Il paleopatologo
Prompt:
Tipologia F -
Amore segreto (il protagonista nasconde i suoi sentimenti alla persona
amata, oppure ignora di essere amato da "Y"; amore non vissuto alla
luce del giorno per "X" motivi).
Canzone #6 -
Undisclosed Desire
- Muse
Citazione #20
- Solo un amore
impossibile può essere eterno. (Anonimo)
NB:
È probabile che per una parte del racconto vi
chiederete dove sta l'elemento sovrannaturale; se avrete pazienza di
arrivare alla fine lo scoprirete.
Il
paleopatologo
1. Prologo
Wilfred
Harvey, da più di trent’anni insegnante di
paleopatologia
all’università, ad un
certo punto aveva realizzato di essere perdutamente innamorato.
Con
tonalità
leggere come quelle di un acquerello, la realtà si era
gradualmente dipanata sul
suo schermo mentale. Dal momento in cui lei era entrata in aula per la
prima
volta, all'attimo in cui Wilfred aveva ottenuto la conferma di
ciò che aveva sperato
fosse solo un disturbo mentale dovuto all’età,
erano
passati circa tre mesi. La presa di coscienza delle sue emozioni fu
alquanto sconvolgente.
Era
un giorno di fine maggio, dai lucernai sul soffitto entravano i raggi
caldi del
sole primaverile e lei, Ria Norrel, era seduta in seconda fila, intenta
a compilare
i fogli di un facsimile dell’esame
di fine
quadrimestre. Il suo viso, graziosamente ovale, aveva un
colorito così
pallido da ricordare la porcellana, i grandi occhi blu
sembravano
preziosi gioielli, i capelli biondi le ricadevano con eleganza sulle
spalle e larghi abiti sportivi nascondevano pudicamente le sue curve
senza tuttavia sminuirne la bellezza.
Nel
pomeriggio, barricato nel suo studio per correggere le prove, la
curiosità spinse il professore a cercare il foglio con il
nome
della giovane che
da un po' aveva ottenuto il monopolio dei suoi pensieri. Dietro la
facciata da
brava ragazza nascondeva qualcosa di indecifrabile, misterioso, inoltre
era brillante e dedita al corso di
paleopatologia
come non lo era mai stato nemmeno lui durante i suoi anni da studente. Le
risposte alle sue domande erano perfette: aveva analizzato con occhio
esperto –
senza trascurare alcun dettaglio – le foto dei resti di
cinque diverse
sepolture. L'esame finale comprendeva anche una prova pratica che
prevedeva l’uso
delle attrezzature del
laboratorio di chimica e una certa abilità matematica, ma
Wilfred era
più che sicuro che
lei se la sarebbe cavata alla grande. Si era persino sorpreso a
fantasticare: gli sarebbe
piaciuto averla come assistente o come collaboratrice di ricerca, un
giorno.
Qualche attimo dopo, vagliando la possibilità che forse lei
aveva altri
progetti per il futuro, si sentì disorientato. Era
conscio dell’assurdità
delle sue emozioni, eppure, all’idea di non vederla
più dopo la laurea, non
poteva fare a meno di provare una certa angoscia.
Da
quando aveva compreso ciò che gli stava suggerendo il cuore,
tutto era
diventato più difficile. Fingeva indifferenza quando la
incontrava nei
corridoi, cercava di controllare gli elogi dopo un intervento
particolarmente
soddisfacente, e mentiva a se stesso sulle reali motivazioni
che lo spingevano a
sostare in giardino prima e dopo il termine della lezione.
Un
uomo di scienza come Wilfred Harvey si era abituato nel corso degli
anni a
tenere assopite le emozioni e a far prevalere la ragione. Non avrebbe
mai
tentato nemmeno di offrirle un caffè ai distributori
automatici: era una questione
di principio. Si sarebbe mantenuto distaccato e avrebbe continuato a
rapportarsi con lei con il tono professionale che riservava a tutti gli
studenti del corso.
