Nella notte di Taipei risuonò un
boato, seguito da una grande esplosione. L’evento aveva
avuto luogo nel sotterraneo del palazzo, ma la reazione
a catena era stata tale che aveva coinvolto anche gli altri piani, distruggendo
l’intero edificio.
Sark, dal tetto di un altro
palazzo, osservò la scena con un binocolo, estremamente
soddisfatto.
La CIA non avrebbe potuto far
altro che mangiarsi le mani, ma il risultato finale era
che loro avevano ottenuto le informazioni, e gli altri no.
Loro.
Gli piaceva il suono di quella
parola.
“Ti è piaciuto?”
“Incredibile” mormorò Lara,
mettendo in borsa il proprio paio di binocoli. Poi si avvicinò, togliendo di
mano a Sark i suoi e poi baciandolo. “Se me lo fossi perso non credo me lo sarei perdonato.”
“Derevko e Sark 1, CIA
0.”
Sark era stata la prima faccia
che Lara aveva visto una volta finiti i due mesi di
reclusione. Quando la porta si era aperta e lo aveva
visto lì di fronte a lei, d’istinto lo aveva abbracciato, felice di non essere
sola. Non si aspettava che lui ricambiasse il gesto, almeno non come fece. La
strinse tanto forte che Lara ebbe paura le rompesse
qualche costola, come se fosse l’unico appiglio a cui potesse aggrapparsi.
Sciogliendosi dall’abbraccio lo aveva interrogato con gli occhi, ed era stato in
quel fondo di tristezza nei suoi occhi che trovò la
risposta.
Si era sempre domandata perché
Mary non fosse mai venuta a trovarla in quei due mesi di prigionia al limite
dell’isolamento, ma si era detta che probabilmente
aveva ricevuto una promozione e che forse si trovava a Taipei, a dirigere il
reparto tattico del nuovo centro di comando come meritava. Non avrebbe mai
pensato che la sua amica in realtà fosse morta. Morta
durante il suo periodo di custodia da parte della CIA, e lei lo scopriva solo in
quel momento. Ricordava che una volta a casa aveva pianto fino a addormentarsi
dallo sfinimento, e per tre giorni era rimasta sul letto, senza bere o mangiare,
fissando il soffitto. Mary era stata come una sorella, l’amica che l’aveva
aiutata ogni volta che cadeva durante un incidente di percorso… e ora la casa
che dividevano sembrava così grande e vuota senza di lei. Era stato Sark a
trovarla in quello stato catatonico. Le aveva mollato uno schiaffo talmente
forte che l’aveva fatta cadere a terra, e afferrandola per le braccia le aveva
ricordato a chiare lettere che non era l’unica a
soffrire. Da quel dolore comune era nato un legame, che rapidamente era passato
da amicizia ad amore. Mary ne sarebbe stata felice: non era un mistero che
sperava che la sua migliore amica e il suo fratellone decidessero di mettersi insieme.
Si erano presi del tempo fuori
dell’agenzia, dove non avevano fatto altro che parlare di loro e vivere
nell’illusione di essere solo Lara e Julian, e non un sicario e un’operativa di
un’organizzazione terroristica. Quando il mondo esterno fece breccia nel loro
mondo sotto forma di una telefonata di Irina da Taipei,
fecero i loro bagagli e partirono. Ancora non avevano deciso se era il caso di
nascondere la loro relazione o no, ma una volta sul luogo decisero che il problema non si poneva. Irina era il capo
indiscusso, Khasinau non era più neanche un ricordo, e Lara e Sark non avevano nulla da temere mostrando apertamente il loro legame.
Lara dopo il suo periodo di punizione era stata reintegrata completamente nel
suo status, e aveva ripreso la sua ricerca su Rambaldi
che fino a quel momento era andata abbastanza a rilento. A volte però non
disdegnava qualche missione di sabotaggio insieme al suo fidanzato, ed allora
nessuno riusciva a fermarli. Proprio come quella notte.
“Abbiamo altro da fare,
stasera?”
“Qualche idea?” sorrise Lara,
ancora tra le braccia di Julian.
