- Autore: -Mistake- (A_lone_sinner sul sito)
- Titolo: Lights will guide you Home.
- Fandom: Originale.
- Pairing: AndreaXDanilo.
- Pacchetto: Di ricordi appannati e sorrisi stanchi.
- Prompt: b) Fix You - Coldplay - Tetto - Giornale - Camino
- Genere: Real life.
- Warnings: Ricordi, angst, trauma, attacchi di panico,
relazione passata.
- Rating: R.
- Capitoli: One Shot
- Parole: 1668.
- Note: Per il compleanno di una persona speciale. Spero che
mi perdonerà il ritardo, ma lo sa che sono una pigra di
prima categoria. Ti voglio bene, Cucciola.
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Lights will guide you Home.
“Nulla si crea, nulla
si distrugge, tutto si trasforma.”
- Antoine-Laurent de
Lavoisier
“Ciao Andre,
ti scrivo per parlarti di noi.
Sei stampato nella mia memoria come un'anima vera, di quelle
capaci di piangere con te solo perché stanno male nel
vederti giù di morale. Rimembro ancora le nostre
chiacchierate alle tre di notte su quale canzone fosse più
triste, o quale ragazza avesse le bocce più grosse. Rido
ancora a pensarci... Ora, chiuso tra queste quattro mura bianche,
circondato dal silenzio e con come ultima compagna la mia chitarra
acustica, ti ricordi? Quella verde smeraldo con le fiamme argento...
Esatto. Quella che mi regalasti per il mio diciannovesimo compleanno.
Chiuso qui con la mia chitarra, non faccio altro che suonare, scrivere
e ricordare. Ricordo di me e te, delle risate, dei pianti, delle tazze
di caffè. Mi chiedo se tu
ricordi di me,
e non del semplice corpo che ti ha amato. Spero che tu ti ricordi dei
miei difetti, delle cose che più ti facevano incazzare,
delle urla, delle botte, dei lividi che ci lasciavamo. Il mio corpo
è ancora mappato grazie alle sottili cicatrici che mi hai
lasciato, i tuoi denti, le tue dita, piccoli spettri di tocchi che non
se ne andranno mai veramente, sono passati mesi, ma sei ancora qui. Nei
miei sogni, ogni notte, a dirmi “Andrà tutto
bene.” Non voglio svegliarmi. Ho paura di svegliarmi. Mi
perdonerai mai? Eri la cosa più importante della mia vita.
Le sensazioni che mi provocavi, quando mi baciavi, quando mi sfioravi
anche solo per caso, mentre affondavi in me, mentre mi prendevi in ogni
modo, mentre mi salvavi da me stesso. Ogni tanto andavi via, sparivi
per un po', ci stavo male, ma poi tornavi sempre. Forse avrei dovuto
capire da tempo che non facevi per me, che eri irraggiungibile, ma
l'amore è cieco. Mi facevi impazzire, ho stravolto la mia
vita per te. Tutti mi dicevano di andare via, ci ho anche provato, ma
ti sei spezzato davanti ai miei occhi. Proprio astuto da parte tua, mi
hai usato fin a questo punto. Io ero lo stronzo di turno, quello con la
maschera di ghiaccio e tu eri il bello, dolce e carino, quello che
tutti avrebbero voluto al loro fianco. Il problema stava nel tuo essere
un bambino. L'eterno indeciso. Io o lei? Entrambi.
Forse quando ti consegneranno questa lettera sarò
già guarito
e mi avranno ridato la normalità.
E rideranno, convinti di avermi aggiustato. Sono io che rido di loro,
poveri illusi, ipocriti senza speranza. Non vedono l'ingranaggio
inceppato nel loro ragionamento? Chi lo sa...”
Una penna cade a terra, la mano abbandonata lungo il fianco, le unghie
non curate, mangiucchiate solo sulla mano sinistra, ancorate alla
tastiera, premevano sulle corde lerce un semplice giro di Do. Con il
plettro tra i denti, Danilo osservava il muro. Improvvisamente, con uno
scatto riprese a suonare, in loop, le stesse quattro note Do, Mi, La,
Sol, ad occhi chiusi, dondolando la testa avanti ed indietro. I fogli
si sparpagliarono quando si mosse, i suoni lentamente si scordarono. A
notte fonda erano solo uno stridio.