Innamorato
di una ventiduenne che poteva essere sua figlia!? Proprio
lui, che
ormai era sulla soglia dei sessanta!
Sentiva
che quei sentimenti non gli si addicevano, per cui cercava in ogni modo
di
soffocarli. Si sentiva vecchio: un uomo prossimo alla pensione, con i
capelli
grigi e il volto segnato dal tempo, non poteva permettersi di
immaginare il proprio futuro
con una ragazzina. E poi, se la gente avesse saputo...
2. Note
amare
Circondato fra le braccia
dell'ateneo, il
giardino del dipartimento era un terreno di circa tremila metri quadri
cosparso
d’alberi piantati senza alcun particolare schema. Una
manciata di panche di
legno erano disposte qua e là, le più raggruppate
a tre, poche altre solitarie collocate lungo il perimetro. Da un po' di
tempo, Wilfred Harvey arrivava in anticipo di mezz’ora
dall’inizio della sua lezione e attendeva seduto su
una di quelle più
appartate. Terminato l’insegnamento, se Ria si attardava un
po'
nei dintorni, lui tornava lì e la spiava segretamente,
fingendo
di leggere un libro.
A
Ria non piacevano le giornate troppo soleggiate; sceglieva ogni volta i
posti
più in ombra e, quando non era in classe,
indossava sempre occhiali
con le lenti oscurate, persino se pioveva. Inoltre doveva
essere una tipa piuttosto
freddolosa, perché – da che lui avesse memoria
–
l’aveva continuamente vista con le mani coperte, anche ora
che la bella stagione stava mitigando il
clima.
Ogni settimana indossava guanti di diverso colore;
li
toglieva solo per indossare quelli in lattice del laboratorio.
"D’altronde le
personalità geniali sono anche le più
eccentriche", pensava Wilfred. Ed era
anche per questo che le piaceva. Amava tutto di lei: il suo aspetto
fisico, il
suo carattere enigmatico, il suo essere appassionata durante le
spiegazioni e
pronta a intervenire con entusiasmo.
Anche
quel giorno Ria si era accampata nel posto più ombreggiato
del giardino, mentre il professore sostava qualche panca più
in là, fingendo indifferenza. Nell’edificio che
ospitava i laboratori di
chimica qualcuno
aveva acceso la radio: dalla finestra spalancata una
musica dance remixata si spandeva all'esterno. Solo i colleghi di
chimica potevano avere un
tale senso
dell’umorismo: portare la radio dove già
c'era un suo omonimo sotto il numero 88 della tavola periodica degli
elementi.
Un gruppetto di ragazze scese la scala antincendio
seguendo il ritmo della melodia, attraversò il giardino, ed
entrò in un'altra ala dello stabilimento.
Per
essere
primavera la temperatura sembrava quella di una giornata estiva. Ria
indossava
vestiti succinti: una maglia molto scollata che le lasciava scoperte le
spalle, un paio
di leggings a pinocchietto e guanti bianchi con risvolti in pizzo. Il professore la osservava
con prudenza, assaporando quell'atmosfera così particolare
che si era
venuta a creare.
La
musica remixata proveniente dal laboratorio terminò
lasciando posto
alla successiva, Undisclosed
Desire dei Muse. A Wilfred sembrò
che le parole della canzone gli stessero
suggerendo qualcosa – che
parlassero della sua situazione.
Ad un certo punto Ria tolse gli occhiali, se li
portò sulla testa e abbandonò la panchina. L'uomo
calò
prontamente lo sguardo sul libro che teneva in mano, evitando per un
soffio di incrociare lo sguardo
della giovane che aveva iniziato a muoversi verso la sua direzione.
«Buongiorno
prof, di cosa parlerà oggi?»
In
piedi davanti a lui, Ria lo indagava con sguardo curioso
giocherellando
con una ciocca di capelli biondi tra le mani, gli occhi visibilmente
disturbati
dalla luce.
