Zootropolis - Pack of One

di YakerHenbane
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“I won’t give up, no I won’t give in ‘till I reach the end, then I’ll start again!
Though I’m on the lead, I wanna try everything, I wanna try even though I could fail!”

La zampotta pelosa di Yaker scivolò da sotto il cuscino fino a raggiungere il comodino dove il suo cellulare gli dava gentilmente la sveglia sulle note di Gazelle, vibrando rumorosamente. Il giovane lupo ridusse i suoi grandi occhi gialli abituati al buio della sua cameretta a due fessure per cercare di preservarli dalla forte luminosità dello schermo: le 7:00 in punto. Il pollice indugiò un po’ a pochi centimetri dallo schermo e poi fece tacere la canzone. Yaker Henbane, 14 anni, quel giorno non avrebbe avuto bisogno della sveglia per alzarsi: al momento dell’allarme era, in realtà già da quasi un’ora, immerso in quello stato di dormiveglia cosciente, in un turbine di pensieri talmente monopolizzanti da mischiarsi di tanto in tanto ad immagini. Quel giorno, infatti, era un giorno importante: primo giorno di scuola. Yaker non era uno di quei bambini… No, a quell’età bisognava dire ragazzi! Yaker non era uno di quei ragazzi che si emozionava per quel tipo di cose, ma per lui quella giornata era veramente importante… Ed odiava doversi ridurre allo stereotipo del tipico novellino agitato, ma, visto che il ciclo di studi sarebbe durato (se tutto fosse andato per il verso giusto) ben cinque anni, era suo interesse che partissero nel migliore dei modi e non come in passato. Stavolta desiderava che ad avere stima di lui non fossero solo i professori, ma anche i suoi nuovi compagni!
Se l’era sempre cavata piuttosto bene nello studio senza fare mai sforzi immani, cosa che di per sé non aveva mai attirato la simpatia degli altri bambini, e in più era (il più delle volte candidamente e senza rendersene conto) uno di quei bambini saputelli, sì intelligenti, ma perennemente convinti di avere tra le piccole zampe la verità sull’universo e che, proprio perché bambini, si divertono costantemente a sbattere in faccia le poche conoscenze che hanno del mondo con saccenteria a chiunque gli capiti a tiro, adulti compresi. Nel caso di quest’ultimi, però, la cosa è presa molto alla leggera perché, in fondo, si tratta di bambini, ma quando un bambino si sente dire anche la più grande castroneria con quel tono di voce graffiante e irritante reagisce automaticamente con la forma di autodifesa migliore che conosca: l’offesa classica. Il piccolissimo Yaker degli anni precedenti agiva proprio in quel modo, scatenando nei suoi compagni di classe un odio profondo e radicato, parzialmente anche giustificabile, che li portò a fare una cosa quasi contro natura: un branco di predatori e prede coalizzato contro di lui. Ed il piccolo lupacchiotto ci rimaneva molto male quando veniva messo in mezzo o si sentiva rispondere male senza (per lui) un motivo valido, non riusciva a rendersi conto di come il suo atteggiamento desse profondamente sui nervi agli altri cuccioli. Questo suo comportamento era dovuto sia ad una buona dose di ingenuità, ma anche ad un sentimento di superiorità dovuto alle piccole vittorie (soprattutto scolastiche) che gli avevano fatto pensare di essere evidentemente superiore rispetto ai suoi compagni intellettualmente. Nonostante ciò, la sua caratteriale gentilezza (slegata, fino a quel momento, all’umiltà) l’aveva trattenuto dal diventare un grande egoista in un piccolo corpo. La vera e propria crescita caratteriale di Yaker era capitata l’anno precedente quando una professoressa della sua scuola gli fece notare che, se non voleva attirarsi addosso l’odio di chiunque, avrebbe dovuto evitare di infierire sui fallimenti altrui con fare superiore, che se lo faceva non poteva essere sorpreso di essere antipatico a tutti e che i suoi compagni avevano tutto il diritto di vederlo di mal occhio. Yaker dunque realizzò che fino a quel momento, benché ciò non giustificasse gli atti di bullismo che aveva ricevuto, gran parte di quell’odio era solo colpa sua! E allora decise di cambiare perché, dopo ancora un po’ di tempo e di riflessione, decise che il suo vecchio carattere, in fondo, stava antipatico anche a lui stesso. E quella mattina di Settembre sarebbe stata perfetta per mettere in pratica tutto quello che aveva imparato crescendo e per far partire quel nuovo ciclo di studi con la zampa giusta. Scattando in piedi gettò da un lato il copriletto nel quale era raggomitolato e scese dal letto a castello zampettando. Era agitato, sì, ma confidava che quel giorno sarebbe andato per il verso giusto. Recuperò due quaderni, uno a quadretti ed uno a righe, per prendere un paio di appunti il primo giorno e li infilò quasi lanciandoli nello zaino nero che sua madre gli aveva comprato una settimana prima assieme a diario e astuccio. 




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