se ne renda conto… D’accordo?”
Gli strizzai l’occhio, complice, mentre la sua bocca si
apriva in un’O di meraviglia, e anche un certo sano
timore… Subito fissai con la mia migliore faccia da schiaffi
Orion che, allibito, non poteva credere l’avessi detto sul
serio, apertamente, proprio davanti ai suoi occhi. Capì
d’averla fatta grossa e annuì, dando finalmente a
suo figlio l’assenso definitivo alle nostre giornate dedicate
al Quidditch.
“Bene, ora che è
arrivato Mirzam, noi andiamo a farci firmare gli autografi, lasciamoli
parlare un po’ d’affari noiosi
insieme…”
Dei prese per mano Regulus, che si mostrò, da bravo Black,
ben lieto di seguire mia moglie. Orion seguì i miei occhi,
stampati sulla mano di Regulus che stringeva forte quella di mia
moglie. Si mise a ridere, Reg riconobbe la risata di suo
padre, una risata che raramente aveva la fortuna di sentire, si
voltò a guardarci, nel suo sguardo c’era lo
stupore tipico di chi si rende conto di non conoscere davvero la
persona che gli vive accanto. Anche Orion sembrava tornato indietro di
anni, e un profondo senso di rabbia e dolore mi prese al petto: sapevo
che con Regulus sarebbe stato più semplice, per lui, uscire
allo scoperto, che con quel ragazzino non era tanto coinvolto quanto
con Sirius. Ma sapevo anche che Walburga, alla fine, non
gliel’avrebbe permesso. Inoltre Regulus, dei due,
era quello che rischiava di soffrire di più. E di commettere
un tragico errore.
“Cos’è
quella faccia, Al? Non ti sei ancora rassegnato al fatto che i Black
sono nati per insidiare le tue donne?”
Sì, eravamo proprio tornati indietro nel tempo, erano anni
che non lo sentivo ridere a quel modo. Peccato non fosse quello il
momento adatto.
“Te l’ho mai detto
che sei un vero idiota Orion? Che cavolo ti passa per la testa di
trattarlo così? Non basta tua moglie?”
“Per così poco? Ma
smettila!”
“Tu non ti rendi conto Orion,
davvero: non riesco a caprie se sei un idiota o ti diverti a farlo. La
devi smettere di comportarti così, devi cercare di limitare
i danni che fa Walburga, non acuirli con le tue
d’idiozie…”
“Hai messo gli occhi anche su
di lui, adesso?”
“Non si tratta di questo, lo
sai….”
Mi guardò storto… Come suo solito
cambiò discorso.
“Allora… Per
stasera… Ci sarai, da mia nipote, vero?”
“Certamente… E tu?
Come mai hai deciso di uscire allo scoperto così? Non avevi
detto che…”
“Vado a trovare mia
nipote… e, casualmente, solo casualmente
….”
“Per favore, Orion!
Casualmente? Non prendermi in giro… Che cosa stai
complottando?”
“Complottando… Sei
sempre il solito… Dirò confidenzialmente a Bella
e soprattutto a Rodolphus che non me la sento di essere coinvolto
apertamente, a causa dei miei acciacchi…
però… vorrei che dicessero al loro
“pallido”amico che, se c’è
bisogno, sono disposto a sostenere la causa…
economicamente…”
“Può essere una
buona idea… per lo meno te li staccherai per un
po’ dal collo…”
“E tu? Gli porterai nuove del
tuo ultimo viaggio?”
“Sì, ho un
messaggio per lui da un vecchio amico irlandese… Sai di chi
parlo… E mi proporrò per quel viaggetto a
Durmstrang…"
Gli sorrisi…
“So che sei preoccupato per
Dei, ma non devi… ho un’ottima scusa per mandare
lei e i bambini a Herrengton finché sarò
lontano… Il matrimonio di Mirzam ormai alle porte
è una scusa più che legittima, non
sospetterà nulla…”
“Dovresti smetterla di
nasconderle la verità sui pasticci in cui ti stai cacciando,
dovrebbe essere consapevole dei pericoli che state correndo tutti, per
colpa tua…”
“Credi non li conosca? Io sono
un purosangue, lui no… Qualsiasi cosa decida di fare, noi
tutti saremo comunque in pericolo, finché non lo toglieremo
di mezzo… Quindi lasciamo perdere! Che cosa devo aspettarmi
da Lestrange, secondo te?”
“Entri nel suo territorio,
Alshain… quindi preparati al peggio: mia nipote, in quelle
rare occasioni in cui l’ho potuta vedere senza Rod, parla in
termini sempre più entusiastici del suo Lord, e da quando si
è resa conto del ruolo che hanno suo marito e suo suocero
presso Riddle, sembra non provare più tanto schifo per il
suo matrimonio…”
“E tu volevi consigliarmela
per Mirzam…”
“Alshain… ti ho
già chiesto scusa per quella storia… Ora stai in
guardia, d’accordo? Sai di chi è figlia e
nipote… non sottovalutarla! Ti assicuro che quando parla
mette paura persino a me…”
“Che esempi fai? Non ci vuole
molto a metterti paura, Orion!”
“’Fanculo, Sherton!
Fai come ti pare, ma poi non dire che non ti avevo avvertito!”
“Cercherò di non
commettere quell’errore, Orion, te lo prometto…
ora indossiamo le nostre belle maschere serene, stanno tornando i
nostri figli…”
Mirzam, Dei e Regulus ci raggiunsero, sorridenti e felici: il debutto
di mio figlio era andato oltre le più rosee aspettative di
tutti noi. Speravo di avere altrettanta fortuna, quella sera, al mio
debutto tra quella manica di pazzi e assassini.
***
Severus
Snape
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 11
settembre
1971
I testimoni narrarono che al suono di un flebile “Muoviti, stanno
arrivando!” i due giovani Serpeverde presero
posizione, nascondendosi dietro la statua della Strega Gobba, pronti a
saltar fuori e affatturare i due poveri Tassorosso diretti,
tutt’altro che tranquilli, anzi notevolmente preoccupati e
pronti al peggio, in Biblioteca: la faida nata per un presunto fallo
durante l’ultima partita di Quidditch Serpeverde / Tassorosso
dell’anno precedente, che aveva garantito la vittoria ai
punti di Grifondoro, dall’inizio dell’anno stava
assumendo caratteri via via più pesanti. Un paio di lampi
rossi riempì a tradimento l’aria che separava
ancora le due fazioni, i due Tassorosso rimasero a contorcersi a terra,
emettendo suoni degni di una banda di felini innamorati, vittime
com’erano di un attacco di “orticaria
gnaulante”, mentre i due Serpeverdi, - sempre secondo i
testimoni, tale Rigel “diavolo
nero” Sherton e Basty “cuore
d’inferno” Lestrange- , si diedero
alla macchia, riempiendo di risate i corridoi silenziosi,
giù, giù, fino a raggiungere i sotterranei. In
effetti, fu loro che vidi quando la porta si spalancò e la
Sala Comune fu investita dalle risate sguaiate dei due ragazzi, senza
peraltro stupire più di tanto gli altri giovani riuniti a
studiare: nei pochi giorni che avevo già trascorso a
Serpeverde, avevo imparato a riconoscere in quei due dei veri
piantagrane, anzi i più piantagrane di tutta la scuola.
Dotati, inoltre, della notevole abilità a farla spesso
franca, soprattutto il più grande dei due.
“Un altro pomeriggio
produttivo, a quanto vedo…”
La voce cantilenante e sprezzante li investì in pieno,
mettendo subito fine alle risate scomposte e riportando il silenzio tra
tutti noi più piccoli, che ci eravamo entusiasmati, vedendo
due capisaldi della squadra di Quidditch di ritorno da qualche
“nobile azione”. Il giovane dalle chiome corvine,
più alto e smilzo, decisamente accaldato, si
passò la mano sulla faccia per togliersi i capelli
appiccicati dagli occhi azzurri e, piantato solidamente sulle gambe un
po’ divaricate, si mise proprio di fronte al Caposcuola che
li aveva ripresi.
“Smettila di rompere le
scatole, Malfoy, ormai assomigli a una cariatide vecchia come la
McGonagall!”
Da diversi tavoli, si levarono timide sghignazzate, dovute
più all’epiteto rivolto alla vecchia megera, che
al biondo Caposcuola: in realtà, sapevo già bene
che si stavano fronteggiando tre dei giovani più ammirati e
ambiti di tutta Hogwarts. Scegliere tra loro doveva essere davvero
arduo per le giovani che li guardavano sognanti.
“Buona questa,
Rigel…”
Basty Lestrange si era avvicinato alle spalle dell’amico: pur
essendo più grande d’età e
più robusto di fisico del suo amico, era più
basso, mantenendo comunque una figura proporzionata ed elegante. Mise
una mano sulla spalla del giovane Sherton e con l’altra gli
colpì la mano come, a detta di tutti, facevano sempre
durante le partite e gli allenamenti.
“Contenti voi… Da
lui me l’aspetto, in fondo, a parte l’altezza,
è solo un bambino, ma tu, Lestrange… Ormai sei
prossimo ai Gufo… non è ora che cresci?”
Il giovane seduto, con i lunghi capelli biondi legati in un codino
liscio all’altezza della nuca, continuava a non guardarli
nemmeno in faccia, tutto preso com’era dalle sue letture e
dalla presenza, silenziosa e rassicurante, quasi materna, della giovane
bellissima che stava al suo fianco, algida e composta: teneva
appoggiata una mano, incurante, sulla sua gamba. Dalla prima volta che
l’avevo vista, la sera dello smistamento, non avevo potuto
fare a meno di guardarla sognante, sembrava uscita da una favola, le
cose erano peggiorate ulteriormente quando avevo scoperto che salutava
sempre, con grazia e gentilezza, anche noi sconosciute matricole di
Serpeverde, al contrario di quanto mi aspettassi: ai miei occhi era
incredibile che una dea come quella si accorgesse
dell’esistenza del resto del mondo. Ancor più
incredibile dopo aver scoperto che si trattava addirittura di Narcissa
Black.