“Io, te, casa mia, una bottiglia
di vino…”
“Julian Andrew Sark, non starai
cercando di sedurmi?”
“Veramente quello lo avevo messo in programma dopo la bottiglia di vino, ma se
insisti potrei anche metterlo prima...”
Lo squillo del cellulare di Lara
interruppe l’atmosfera creatasi tra loro. Lara stralunò gli occhi e rispose. Si
trattava di sua madre.
“Ciao mamma, che c’è?”
“Che
c’è? Ho interrotto qualcosa forse?”
Era strano come tutto tra loro
era ripreso come se nulla fosse successo. Forse a qualcuno poteva essere
sembrato un atto crudele il far imprigionare la propria
figlia dopo che quest’ultima era stata sul punto di essere uccisa, ma il
mantenere il comando di un’organizzazione come quella era un gioco politico e di
alleanze che si facevano e disfacevano con facilità estrema, e che potevano
determinare la prosperità o la fine del suo impero. Non fare niente sarebbe
stata la sua fine, e Lara lo aveva sempre saputo. In
questo modo aveva dimostrato chiaramente che la sua legge era valida per tutti.
Perfino per la sua stessa figlia.
“Mi avvalgo del diritto di non
rispondere.”
“D’accordo. Comunque dì a Sark che l’operazione è andata a buon fine. La
vostra squadra di appoggio ha catturato un paio di
agenti CIA che avevano cercato di fermarci. Sarà utile
interrogarli…puoi dire a Sark di occuparsene subito?”
“D’accordo…”
Lara chiuse la chiamata, e disse
a Julian che il loro programma era appena saltato.
“Mia madre vorrebbe che tu
andassi ad interrogare gli agenti CIA che hanno catturato i nostri.”
“E
‘subito’ era implicito… Ad ogni modo non credo che ci metterò più di tanto.
Aspettami a casa e rilassati, vedrai che nel giro di tre, quattro ore sarò da
te” sussurrò prendendole il viso tra le mani e
sfiorando le sue labbra con un bacio, prima di andarsene.
Lara rimase ancora sul tetto
qualche istante, osservando il palazzo che bruciava, poi se ne
andò anche lei, diretta al loft di Sark.
Se lui diceva che ci sarebbe voluto poco, ci sarebbe voluto poco.
Come dire, il suo fidanzato era estremamente persuasivo
quando si trattava di convincere a parlare la gente recalcitrante…
Una volta entrata in casa, mise
dentro al lettore un cd di musica, e tirò fuori una
bottiglia di vino che mise in fresco. Poi si allungò sul divano e lo aspettò.
Ebbe l’impressione di chiudere le palpebre per un secondo, per riposare gli
occhi, ma quando li riaprì e controllò l’orologio che portava al polso si rese
conto che all’alba mancavano sì e no due ore. Sark doveva aver trovato pane per
i suoi denti.
Lara si stiracchiò, e lisciò con
le mani la camicia e i pantaloni leggermente spiegazzati. Lentamente camminò
verso la cucina, cercando il necessario per prepararsi una tazza di caffé molto
forte.
Mentre l’acqua nella caffettiera
si scaldava, Lara andò in bagno e cercò di darsi una parvenza di ordine, spazzolando e raccogliendo i capelli sulla nuca, e
dando una sistemata al trucco ormai quasi scomparso del tutto. Guardava il
riflesso nello specchio, ma evitava di soffermarsi a fissarlo negli occhi. Era
una cosa che quasi temeva di fare. Non le piaceva guardare i suoi occhi, e
vedere cos’era diventata. Colpa di Gavrilo? Certo, ma non era tutto merito suo.
Era stata lei l’artefice del suo destino, quindi se voleva biasimare qualcuno
poteva solo biasimare se stessa. Solo
ora comprendeva appieno la decisione della madre di tenerla lontana, e
quella sorta di dispiacere nel sapere che aveva deciso di fare la sua stessa
vita. Era per questo che avrebbe lottato con le unghie
e con i denti per evitare che Katarina facesse la sua stessa scelta.
