XIII
Disclaimer: Albert
Wesker, Alex Wesker e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji
Mikami, alla Capcom e a chi
detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta
per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo.
Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto
rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne
è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia
autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
"I am the reason your future suffers,
I am the hatred
you won't embrace,
I am the worm of
a pure gestation,
I am the remedy,
spit in my face."
- Slipknot -
XIII
#1 - Put me back together
or separate the skin from bone.
Un dipinto di Dalì.
'La Valse', di Camille Claudel.
I colori di Caravaggio, la forza espressiva dei romani - Pompei,
Ercolano.
Alex sospira sulla sua bocca, intreccia le dita nei suoi capelli.
"Perché?" chiede, senza risposta.
Albert snuda i denti e morde.
This song is not for the
living, this song is for the dead.
Alex inclina il capo di lato, si porta il fascicolo al petto.
"Sta morendo." dice, e dondola la penna tra le dita "William dovrebbe
disporre del soggetto in modo adeguato."
Albert tace, mani in tasca e sguardo concentrato.
"Lisa Trevor non ci è più di alcuna
utilità."
Il soggetto continua a grattare contro i muri della cella, indossa un
viso non suo.
"Non muore, non ricorda. Non siamo in grado di farla tornare com'era,
non possiamo spingerla a evolversi."
Wesker si avvicina di qualche passo, entra nel suo spazio personale.
"Parlerò con William."
Lisa dondola i polsi incatenati, ripete sempre la stessa preghiera.
Mamma, mamma, mamma.
Dov'è la mamma?
"Ha ventisette anni."
Alex si volta, cerca gli occhi di Albert.
La bellezza di un
Michelangelo; la carnalità di una scultura di Rodin.
Alex si umetta le labbra (rosse), le socchiude leggermente.
Chissà se
lascerebbero il segno.
"Lo farò presente."
Impronte rossastre,
sbavate ai bordi - umide di saliva e altro.
Alex lo fissa con un'intensità quasi spaventosa.
#2 - You can't save me,
there is nothing more to give.
Tra le lenzuola disfatte Alex è una curva pallida e sottile,
quasi fragile.
Cerca il suo odore, la sua pelle.
"Perché?" ripete, e Wesker le sfiora gli zigomi, il mento; stringe, affondando
le dita nella guance.
Alex inclina il viso nella sua direzione, lo osserva.
"Si stanno facendo più ravvicinate."
Respira nell'incavo del suo collo, spinge i suoi fianchi contro i
propri.
"Sto morendo, Albert."
Wesker chiude gli occhi e ascolta il pianto di un cuore ormai spento.
Knowledge in my pain or
was my tolerance a phase?
Lisa Trevor è una creatura disgraziata.
Estirpata dalla
sua vita come un'erbaccia, massacrata
dall'ambizione dell'Umbrella (William e Albert. Dì i loro
nomi senza paura, Alexandra)
Lisa Trevor è una bambina imprigionata nel corpo di un
mostro, una deformità che sotto nasconde ancora la stessa
ragazzina urlante di anni prima.
Come tutti noi.
Alex apre la porta di contenimento, avanza.
"Lisa." la chiama, e la creatura la ignora.
"So che puoi capirmi, Lisa. So che ci
sei."
Lisa inclina leggermente la testa (quella sua orrenda e marcescente faccia)
verso di lei, le catene che sfregano contro il pavimento della cella.
Alex inspira, merda e decadenza; l'osceno odore della disperazione.
"Vuoi tua madre, Lisa?"
La creatura si gira verso Alex, la degna ora di tutta la sua
attenzione.
"Ti manca, Lisa?"
La Trevor apre la bocca (senza
labbra, senza forma)
e cerca d'articolare una risposta comprensibile, si muove inquieta.
Ha fretta Lisa, perché vuole dire sì, cerco la mia
mamma. Sai dov'è la mia mamma? Puoi portarmi da lei?
e ha paura che la donna dai capelli biondi si stanchi e l'abbandoni qui
da sola, come tutti gli altri.
"Ma... Madre." balbetta, e Alex annuisce.
"Posso portarti da tua madre."
Lisa si alza dal suo angolo e il tanfo di sporcizia e decomposizione si
fa più forte.