“Quello che faccio sono cavoli
miei, Malfoy, non sei mia madre… e quella spilla da
Caposcuola non ti dà diritti sulla mia
vita…”
“Forse Slughorn non sarebbe
del tuo steso avviso, Lestrange… In fondo, è tra
i miei compiti tenere l’ordine nei dormitori… e
anche fuori…”
Lucius Malfoy, che finora aveva parlato senza staccare gli occhi dal
libro che stava leggendo, con la solita flemma e grazia,
alzò lo sguardo chiaro sui due giovani, illuminando il viso
con un sorriso glaciale come la temperatura del sotterraneo. Avrebbe
messo a tacere chiunque di noi, ma non quei due ragazzi: non era la
prima volta che dimostravano di non rispettare in alcun modo alcuna
forma di disciplina, nemmeno la sua o quella di Slughorn. Su Sherton si
facevano addirittura scommesse su quando sarebbe stato espulso.
“… Arriveresti a
far togliere punti alla tua Casa, solo per le tue gelosie
personali?… Sei proprio un bastardo, Malfoy!”
“Gelosie? E di chi dovrei
essere geloso, di grazia? Di voi due? Due ragazzini senza cervello? Non
farmi ridere, Lestrange… e imparate a crescere in fretta,
piuttosto: fuori ci attendono impegni seri, fuori di qui hanno bisogno
di persone mature e capaci, non di bambini capricciosi come voi
due!”
Si alzò, abbandonando con grazia il libro sulla poltrona:
nessuno, là dentro, avrebbe mai avuto il coraggio di sedersi
su quella poltrona, la migliore di tutto il sotterraneo, nel posto
più caldo e confortevole di tutto il dormitorio Serpeverde.
Quel libro, in quella posizione, valeva quanto la personale presenza di
quel giovane, che tutti nella scuola temevano. Tutti tranne,
ovviamente, Sherton e Lestrange. Narcissa Black si alzò poco
dopo, per seguirlo, un sorriso pieno di compiacimento e orgoglio
stampato in faccia: fiera di se stessa e del compagno che il destino le
aveva riservato. Tutti dicevano che l’annuncio del loro
fidanzamento era ormai questione di giorni, settimane al massimo. E,
particolare davvero incredibile, non si sarebbe trattato solo di un
patto tra due delle famiglie magiche più ricche, nobili e
pure d’Inghilterra, ma soprattutto dell’unione di
due giovani che si amavano davvero. Avevo seguito tutta la scena con
una certa curiosità, mi chiedevo sempre più
spesso di chi parlasse Lucius Malfoy quando faceva riferimento a
qualcuno che attendeva con ansia che uscissimo pronti e saldi nei
nostri ideali di Slytherin.
“Hai finito di sognare ad
occhi aperti, Prince?”
Mi voltai, sorpreso: Meissa Sherton stava in piedi di fianco al mio
tavolo, uno di quelli piuttosto defilati, in una delle zone
più fredde e oscure della sala. Teneva i libri stretti al
petto, il solito musetto gentile e al tempo stesso pestifero,
illuminato dal sorriso di chi la sapeva lunga: si vedeva che lei e
Rigel erano fratelli. Si avvicinò e, senza chiedere se fosse
libero, lo sapeva che era inutile fare quella domanda, si sedette
accanto a me: un profumo di fiori primaverili mi pervase le narici,
proprio come quel giorno che era stata ospite a casa mia, a
Spinner’s End.
“Non sognavo…
io… stavo studiando…”
“… Narcissa
Black…sì, ho visto…”
Mi guardò divertita, mentre diventavo color pomodoro e
riaffondavo la faccia nel libro di Pozioni: nascosto nel mio abituale
rifugio di carta, trovai il coraggio di ribattere, senza
però guardarla per non perdere coerenza, e sibilandole
contro, a bassa voce, in modo pomposo e distaccato.
“Guarda che qui è
freddo… è uno dei peggiori tavoli della
casa!”
“… un tavolo in cui
non vorrebbe sedersi nessuno… lo so… quindi
perfetto per studiare!”
Con la coda dell’occhio vidi che non mi guardava
più, intenta com’era a disporre con ordine e
grazia piume, libri e pergamena. Aprì un sacchettino e mi
offrì le sue cioccorane, poi iniziò a studiare
lasciandomi solo ai miei pensieri: era una compagna di studio preziosa
e adatta a me, perchè non rompeva le scatole ogni pochi
secondi con stupide ciance, si faceva gli affari suoi, e prendeva sul
serio i suoi impegni. Le ore volarono e quasi mi meravigliai nel
sentire il mio stomaco brontolare, chiaro indizio che era ormai
l’ora di salire a cena. Arrossii un po’,
aspettandomi una sua battuta.
“Lily ed io ci siamo rimaste
molto male, l’altro giorno, per il tuo
ammutinamento…”
Rimasi con la piuma sospesa a metà, una goccia
d’inchiostro cadde e andò a diffondersi rapido
sulla pergamena. Volevo ribattere e giustificarmi, ma quando mi voltai
verso di lei, era già volata via, nella sua stanza, in
punizione. Come pochi giorni prima in Sala Comune, di nuovo mi
sorprendeva facendomi capire che tra i tanti Slytherins disponibili,
considerava proprio me uno dei pochi degni della sua amicizia.
***
Rodolphus
e Bellatrix Lestrange (pov in 3^ persona)
Trevillick, Cornwall - sab. 11 settembre
1971
Rodolphus si staccò da lei, senza
più forze ma pienamente soddisfatto, lei si alzò
rapida, senza una parola, senza alcuna intenzione di stemperare la
passione consumata fino a quel momento in gesti d’amore e
complicità. Lo lasciò solo, come sempre, nel
letto monumentale, il sole ormai alto nel cielo che filtrava tra i
ricchi broccati del baldacchino, a baciargli il corpo forte e
abbronzato. Con gli occhi socchiusi, l’uomo la vide sparire
di là dell’arco di pietra, in fondo alla stanza,
le movenze eleganti di un felino, poi rotolò su un fianco,
nascondendo la testa tra i cuscini, esausto. Bellatrix Black in
Lestrange non vedeva l’ora di lasciare la camera di suo
marito, di tornare nei suoi appartamenti e, come sempre, desiderava
solo entrare nella vasca il più in fretta possibile: le elfe
erano state abituate, fin dal primo giorno, a eseguire qualsiasi suo
ordine all’istante, pena conseguenze tutt’altro che
piacevoli. L’acqua calda, profumata di arance e vaniglia, la
rilassava e portava via dalla sua pelle l’odore
dell’uomo con cui il destino la costringeva a vivere per il
resto della vita. Con i grandi occhi di ossidiana blu si
osservò allo specchio, incorniciato di serpentesco argento,
che dominava tutta la parete di fronte: con quell’aspetto, il
suo nome e il suo sangue, Bellatrix Black avrebbe potuto avere tutto
dalla vita, e invece era intrappolata lì! Colpì
con rabbia una delle elfe che le stavano portando
l’occorrente per intrecciarle i capelli, le altre si
nascosero all’istante in ogni angolo della stanza, alla
ricerca di un vano rifugio.
“Crucio!”
Il povero esserino si contorse dal dolore sul pavimento ma, per una
volta, Bellatrix smise rapidamente il suo gioco preferito: non le dava
nessuna soddisfazione, prendersela solo con gli elfi, ormai, era un
pallido ripiego, la sua mente spaziava lontana. Uscì dalla
vasca e ritornò nella sua stanza, andò alla
consolle accanto al suo letto, estrasse da un cassetto
un’ampollina contenente ancora poche gocce di un liquido
ambrato, lo osservò a lungo, sembrava indecisa se berlo di
nuovo o meno. Poi lo trangugiò tutto in un solo sorso.
Suo padre poteva farle pressione quanto voleva, ma lei non avrebbe
portato in grembo il figlio di quell’uomo, non ora che,
forse, riusciva a intravvedere un barlume di speranza. Non era
soddisfatta di quel matrimonio, un matrimonio per il quale qualsiasi
altra strega, al suo posto, avrebbe ringraziato tutte le
divinità. Non lei. Anche se, per via dello scandalo causato
da sua sorella quell’inverno, tutti la consideravano
oltremodo fortunata, visto che i Lestrange non avevano mandato a monte
tutto, com’era nel loro diritto, svergognando i Black
nell’intero mondo magico. Inoltre Rodolphus Lestrange era
senza dubbio uno dei migliori partiti d’Inghilterra: ricco,
potente, giovane e affascinante. Agli occhi di sua moglie, invece, non
era altro che un inutile bamboccio. Bella lo odiava per la
“bovina” venerazione con cui la guardava e la
trattava; per lei, Rodolphus Lestrange non era un uomo, ma uno zerbino.
Quando non la innervosiva tanto da rischiare una cruciatus, lei
semplicemente ci giocava, come fa una gatta col topo: in fondo, era una
donna nel pieno della sua giovinezza, con istinti e appetiti, piuttosto
vividi, da soddisfare e per fortuna, per lo meno, Lestrange era un buon
amante. Questo sì, doveva ammetterlo. Eppure nemmeno quella
gradita qualità, al pari dell’enorme patrimonio,
la nobiltà dei natali e il sangue purissimo, riusciva a
innalzarlo a uomo meritevole del suo rispetto. E del suo
amore. Razionalmente sapeva che a Rodolphus non mancava nulla
perché le potesse andare almeno a genio. A pelle,
però, continuava a non considerarlo nulla di più
di un giocattolo da letto. Lei aveva finora amato, non riamata, solo un
uomo: il migliore amico di suo marito, il quale l’aveva
rifuggita come la peste per anni, non degnandola mai di uno sguardo,
preferendole la sua indegna sorella e alla fine trattandola come un
problema di cui liberarsi, lasciandola in pasto a un più che
felice Lestrange. Ora nel suo petto covava solo un odio feroce, e
sentiva l’assoluta necessità di farla pagare cara
a tutti quelli che l’avevano umiliata e incastrata in quella
prigione. Rispetto ai primi mesi del fidanzamento, però,
quando si era ribellata fino a rischiare punizioni tremende da parte di
suo padre, già infuriato a causa di Andromeda e incerto sul
destino di Narcissa, qualcosa di nuovo aveva riempito di speranza la
sua vita.