Tornò in cucina giusto in tempo
per evitare che il caffé traboccasse, e se ne versò una tazza piena godendosi
l’aroma che emanava la bevanda. Il resto lo mise in un thermos e lo mise in borsa prima di uscire. Se poi a Julian non sarebbe andato, lei non avrebbe fatto complimenti. Senza la
sua dose giornaliera di caffeina era veramente intrattabile.
Com’era diverso ora l’ambiente di
lavoro. C’era una sorta di rispetto per lei che prima non c’era, o almeno non
era così tangibile. Come d’abitudine, dopo aver controllato che nel suo ufficio
fosse tutto in ordine, andò da sua madre. Come al
solito, era intenta ad esaminare informazioni al suo computer, e completamente
assorta nel suo mondo che quasi non si accorse della presenza di Lara a pochi
passi da lei.
“Ci sono problemi?” domandò Lara,
sedendosi.
“Temo di sì. Sei già stata da
Sark?”
“Stavo per andarlo a cercare.
Ma non starà ancora interrogando quei prigionieri?”
“Quel prigioniero. Uno dei due è
morto mentre tentava la fuga.”
“Allora sta ancora interrogando
quel prigioniero? Complimenti alla CIA, li addestrano bene…”
“Crollerà prima
o poi. E ci dirà quello che vogliamo sapere. Ad
ogni modo va da Sark e digli di venire da me, dobbiamo discutere di una faccenda
importante e dobbiamo esserci tutti e tre.”
Lara annuì ed uscì dall’ufficio,
dirigendosi verso quel sottolivello che ormai conosceva fin troppo bene.
“Che
cosa posso fare per lei, miss Derevko?” domandò uno degli operativi di guardia.
Lara lo riconobbe come uno degli operativi che erano stati reclutati dalle
rovine del Direttorio K.
“Devo vedere il signor Sark.
In quale cella si trova l’agente CIA che è stato
catturato?”
L’operativo si alzò dalla sua
scrivania e condusse Lara lungo il corridoio, fino all’ultima cella.
“Grazie.”
Avvicinandosi alla porta, cercò
di ascoltare quello che Sark stava dicendo al prigioniero, ma non riusciva a
sentire chiaramente le parole. Decise così di usare il suo badge e di entrare nella stanza.
Le bastò uno sguardo per capire
che in quelle ore il malcapitato ne doveva aver passato delle belle, e non solo
per mano di Sark.
“Vacci piano. Ci serve vivo, dopotutto” disse rivolta a Sark, seduto di fronte
all’agente, legato ad una sedia metallica mani e piedi. L’uomo era svenuto, con
il volto pieno di ferite e di sangue. Anche gli abiti
erano chiazzati di sangue, e Lara indovinò che il resto del corpo non doveva
stare meglio della sua faccia.
“Ho cercato di dargli il
Penthotal, ma a quanto pare deve aver ingerito un
composto di anfetamine che ne contrasta l’effetto. Beh, non durerà in eterno, ci
riproveremo più tardi” disse Sark alzandosi in piedi e
appoggiando la sedia alla parete. “Volevi dirmi qualcosa, Lara?”
“L’Uomo ci vuole vedere subito”
disse lei, cercando di evitare di riferirsi a Irina
come sua madre. L’agente poteva anche non essere del tutto privo di conoscenza,
meglio non rischiare.
“Sentito, amico?” disse Sark rivolto all’agente, afferrandolo per i capelli per
fare in modo di poterlo guardare in faccia. “Devo lasciarti,
ma non ti preoccupare, sarò di ritorno molto presto. Pensa alla nostra
conversazione, mi raccomando.”
Detto questo uscì dalla stanza.
Lara stava per seguirlo, quando sentì una frase che le gelò il sangue.
“Salut, Nadja. Il a passé beaucoup de temps,
n’est-ce pas?”
L’agente catturato era
Vaughn.
Irina sembrava molto preoccupata
quando Lara e Sark fecero il loro ingresso nel suo
ufficio, e non cercò di nasconderlo.