«Svolgeremo
un
esperimento pratico. Abbiamo l’autorizzazione per esaminare
dei resti.»
Ria
sembrò entusiasta dell’idea. Stava per parlare di
nuovo, ma fu di colpo
attratta dalla musica proveniente dal laboratorio vicino.
«Questa
è una delle mie canzoni preferite», ammise lei,
senza che Wilfred le chiedesse nulla.
«È curioso come una melodia
possa riportare in superficie certi ricordi sepolti. Sono solo onde:
l’aria che si
comprime e forma questa cosa invisibile che possiamo udire»,
sospirò lievemente.
Wilfred
non disse niente, tormentato nell’animo da quella inaspettata
vicinanza; la
situazione era già andata troppo oltre per i suoi gusti.
Alla fine si schiarì
la voce e, con un tono forse un po’ troppo aspro, si rivolse
nuovamente alla giovane: «La lezione di oggi potrebbe essere
piuttosto
scioccante per te.»
Lei
scoppiò in una risata rumorosa facendogli venire un colpo.
«Scusi
prof», cercò di ricomporsi,
ma un sorriso benevolo continuava a colorarle il volto, facendo sentire
l'uomo ancora più vecchio e inadeguato. «Quando ho
scelto
di studiare paleopatologia
sapevo che avrei dovuto analizzare dei cadaveri. Ho visto cose
peggiori», concluse.
E nell’istante immediatamente successivo si
rabbuiò, pentita di
quell’inopportuna confidenza.
I know you’ve suffered
But I don’t want you
to hide
It’s cold and loveless
I won’t let you be
denied
3. Un deserto tra noi
Nel
deserto del Gobi la temperatura oscillava da un massimo di
+40°C
a un minimo di
-40°C. Il terreno arido e il clima, caratterizzato da
escursioni termiche
proibitive, impedivano qualsiasi tipo di coltura. Il luogo, abbarbicato
su un
altopiano, era tanto disagevole che nessun occidentale con un minimo di
buon
senso avrebbe mai avuto la brillante idea di trasferircisi. I pochi
nomadi che popolavano
la zona compivano le loro abituali traversate sul dorso di cavalli o
cammelli.
Gli studiosi in missione di ricerca, invece, preferivano affittare un
fuoristrada a trazione integrale per raggiungere i siti archeologici
più
interessanti: così aveva scelto di muoversi anche la squadra
diretta dal
professor Wilfred Harvey.
La
sua vita si divideva tra ricerca sul campo e insegnamento
all’università. Per
quattro mesi soggiornava in una tenda nel deserto del Gobi, per altri
quattro
in una città piena di comfort dove, per guadagnarsi da
vivere, teneva un corso di
paleopatologia nell'ateneo più importante della regione.
Durante il
rimanente periodo estivo restava a
casa a deprimersi, solo.
Gli costava molto
ammetterlo, ma si era
abituato anche all’assenza di sua moglie, strappata a lui da
una malattia
incurabile sei anni prima. Non aveva figli che la domenica
potessero andare
a fargli visita, e l’unica cosa che lo faceva andare avanti
era il suo lavoro.
Era felice di insegnare e di poter stare a contatto con i suoi giovani
allievi,
ora più che mai.
Il
periodo estivo, tuttavia, significava distanza. Ria abitava a
più di duecento
chilometri da lui, per cui, anche volendo, non avrebbe potuto andare a
fare un
giro nei dintorni con la speranza di incontrarla per caso. Gli
mancava
la sua
voce che gli poneva qualche domanda, e ricordava con nostalgia il
giorno in cui
si erano scontrati davanti all’entrata della biblioteca:
l’inaspettata
agitazione che lo aveva colto, quando le mani guantate di Ria avevano
fatto
pressione sul suo petto per evitare di cadere, era ancora molto vivida.
Mentre lui stava per entrare, lei aveva spalancato la porta e si era
riversata all'esterno in tutta fretta, cadendo letteralmente tra le sue
braccia.