La notte che, complice l’alcool, aveva per la prima volta
ceduto alle lusinghe e alla lussuria di Rodolphus, aveva appreso con
sorpresa e compiacimento qualcosa d’inatteso e insperato, che
poneva in una luce diversa il suo futuro. Aveva scoperto il segno dei
devoti dell’Oscuro Signore marchiato sul braccio sinistro del
suo fidanzato. Quello sì che era un motivo valido e
indiscutibile! Da quel momento, pur non cambiando l’opinione
che aveva di lui, per Bellatrix Black valeva la pena diventare e
restare la moglie di quel mago, almeno finchè non avesse
raggiunto i propri scopi. Evidentemente la famiglia Lestrange era,
insieme ai Malfoy, l’unica di cui il famigerato e potente
Lord Voldemort avesse totale fiducia e lei, da tempo, da quando aveva
iniziato a far parlare di sé con le sue altisonanti gesta,
ambiva a conoscerlo per potergli dimostrare di essere
un’ottima discepola e seguace. Era stanca di essere solo la
figlia o la moglie di qualcuno, sentiva di avere in sé la
forza e le capacità per essere valutata e, un giorno,
ricordata, solo per se stessa. Inoltre se avesse meritato la fiducia e
il sostegno di Lord Voldemort, forse l’avrebbe avuto al suo
fianco nella sua guerra personale contro chi l’aveva resa
infelice. Aveva sperato di poter conoscere il Lord già il
giorno del matrimonio ma non era andata come aveva sperato, il potente
mago era stato solo una presenza fugace, aveva semplicemente reso
omaggio agli sposi e alle loro famiglie, poi era scomparso con Abraxas
Malfoy. Dall’inizio dell’estate erano poi passati
settimane e mesi, Bellatrix aveva insistito per organizzare a Lestrange
Manor l’incontro tra l’Oscuro Signore e i suoi
fedelissimi e si era anche arrabbiata non poco nel sapere che, alla
fine, Voldemort aveva lasciato ai Malfoy l’onore di
ospitarlo, solo perché Rodolphus aveva rimandato la
decisione tanto da perdere l’occasione.
In realtà Lestrange non dubitava della bontà
dell’idea, sapeva bene che sarebbe stata utile e fruttuosa
per i suoi interessi personali, ma non sapeva come comportarsi con lei
tra i piedi: quella sua giovane moglie lo rendeva letteralmente pazzo
e, allo stesso tempo, si dimostrava pericolosa, tanto era ingestibile.
Aveva perciò preferito dimostrare la propria devozione al
Lord non con quella stupida cena, ma partendo alla volta della Francia
per saggiare le intenzioni dei maghi di quella terra
sorella. Inoltre quella sera gli avrebbe consegnato
l’anello che suo padre teneva da anni e che era da sempre
nelle mire di Alshain Sherton. Chissà cosa si celava dietro
a quella dannata verghetta di ferro. Ancora abbandonato sul letto,
pigro, Rodolphus vedeva come sempre svanire il pensiero del Lord e dei
suoi oscuri traffici, rimpiazzati da quelli assolutamente venefici e
irresistibili che avevano per protagonista sua moglie. Razionalmente
sapeva ormai di aver fatto una follia sposandola: era stata, dalla
prima volta che l’aveva vista a Hogwarts, tanti anni prima,
la sua unica vera fantasia, una fantasia potente e totalizzante, almeno
quanto quella che lo vedeva a capo della sua dinastia. Nessuna delle
donne che, volenti o meno, si era portato a letto, aveva mai nemmeno
lontanamente avuto su di lui lo stesso effetto sconvolgente della
passionale Black. Sarebbe stato pronto a uccidere persino il
suo miglior amico, Mirzam Sherton, se si fosse messo sulla strada che
portava a lei. A lui però piaceva la sorella minore, Meda la
rinnegata… E per fortuna… la volontà
di Bella non contava niente per suo padre: sapeva bene, infatti, che se
avesse potuto scegliere, quella donna non l’avrebbe sposato
mai. Sì, era un uomo fortunato Rodolphus Lestrange, almeno
si era sempre considerato così, per lungo tempo. Ora non
più. Era riuscito a coronare i suoi sogni con Bella, ma ben
presto aveva capito il motivo per cui gli Sherton avevano posto un no
secco all’ipotesi di nozze tra quella giovane e il loro
primogenito: Bellatrix sfuggiva spesso a ogni forma di controllo e lui
vedeva la sua autorità messa spesso in ridicolo a causa sua.
A una cena ufficiale a Londra, poche settimane prima, l’aveva
palesemente sbeffeggiato, dimostrando che non aveva alcuna
autorità e potere su di lei, e quando aveva cercato di
ricordarle i suoi obblighi di moglie, si era salvato per un soffio da
un Tarantallegra che l’avrebbe umiliato mortalmente di fronte
a tutti quelli che contavano nel mondo magico. La passione e la
lussuria delle sue fantasie erano ampiamente appagate, vero, ma spesso
si sentiva talmente mortificato dalla vita al di fuori del suo letto,
che non riusciva più a godersi pienamente nemmeno quei
momenti. Forse sarebbe anche stato sufficiente, eccitante e divertente,
continuare a vivere così, ancora per un po’, in
attesa di tempi migliori, se non fosse stato però umiliante,
a causa dell’abitudine di suo padre di ridicolizzarlo di
fronte alla famiglia e agli amici per la sua incapacità di
sottomettere sua moglie. Sarebbe stato terribile, lo sapeva, arrivare a
Natale, invitati per Yule al matrimonio del suo miglior amico, senza
poter dare l’annuncio dell’erede. Già
immaginava la faccia di Roland Lestrange mentre, guardando quel
disgraziato di suo fratello davanti a tutti i loro amici, gli avrebbe
sorriso, dicendogli che il futuro della loro famiglia stava tutto e
solo nelle sue mani… lo avrebbe istigato a darsi da fare
contro di lui, era tutta la vita che gli preferiva Rabastan.
Sospirava Lestrange, nel suo letto, mentre ormai il sospetto era
diventato un’assoluta certezza: la sua “mogliettina
adorata” stava facendo strani traffici su di lui, o su se
stessa, perché per quanto si fossero impegnati in quei mesi,
all’orizzonte non c’era l’ombra di un
erede. E se voleva convincere suo padre a dargli il pieno controllo
della sua famiglia e dei suoi affari, prima che suo fratello
raggiungesse l’età per diventare un problema
serio, non poteva non soddisfare il più importante dei
requisiti del sangue, dopo quella della purezza: un figlio maschio. A
dire il vero aveva riflettuto persino sulla possibilità di
far sciogliere quelle nozze, ma ogni volta che si decideva a muoversi
in quella direzione, si ritrovava a non ricordare più cosa
stava facendo. Quando se n’era reso conto, si era ritrovato
ancora più confuso di prima: non capiva… Se,
com’era più che evidente, nemmeno lei era
soddisfatta dalla loro unione, perché faceva di tutto per
prolungare all’infinito quello stillicidio? Non era solo per
denaro, lei forse era anche più ricca di lui. Quanto
all’opinione degli altri, tutti sapevano che per Bellatrix
Black il resto del mondo non contava niente. Si alzò a
sedere sul letto, agguantò una mela succosa dal vassoio
d’argento sulla consolle vicino al baldacchino e la
addentò, non per fame ma per rabbia. Salazar, aveva una
dannata voglia di prendere un elfo e sfogarsi su di lui, anzi, meglio
ancora, organizzare una bella caccia al babbano: andare nel mondo della
feccia, strisciare per vicoli, nella nebbia, prendere uno di quegli
inutili esseri e divertirsi un po’ con
lui. L’odore del sangue lo faceva fremere, almeno
quanto il profumo e il corpo di sua moglie. Non poteva,
però, doveva aspettare almeno un altro intero giorno. Quella
sera doveva rimanere pienamente padrone di se stesso… Quella
sera…
L’incontro che aveva organizzato a casa propria con il grande
Lord Voldemort avrebbe dovuto dargli il prestigio sociale e il potere
che suo padre non voleva riconoscergli, avrebbe trovato il modo di
prendere con le sue mani il ruolo che gli competeva, il prestigio che
meritava, mostrandosi il più valido dei seguaci del Maestro.
Era per questo che aveva invitato praticamente tutti, amici e parenti.
Col tempo aveva capito che era anche il più grande desiderio
di sua moglie e una parte di sé, ancora,
s’illudeva che assumendo un ruolo di prestigio presso Lord
Voldemort, avrebbe ottenuto da Bellatrix Black il rispetto, la
devozione e l’amore che la fede al dito non gli aveva
garantito in tutti quei mesi. Forse erano
l’ambizione e l’odio l’unico legame che
li tenesse uniti davvero l’uno all’altro. A lui non
importava la ricetta, importava solo il risultato, se Lord Voldemort
poteva essere la soluzione, avrebbe avuto un motivo in più
per intraprendere quella strada, scelta ancora prima di sposare lei.
Aveva visto collaborativa sua moglie nell’organizzare tutto
fin nei minimi dettagli, negli ultimi giorni si era rasserenato
pensando di aver capito tutto, ma col passare delle ore un senso di
oppressione era andato a insidiargli il cuore: la strana
docilità di Bella a letto, quella mattina, non faceva
presagire nulla di buono. Bella Black non era mai stata docile.
Mai. Ne avevano pagato le conseguenze, in massa, gli elfi: ne
aveva dovuto sostituire oltre la metà, come pure aveva
già dovuto cambiare tre volte il mobilio di mezza casa,
vittima degli attacchi d’ira di quell’adorabile
pazza. Aveva incendiato il salone, un paio di volte, mandando in cenere
persino un paio di quadri di austeri antenati, e già in due
occasioni aveva salvato a stento la sua preziosa collezione di libri:
ora avevano concordato che in quella biblioteca c’erano cose
talmente importanti e preziose che le loro liti non si sarebbero
più dovute svolgere in certe aree del castello. Bella aveva
acconsentito, ma quell’accordo gli era costato non poco,
perché da quel momento aveva potuto estendere parte dei suoi
“possedimenti”anche ai sotterranei, finora il regno
inviolato di Rodolphus Lestrange, abile pozionista, come ogni
Serpeverde che si rispetti: ormai, invece, era lei che passava ore e
ore a intrugliare e distillare ogni genere di venefica pozione,
là sotto, tenendolo alla larga con ogni genere di ricercata
fattura. Fin dal primo giorno era stata una battaglia, tra loro, per
decidere come spartirsi le aree del castello: Bellatrix, infatti, era
fermamente ostinata nel sostenere che dovevano vedersi il meno
possibile in quella casa, durante il giorno. In cambio
acconsentiva a passare le sue notti con lui. Ne era stato ben felice.