“Ho ricevuto un messaggio da uno
dei nostri contatti a Los Angeles. Nigel Nottingham è stato trovato ucciso, circa una settimana fa.”
“Una settimana fa e lo veniamo a
sapere ora?”
“Non è stato aggredito in casa,
ma fuori. Sembrava un tentativo di rapina, e ogni cosa che potesse identificarlo gli è stata portata via, faccia e
impronte digitali comprese, che sono state bruciate con l’acido. Lo hanno
identificato dalle impronte dentali…”
“E il
database è veramente molto ampio” completò Lara. “Questo spiega il ritardo.”
“Inutile dire che non si è trattato di una rapina. Si è trattato di
un’esecuzione. Dobbiamo scoprire chi è stato e agire, prima che qualcuno pensi
che l’azione è partita da noi.”
“Non capisco, mamma.”
“Ti spiego” disse Sark, rivolto a
Lara. “Mentre tu eri a Bali a recuperare quel disegno,
io sono andato fuori Los Angeles per incontrare Nottingham. Un’altra asta.
Quando l’ho lasciato però era ancora vivo, e non ho
visto in giro nessuno.”
“Massima allerta, per tutti e due. Probabilmente saremo messi sotto attacco, ma
fino a quando non succederà voglio che tutto continui
come prima. C’è pur sempre la speranza di trovare il vero responsabile.”
“Assolutamente.”
“Come procede l’interrogatorio
del prigioniero?”
“Continua a negare l’affiliazione
alla CIA o a qualsiasi altra agenzia. Forse dovrei lasciarlo nelle abili mani di
Yoshigawa… magari con un paio di denti in meno l’amnesia gli passerà.”
Lara dovette fare del suo meglio
per rimanere calma. Takeshi Yoshigawa, altrimenti definito Suit and Glasses,
quando non lavorava per loro ma per l’FTL l’aveva
incatenata ad una sedia e levato un molare con un paio di pinze come se niente
fosse, solo perché si rifiutava di dire per chi lavorava. Però quando era scappata si era vendicata, dando al signore
un assaggio della sua medicina con una stretta di pinze sotto la cintura. Ora
aveva una protesi al posto del dente mancante, ma il ricordo non se ne sarebbe andato tanto facilmente. E
Sark voleva usare Yoshigawa con Vaughn…
“Io non credo. Yoshigawa mi ha
levato un dente qui a Taipei, e io ho continuato a non parlare. Anzi, sono pure
scappata.”
“Un tentativo va fatto comunque. Se non parla neanche con
lui, uccidilo.”
Lara distolse lo sguardo. Sark
non se ne accorse, e congedatosi da Lara e Irina
ritornò al suo lavoro. Lara stava per alzarsi e andare nel suo ufficio, quando
Irina la fermò.
“Che
cosa ti succede?”
“Ho visto il prigioniero. Certe
volte mi domando se ho lo stomaco abbastanza forte per
vivere con uno come Sark.”
“Io mi riferivo al modo in cui
hai reagito al sentir parlare di Yoshigawa e al fatto che avremmo potuto usarlo
con il prigioniero.”
“Yoshigawa non mi piace, e lo
vorrei vedere il meno possibile. Questo è quanto.”
“E mi riferivo anche a come hai
reagito quando ho detto di ucciderlo. Smettila di
mentirmi, Lara, non lo sopporto.”
“Perché
dovrei mentire?”
“Chi è quell’agente?”
“Parli come se io lo
conoscessi.”
“Non è così?”
“No.”
“Mi sembrava di averti detto che odio che tu mi menta.”
“Ho solo espresso il mio
disappunto nel sapere che un altro essere umano finisca
in mano a quel sadico! Ci sono passata anch’io, ed è una cosa che non auguro
neanche al mio peggior nemico. Mi dispiace di non essere così fredda e
distaccata come invece siete tu e Sark. A quanto pare mi ci vorrà un po’ di
tempo per raggiungervi.”
Detto questo si alzò, e prima che
Irina potesse dire qualcosa Lara uscì dall’ufficio.
Sperava che sua madre le avesse
creduto, anche se aveva i suoi dubbi. |