«Oddio!
Mi scusi tanto professore! Sono in ritardo per la lezione di chimica
del
restauro»,
aveva detto scostandosi immediatamente da lui e correndo via.
«A
domani!», le aveva risposto Wilfred con un sorriso.
Ripensando a quell’episodio
durante la giornata, si era sentito uno sciocco: così,
semplicemente per essersi
creato l’aspettativa che il giorno seguente lei sarebbe
venuta al suo corso
perché gliel’aveva detto lui.
Era stato in quel
preciso momento che aveva pensato al deserto del Gobi come a
un
rifugio. Per quanto quella lontananza forzata lo tormentasse, era
convinto che più chilometri avrebbe messo tra
le loro vite, più
facilmente sarebbe riuscito a rassegnarsi al fatto che un giorno non
l’avrebbe
più rivista. Mancavano solo quattordici mesi alla laurea, e
Ria aveva già espresso la volontà di averlo
come relatore. Con rammarico si era visto costretto a respingere la
richiesta, tirando fuori il
primo
pretesto disponibile. Perché tra
tutti i professori Ria aveva scelto proprio lui? Che in
realtà provasse un
po’
d’ammirazione nei suoi
confronti?
Il
deserto del Gobi, quella terra desolata lontana dal mondo civile, era
l’unica
possibilità che aveva di uscire da quella
situazione. A cinquantanove anni sapeva che avrebbe dovuto
smetterla di organizzare missioni in terre inospitali e irte di
pericoli,
eppure continuava a farlo, come a voler sfidare il tempo che gli aveva
ingrigito i capelli e gli aveva portato in dono rughe e acciacchi. Solo
gli
occhi erano rimasti gli stessi, quelli scuri e intensi di quando era
ragazzino,
ma lui non se ne rendeva conto. Si sentiva vecchio, e allo specchio non
vedeva altro
che i segni dei suoi anni. Quel luccichio che ancora si nascondeva
nello
sguardo, rivelando la presenza di qualche sogno segreto e la
curiosità di scoprire
nuovi tesori, quello, lui non lo distingueva più...
Mai
avrebbe immaginato che quella ragazzina avrebbe fatto domanda per
entrare nella
sua squadra di ricerca. Sulle prime aveva cercato di protestare
pacatamente con
il rettore, ma
infine si era
visto costretto ad arrendersi. Che
razza di genitori irresponsabili doveva avere! Se fosse stata sua
figlia, Wilfred non l'avrebbe mai lasciata partire per un luogo tanto
lontano e impervio.
L’equipe
di studiosi era formata da nove individui provenienti dalle migliori
università
del mondo: Wilfred era il più anziano e Ria la
più giovane.
Il
professore era conscio del motivo per cui era
costretto a condividere la stessa tenda con lei: quella geniale
testolina
bionda di Ria Norrel nascondeva l’ambizione di una laurea con
lode e
competenze extracurricolari
da aggiungere alla sua già impeccabile carriera scolastica.
Eppure… eppure Wilfred
Harvey non smetteva di pensare che sotto sotto ci fosse anche
un’altra ragione.
4. La notte più gelida
Avevano
sistemato le tende e la strumentazione nei pressi di alcune antiche
tombe, a
circa quindici chilometri da Jiayuguan[1]. Sarebbero rimasti in mezzo
al nulla per quattro mesi, ma ogni due settimane qualcuno sarebbe
andato
in città per comprare rifornimenti, e il soccorso
satellitare era attivo ventiquattr'ore su ventiquattro in caso di
emergenza.
Almeno
per la prima settimana, i giorni si susseguirono in modo lineare e le
notti
trascorsero tranquille.
Al calare del sole del
tredicesimo giorno Wilfred Harvey si sorprese a
pensare a come quel genere di lavoro, dopo tanti anni, continuasse
ancora a dargli
grandi
soddisfazioni. Disseppellire un cadavere di una certa importanza
storica,
studiarlo e cercare di capire la storia e lo stile di vita dalla
composizione delle ossa, lo rilassava:
un paradosso, questo,
generato da certe menti complicate, come la sua.