Alex stende una mano verso di lei, le sfiora la fronte (pelle non sua,
nasi e bocche di altre donne - altre madri)
Il Progenitore ruggisce
nelle vene, piega
una mente debole (bisognosa) come quella di Lisa.
"La vedi tua madre, Lisa?" le domanda Alex, e la Trevor emette un suono
strozzato - comincia a piangere.
Lisa Trevor abbraccia sua madre nella sua mente, corre tra i prati
limitrofi Villa Spencer come quando aveva quattordici anni e ancora
tutta la vita davanti.
Alex ricrea un desiderio perduto, assolve un debito.
Lei, Albert, Lisa,
Alexia; mostri
bambini - aborti che l'Umbrella ha chiamato figli e di cui si
è fatta madre e boia.
Albert la osserva per tutto il tempo in silenzio.
#3 - She is everything
and more; the solemn hypnotic, my Dahlia bathed in possession - she is
home to me.
Il desiderio è una componente fondamentale del potere.
Vive in
esso, lo alimenta; ne genera le radici, lo stimola a una
crescita continua.
Se istruito alla disciplina il desiderio è un'arma
indistruttibile - inarrestabile.
Albert Wesker desidera
il potere, desidera
ciò che da esso può nascere.
Ogni altra cosa è una debolezza, un bisogno da eradicare
senza pietà.
Eppure...
Alex gli sfiora l'addome, le cosce; scivola con lingua sulla piega
dell'inguine, lungo la sua erezione.
Piega un
dio al suo volere, lo costringe
alla resa.
Albert s'inarca all'indietro, spinge i fianchi contro la sua bocca -
disinibito, feroce, esposto.
Alex affonda,
Albert mastica
una supplica.
Continua.
Alex sorride, sorniona. (accoglie
ciò che resta di un dio, di un uomo vittima
delle sue stesse ambizioni)
Ah.
Albert chiude gli occhi, crolla
- viene senza alcuna vergogna.
Tra le sue braccia l'unica debolezza che abbia mai avuto il coraggio di
concedersi.
I'll live with my
regrets, I'll die by my decisions.
Un corvo gracchia in lontananza; nel cielo si addensano nubi nerastre e
compatte, che oscurano ogni luce.
"Lisa Trevor è morta."
Alex annuisce, gli dà le spalle.
"Hanno disposto del suo corpo un'ora fa."
Irrigidisce la schiena, scivola lungo il bordo della tazza con il
pollice.
"Nessuno la toccherà più."
Alex annuisce, fissa in tralice il cartellino che le dondola dal bavero
del camice.
Dott.essa Fayer, livello
di sicurezza quattro.
Una menzogna. Uno sporco inganno. Una maschera non meno marcescente di
quella della Trevor.
"Alexandra." la chiama.
"Guardami." le chiede.
Alex inspira, espira; la pioggia comincia a cadere.
#4 - For gods' sakes
we've suffered - this pain is now our lives.
Albert Wesker non è un uomo conosciuto per i suoi buoni
sentimenti, tanto meno per la sua loquacità.
A quasi metà della sua esistenza ha dovuto fare i conti con
una realtà scomoda e per nulla gratificante.
Sono stato costruito.
Nulla è reale, tutto è stato lecito.
Crescere come
un bambino prodigio, uccidere come
un bambino soldato, diventare la perfetta macchina da guerra (lo fai un bel sorriso a mamma,
piccino mio?)
Alza lo sguardo, incontra una strada già percorsa.
Torna indietro con la memoria, riavvolge un nastro già
logoro e consunto - usato.
Il controllo
è tutto.
Il potere si ciba del controllo, se ne fa scudo e arma.
Il potere s'innalza dal
controllo, costruisce il suo volto attorno a ciò che ne
consegue (forza, sicurezza, libertà)
Nulla sfugge al suo pugno, nulla si permette di ribellarsi alla sua
volontà.
Nulla.
"Il processo è quasi completo."
Alex china il capo, si appoggia allo stipite della finestra.
Sconfitta.
"Entro sei mesi dovremmo essere in grado di attuarlo. Un anno, al
massimo."
Alex piega le labbra in un sorriso triste, si nasconde.