All’inizio.
Ben presto però si era accorto che raramente le notti si
svolgevano solo come le desiderava lui: la verità era che
Bella gli faceva persino paura. Non aveva mai conosciuto una donna
così. Sembrava che la parola tenerezza non esistesse nel suo
vocabolario. Era senz’altro eccitante, ma… presto
all’eccitazione si era sostituita un sordo timore. Ormai era
sicuro che lei lo volesse semplicemente uccidere, certo sarebbe stata
una morte piacevole, ma… Lei… era pericolosa,
pazza e … assolutamente irresistibile. E lui era totalmente
in suo potere. No, non poteva fidarsi di lei. Aveva di certo
in mente qualcosa anche per quella sera. Sarebbe stata la sua fine, se
lo sentiva.
“Bella!”
Si alzò, vestendosi alla meglio con una lussuosa veste da
camera e iniziò a spalancare con impeto le porte che
separavano la camera padronale dalle stanze private di sua moglie.
Ovunque era un susseguirsi di ambienti magnificamente decorati, i
soffitti affrescati da anonimi pittori del seicento con scene di caccia
e di vita cortigiana, ovunque fregi serpenteschi, che inorgoglivano a
tal punto Bella, da pretendere che gli elfi tirassero a lucido tutti i
decori di Salazar almeno tre volte al giorno. Tutti quanti. Doveva
ammettere che quella dimora aveva ricevuto un piacevole tocco
dall’arrivo di Bellatrix, i Black avevano classe, su questo
non si discuteva, erano notoriamente pazzi, ma erano maestri di gusto
e, come aveva sempre sentito raccontare in casa, assolutamente sfrenati
nella ricerca di tutto ciò che procurasse loro piacere.
Spalancò l’ultima porta e se la trovò
davanti, meravigliosa e venefica come suo solito, avvolta in una
meravigliosa veste da camera verde Slytherin, i capelli ancora sciolti
e il viso austero, che lo guardava con sprezzo e sfida: chiunque si
sarebbe magari spaventato per quell’irruzione, non Bellatrix,
che appena lo vide, ebbe la solita prontezza nel recuperare la sua
bacchetta e puntargliela contro.
“Fuori di qui
Lestrange!”
“Devo
parlarti…”
“Fuori di qui,
Lestrange!”
“Devo sapere che cosa hai in
mente per questa sera…”
“E dovrei dirlo a
te?”
La voce cantilenante si trasformò subito in una risata che
raggelò l’aria nella stanza, ma stavolta Rodolphus
non si fece spaventare, prese di prepotenza il braccio di Bella, che
gli rilanciò uno sguardo di sfida, divertito e alterato
dalla pazzia. A volte si era accorto che lei sembrava più
compiaciuta quando si mostrava non solo deciso, ma addirittura violento
e prepotente. Non aveva però il coraggio di indagare, troppo
alto il rischio di ritrovarsi trasformato in un moscerino e schiacciato
al suolo. Certo se era la violenza quello che lei cercava,
lui… La donna gli appoggiò una mano sul
viso, con l’altra sollevò lentamente la manica
della vestaglia, fino a scoprire il marchio che da mesi fregiava
l’avambraccio di suo marito. Si leccò le labbra,
avida, e gli lanciò uno sguardo complice e disponibile, per
la prima volta, come non aveva mai fatto… Come
illuminato, tutti i tasselli si disposero in ordine nella mente di
Rodolphus, la strinse a sé, schiacciandola con prepotenza
contro le fredde pietre della parete di fronte.
“E’ questo che vuoi,
allora? Non ostacolarmi oltre, Black… e sarò
disposto a dividere con te l’onore che mi deriverà
da questo…”
Lei lo guardò con un ghigno sprezzante…
“Non avrei problemi a
ucciderti come un cane, Lestrange, credo che anche un idiota come te a
quest’ora l’abbia capito… Ma se farai
questa cosa per me… io te ne sarò molto
grata… molto… molto… grata…
per tutta la vita…”
Le dita, sensuali e provocatorie, seguirono lente il profilo
frastagliato del teschio e della serpe marchiate sulla pelle
dell’uomo. L’altra mano scivolò
sul suo ventre, poi ancora più in basso. Rodolphus si morse
un labbro, invano: gli sfuggì comunque un gemito soffocato
che strappò un ghigno beffardo a sua moglie. La bocca
andò a stamparsi affamata su quella di lei, le mani
ripresero a esplorarla come avevano fatto per tutta la notte.
“Facciamo…
un… patto…”
Le parole spezzate tra i sospiri, la furia che si riaccendeva e
annullava totalmente la ragione, il gelo della pietra sulla pelle, i
corpi bollenti che si avvinghiavano per dominarsi, le menti sempre
più perse nei propri deliri. Le sensazioni fisiche erano
sempre le stesse, ma completamente nuovo era il senso di smarrimento e
appagamento mentale: Bella, per la prima volta in tanti mesi, si
lasciò andare, con fiducia e trasporto. Alla fine, dopo un
tempo ormai difficilmente quantificabile, si ritrovò a
terra, sul freddo pavimento della sua stanza, per la prima volta
avvinghiata al suo uomo dopo un sonno sereno, le mani ancora perse nei
suoi capelli e quelle di lui, sognante, a tracciare i suoi lineamenti:
non fuggì, non si sottrasse, era la prima volta che lo
osservava davvero, da vicino, con occhi diversi.
“Se è
ciò che vuoi, ti aiuterò a entrare nella cerchia
dei più devoti al grande Maestro… lui ci
ricompenserà entrambi per la nostra fedeltà e
dedizione. Diventeremo grandi attraverso lui… Io voglio
porre tutto il mondo magico ai tuoi piedi…”
Questo le aveva promesso suo marito. Il bacio che seguì fu
il primo vero bacio ricambiato, e suggellò quel patto. Per
lei era quello il vero, sacro vincolo che li avrebbe uniti per il resto
della vita.
*
“Il viaggio è
stato… interessante, ho incontrato molti maghi attratti
dalla nostra… causa…”
“Sapevo di poter contare su di
te, Rodolphus, in Francia hai pubblicizzato la nostra causa in maniera
perfetta…”
Mentre il sole andava a morire dietro alle colline, e
l’ambiente soffocante e sicuro dell’antica
biblioteca era rischiarato solo dalla luce timida di poche fiaccole,
Voldemort sorrideva al suo ospite col suo ghigno strano. Gli occhi
però saettavano continuamente verso di lei, la famigerata e
bellissima moglie di Lestrange: non capiva perché quel
giorno fosse lì, si era visto tante volte con Lestrange in
tanti mesi, ma non aveva mai avuto l’onore di
incontrarla. L’aveva vista solo il giorno del
matrimonio, quando aveva appurato la veridicità della sua
fama di donna terribile e bellissima, che la precedeva da anni. Ora era
in piedi di fronte a lui, in una stupenda veste rosso borgogna che
metteva in risalto il fisico minuto e sensuale, i capelli neri, come le
notti che tanto amava, sciolti a incorniciare il viso e il collo,
pallidi e perfetti come prezioso avorio. Non indossava, come quasi
tutte le donne del suo rango, oggetti preziosi, eppure rifulgeva di una
bellezza straordinaria. Straordinaria e malata. I
suoi occhi, ossidiana blu, che diventavano pozzi neri come la notte in
quell’angusta stanza millenaria, promettevano paradiso e
inferno, e lui stesso, uomo che aveva imparato a lasciar da parte le
stupide tentazioni umane per ideali più alti, non riusciva a
non restare colpito dal rosso di quelle labbra
golose. Sembrava che in quei mesi fosse diventata ancora
più interessante. Più la osservava,
più capiva. Non era la bellezza, quello che lo colpiva, era
qualcosa nello sguardo, qualcosa… Quella donna non aveva
paura di lui, quella donna non lo ossequiava falsamente come la maggior
parte di quelli che aveva intorno. Bellatrix Lestrange lo osservava con
coraggio e senza alcun pudore, in silenzio. Era lì per
lanciargli un messaggio, era lì per dimostrargli qualcosa.
Sorrise di nuovo al fido Rodolphus che gli spiegava la sua visione del
grande progetto di conquista del Ministero, stupide quisquilie in
quella mente ancora troppo ingenua e acerba, mentre nella sua, di
mente, pensieri ben diversi si affollavano, cercando di
capire. No, non era solo lussuria quello che muoveva il cuore
della donna. C’era qualcosa d’indefinibile e
attraente. Doveva, e voleva, scoprire il suo segreto. Il tempo
volò, stavano ormai per arrivare gli altri ospiti, quando
finalmente la coppia che l’ospitava mise le carte in tavola e
quello che sentì uscire dalla bocca di Rodolphus…
Non avrebbe mai immaginato un dono più gradito da parte dei
Lestrange: la meravigliosa Bellatrix voleva entrare nella cerchia dei
suoi fedelissimi sostenitori, era lì per proporsi tra i suoi
più fidati seguaci, non solo come una timida sostenitrice
che avrebbe agito nell’ombra… Lei voleva entrare
nell’arena, combattere in prima linea contro la deriva del
mondo magico. Ambiva a muoversi al suo fianco. Se non avesse avuto una
reputazione da difendere, avrebbe acconsentito immediatamente, ma come
si conveniva a Lord Voldemort, si trincerò dietro a un
diplomatico
“Valuterò la tua
candidatura, ma posso dirmi già ora piacevolmente
impressionato”.
Lestrange sembrò compiaciuto e rasserenato da quella
promessa: il Lord si chiese se fosse davvero d’accordo con la
decisione della moglie di intraprendere quel cammino, dei due lui era
senza dubbio l’anello più debole. Quello meno
capace e meno convinto. Guardò la donna, lei gli
rilanciò pronta uno sguardo che non lasciava dubbi: Bella
era più che consapevole di come si sarebbero svolti da quel
momento in poi gli eventi. Ed era esattamente ciò
che voleva dalla sua vita. Un inusuale compiacimento pervase
l’animo e il volto del glaciale Lord Voldemort.