Verso
le otto di sera si era alzato un forte vento freddo da nord e,
nonostante la
luce fosse ancora buona, la squadra aveva dovuto abbandonare il campo
prima del
previsto.
Dormivano
tutti nella stessa tenda per non sfidare la termodinamica:
più
persone compresse in un piccolo spazio, voleva dire più
calore. E quando fuori
la temperatura può raggiungere i -40°C non si
è mai troppo stretti: gli spazi
personali ad un certo punto diventano spazi comuni e si impara a
convivere
serenamente.
Era
notte fonda quando Wilfred sentì un fruscio di passi incerti
tra il sibilo del vento che scuoteva la tenda. Su un
primo momento pensò si trattasse di uno dei ragazzi che si
alzava per andare in
bagno ma, qualche istante dopo, la voce di Ria vicino
all’orecchio smentì la
sua ipotesi.
«Professore»,
bisbigliò la ragazza, con il tono insicuro di chi cerca di
nascondere un certo
imbarazzo per ciò che sta per chiedere. «Sta
dormendo?»
«Ora
non più», rispose gentilmente Wilfred rintanato
nel tepore del sacco a pelo. «Che cosa
c’è?»
«Il rumore
del vento mi disturba», rispose.
L’uomo
aprì gli occhi e girò la testa di lato in cerca
del viso di lei: era buio
pesto e l’unica cosa che gli parve di riconoscere fu una
sagoma indefinita
accucciata lì accanto. Se la immaginava seduta a
gambe
incrociate con lo sguardo perso in un punto imprecisato.
«Prof, secondo lei... quanto
è grande l’universo?»
«Infinito.»
«Come
lo sa?»
«Lo
so perché tutti i dati lo confermano.»
«Ma
lei ne ha le prove?» Ria si mosse e sfiorò per
sbaglio un braccio dell'uomo.
Quel contatto inaspettato, seppure indiretto –
perché la
tela del sacco a pelo
li separava – diede a Wilfred la motivazione necessaria a
sporgere una
mano di
fuori e afferrare la lanterna spenta che aveva in parte. La accese e
regolò la
luce al minimo, poi sollevò il capo e incrociò lo
sguardo della ragazza. Gli
occhi scuri del professore – quegli occhi che non erano
invecchiati e
che ancora
nascondevano il bagliore di un sogno da realizzare e la
curiosità di scoprire nuovi
tesori – non riuscivano a sondare in profondità la
maschera
che Ria si era costruita: i suoi pensieri restavano quindi un mistero.
«No,
non ho le prove», disse infine sospirando.
«Ma
li ha visti questi dati?», insisté lei, con la
caparbietà di chi vuole sapere ad ogni costo.
«No.
Effettivamente no», ammise il prof. E avrebbe voluto
aggiungere che, in ogni
caso, non sarebbe riuscito a comprendere nulla con le basi di studio
che aveva:
lui era un paleopatologo, non un matematico, ma la stanchezza lo fece
esitare e Ria finì per riprendere la parola.
«Allora
come può essere certo che sia infinito?»
«Non
lo sono, suppongo solo sia così.»
«Mm...
Lo stesso vale per l’amore, credo», concluse la
giovane.
L’uomo
distolse lo sguardo, tormentato da mille pensieri sul significato di
quella inattesa
conversazione che aveva avuto luogo nel cuore della notte. Si chiese
dove volesse andare a parare
quella geniale testolina bionda con un discorso del genere. Che avesse
forse intuito
qualcosa?
«Torna a
dormire ora», disse secco, seppellendo la faccia
sotto l’imbottitura del sacco a pelo e cercando conforto
nell'oscurità.
