Soma
camminava tra i giardini stupendi e imponenti della Tootsuki in cerca del
ragazzo che stava creando problemi a lui e a Erina. Camminava ma i suoi
pensieri erano altrove, cercavano il volto di Nakiri Erina. Era spaventato
all’idea che lei potesse tremare proprio come l’aveva vista il giorno del
banchetto lunare a causa di suo padre. Incontrò per caso Alice e Ryou così fu
costretto a riferire della telefonata. Alice decise di aiutare Soma – Da quando
ho saputo da Hisako la situazione ho tenuto d’occhio Hitoshi quindi so dove
cercarlo. –
Hitoshi
era in un’aula vuota chino sui libri di storia della cucina. Soma fu percorso
da una scarica elettrica appena vide il ragazzo. Lo prese per la camicia –
Bugiardo, perché non hai rispettato il patto! –
Alice in
quel momento pensò che Yukihira fosse diventato pazzo così chiese a Ryou di
dividere i due. Hitoshi non capiva quell’atteggiamento.
- Non so
di cosa parli! Datti una calmata. Se è per la foto non l’ho pubblicata affatto.
–
- Già, ma
al nuovo direttore si! Sa tutto. – disse Soma cercando di trattenere la rabbia
per non esplodere come prima.
- Cosa? –
Hitoshi non aveva inviato la foto ad Azami ne era più che sicuro poi ricordò
Kohinata, lui era l’unico a cui l’aveva data.
Ryou
incitato dalla sua padrona domandò – Se non sei stato tu a inviare quella foto.
Chi è stato? –
Hitoshi
non poteva rischiare di essere picchiato perciò raccontò di Kohinata.
-
Perfetto adesso tu dici a questo tizio che non deve intromettersi in queste
faccende. – chiarì Nakiri.
Soma non
era più sicuro di nulla, c’era un ragazzo di cui non conosceva l’esistenza che
aveva mostrato quel bacio ad Azami. Perché? Per quale motivo l’avrebbe fatto.
Era troppo lontano per poter fare qualcosa.
- Lascia
perdere Alice, Nakamura ormai sa tutto in ogni caso. – si arrese all’idea il
rosso.
- Hai
forse intenzione di arrenderti? Ci sei dentro anche tu in questa situazione! –
lo rimproverò Alice – Io andrò fino in fondo finché non saprò Erina al sicuro.
– continuò.
- Già, ma
dimmi tu quello che bisogna fare perché non ne ho idea! – le gridò di rimando
Yukihira.
- Ehi,
Yukihira non ti conviene parlare così alla mia signora. – disse Ryou vedendo la
faccia di Alice sconvolta per il tono che aveva utilizzato Soma. Quest’ultimo
si rese conto di non essere stato gentile. Si scusò e andò via. Odiava quel
sentimento di sconfitta ogni volta che perdeva ad una sfida culinaria e quella
volta pur non essendo uno shokugeki si sentiva così. Aveva perso la possibilità
di rendersi utile.
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Le
giornate erano diventate tutte uguali per Erina, non aveva più contattato
nessuno da quella telefonata. Neanche con Hisako riusciva più a parlare. In più
era deconcentrata nella cucina. Quasi si tagliava con un coltello nel tagliare
una carota, non era più lei. Anche la cucina non riusciva a trasmetterle nulla.
La forza e la passione che lei ritrovava quando preparava dei gustosi piatti
sembrava essere morta con quel “Mi dispiace”. Involontariamente aveva perso la
voglia di fare l’unica cosa che amava tanto: cucinare. Dalla finestra doveva
filtrare ancora la luce del giorno ma Erina vedeva solo un colore spento.
Grigio, proprio come lo era la sua vita in quelle giornate prive di colori
vivaci.
Era sera,
la biblioteca dell’accademia rimaneva aperta entro massimo le otto e mezza.
Hisako era lì, si era appisolata per la stanchezza dello studio abbandonata sopra
un libro di cucina che le aveva consigliato tempo fa Erina. La sua mente
cercava di elaborare delle immagini. Un sogno vivido perché era realmente
accaduto tempo fa portò Hisako indietro nel tempo, ad un ricordo importante. Il
primo giorno che incontrò Erina.
