Per l'eternità

di louisisdamn
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Un paio di labbra si posarono sul suo collo, erano calde e umide come se il proprietario ci avesse appena passato sopra la lingua; gettò la testa all’indietro, incapace di pensare o agire razionalmente per il troppo alcool ingerito, ma sinceramente non gli importava: voleva solo offuscare la sua mente, annebbiare i suoi sentimenti in modo che non potessero più fargli del male. Aveva passato giorni sul divano di casa sua, inerme, come un estraneo tra le sue membra ed era stanco, spossato da tutto quel dolore lacerante che sostava nel suo petto - e nel suo cuore - ormai dai troppo tempo. Non riusciva più a sopportarlo, non voleva - e poteva - stare bene in un mondo in cui lui non era presente; quel mondo non era il suo, era un mondo governato dall’infelicità che l’assenza di due occhi azzurri e dei capelli corvini aveva portato. Mandò giù l’ennesimo drink di quella sera, il contenuto gli bruciò la gola e il sapore non era dei migliori ma si costrinse a mandarlo giù.

 

Mi farà bene si disse o almeno così sperava.

 

Si girò per vedere il viso di chi gli stava ormai saggiando il collo da qualche minuto, ma tutto quello che vide furono due occhi di colore azzurro, come il cielo. Erano limpidi come un pomeriggio estivo senza nuvole, presentavano qualche traccia di timidezza ormai svanita grazie all’alcool in circolo nel corpo del ragazzo, erano belli, molto belli ma non erano gli occhi del suo Alexander. I suoi li avrebbe riconosciuti in qualsiasi circostanza e sempre, perché erano gli occhi che amava, che poteva ammirare per anni e che non si sarebbe mai stancato di vedere come prima cosa al mattino, nemmeno l’eternità lo avrebbe reso stanco di quella visione.

Lui, invece, i suoi li chiuse e li tenne stretti mentre posava le labbra su quello sconosciuto così simile ad Alec ma allo stesso tempo così diverso da lui  in ogni singola cosa, in ogni singolo gesto, in ogni singolo particolare.

Li tenne chiusi anche quando il ragazzo di cui non sapeva - e non voleva sapere - il nome lo portava in una camera e lo svestiva.

Li tene chiusi mentre facevano sesso, perché il loro amplesso poteva essere definito solo in quel modo.

Ma soprattutto li tenne chiusi quando, tornato a casa, si coricò sul divano a piangere ogni singola lacrima che poteva uscire dal suo corpo dilaniato dai sentimenti che provava.

Magnus capì in quel momento che non si poteva scappare, quel dolore lo avrebbe accompagnato per l’eternità e realizzò che forse sarebbe stato meglio non viverla l’eternità in quel modo.




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