***
Alshain
Sherton
Trevillick, Cornwall - sab. 11 settembre
1971
“Ritengo che la prima fase del
nostro piano stia procedendo come previsto, a giorni quando anche tu,
Sherton, avrai contattato alcuni nostri amici, avremo creato una fitta
rete di sostenitori e contatti, un’alleanza forte che si
estende dall’Atlantico fino nel cuore della Russia.”
Riddle, avvolto come sempre in un mantello nero come la sua anima, si
voltò verso di noi, dopo aver lasciato i segni dei suoi
incantesimi sull’immensa cartina dell’Europa,
dispiegata sopra il grande tavolo che aveva fatto preparare apposta per
la sua rappresentazione: gli altri non capivano, ma io, che avevo una
certa familiarità con il mondo babbano, avevo una chiara
idea di quello che stava facendo. Non dissi nulla, poteva essere una
chiara provocazione per farmi uscire allo scoperto. Molti sospettavano
dei miei precedenti non propriamente Slytherin, ma nessuno finora aveva
le prove: mio padre aveva fatto ammazzare, a mia insaputa, al mio
rientro nella sua casa, tutti quelli che avrebbero potuto tradirmi.
“Partirò quanto
prima per Durmstrang: i miei trascorsi nel mondo del Quidditch fanno
sì che abbia numerose conoscenze anche in quelle terre
lontane…”
“Perfetto…
è su questo che mi sto basando, per ora, con
te…”
“Sempre che ci si possa fidare
di un uomo che si è rifiutato di prendere il
marchio…”
Mi voltai, Roland Lestrange, già rubizzo di alcool, nella
sua lussuosa veste verde da mago, ornata di un colletto di pelliccia
d’ermellino, stava stravaccato sulla sua poltrona, come un
patetico, borioso esempio di tempi ormai sepolti nella memoria. Teneva
un bicchiere colmo di whisky tra le mani, con uno sguardo
d’odio puro nei miei confronti, a illuminargli la faccia
precocemente ingrigita.
“Solo per convenienza di tutti
noi, mio caro Roland! Non dovete temere, su Sherton metto
personalmente la mano sul fuoco, il marchio è come
se fosse già al suo posto… per ora non
è bene, per nessuno di noi, che un Uomo delle Rune vada in
giro con il nostro simbolo in bella vista. Dico bene?”
Roland trangugiò il liquore in un solo sorso e
annuì con la testa al suo oscuro padrone mezzosangue, Riddle
scambiò con me un’occhiata
d’incoraggiamento, illudendosi che mi sentissi in qualche
modo colpito delle vane chiacchiere di quel pallone gonfiato.
“Credo sia il momento di
risolvere questa vostra vecchia disputa, miei cari… Mi
risulta che i vostri figli siano già a buon punto nel
recuperare il vecchio rapporto di amicizia tra le vostre famiglie,
quindi mi aspetto un gesto di buona volontà anche da voi
due. Lestrange, se hai ciò che ti ho chiesto, la chiudiamo
subito, qui e adesso!”
Roland traballò per un attimo sul suo scranno, mi
guardò divertito e sprezzante: era chiaro a tutti che non
capivo cosa stesse accadendo, lo guardai carico di domande, mentre gli
passava una scatolina e Riddle si rovesciava il contenuto in mano,
avido. Sudai freddo. L’anello che Sirius aveva scambiato con
l’originale. Non mi aspettavo che fossimo
già a quel punto. Raccolsi rapido le mie idee e recuperai
una facciata adatta alla situazione. Con la coda dell’occhio
osservai un fulmineo movimento d’impazienza e disagio in
Orion, due poltrone più in là, alla mia sinistra.
“Secondo la leggenda,
ricomponendo la pietra e l’anello, l’erede di
Salazar sarebbe in grado di dominare Habarcat e da quel momento
prenderebbe pieno possesso di Herrengton… La famiglia, che
custodisce da secoli quel sacro luogo, sarebbe finalmente libera dai
propri obblighi e sarebbe ricompensata per le sofferenze e i problemi
affrontati da un millennio a questa parte…
Sherton… puoi confermarci che le cose stanno
così?"
Riddle si faceva rotolare il freddo e inutile pezzo di ferro tra le
mani, osservandolo compiaciuto, rapito dalle perfette fattezze
millenarie. Poi estrasse dal suo mantello una pietra in tutto identica
a quella che avevo recuperato mesi prima grazie a Orion.
“E’ questo il potere
di quell’anello? Salazar, ecco perché me
l’hai chiesto per anni…"
“La mia era solo
curiosità, Roland… solo chi ha il Sangue di
Salazar può dominare la pietra e
l’anello… quindi nessuno di noi riuscirebbe a
farci niente…”
“Ma voi Sherton… un
po’ di quel sangue l’avete…”
“Un sangue insufficiente,
Lestrange…”
Mentii, mia figlia aveva dimostrato una teoria che da secoli
aspettavamo di poter verificare, ma nessuno doveva saperlo, non ancora.
Non riuscivo a staccare gli occhi da quella pietra, pregai di riuscire
a tenere alto il più possibile il controllo della mia mente,
sarebbe stato un disastro se mi fossi fatto trovare indifeso proprio
lì, in quella stanza, con tutti i miei peggiori nemici. Con
tutti i miei segreti.
“Anch’io sono
curioso.”
Abraxas si sporse verso il tavolo, osservando la pietra e
l’anello che luccicavano nel palmo bianco del Mezzosangue.
Probabilmente anche lui in quel momento gongolava: mi ero sottratto per
il rotto della cuffia dal contratto che i nostri avi avevano
sottoscritto, non c’era più nessun vincolo legale
che mi costringesse a prendermi un Malfoy in casa, e ora,
sorprendentemente, saltava fuori dal passato un misterioso anello che
poteva espropriarmi di Herrengton per sempre. Aveva rischiato di
sacrificare suo figlio per niente, aveva rischiato di metterlo nella
lista delle prossime vittime di Riddle. Sì, in quel momento,
Abraxas Malfoy stava davvero godendosi un momento di puro piacere: lo
vedevo negli occhi sottili e beati, nella calma con cui giocava con il
suo bastone da passeggio. Avrebbe assistito alla mia distruzione senza
nemmeno dover muovere un dito. Forse si dispiaceva solo che il merito
sarebbe finito nelle mani di Lestrange. Riddle infilò il
piccolo anello di ferro all’anulare destro, che si
adattò magicamente alla sua mano, poi collocò la
pietra al suo posto: passarono pochi lenti minuti di silenziosa attesa,
io tremavo impercettibilmente, il grande giorno della verità
era arrivato. Come ben sapevo, però, non poteva accadere. E
nulla accadde.
“Che cosa succede?”
Roland diventò paonazzo, aveva preso da subito ad agitarsi
sulla sedia, di certo Riddle gli aveva promesso qualcosa di prezioso,
forse la mia testa, per quell’anellino. Tom era furente di
rabbia, si capiva dal leggero fremito delle sue labbra, anche se per il
momento riuscì a mantenersi pienamente in sé:
dalla cupa luce nei suoi occhi si capiva che avrebbe desiderato
uccidere tutti noi all’istante. Io trattenni a stento un
sorriso di vittoria. Ora, se tutto, fosse andato secondo i piani,
sarebbe arrivata la parte divertente. Nemmeno nelle mie fantasie
più fervide avevo mai immaginato di dar una lezione a
Lestrange e Riddle, insieme, di fronte a un pubblico così
vasto.
“Succede che non è
l’anello giusto… Razza di un deficiente!”
“Che cosa? Non è
possibile, la nostra famiglia ha quell’anello da
secoli!”
“Che bella confessione,
Lestrange! Fa piacere vederti ammettere la verità
finalmente! Una famiglia di ladri, nulla di
più…”
Roland, già deluso dalla scarsa performance della sua sacra
reliquia e mortificato davanti a tutti dall’insulto che gli
aveva rivolto il Lord, si alzò come una furia dalla
poltrona, sguainando la bacchetta e puntandomela contro. Abraxas, da
parte sua, così come gli altri galantuomini lì
presenti, da Orion che come me stentava a mantenersi serio, a Cygnus,
Nott, Rosier, Crabble, Goyle, Yaxley e via via tutti gli altri, era
rimasto impietrito, non si aspettava certo una battuta
d’arresto del suo Signore di fronte a tutti i suoi
leccapiedi. E soprattutto, dentro di sé, iniziava a
chiedersi se per caso non avesse commesso un errore, se in fondo,
quello davanti a loro non fosse altro che un mezzosangue impostore che
si faceva passare per ciò che non era: l’erede di
Salazar.
“Signori... per favore, se
proprio non riuscite a contenervi, almeno rimandate a dopo le vostre
dispute…”
Rodolphus, il nostro ospite, cercò di riportare alla ragione
me e suo padre, per la sua famiglia questo era un momento
già abbastanza tragico.
“Questo non è il
vero anello, Lestrange, è solo una delle due
copie… La tua famiglia ha tenuto per anni solo uno stupido
anello senza valore…”
“Non è
possibile… persino Sherton lo voleva a tutti i
costi…”
“Non è
l’anello giusto, ti dico! Ne esistono tre… due
sono rimasti a Herrengton, solo uno era andato perso, ovvero
questo…”
“Milord…
troverò di sicuro una soluzione…”
Rodolphus, annichilito dalla brutta piega che stava prendendo la serata
che, in fin dei conti, aveva organizzato lui per assumere prestigio
anche agli occhi del suo indegno padre, cercò di trovare
giustificazioni e soluzioni che non esistevano.
“Avresti fatto bene a
cedermelo, Roland, ti saresti risparmiato questa
figuraccia…”
Sibilai ghignante e trionfante, rendendolo letteralmente verde in
faccia. Non m’interessava infierire su di lui, a dire il
vero, ma dovevo recitare la mia parte, ora. Dovevo farlo per Orion,
dovevo farlo per Sirius, nessuno doveva capire che il vero anello fosse
nelle mie mani. E soprattutto chi ce l’aveva messo.