“Caro Andre, oggi mi hanno detto che mi hai mandato un regalo.
Non vogliono darmelo. Hanno paura che proverei a fare qualcosa di
strano con esso. Lo stanno analizzando, dicono. È un
peluche, vero? Mi piacevano tanto i tuoi peluche morbidosi. Li tenevi
tutti sul letto. Sembravi un dio greco mentre dormivi in mezzo a tutti
quegli animaletti colorati. Ma il mio preferito era quel lupo grigio
con gli occhi azzurri. Dicevi che mi assomigliava, che ti faceva
sentire protetto. Ieri è arrivato un ragazzo nuovo, nulla
che possa competere con te, non preoccuparti. È simpatico,
si chiama Luca. Le ha viste tutte, mentre eravamo sul tetto, oggi ho
dimenticato la giacca. Continuava a fare domande e gli ho dato un
pugno. È volato contro la ringhiera. Ovviamente ci sono le
reti, non vogliono che nessuno faccia nulla di stupido. A qualcuno di
noi piacerebbe volare… e loro non lo permettono a nessuno.
Però ci chiamano angeli… e se lo siamo,
perché non lasciarci spiccare il volo? Forse abbiamo le ali
rotte. E tu? Le tue ali come stanno? Il tatuaggio sul tuo polso, come
sta? Mi dispiace di non poterlo baciare davvero ogni sera, come ti
avevo promesso di fare. Ho paura di non riuscire più a
vederti chiaramente, vorrei che la luce mi guidasse a casa, ma non
riesco a seguirla. Vorrei scrivere di più, ma mi fanno male
le mani. Sempre tuo.”
Poggiò la penna sui fogli, si accarezzò il viso
con le mani fasciate,aveva suonato così tanto da aprire la
pelle delle dita, i segni verticali che combaciavano con tutto il
resto. Era sempre vestito di bianco, ma aveva smesso di prendere le
pillole. Doveva stare attento, se Carlotta se ne fosse accorta, di
certo lo avrebbe riportato nella stanza della felicità. La
odiava, perché li dentro non poteva suonare e doveva
ingoiare tante capsule blu. L’unico blu che gli piaceva era
quello del cielo, perché gli ricordava gli occhi di Andrea.
Voleva baciarlo, toccarlo, stringerlo a sé e accarezzare
ogni picco ed ogni valle di quel corpo. Baciare piano
l’inchiostro che ne decorava i polsi, la schiena e le gambe.
Ricoprirlo di attenzioni, adorarlo, farlo godere in ogni maniera
possibile e nutrirsi dei suoi suoni, di ciò che la sua
lingua avrebbe raccolto, che le sue dita avrebbero esplorato. Voleva
tracciare ancora quella mappa familiare sulle sue lentiggini rosse,
mentre affondava le mani nei suoi capelli. Si sarebbe poi lasciato
capovolgere e battere nel gioco, si sarebbe lasciato prendere, sempre
pronto ad accoglierlo.
Quella sera venne in fretta, tra un ansimo di piacere e uno di dolore,
con l’elastico dell’intimo che gli costringeva la
pelle. Quando si guardò le mani, il bianco delle bende era
sporco di nuovo di rosso. Tutto si bloccò. Tutto
cessò di battere. Stette per quelle che parvero ore senza
respirare, poi il suo respiro accelerò di botto. Si prese la
testa tra le mani, sentiva il sangue scorrere nelle proprie orecchie,
tagliò fuori ogni altro suono. Ascoltò il battito
irregolare, una clessidra infranta che manda giù troppi
granelli alla volta.
Un urlo disumano squarciò la notte e, animalesco,
cominciò a prendere a pugni tutto ciò che gli
capitava. Si ferì le mani e le braccia con i cocci di una
lampada.
Si afferrò le spalle con le mani stringendosi.
Cadde in ginocchio.
Pianse.
“Ciao, Andre. È da un po’ che
non scrivo, lo so.