Aveva
solo cinque anni quando Hisako vide per la prima volta Erina. Passeggiava con
la sua famiglia per i viali alberati ad un certo punto vide una bambina con i
capelli lunghi biondi. Era di spalle e accanto tre uomini distinti in giacca e
cravatta che la invitavano a salire in una limousine scura. Da quel giorno
Hisako si appostò vicino alla villa dei Nakiri per sperare di rivedere quella
bambina finché il suo desiderio si avverò. Erina era alta quanto lei. La prima
cosa che Arato piccina pensò fu quanto fosse bella, i capelli curatissimi,
lucidi e splendenti. Il suo viso però era pallido, aveva uno sguardo perso nel
vuoto. C’era un po’ di inquietudine in lei e sicuramente anche se taceva
sembrava gridarle aiuto. Hisako era sbalordita dalla sua coetanea, voleva
davvero essere come lei ma non poteva perché Erina sembrava un angelo. Anzi,
no, era come una dea in miniatura. Una piccola divinità scesa in terra. Hisako
non proferì parola si limitò ad ammirarla ed Erina che dopo aver visto
l’oscurità riusciva finalmente a vedere qualcuno, una potenziale amica.
La
biblioteca a poco a poco si stava svuotando. Hayama era uno degli studenti
rimasti ancora che fu sollecitato dalla bibliotecaria ad andare via perché
avrebbe dovuto chiudere a chiave la stanza. Il problema era Hisako
addormentata. Akira non sapeva che ci fosse anche lei, ma vista la situazione
si incaricò di persona di chiudere la biblioteca. La donna si fidò e gli affidò
le chiavi di riserva. Erano quasi le nove Hayama sbirciò il libro su cui era appoggiata
la ragazza. Lo conosceva bene, poi si soffermò sul viso di lei. Semplice e
delicato, si limitò a sorridere. Prese un libro dallo scaffale più vicino e lo
sfogliò per ingannare il tempo.
Hisako si
svegliò a causa di uno squillo del suo cellulare. Aprì gli occhi lentamente e
si trovò di fronte il ragazzo con cui non voleva avere a che fare.
- Ben
svegliata! Per quanto ancora avresti voluto dormire? – domandò lui sarcastico.
Hisako
era meravigliata di trovarlo lì, di fronte a lei, ma ignorò completamente
Hayama e guardò il suo iphone. Sperava con tutto il cuore che Erina le avesse
manato un sms, ma era solo suo padre che voleva sapere come stava sua figlia.
Rispose al messaggio e chiuse il prezioso libro di cucina che aveva consultato.
- Mi
dovresti ringraziare perché ti ho aspettato. – disse Akira mentre Hisako
riponeva i vari libri nei vari scaffali – Ho capito che mi stai evitando, ma
potresti anche rispondere. –
- Cosa
dovrei dirti? Grazie per gli insulti, vorresti aggiungerne altri? – rispose risentita
la ragazza, ricordando il giorno dello shokugeki.
-
Veramente erano delle critiche costruttive. – spiegò Akira mettendo a posto il
libro che aveva tirato giù dalla libreria alle sue spalle.
- Ok,
lasciamo stare. – non voleva discutere Hisako.
Dopo aver
chiuso a chiave la biblioteca Hayama chiese alla ragazza se preferiva che
l’accompagnasse.
- Casa
mia è vicina. Non ho bisogno della balia. – disse con orgoglio.
Akira si
arrese e prese un’altra strada.
Ogni
volta che vedeva Hayama, le faceva male. Non poteva fare a meno di pensare che
era a causa sua se decise per un periodo di abbandonare Erina.
Il cuore
di Erina era tornato come i vecchi tempi, di pietra. Al punto che per distrarsi
un po’ preferiva uscire con Kohinata e Suzuki piuttosto di chiacchierare con la
sua amica Hisako. Ormai la sua vita procedeva così non c’era più posto per le
vecchie conoscenze, il piano di suo padre era infatti allontanare dalla figlia
tutti coloro che piano piano la stavano aiutando a cambiare. Erina lasciò il
suo cellulare incustodito sul tavolo della cucina. Azami lo notò perché ogni
tanto si illuminava e vibrava. Erano i tanti messaggi che Hisako inviava a
Erina incessantemente perché voleva ricordare alla sua amica che per qualsiasi
cosa lei ci sarebbe sempre stata. Azami prese in custodia il telefono della
figlia, lo spense e lo nascose nel suo ufficio.
Era
passato un mese dalla partenza di Erina. Hisako non riusciva a contattare più
Nakiri, sperava che fosse a causa dell’impegno con la cucina. In realtà però sapeva
che c’era qualcosa di più e preoccupante.
D’improvviso
ricevette una telefonata. Era il numero di Erina. Un barlume di speranza si era
acceso nei suoi occhi, non ebbe alcuna esitazione e rispose raggiante – Sono
felice che tu mi abbia chiamata! – disse contenta Hisako.
- Mi
dispiace, ma Erina non può parlare. Perciò lo farò io al suo posto. – disse una
voce maschile, inconfondibile e cupa. Era Azami. Perché aveva il cellulare di
Erina? Era paralizzata dalla paura, inconsciamente.
