Motherless
A Malachai piacevano
tanto le candele.
Erano piccole e si
scioglievano come niente, quindi sembravano roba stupida, ma quando si
accendevano potevi combinarci parecchi danni.
E lui, durante i suoi sei
anni di vita, di guai in giro ne aveva seminati già parecchi.
Quel pomeriggio,
tuttavia, Kai non aveva voglia di fare arrabbiare qualcuno. Se stava fissando
così intensamente quella candela appoggiata sul tavolo, con le sopracciglia
aggrottate e il mento adagiato sul dorso delle mani, era perché sperava di
riuscire ad accenderla senza dover rubare un po’ di magia a qualcuno.
Aveva un piano: un
pensiero strano, che gli era affiorato in testa all’improvviso mentre spiava
sua madre attraverso la porta socchiusa della camera di Josette. Stava acconciando
i capelli della figlia in una treccia e l’ascoltava raccontare di un qualche
orsacchiotto che era riuscita a far volare per la stanza – un leggero sorriso
ad assottigliare l’aria seria perennemente scolpita nei lineamenti della donna.
In quel momento, Kai
aveva deciso che magari, se fosse riuscito ad accendere una candela senza
fiamma né fiammiferi, la mamma avrebbe finalmente sorriso anche a lui.
Non era quasi mai
successo – se non proprio mai – ed era davvero curioso di scoprire come ci
sentisse ad avere addosso lo sguardo orgoglioso della signora Parker, invece
del solito cipiglio serio e distaccato.
Così, da una ventina di
minuti a quella parte, aveva focalizzato la propria attenzione su quel
mozzicone di candela, concentrandosi il più possibile per cercare di
accenderla.
“Voglio il fuoco”
mormorava fra sé e sé, ignorando il pensiero delle innumerevole volte in cui
aveva cercato di fare la stessa cosa, senza mai riuscirci. “Accenditi… Voglio
che ti accendi!”
Un guizzo di luce improvvisa
gli fece spalancare gli occhi.
Kai sorrise incredulo,
mentre con l’indice attraversava da parte a parte la fiammella appena apparsa
sullo stoppino.
L’orgoglio sostituì per
qualche istante il vuoto che avvertiva di solito di fronte a qualunque
situazione, ma la risata che echeggiò alle sue spalle lo spazzò via senza fare
complimenti.
Josette appoggiò i
gomiti al tavolo e indirizzò un’occhiata compiaciuta alla fiammella accesa,
prima di sorridere al fratello.
“Guarda che sono stata
io ad accenderla, mica tu” lo prese in giro, giocherellando con l’estremità
della sua treccia.
Kai non replicò.
Continuò a fissare la candela con sguardo impassibile, perfino quando Josette
la fece levitare di qualche centimetro.
A quel punto, allungò la
mano per afferrarla e spinse la fiamma contro l’estremità della treccia di Jo.
Il grido di sua sorella
lo fece sorridere, ma dentro di sé non fece una piega: non era soddisfatto per
avergliela fatta pagare, né si sentiva in colpa per il modo in cui aveva la
gemella incominciato a frignare.
Nel giro di pochi
istanti, la signora Parker li aveva raggiunti e si era data da fare per
assistere la figlia.
Kai non impiegò molto di
più per intuire di aver fallito ancora una volta e non perché aveva fatto del male
a sua sorella.
Aveva fallito perché non
era riuscito ad accendere quella stupida candela, mentre Josette ce l’aveva
fatta in pochi secondi.
E, ancora una volta, sua
madre non gli aveva sorriso.
***
Quella notte, quando gli
abitanti di casa Parker erano ormai stati trascinati nella prigione del sonno, Kai
raggiunse la stanza dei genitori.
Sua madre riposava
supina, una maschera di serietà tratteggiata sul volto immobile: non riusciva a
sorridere nemmeno mentre stava dormendo.
Il bambino le sfiorò la
mano destra con un dito, mentre le studiava con attenzione il volto. Si portò
poi la sua mano sulla testa per sentirne il tocco sui capelli: la madre
continuò a dormire. Non diede cenno di percepire la sua presenza nemmeno quando
Kai strusciò la guancia contro le nocche della donna, per poi di lasciarle
andare di scatto il polso.
Nessuna reazione, nessun
movimento: niente, come sempre.