“Se non vi dispiace ora
proviamo gli altri due anelli…”
Estrassi dal panciotto i due anelli e li porsi al Mezzosangue, sotto
gli occhi sbalorditi di tutti loro. Orion era sempre più
agitato, ma abile commediante com’era, solo io riuscivo a
percepire la terrificante paura che lo pervadeva in quel momento.
Riddle mi guardò enigmatico, non si aspettava certo che
glieli dessi spontaneamente: di sicuro aveva già un accordo
con Abraxas o Roland, per catturarmi a Herrengton, loro che potevano
entrarci, e portargli la mia testa, oltre agli anelli.
“Da dove saltano fuori
questi?”
Era un coro di voci smarrite, i sostenitori di Riddle erano grandi, a
mio avviso, solo per l’abisso di violenza e ignoranza che li
caratterizzava.
“Sono le due copie che furono
forgiate da Salazar stesso per proteggere
l’originale… identici e
irripetibili…”
Spiegai con noncuranza all’assemblea, calcando
sull’irripetibile, perché nessuno pensasse che
magari uno degli anelli non fosse antico come gli altri. Riddle li
osservò con attenzione, erano davvero indistinguibili,
perfettamente identici. In tempi non sospetti avevo percorso mezza
Europa per trovare un mastro forgiatore la cui magia fosse identica a
quella dei nostri antenati e alla fine c’ero riuscito, in un
piccolo villaggio della lontana Finlandia. Il mago infine li
indossò, uno dopo l’altro, ma logicamente, di
nuovo, non accadde nulla.
“Non è
possibile… deve funzionare!”
Vidi Riddle sbiancarsi ancora più del suo solito, sapevo
bene, al contrario di tutti gli altri, cosa significava per lui non
riuscire a entrare a Herrengton. Non poter mettere le mani su Habarcat.
Non poter trovare la formula per legittimarsi completamente agli occhi
del mondo.
“A quanto pare sono solo
leggende... come la maggior parte delle cavolate riguardante gli
Sherton!”
Malfoy cercò di stemperare la tensione, come nella favola
babbana della volpe e l’uva: cercava sempre di sminuire il
valore delle cose e delle persone che non riusciva a conquistare, era
un vezzo che aveva fin da quando eravamo ragazzi.
“Non sono cavolate, Malfoy!
Non sono affatto cavolate! La pietra o l’anello non sono
quelli giusti…”
“Di questi anelli ne esistono
solo tre e li ha tutti in mano, lei, Milord…”
Non avevo mai detto milord a quel sudicio mezzosangue, nemmeno in
pubblico. Probabilmente percepì una nota strana e molto
sarcasmo nelle mie parole, o forse comprese che, come Roland, a mia
volta mi sentivo umiliato di fronte a tutti: se la sua famiglia aveva
rubato e custodito un anello insignificante, la mia aveva subito
innumerevoli lutti nei secoli solo per difendere qualcosa che non aveva
alcun valore. Mi lanciò un’occhiata enigmatica, io
indossai la mia migliore maschera di timore e delusione.
“Sherton… La
pietra… La pietra gemella dovresti averla tu, ancora, no?
Era il dono di nozze…”
“L’originale
è andata persa come l’anello, secoli fa,
l’abbiamo cercata a lungo, quella che ho trovato durante
l’estate, dopo molti studi, secondo me non è
vera…”
“Vorrei comunque
vederala…”
Annuii e presi una piccola scatola dal panciotto, l’aprii e
lasciai cadere la pietra verde sul palmo aperto di Riddle.
“Prego…”
Naturalmente, di nuovo, non avvenne nulla: il vero anello e la vera
pietra con le sembianze di un piccolo anello d’argento a
forma di serpente erano abilmente camuffati e sotto gli occhi di tutti
a Hogwarts, sulla mano di mia figlia. Mantenni il controllo totale,
mentre attorno a me tutti sembravano aver perso la testa: chi era
annichilito, come Roland, che non solo aveva perso una ghiotta
occasione, ma aveva persino ricevuto un memorabile schiaffo morale
davanti a tutti noi; suo figlio era pensieroso, sembrava capire che
c’era qualcosa che non tornava, ma non era capace di
comprendere che cosa fosse; Abraxas era confuso, troppe cose
inaspettate erano accadute davanti ai suoi occhi quella sera; Cygnus,
Orion, Nott e gli altri confabulavano, senza riuscire ad arrivare a una
soluzione. Bellatrix Lestrange, però, non mi staccava gli
occhi di dosso, vagamente compiaciuta. Il suo sguardo mi mise in
imbarazzo e cercai di fingere indifferenza, senza riuscirci. Abbassai
lo sguardo. Ghignò, trionfante. A quel punto, per la prima
volta, vidi Voldemort perdere il controllo, ne fece le spese un elfo di
passaggio: fu orribile e inaspettato, ed io a stento riuscii a non
chiudere gli occhi e vomitare. Poi si alzò, mi
arpionò per un braccio, sotto gli occhi allarmati di Orion,
mi tirò via dalla mia poltrona e mi sbatté
violentemente contro la parete: mi colse impreparato e non riuscii a
reagire. Quella fu la mia sola salvezza.
“Che cosa significa, Sherton,
perché non funziona?”
Riddle mi sibilava in serpentese all’orecchio, non voleva che
gli altri capissero le nostre parole. L’attacco di feroce e
mortifera ira si stemperò il poco che mi consentisse di
rispondergli. Lo guardai, quell’episodio per lui poteva
significare soprattutto una cosa: la gente non avrebbe mai
più creduto di trovarsi davanti all’erede di
Salazar, le sue avventure giovanili con la Camera dei Segreti, quelle
che avevano portato Malfoy e gli altri a giurargli fedeltà
eterna, rischiavano di perdersi nelle nebbie della memoria…
La maggior parte di chi si avvicinava a lui, inoltre, lo faceva solo in
virtù di quella promessa: ristabilire il regno di Salazar
Slytherin, ora e ovunque, contro la deriva dei moderni governi magici.
“Non ti farà
piacere, Riddle… ma temo proprio che il problema sia il tuo
sangue… Salazar ha messo molte di queste
“trappole” per tenere lontano da Habarcat chi non
fosse totalmente Purosangue…”
Sotto gli occhi di tutti, sorpresi e spaventati, e alcuni anche
compiaciuti, mi colpì al volto, con inaudita
violenza. Mi ripresi subito, stavolta me
l’aspettavo, e comunque ero abituato a dolori ben peggiori di
quello, perciò non feci una piega, raccolsi tranquillo con
le dita il sangue che mi usciva dal labbro e dalle narici, senza
staccargli gli occhi di dosso: lo vidi osservare quelle poche stille
rubino con assoluta voracità, nemmeno fosse un vampiro.
Compresi tutta l’invidia che provava nei miei confronti.
Ridevo dentro di me.
“Ora tu prenderai
l’anello e la pietra, Sherton, devi indossarli per me, devi
prendere per me quel libro in cui c’è scritto come
domare Habarcat… In cambio avrai tutto ciò che
vuoi… Vuoi la testa di Roland Lestrange?
L'avrai…”
Ghignai… che scarso valore avevano le alleanze per
quell’uomo.
“Vuoi Hogwarts…
l’avrai… Vuoi restare a Herrengton, ci
resterai… ma io voglio quel dannato libro e quella dannata
Fiamma di Habarcat… O ti giuro…”
“Con me l’anello non
funzionerà mai, Riddle… Nessuno degli Sherton
è l’erede di Salazar Slytherin, noi discendiamo da
sua sorella. E ne siamo molto orgogliosi, per giunta. Se vuoi,
cercherò di capire se c’è un modo di
annullare i trucchi di Salazar su questi anelli. Ma ti consiglio per la
tua salute e per quella dei tuoi stolti amici di non avvicinarti con
cattive intenzioni a Habarcat, o morirete tutti all’istante.
Salazar stesso ha messo incantesimi potenti su Herrengton e su di noi.
Io te l’ho detto…”
Mi sporsi sul tavolo, ancora un pò barcollante, presi a
turno gli anelli e li combinai alle due pietre, e dimostrai a tutti
loro che nemmeno con me quelle stupide verghette di ferro assumevano
una natura diversa e più interessante.
“Come volevasi dimostrare,
Milord…”
Presi gli anelli e glieli tirai addosso, poi con un colpo di bastone al
pavimento richiamai un elfo terrorizzato, perché mi portasse
le mie cose e la polere volante: il sangue zampillava ancora dal labbro
e dal naso e per nessuna ragione al mondo sarei rimasto ancora a lungo
in pubblico conciato in quel modo. Mi riprese per il braccio, con modi
poco educati, lo guardai con profondo odio, stavolta privo di qualsiasi
maschera.
“Dobbiamo vederci e parlare,
Sherton… presto...”
“Quando vuoi…
Riddle... ma per il tuo bene, non osare mai più mettere le
tue mani addosso a me o a qualcuno della mia
famiglia…”
Detto questo, senza nemmeno un saluto a nessuno degli altri presenti,
presi una manciata di polvere volante dalla ciotola che mi porgeva
l’elfo e mi smaterializzai ad Amesbury. Orion mi avrebbe
raggiunto di lì a poco, alla fine della riunione, con gli
ultimi dettagli e le sue preziose impressioni.
***
Rodolphus
e Bellatrix Lestrange (pov in 3^ persona)
Trevillick, Cornwall - sab. 11 settembre
1971
La serata era finita in piena agitazione. Lord
Voldemort non aveva ottenuto ciò che si era prefisso, i
commensali erano straniti e turbati, i Lestrange erano usciti ancor
più umiliati del solito da un incontro col loro padrone. Ma
c’era qualcuno stranamente compiaciuto, la bellissima giovane
donna che aveva osservato tutti gli altri per tutta la sera,
completamente in silenzio. Alla fine della serata, quando
l’Oscuro Signore diede segno di volersene andare, non permise
a uno stupido elfo di servirlo, ma lo fece personalmente. Rodolphus,
triste e abbattuto, non ebbe nemmeno la forza di obiettare. Bella non
aveva problemi a prostrarsi a quel modo, non con quel Mago: avrebbe
fatto di tutto pur di avere anche solo pochi istanti per parlargli da
sola.