- Erina
sta bene, se è questo quello che vuoi sentire. Tuttavia ha già degli amici che
la distraggono abbastanza, non ha bisogno di te. Quindi ti sarei grato se non
la richiamassi più, ne tanto meno mandarli messaggi. Mi sono spiegato? –
Quella
appariva più come una minaccia, Hisako era forte ma quando si trattava di Erina
il suo umore cambiava drasticamente. Il dolore che provava Erina, anche se
lievemente, lo sentiva pure lei.
- Ho
capito, ma vorrei sentire comunque la sua voce. È possibile? La prego! – disse
con parole tremanti.
Azami non
negò quell’offerta, seppur sbagliata poteva renderla a suo vantaggio. Accostò il
ricevitore abbastanza vicino a Erina che intanto giocava a carte con Kohinata e
Suzuki. Hisako ascoltò tutto. Erina sembrava molto serena e la sua amica l’aveva
compreso bene solo che non si aspettava un cambiamento così radicale. Non sapeva
che Erina avesse conosciuto degli amici in poco tempo ed essere entrata così in
sintonia con loro. Le sembrava impossibile, ma era la realtà. E doveva
accettarla. Istintivamente Hisako chiuse il telefono. Per Azami invece era una
delle vittorie che si impose di ottenere.
I passi
si fecero sempre più lenti e incerti. Hisako si abbandonò di spalle ad un
tronco d’albero, lo stesso con cui passava i pomeriggi a leggere o pensare. C’era
un’atmosfera di quiete, era davvero piacevole sentire il vento tra i capelli
quasi come una ninna nanna. La voglia di dormire c’era però i suoi occhi non si
chiudevano. Erano pieni di lacrime. La sua migliore amica l’aveva rimpiazzata
con qualcun’altra molto facilmente. La colpa era certamente di suo padre, ma
sentire Erina felice e spensierata che giocava a carte con altri amici la
rendeva triste e malinconica. A pochi isolati da Hisako una ragazza la ammirava
dalle lenti di un binocolo.
Nao
Sadatsuka piangeva per Hisako, aveva ascoltato tutta la conversazione –
Maledetta Erina, a causa tua adesso Hisako sta piangendo. Che perfida! –
commentò tra se. Voleva essere accanto a lei per consolarla, confortarla ma
qualcuno la precedette.
Hayama stava
percorrendo quel viale alberato con la sua moto, ma appena vide Hisako si
fermò. Lei gli lanciò un’occhiata di disgusto mentre Akira le si avvicinava. Lui
si sedette sull’altro lato del tronco d’albero dove era appoggiata la ragazza.
- E’ a
causa di Erina? – chiese cordialmente.
Hisako tacque.
Non aveva voglia di parlare con Hayama di un discorso così delicato.
- Capisco
perché non me ne vuoi parlare, in fondo siamo praticamente estranei. Però non è
la prima volta che ti vedo in queste condizioni. –
La ragazza
si sorprese a quella frase – Che vorresti dire? – volle sapere.
- Non conosco
il motivo, ma avrò avuto più o meno sei anni il giorno in cui ti vidi piangere
dopo essere stata nella residenza dei Nakiri. –
- Cosa? Quindi
il bambino che non riuscii a vedere eri tu? Che ci facevi da quelle parti? – chiese Hisako asciugandosi gli occhi.
- In quel
periodo fui adottato da Jun e per la prima volta dovevo frequentare una vera scuola
quindi ero andato dal preside per le pratiche. –
Hisako ricordava
bene quel giorno. Aveva pianto tanto perché Erina era molto esigente con il
cibo e desiderava dei piatti perfetti. Da quel momento in poi si era fatta in
due per arrivare ad un livello possibilmente accettabile da Erina.
- Non era
un buon motivo per spiarmi. – continuò la conversazione Hisako.
- Mi
trovavo nei paraggi, non l’ho fatto di proposito. Piuttosto dov’è finita la grinta
che avevi nel migliorarti tanto per la tua padrona? –
- Hai
intenzione di farmi arrabbiare perché ci stai riuscendo! – disse la ragazza
alzandosi in piedi. Hayama fece lo stesso – Sto cercando di aiutarti! Devi sfogarti!
–
Lei lo
guardò con gli occhi ancora rossi e bagnati di lacrime – Vuoi sapere che è
successo? –
Akira era
pronto ad ascoltarla.