Ma ho avuto un piccolo incidente e mi hanno proibito di fare qualunque
cosa senza essere sorvegliato. Non volevo che loro leggessero le nostre
parole, sono private. Solo mie e tue. Sono stato ancora sul tetto. So
che saresti geloso, ma davvero, con Luca non faccio altro che parlare.
Ci piace stare a guardare le nuvole, e raccontare storie. Le mie storie
ti piacevano… non mi capacito che non posso più
stendermi con te davanti al camino, a lasciarti sonnecchiare tra le mie
braccia, mentre al posto di guardare programmi trash, ti facevo sognare
solo con la mia voce. Amavo le tue guance, che arrossivano se entravo
nei particolari delle mie storie, specie se coinvolgevano due
principesse. Sei sempre stato così timido. Oggi Carlotta mi
ha portato delle nuove pillole, queste sono rosa e sembrano di
plastica. Ho tanto sonno da quando le ho prese, ma se chiudo gli occhi
riesco solo a vedere il tuo viso, la tua espressione di quella sera.
Come i guardavi con gli occhi sbarrati, come guardavi le mie mani
rosse. Come quei capelli neri cos’ diversi dai miei e dai
tuoi erano sparsi sul cuscino. Le lenzuola crema rovinate… e
il tuo bellissimo viso, angelo mio. Sempre il tuo bellissimo viso. La
tua pelle bianca, i capelli rossi. Nemmeno fosse la testata insistente
di un paparazzo accanito su un giornale di gossip.
Magari quell’articolo lo avresti scritto proprio tu, lo so
che sogni di diventare giornalista… Oh, amor mio,
già ci posso immaginare, in un caffè alla moda
parigino, tu e la tua macchina fotografica, penna azzurra e un taccuino
di pelle nera spirelato. E io, che ti osservo dietro il mio caffelatte,
mentre scribacchi qualcosa sull’ultimo articolo da pubblicare
e mi parli di come il tuo nuovo capo sia pieno di sé. Non ti
piacerebbe, amore?
Scrivere per un giornale, vivere assieme, venire ai miei concerti la
sera? Che vita perfetta potremmo avere. Sei ancora mio?
Perché io sono tuo. Lo sono sempre stato.
Forse questa è la mia lettera più lunga fino ad
ora, ma sento finalmente la luce che mi parla. So che ormai abbiamo
perso tanto, e spero di imparare dai miei errori.
Sto venendo da te, amore.
Le luci mi riporteranno a casa… e aggiusteremo
tutto.”
Dietro ad una porta, un’infermiera con la faccia rotonda e
rosea, le guanciotte da bambina e i capelli raccolti in un alto chignon
castano e un bicchierino di pillole in mano, osservava la scena con
preoccupazione. La chitarra era in pezzi, in un angolo, e lui, il
paziente numero 19, era al centro, a gambe incrociate, con le spalle
rivolte verso la porta. Era circondato da innumerevoli fogli e ritagli
di giornali. Deglutì forte, e spinse. Entrò nel
bianco abbacinante della stanza, e appena si avvicinò un
suono strozzato uscì dalla sua gola, mentre le pillole si
rovesciavano e la mano correva a coprire la bocca.
Il paziente numero 19 era immobile, un sorriso stanco sul volto, segni
delle lacrime sulle guance e gli occhi grigi appannati da una patina di
ricordi. E un mare di sangue davanti, che usciva dai polsi ancora
lacerati. Come fosse riuscito a farlo con delle vecchie corde di
chitarra, nessuno riuscì a spiegarselo, ei mesi che
seguirono.
Quando l’infermiera, il cui cartellino diceva Carlotta F.,
raccolse tutti gli scampoli di carta, i fogli e le lettere,
notò un foglio diverso da tutti gli altri. Era quello in
condizioni peggiori, grigiastro e macchiato. Era il ritaglio della
prima pagina di un quotidiano della zona, datata pochi mesi prima.
La testata, spietata, diceva: “GIOVANE
TRUCIDA COPPIA DI RAGAZZI.”
-
опять в твою любовь поверю...
Как бы не так. Такой чудак.-
Старый пиджак, Булат Окуджава
( - I'd think again you love me dear...
But that won't be. He's odd you see! -
Old Jacket, Bulat Okudzhava)
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