"Solo un
amore impossibile può essere eterno", pensò. "Ciò che non
può essere raggiunto fisicamente, continua a vivere per
sempre nell'immaginazione. Ti amo, Ria ."
5. Epilogo
La
mattina, Wilfred constatò che il vento della sera precedente
aveva trasportato
uno spesso strato di sabbia davanti all’entra della tomba che
avevano aperto per
studiare.
«Se
il tempo non fosse peggiorato, ieri avremo già potuto buttar
giù qualche
ipotesi sull’identità del corpo», disse
Ria, osservando da dietro il prof la
grande porta rettangolare scavata nella roccia. «Speriamo
almeno che il sarcofago
non abbia subito
danni.»
«Possiamo
tentare subito un’analisi», rispose lui.
«Mi serve qualcuno di bravo che venga
con me.»
«Vado
a chiamare Xavier?», domandò la ragazza.
Il
professore si girò a guardarla. Avrebbe dovuto dire che
Xavier era proprio
colui che aveva in mente, ma sarebbe stata una bugia,
l’ennesima. E, poiché era
ancora tormentato da ciò che aveva vissuto la sera prima,
cedette.
«Veramente,
in questa squadra non conosco nessuno di più bravo di Ria
Norrel», disse,
abbandonandosi per la prima volta a una confessione che finalmente
sapeva di
verità.
La
giovane sorrise entusiasta e precedette l’uomo
all’interno del cunicolo.
Wilfred la
osservò mentre camminava vicino
alle pareti della camera sepolcrale in cerca di un qualche indizio che
rivelasse l’identità del defunto. Nell’ombra
sembrava più a suo agio.
Il
professore si avvicinò al sarcofago in pietra,
già
scoperchiato il giorno prima, e
richiamò l’attenzione di Ria con un gesto della
mano. Assieme sollevarono la seconda copertura
in legno.
«Sembra
essersi mantenuto bene», fu l’osservazione della
ragazza. Subito dopo realizzò
che il suo commento poteva essere interpretato in modo ironico. Non
si poteva di certo dire che la
mummia avesse un
bell'aspetto: aveva la pelle annerita
e
rattrappita, le orbite degli occhi incavate e le labbra consumate
lasciavano scoperta una fitta dentatura.
«Magari
tra mille anni avessi anch’io un colorito così
sano», scherzò Wilfred.
Ria rise e lui poté bearsi di quel suono cristallino
amplificato dall’eco delle pareti. Si rese conto allora che
adorava farla ridere e prese in considerazione l'idea di lasciarsi
andare più spesso a qualche battuta.
«Saresti
già in grado di fare una prima analisi?», chiese,
tornando a recitare la parte
del professore serio e distaccato.
«Direi
che non è morto di morte accidentale. Sospetto trauma
cranico,
forse a seguito di
una caduta», convenne la giovane. Poi i suoi occhi notarono
quello che il
cadavere teneva tra le dita scheletriche e ammuffite: la punta di una
freccia
decorata con quello che sembrava a tutti gli effetti un sigillo
imperiale.
Fece
per allungare la mano, ma esitò e volse lo sguardo verso
Wilfred. «Posso?»,
chiese incerta.
In
quel momento Wilfred notò che la ragazza non indossava i
guanti: per la prima
volta da quando l’aveva conosciuta poteva vedere le sue mani,
piccole e delicate, con dita sottili e unghie curate. «Tocca
solo il
reperto e fa molta attenzione:
l’umidità della tua pelle potrebbe rovinare i
resti.»
Le dita della ragazza sfiorarono appena un bordo tagliente della
freccia: sembrava che
qualcosa la trattenesse dal prenderla e non si trattava certo di paura o disgusto.
«Professore,
devo confessarle una cosa», disse infine tutto d’un
fiato.
«Non
devi vergognarti, è normale che ti faccia
impressione», rispose lui credendo di
sapere ciò che Ria voleva dirgli.
La
ragazza sbuffò e si guardò intorno.