“Quell’uomo Vi ha
mentito, Mio Signore…”
L’Oscuro si voltò verso di lei, attratto non dalla
generosa scollatura della sua ospite, ma da quegli occhi carichi di
mistero e di assoluta malvagità.
“Non so ancora come abbia
fatto, forse si è servito di suo figlio, che frequenta fin
troppo le dimore dei Lestrange… sono convinta che abbia
trovato il modo di scambiare gli anelli… Ci ha ingannato
tutti!”
“Quali prove hai,
Lestrange?”
“Le cercherò per
Voi, Milord… troverò il vero anello, potete
starne certo…”
Lord Voldemort appoggiò la bianca mano scheletrica sul volto
della donna, sentì il respiro caldo uscirle dalle labbra in
un soffio soddisfatto e scaldargli la pelle. In un lampo,
sensazioni sopite da tempo si riaccesero nella sua
mente. Doveva averla.
“Dammi il braccio sinistro,
Bellatrix Black Lestrange…”
“Sono solo Bellatrix, per Voi,
Mio Signore…”
Il messaggio era chiaro… Mentre la bacchetta si poggiava su
quella pelle morbida e bianca, andando a formare il marchio dei suoi
servi, Lord Voldemort sentì il pulsare veloce e caldo delle
vene sotto le sue dita, prive di vita. Una diversa sete di sangue
pervase l’Oscuro Signore e la sua più degna
seguace.
***
Alshain Sherton
Amesbury, Wiltshire - dom. 12 settembre
1971
Il suono della smaterializzazione aveva un tono particolarmente
sinistro quella notte, una notte fatta di pioggia e tempesta: ero corso
subito a curarmi le ferite, non potevo certo tornare a casa conciato
come un ubriaco dopo una rissa, non volevo spaventare Dei…
Anche se, per quanto provassi a mentirle, Dei aveva le idee fin troppo
chiare su quanto stava accadendo.
“Fatti un po’
vedere…”
Orion, appena entrato, iniziò a fare quello che tanti anni
di disavventure insieme aveva reso naturale e immediato: se non fosse
stato un Black, sarebbe stato un ottimo curatore.
“Anzi… ti
è andata bene… ho sentito certe
storie… ti è andata davvero
bene…”
“È a lui che
è andata bene, deve ringraziare che c’eri tu e che
rischiavo di coinvolgerti!”
“Basta! Basta!
Alshain… ti sei comportato da irresponsabile… non
so cosa gli hai detto, ma conoscendoti, lo posso immaginare…
ti poteva uccidere, lo capisci?”
Gli versai da bere, lui stranamente rifiutò, era davvero
esasperato e furioso.
“Non può, ho troppe
cose che gli servono, e che non può ottenere se non gliele
concedo io…”
“Sì… e
ha anche i mezzi per convincerti a dargli tutto ciò che
vuole… la faccia di mia nipote non mi è piaciuta,
stasera, ci metterà poco a capire come stanno le cose:
c’era anche lei quando ho parlato a Rodolphus della mia
passione per gli anelli antichi. I Lestrange sono idioti, lo sappiamo,
ma mia nipote è una Black, non
scordartelo…”
“Tua nipote
sfrutterà la faccenda per i suoi scopi personali e
sbaglierà: odia troppo me e Mirzam per arrivare a capire chi
è coinvolto davvero…”
“Beh, certo,
quest’argomentazione mi tranquillizza: mi stai dicendo che
quella pazza si metterà sulle tracce tue e di Mirzam. E
questo secondo te dovrebbe essere il fatto positivo? Sei pazzo quanto
lei, ecco cosa sei… Senza te e Mirzam chi difenderebbe Dei e
i ragazzi?”
“Orion…
calmati… lo sapevamo, l’avevamo calcolato,
pensavamo solo di avere più tempo…”
Aveva preso a camminare avanti e indietro torcendosi le mani, sapevo da
quando avevo ricevuto la lettera di Meissa, quale fosse il vero
problema e la vera preoccupazione di Orion.
“Ormai non possono
più riconoscere quel dannato anello: l’hai visto
con i tuoi occhi, nelle mani di Meissa ha cambiato completamente
aspetto, e di sicuro non si aspettano che possa averlo lei, che possa
averlo portato da Dumbledore… e nessuno penserà
mai che c’entri qualcosa Sirius…”
“Già me
l’hanno massacrato di botte, e solo perché
è finito a Grifondoro… Che cosa gli
succederà, secondo te, quando verrà fuori che
è coinvolto? Me lo spieghi? Dumbledore ha visto
l’anello di Sirius, sa che stai complottando
qualcosa… Nulla sta andando secondo i piani!”
"Non devi perdere la calma e la
lucidità, Orion… Sta andando tutto come
doveva… bisogna avere pazienza..."
“Certo…
pazienza… perché non compete a noi toglierlo di
mezzo… dico bene? È questo che dicono le
pietre…”
“Possiamo e dobbiamo resistere
Orion… E aiutare chi ha il compito di
affrontarlo…”
“Se le pietre dicono il vero,
però, passeranno anni, lui si rafforzerà e quando
sarà il momento, noi non avremo mezzi più potenti
di quelli che abbiamo ora… anzi… gli avremo dato
ancora più risorse e persone su cui contare…
dovremmo cercare di colpirlo adesso, ancora le alleanze non sono
formate, ancora…”
“Mio caro illuso…
se hai paura delle alleanze… allora doveva essere eliminato
prima che riaprisse la Camera dei Segreti… ora
metà degli Slytherin lo vede come il salvatore del mondo
magico, all’epoca sarebbe stato un Mezzosangue da far fuori
come tanti altri… nulla di più.”
"Eravamo dei ragazzini allora,
Alshain..."
“Non Dumbledore…
quello che accade ora è solo colpa sua… non
poteva non sapere chi aveva per le mani…"
“Sono solo illazioni, le
tue... ”
“Sì, sono solo
illazioni… tu e il tuo assurdo rispetto per quel vecchio
pazzo! Basta… Dobbiamo tornare a casa, è troppo
tardi, ci vediamo in un momento meno pericoloso… Se tua
moglie parla di te con Bellatrix, siamo rovinati…”
Annuì, si ributtò il mantello addosso e riprese
il suo bastone, poi si avvicinò e mi abbracciò
con forza.
“Al tuo posto terrei un
comportamento molto cauto e mi guarderei le spalle, Al... Devi fare in
modo che Mirzam, Dei e i bambini restino a Herrengton, e anche tu
dovresti andartene lassù a riflettere…”
“Fuggire? Sì,
proprio un’ottima idea, Orion… Non ti preoccupare
per me, quanto a Sirius, a parte qualche stupida scaramuccia,
finché si trova a Hogwarts non può succedergli
nulla di grave...”
Si smaterializzò, con una faccia affatto convinta, io mi
abbandonai sulla poltrona. Sapevo bene quanto la situazione fosse grave.
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 12
settembre
1971
“zzzzzz”
Il luccichio dorato passò sopra la mia testa, poi si
allontanò e rapido tornò a sfiorarmi le mani, per
poi riallontanarsi a tutta velocità. Sospirai.
“Smettila di fare il cretino,
Lestrange!”
Gli soffiai contro, sotto lo sguardo divertito di Cox e Mills: era
tutto il pomeriggio che quel nullafacente di Basty Lestrange se ne
stava stravaccato sul divano davanti al caminetto e mi liberava addosso
quel dannato boccino, mentre cercavo invano di studiare con Severus, al
nostro tavolo defilato. Quel giorno l’idiota si stava
prendendo fin troppe libertà, sia con quello stupido gioco,
sia con battute stupide quanto lui, approfittando
dell’assenza di Rigel, costretto a sistemare gli schedari di
Gazza, come punizione per aver fatto degli scherzi a un paio di
Tassorosso qualche sera prima. E approfittando del fatto che
io stessa non potessi uscire dalla Sala Comune fino il giorno dopo:
personale punizione di Slughorn per motivi non ben chiariti, a scelta
poteva essere stata la mia insolenza, l’assenza alla sua
cena, o più probabilmente, la mia spiata contro
McNair. A quanto pareva avevo commesso il mio ennesimo errore:
avergli rivolto la parola era ciò che si era prefisso,
significava che era riuscito ad aprirsi un varco nella mia assoluta
indifferenza. Lestrange si avvicinò con fare
divertito, poggiando la sua mano sul libro che stavo leggendo e
chinandosi appena sopra di me, da dietro. Non potei fare a meno di
notare il caratteristico buon profumo che emanava anche a distanza e
che, da vicino, era qualcosa di assolutamente soffocante. Mi girai
verso di lui e gli puntai addosso uno sguardo omicida, sempre con la
chiara intenzione di dimostrare che non avevo paura di lui: purtroppo
per me, a mentire ero sempre stata una frana. Mi ritrovai davanti quei
penetranti occhi azzurri canzonatori, che mi sorridevano più
delle labbra, la solita aria dannatamente selvaggia: non riuscii a
evitare di arrossire e chinare lo sguardo. Mi odiavo, dalla prima volta
che c’eravamo incontrati, era sempre finita così:
Lestrange era snervante e detestabile, ma per quanto non lo
sopportassi, non riuscivo a non ammirarne la presenza nei sotterranei.
Assomigliava a un felino in cattività, elegante, bello e
assolutamente indomabile. Al contrario di Lucius, freddo come
una mattina d’inverno e talmente distaccato da far paura,
Lestrange assomigliava alla tempesta che aspetta solo di scatenarsi,
cogliendo e plasmando le emozioni di tutti gli altri.
“Togli quella zampa dal mio
libro, Lestrange!”
“mmm…
altrimenti?”
Lo guardai avvelenata, il boccino tornò per
l’ennesima volta a zigzagare davanti ai miei occhi e con
mossa fulminea lo afferrai, pur di farlo smettere. Ghignò,
compiaciuto.
“Vedi? Noi due dobbiamo un
conto in sospeso: tu e tuo fratello avete barato quel giorno... quindi
mi devi i galeoni che Malfoy mi ha rubato grazie al tuo
inganno!”
Si riprese il boccino, ma non se ne andò, anzi si
accoccolò meglio sulle gambe reggendosi alla mia sedia,
così da non staccarmi più gli occhi dalla faccia
e impedendomi di alzarmi e andarmene; confusa, mi voltai verso Severus
che aveva un ghigno enigmatico in faccia.