Del resto, tuttavia,
nemmeno il bambino provò nulla. La carezza di una mamma, per lui che non ne
aveva mai avute, non sembrava niente di così speciale, specialmente se a
fargliele era una mamma addormentata. Era una pressione come un’altra contro la
sua pelle, non tanto diversa dai colpetti di Josette sulla sua schiena o dalle
manate brusche di suo padre.
Rivolse un’ultima
occhiata ai genitori e diede loro le spalle, diretto verso la sua stanza.
Non seppe mai che,
mentre faceva scorrere la mano della signora Parker fra i suoi capelli, la
candela con cui aveva giocato quel pomeriggio si era accesa per un istante.
In fondo, anche se
l’avesse notato, non sarebbe servito a nulla.
Perché sua madre non gli
sorrise mai.
***
A Bonnie piacevano tanto
le candele.
Erano piccole e si
scioglievano come niente, quindi sembravano roba stupida, ma quando si
accendevano potevano illuminare anche le stanze più buie, un po’ come facevano
le stelle col cielo.
E lei, durante i suoi
sei anni di vita, di stanze buie ne aveva memorizzate parecchie.
C’era la sua cameretta
di una volta, quella dove una sera si era addormentata con il bacio della
buonanotte della sua mamma per poi risvegliarsi, un paio d’ore più tardi, senza
trovarla: quella era stata l’ultima volta in cui l’aveva vista.
Oppure c’era la stanza
di grams, che era spesso così buia da fare un po’ paura perché alla
nonna piaceva dormire con le persiane chiuse e le tende tirate. E così, se la
notte Bonnie doveva raggiungerla per via di qualche incubo che l’aveva fatta
svegliare di soprassalto, la bambina era costretta a camminare a tentoni e con
un braccio ben stretto attorno al corpicino rassicurante di Ms. Cuddles.
Quel pomeriggio,
tuttavia, Bonnie non aveva bisogno di illuminare qualche stanza troppo buia. Se
stava fissando così intensamente quella candela appoggiata al centro del tavolo,
con le sopracciglia aggrottate e il mento adagiato sul dorso delle mani, era
perché sperava di riuscire ad accenderla senza dover ricorrere ai fiammiferi.
Grams una volta le aveva
raccontato che la loro famiglia discendeva dalle streghe e inizialmente la
bambina non le aveva creduto. Tuttavia, la divertiva moltissimo immaginare di
poter avere dei poteri magici e con il tempo aveva finito per credere almeno in
parte alle cose strane che le raccontava spesso la nonna.
Quel giorno, Bonnie si
era svegliata con un piano: un pensiero strano che aveva incominciato a
sfiorarla il giorno prima, mentre spiava Elena e la sua mamma mano nella mano,
al centro commerciale. A un certo punto Elena doveva aver detto qualcosa di
molto buffo, perché la signora Miranda si era messa a ridere di gusto e si era
chinata per dare un bacio alla figlia. Nel guardarle Bonnie aveva sorriso, ma
si era anche sentita molto triste, come se ci fosse stata un'altra Bonnie
dentro di lei che, a contrario di quella fuori, stava piangendo.
In quel momento, Bonnie
aveva deciso che magari, se fosse riuscita ad accendere una candela senza
fiamma né fiammiferi, la sua mamma sarebbe finalmente tornata.
In quel modo avrebbero
ripreso a passeggiare mano nella mano nei parchi e al centro commerciale, a
farsi le coccole e a leggere assieme una favola della buonanotte, proprio come
facevano tutte le mamme con le loro bambine.
Così, da una ventina di
minuti a quella parte, aveva focalizzato la propria attenzione su quel
mozzicone di candela, concentrandosi il più possibile per cercare di
accenderla.
Non aveva idea di cosa
si dovesse fare per lanciare un incantesimo: la nonna le aveva raccontato che
le streghe – quelle vere –all’inizio facevano un po’ di fatica, ma che prima o
poi veniva spontaneo, un po’ come accadeva ai bambini quando imparavano a
leggere o ad andare in bicicletta.
Lei quelle due cose le
aveva imparate abbastanza in fretta, ma non aveva mai acceso una candela con la
forza del pensiero. E in parte non credeva ancora che ci sarebbe mai riuscita.