«Non so se faccio bene a dirglielo, ma in
fondo sento che posso fidarmi.» Prese un respiro profondo e
poi continuò: «Io riesco
a percepire la storia.»
Wilfred
si sentì confuso, un po’ perché Ria gli
aveva appena detto di provare fiducia
nei suoi confronti e un po’ per quella strana dichiarazione.
«Cosa
intendi dire?»
«Se
tocco un oggetto molto antico posso vedere il suo passato. Lo so che
sembra
folle.»
Il
professore, che era un uomo estremamente razionale, cercò
come al suo solito
una giustificazione: «Probabilmente sei una persona molto
sensibile e credi
di
sentire, ma…» si bloccò, colpito
dall'espressione grave che Ria aveva assunto.
Con un gesto di sfida, la ragazza afferrò con decisione la
punta della freccia, pronta a dare
una dimostrazione pratica delle sue capacità. Il suo sguardo
divenne subito
vitreo, poi cadde in ginocchio tra la sabbia scossa dai brividi e
respirando affannosamente. In un primo momento, Wilfred, spaventato, le
si chinò accanto senza saper bene cosa fare... La ragazza
stringeva in modo convulso il reperto rischiando di tagliarsi;
così agì d'istinto e la cinse con un braccio,
mentre con la mano libera cercò di strapparle l'oggetto.
Esercitando una certa forza riuscì a toglierle la punta
della
freccia
dalle mani e a gettarla lontano.
«Va
tutto bene?», chiese quando la crisi sembrò
essersi
attenuata.
«Era
un personaggio importante», inizio lei, «un
soldato d’alto rango che godeva della fiducia del suo leader,
Temujin[2].
Non concedeva misericodia a nessuno ed era spietato anche con i
più deboli.»
Indicò la parete di fronte con un cenno del capo. «Ha
fatto murare vive le sue tre concubine...»
«Va bene, ti
credo, non ti sforzare troppo», la interruppe Wilfred
preoccupato che potesse avere una ricaduta. I due si
fissarono per qualche secondo senza proferire parola.
«Non
lo racconterà a nessuno?», chiese Ria, rompendo il
silenzio, improvvisamente
allarmata.
«Quando l’hai scoperto?»,
replicò Wilfred ignorando la sua
domanda.
«Da piccola avevo un cane. Un giorno l’ho
trovato morto
e accarezzandolo ho scoperto che era stato avvelenato. Fu un'esperienza
terribile... La scelta di
studiare paleopatologia potrebbe sembrare un controsenso, eppure credo
che non
potrei fare altro. Questo dono è anche la mia
maledizione.»
Il professore non aveva smesso di guardarla per un instante,
desiderando
di poter fare qualcosa per scacciare via tutte le sue preoccupazioni e
sofferenze.
«Ora toccherebbe a lei», continuò Ria.
«Io le ho raccontato
il mio segreto, ora può dirmi il suo.»
«Non ho nessun segreto», rispose lui conciso.
«Tuttavia... i suoi occhi dicono il contrario»,
insisté lei.
Wilfred sentì il contatto
caldo con la pelle liscia della ragazza che aveva intrecciato le esili
dita con
le sue. Ora sì che sarebbe stato
difficile negare l'evidenza.
Glossario:
1- Jiayuguan
(嘉峪关 Jiāyùguān):
si trova non lontano
dalle
grotte di Mogao vicino all'oasi di Dunhuang ed è
la fortezza più estrema della muraglia cinese,
oltre che la testimonianza artistica meglio
preservata dello sviluppo del Buddhismo in suolo cinese.
2-
Temujin (铁木真 Tiĕmùzhēn):
nome
di nascita di Gengis Khan.
Note autore
Il
dialogo sull'universo presente nel quarto atto, è
una
traduzione
un po' rielaborata dello scambio di battute che avviene all'inizio di
questa melodia ambient glo
& unforseen - infinite.
L'abilità di Ria, nello studio dei fenomeni parapsicologici,
viene definita psicometria.
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