- Erina
ha dei nuovi amici, forse è come avevi detto tu sono troppo limitata per starle
accanto. Non mi impegno abbastanza! –
Hayama voleva
ribattere a quelle parole, sentiva di dover dire qualcosa riguardo quella
battaglia culinaria, ma optò per qualcos’altro – Ho capito, sei gelosa. –
- Cosa? Non
è affatto vero! – si scaldò Hisako.
- Certo
che è così. È chiaro che ti da fastidio il fatto che Nakiri ti abbia messa da
parte al posto di qualcun altro, mentre prima tu eri la sua preferita. Qualcuno
su cui poteva contare, ma adesso non ti risponde neanche a degli stupidi sms. È
questa la verità! –
Akira aveva
colto nel segno e Hisako era tentata di strangolarlo o cose del genere. Scoppiò
a piovere forte e i due si bagnarono un po’.
- Tieni
il casco, così ti ripari la testa. – propose Hayama tempestivamente – Ti accompagno
a casa. – decise lui.
-
Scordatelo! Io non ci salgo sulla tua moto! – protestò Hisako.
-
Sbrigati o prenderai un raffreddore! – gridò Akira col casco abbassato, successivamente
Hisako salì senza fare altra resistenza.
Sadatsuka
Nao bagnata fradicia vide i due allontanarsi – Stupido Hayama la prossima volta
non te la farò passare liscia. – disse per sfogare la rabbia.
Quando la
portò nella sua villetta Hisako ringraziò Akira.
- Non
devi ringraziarmi. – disse lui alzando la visiera del casco.
- Già,
non te lo meriti. – concordò Hisako.
I genitori
di Hisako un po’ in ansia la raggiunsero. Hisako entrò subito al riparo con sua
madre mentre suo padre si avvicinò ad Hayama.
- Grazie
mille per aver riportato mia figlia a casa. – disse gentile.
- Si
figuri. Non è stato nulla di ché. –
- Infatti
non pensare di innamorarti della mia bambina, capito? – disse un iperprotettivo
esemplare di padre. Akira si stupì del veloce cambiamento di personalità dell’uomo.
-
Comunque sia ti sono debitore per la seconda volta. Grazie per esserti preso
cura di mia figlia ancora. –
Hayama era
intontito. “Per la seconda volta”? Che cosa significavano quelle parole? C’era
stata una prima volta in cui aveva riaccompagnato Hisako a casa sua? Il problema
era che lui non ricordava affatto quel particolare giorno.
Hisako era
in camera sua. Fuori pioveva ancora. Ripensò alla gentilezza di Akira, non se
lo aspettava proprio. Però la cosa che la paralizzava era di non poter comunicare
con Erina e che forse sarebbe arrivata presto la fine della loro amicizia.
Il giorno
successivo Hisako parlò con Soma e tutti gli altri. Yukihira aveva perso la
voglia di fare qualcosa. Se neanche Hisako era riuscita a parlare con Erina
neanche lui avrebbe potuto salvarla.
-
Yukihira tu sei il solo che puoi farla ragionare! – disse Alice convinta –
Parlerò con mio nonno. Lui può farci arrivare a New York con la scusa di fare
esperienza culinaria in uno dei suoi ristoranti. Non è ancora detta l’ultima
parola. – disse rivoluzionaria e piena di entusiasmo Nakiri.
Senzaemon
accolse la richiesta dei ragazzi, in vista delle vicine vacanze estive, lui
avrebbe fatto partire almeno gli otto ragazzi arrivati in finale alle elezioni
autunnali, per dare a loro la possibilità di salvare sua nipote.
Soma però
chiese al vecchio direttore di poter fare un’eccezione. Voleva partire qualche
giorno prima della fine delle lezioni, in quanto aveva già un posto in cui
stare. Avrebbe raggiunto suo padre a New York per le vacanze e rivedere al più
presto Nakiri.
Erina era
affacciata al balcone. Di sera le luci della città rendevano tutto più malinconico.
Le giornate che passava erano sempre uguali, tutto era diventato monotono. I ricordi
della Tootsuki erano davvero belli da stare male perciò li reprimeva dentro di
sé e lasciava il posto alla freddezza. Aveva eretto un muro con coloro che la
rendevano felice e fece posto a tutto ciò che non comprendeva emozioni. Persino
il sapore di quel primo bacio stava svanendo e la possibilità si sfogarsi con
la sua migliore amica era improbabile. Il suo cuore di pietra non lo accettava
e non poteva spezzarsi sapendo che c’era ancora qualcuno che le voleva bene.
Anche Soma
aveva raggiunto la staccionata del suo amato terrazzo. Non aveva ancora
riprodotto perfettamente il sapore di quel meraviglioso bacio ma la
determinazione non era svanita del tutto. Erina doveva solo attendere un altro po’
e lui sarebbe andato a riprenderla.
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