Eppure in pomeriggi come
quello, in cui grams era troppo impegnata con le sue faccende per fare
caso a lei, la mamma le mancava più che mai e avrebbe fatto di tutto pur di
vederla tornare. Pur di poterla guardare ancora una volta, perché stava
incominciando a dimenticarla e le vecchia foto che teneva sempre sotto il
cuscino si era sgualcita tutta. Voleva vederla per poterle chiedere come mai se
n’era andata, lasciando Bonnie sola con la nonna. Per domandarle se era
arrabbiata con lei perché aveva fatto qualcosa di sbagliato e se era scappata
via per quello. Per chiederle se le voleva ancora almeno un po’ di bene, perché
Bonnie sì, Bonnie gliene voleva ancora.
Anche
se ogni volta che guardava la foto sgualcita sotto il cuscino gli occhi le si
riempivano di lacrime e Ms. Cuddles si bagnava tutto il muso.
Bonnie scacciò via quei
pensieri scuotendo la testa con forza. Tornò a concentrarsi sulla candela,
convinta che – se solo fosse riuscita ad accenderla – la mamma avrebbe bussato
alla porta di casa Bennett.
“Accenditi” mormorò la
ragazzina, non osando sbattere le palpebre nemmeno una volta. “Ti prego,
candela, accenditi!”
Dopo qualche minuto,
Bonnie incominciò a sentirsi strana: un formicolio insolito aveva iniziato a
farsi strada nei suoi occhi, la testa le si era fatta pesante e le sue tempie
erano calde, come se si sentisse la febbre.
La candela era ancora
spenta, eppure Bonnie si convinse, almeno per un istante, che l’aria aveva
assunto un insolito odore di bruciato.
La porta d’ingresso di
casa Bennett si aprì di scatto.
Bonnie trasalì: un
rumore di passi diverso da quello di grams stava riempiendo il corridoio che
dava sul salotto, alimentando i battiti rapidi del cuore della bambina.
In un istante dimenticò
la faccenda della candela e si precipitò fuori dalla stanza, un sorriso
emozionato a illuminarle il viso ultimamente spesso serioso: era lei,
non poteva essere altrimenti.
La mamma era tornata.
“Mamma!” esclamò,
fiondandosi in corridoio.
La prima cosa che vide
furono tre pesanti buste della spesa. Le braccia che le avevano trasportate fin
lì, tuttavia, non avevano il bel colorito scuro di quelle della sua mamma. A
guardare meglio, in realtà, non c’era proprio nulla di Abby Bennett nella donna
che aveva appena fatto ingresso in casa sua. Aveva corti capelli biondi, l’aria
autorevole e indossava una divisa da sceriffo.
Bonnie la riconobbe
all’istante: era una mamma, questo sì. Però non la sua.
“Bonnie!”
Lo sceriffo Forbes le
sorrise, appoggiandosi al muro con un braccio mentre riprendeva fiato.
“Come stai, tesoro? La
tua nonna è qua fuori: le ho dato una mano con le buste della spesa. Con tutto
quello che ha comprato credo che non avrete più bisogno di mettere piede in un
centro commerciale fino all’anno prossimo.”
Bonnie non disse nulla. Continuò
a fissare la mamma di Caroline, gli occhi lucidi, ma le guance asciutte.
Improvvisamente, prese una delle tre buste.
La sollevò a fatica fino ad averla all’altezza del petto e poi, con un gemito
di rabbia, la scaraventò più lontano che potè.
Lo sceriffo Forbes
sobbalzò, ma Bonnie non le prestò attenzione: stava già sollevando la
seconda busta per fare lo stesso.
In quel momento grams entrò
nell’ingresso con sguardo grave, come se avesse intuito cosa stava succedendo
dentro casa.
Bonnie incrociò il suo
sguardo addolorato per un istante, poi corse al piano di sopra.
Raggiunse la sua stanza
e si lasciò cadere sul letto, la faccia seppellita nel pelo morbido di Ms.
Cuddles.
Le lacrime
incominciarono a scendere lungo il suo volto e la sua gola si riempì di
singhiozzi.
Non seppe mai che,
mentre lanciava con furia la prima busta della spesa, la candela con cui aveva
giocato quel pomeriggio si era accesa per un istante.
In fondo, anche se
l’avesse notato, non sarebbe servito a nulla.
Perché sua madre non
tornò mai.