“E tu che cos’ hai
da ridere?”
Severus fece spallucce, ma mi accorsi che non era l’unico in
quel momento a sghignazzare tra quanti osservavano più o
meno platealmente la scena.
“Basta dar fastidio alle
ragazzine Lestrange!”
La voce di Malfoy, che sapevo starsene come sempre nobilmente seduto
sulla migliore poltrona di tutto il sotterraneo, tuonò
dietro di me: ecco, peggioriamo ulteriormente la situazione…
Era in momenti come quello che continuavo a chiedermi perché
non fossi finita a Corvonero. I due s’insultarono a
distanza, com’era loro abitudine, per un po’,
finché Malfoy non si alzò deciso a farsi
rispettare e Lestrange si convinse a lanciargli contro, in segno di
sfida, il mio libro poi uscì con i suoi amici con la chiara
intenzione di andare a far danni altrove. Lucius approfittò
del momento per rendere ancora più piacevole la mia
giornata, in fondo sapevo di essere nata solo per soffrire, quindi
anche la restituzione di un libro, se si trattava di me, doveva
diventare occasione di penitenza.
“Cugina… come tutti
gli Sherton, non distingui un lupo nemmeno quando per metà
sei già nella sua bocca... ”
“Lupi? Che cosa diavolo stai
blaterando Malfoy? Devo studiare Pozioni, non “malattie
mentali nel mondo magico”, se possibile!”
“Cuginetta cara…
hai detto bene… malattie mentali… volevo solo
metterti in guardia: cerca di essere meno stupida dei tuoi
fratelli!”
Mi ridiede il libro e, con la sua solita grazia, se ne andò.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 12
settembre
1971
Remus era uscito venerdì mattina dall’infermeria,
io, grazie alle pressioni del medico di mio padre, solo nel primo
pomeriggio di domenica, saltando così un’intera
giornata di scuola e la seconda lezione di volo. Finalmente nella mia
stanza, su nella Torre di Grifondoro, mi guardavo allo specchio, il
naso per fortuna era tornato a posto, dopo quella stupida battuta di
Remus avevo perso la fame e il sonno dalla paura di restare con la
faccia sfigurata. In quei giorni James era venuto a trovarmi
all’ora di pranzo, come aveva già fatto il primo
giorno, con Remus e Peter al seguito. Peter era una novità,
anche in quel momento mi guardava letteralmente adorante dal suo letto,
mettendomi non poco in imbarazzo.
“Che succede?Perchè
mi guardi così?”
Ero diventato porpora, James si mise a ridere, guardando Remus come uno
che la sapeva lunga.
“Hai ragione, quel colpo deve
avergli mandato definitivamente in pappa il
cervello…”
Continuò a ridere, dividendo sul proprio letto con tutti noi
un’altra copiosa razione di ciocco rane: io ero allibito,
costretto in un silenzio sorpreso quanto quello di Minus, completamente
intimidito come suo solito.
“Si può sapere che
cosa c’è da ridere?”
“Nulla, nulla,
Black… Sembra soltanto che con quel colpo in testa ti sia
passata un po’ della tua altezzosità da nobile
londinese… Abbiamo riso tutti per la storia dei tuoi
massaggi al naso!”
Divenni ancora più porpora, mentre lanciavo
un’occhiata furente a Remus: non riusciva più a
trattenersi dal ridermi in faccia. Ed io che lo trovavo un ragazzino a
modo! James perse del tutto il controllo della situazione,
iniziò a ridere sguaiatamente e Remus gli fu subito dietro,
io ormai ero violaceo. Rischiando quasi di soffocarsi, James
si fece violenza e provò a tornare serio, guardandomi
però con le lacrime agli occhi e il viso rosso a sua volta.
“Ok, basta! prima che sulla
sua faccia possiamo cuocerci le uova….”
Altra esplosione di Remus cui si aggiunse stavolta anche
Peter… a me iniziavano a prudere le mani.
“Ok, sono serio…
promesso… parola di Grifondoro… Peter
è con noi e ti guarda così perché sa
che sei un eroe, che siamo tutti e tre degli eroi! E in questi giorni
è venuto in infermeria a rendere omaggio al suo
salvatore!”
Non capivo, mentre Peter si faceva ancora più piccolo e mi
rivolgeva un sorriso timido e impaurito. James iniziò a
spiegare, come Mei, anche lui e molto altri, a Grifondoro, non
credevano alla mia caduta accidentale come non credevano ai malesseri
di Remus: secondo i più, eravamo stati entrambi picchiati e
confusi e ora lui stesso, il grande Potter, ammetteva di guardarsi le
spalle aspettandosi il proprio turno di ritorsioni. Io avevo ricordi di
una caduta davanti alle cucine, ma sapevo dai racconti di mio padre che
il confundus e la modificazione della memoria erano pratiche diffuse
tra i Serpeverde. Avevamo così ottenuto la gratitudine e la
devozione di Peter, che aveva mollato il rassicurante Frank per stare
con noi, come un cagnolino fedele. A me, all’inizio, dava i
nervi, ma poi scoprii che in fondo mi faceva tenerezza, sembrava un
pulcino sparuto che vedeva in noi dei difensori; e, in fondo, a me
piaceva avere, come a casa, qualcuno più debole di me di cui
occuparmi, per sentirmi più forte di quanto in
realtà fossi… Avevo capito che a Remus piaceva
avere intorno qualcuno più calmo e riflessivo di noi,
qualcuno con cui gli fosse più facile confrontarsi e che in
qualche modo lo aiutasse a contenerci. James, invece, era
già abbastanza “prima donna” da gradire
fans che lo venerassero. In pochi giorni, il nostro gruppo si
era formato e consolidato e per me, che, di fatto, avevo perso una
famiglia, per altro già da prima inesistente, trovare degli
amici, dei veri amici, era qualcosa di assolutamente necessario.
“Bene, ora che ho subito la
vostra importuna compagnia, ci sono affari urgenti che mi attendono di
sotto!”
La prima cosa che volevo fare, pur felice di aver ricevuto dalla sorte
dei ragazzi in gamba con cui dividere tempo e spazi, naturalmente, era
trovare Meissa: stranamente, dalla sera del giovedì era
sparita. Lanciai a tutti loro uno sguardo dei miei, ero stato fin
troppo buono e calmo in quei giorni ma, ormai, dovevo assolutamente
scoprire che cosa stava succedendo.
“Non fai in tempo a uscire
dall’infermeria che già la cerchi?”
Mi sentii andare in porpora le guance e, pronto e ostile, volevo
rispondere male a James, ma mi trattenni.
“Mi aspettavo di vederla, ma
non è più venuta a trovarmi da
giovedì…”
“Non volevamo dirtelo per non
farti agitare…”
“Che cosa vuoi dire,
Remus?”
“Il tricheco baffuto ha messo
lei e suo fratello in punizione, quindi temo non riuscirai a vederli
fino alle lezioni di martedì…”
“Che cosa? Ma è
assurdo! Il prof ha una totale venerazione per lei!”
“Ha risposto male a Slughorn,
in classe, venerdì mattina, noi sappiamo solo questo. Gli
anziani qui dicono che possa averlo fatto incavolare non andando alla
cena, altri dicono che Slughorn non abbia gradito la soffiata degli
Sherton contro McNair… Qui tutti scommettono che
è grazie ai due fratelli se Dumbledore l’ha
mandato a pulire cessi per un mese: te l’avevamo detto,
ricordi?”
Ghignai, ma dentro di me non ero per niente tranquillo, se Slughorn
arrivava a mettere in punizione i figli di Alshain Sherton, non era
proprio il caso di stare allegri.
“Non fare quella faccia,
ragazzo, stai vivendo un po’ troppo tragicamente questa
storia, ci sono anche altre cose cui pensare, quando la tua bella ti
dà buca… Dovremmo esplorare il castello e il
parco, trovare il modo di prenderci i posti migliori accanto al
caminetto, ti assicuro che fa veramente freddo qui… e
aiutare il nostro buon Lupin a fare colpo su Sheila Clearwater, dovevi
vedere che faccia ha fatto venerdì pomeriggio a
lezione…”
Remus per poco non si strozzò con la sua cioccorana, gli
vennero i lacrimoni agli occhi e divenne tutto rosso, mentre tutti noi
iniziavano di nuovo a ridere. A quel punto accadde
l’incredibile, il buon Remus, ragazzo di solito calmo e
riflessivo, iniziò a inseguire Potter, correndogli dietro
per tutta la stanza, sotto gli occhi stupiti miei e di Peter. James,
sempre ridendo, saltava qua e là, da un letto
all’altro, creando un caos memorabile: io alzai un cuscino e
cercai di fargli lo sgambetto, permettendo a Remus di vendicarsi, James
mi evitò, ma per girarsi a deridermi, centrò in
pieno Peter, cadendogli addosso. Il povero Minus, come se non bastasse,
finì anche col prendere il mio colpo di cuscino destinato a
James. Potter sbucò alle mie spalle e mi saltò
addosso, urlandomi “traditore,
parteggi per Lupin eh!” E iniziò a
colpirmi col proprio cuscino. Remus finalmente gli fu alle spalle e gli
saltò addosso a sua volta, finendo entrambi col gravare
sulle mie povere ferite di guerra. Peter ancora mezzo traumatizzato
cercò di salvare il salvabile (ovvero le cioccorane rimaste)
correndo tutto intorno al mio letto. Quando Frank rientrò,
circa un’ora più tardi, trovò la camera
nel caos più totale: il suo gatto si teneva in salvo in cima
al baldacchino del suo letto, soffiando furiosamente al nostro
indirizzo, le tende del baldacchino di James erano definitivamente a
terra e nessun incantesimo di riordino riusciva a rimetterle al suo
posto, noi quattro, infine, troneggiavamo con le facce completamente
impiastricciate di cioccolata, uno sull’altro, in mezzo al
letto di Remus, ormai sinistramente imbarcato. Il povero ragazzo c mise
circa tre ore e una ventina di graffi a viso e mani, per convincere il
gattone rosso a scendere dal suo nascondiglio, poi lo
inseguì per tutti i dormitori, trovandolo solo il mattino
dopo.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
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non ho ancora ritrovato la fonte di questa immagine
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