Esitazione.
"Alexandra."
Una supplica, una richiesta; un dio in ginocchio e grondante tra le
sue mani.
Rimpianto.
"Non sarà sufficiente."
Rabbia.
"Deve
esserlo."
Alex solleva lo sguardo, gli cerca gli occhi, il viso.
"E se non lo fosse?"
Rassegnazione.
Wesker sembra arretrare per un momento, inciampare nelle sue stesse
convinzioni.
Allunga poi una mano nella sua direzione, la invita.
Il vento gelido di Sushestvovanie le sfiora i fianchi, la curva morbida
del seno.
Alex lascia cadere la vestaglia a terra, lo accoglie tra le sue
braccia.
"Lo sarà."
Albert si prenderà cura di lei; in un modo o nell'altro.
Hidden in the rubble,
everybody's got a story to tell.
Laboratori distrutti, ricerche stracciate.
Corpi smembrati, orrori ancora senza nome.
L'anteprima dell'apocalisse, una finestra sull'inferno.
William osserva il livello quattro, settore 3-B, morire,
preoccupato.
"Non doveva succedere."
Albert si sfila gli occhiali, li infila nella tasca del camice.
"Chiudi le uscite d'emergenza."
William sgrana gli occhi, apre la bocca.
"Moriranno."
"Lo sono già." replica Wesker, impassibile.
La Dott.essa Hellen inciampa, perde l'equilibrio.
William deglutisce, si passa una mano sul viso.
"Fallo."
Birkin sposta lo sguardo a destra, poi a sinistra.
"Io..."
"Vuoi forse spiegare a Spencer come
un'idiota si sia lasciato scappare una provetta in giro
per il settore 3-B senza che tu
ne fossi a conoscenza?"
William arretra di scatto, come se fosse stato colpito fisicamente.
Albert gli regala uno sguardo in tralice, obliquo.
"È l'unico modo."
Il Dottor. Hollend viene morso a una spalla, la cuffia dei rotatori un
filo biancastro che unisce la bocca dell'infetto al suo corpo.
William tentenna, ondeggia con le dita sopra la plancia dei comandi.
La Dott.essa Hellen ha perso una scarpa, cerca di tamponare la ferita
all'addome (uno squarcio da cui fuoriesce troppo sangue e troppo
intestino)
William abbassa le palpebre, digrigna i denti.
"Albert, io non so se..."
Click.
Wesker la fissa, incuriosito;
affascinato.
William storna lo sguardo, lo posa sul suo viso - nei suoi occhi.
"Nessuna incertezza." replica, lapidaria "Mai, William. Mai."
Le porte d'acciaio spesse trenta centimetri si chiudono, circoscrivono
una mattanza annunciata.
La Dott.essa Hellen cade di nuovo al suolo, viene sopraffatta da tre
infetti.
Hollend grida quando uno degli infetti gli strappa la guancia, un suono
umido e gutturale - glurg glurg glurg.
Nancy, la segretaria, si spezza un braccio nel tentativo di fuggire,
Bill, il supervisore del settore, spara fino a quando ha proiettili.
L'ultimo colpo è in bocca, davanti alla foto di sua figlia.
William chiude gli occhi, china il capo.
Albert scivola con lo sguardo su tutti loro (mostri, uomini, indifferente) e
tace, la mandibola rigida, il collo teso.
Alex raddrizza le spalle, allarga leggermente le gambe, non chiude gli
occhi.
Mai cedere, mai
arretrare, mai scappare.
Si porta le mani dietro la schiena, serra così forte le dita
tra loro da incidersi la pelle morbida del dorso.
Morte, Pestilenza, Guerra; i tre cavalieri hanno appena assistito a uno
scampolo del loro futuro.
#5 - No one else survives
- I've seen you live, now watch me die.
L'orgasmo di Alex è è quieto, quasi timido.
Nasconde il viso contro la sua spalla, mormora il suo nome.
Libera un ansito delicato,
sottile.
Albert la guarda inarcarsi all'indietro, un corpo morbido e cedevole
tra le sue mani.
Le labbra pallide, gli zigomi aristocratici - arrossati.
Il seno piccolo, premuto contro il suo petto.
Lo bacia con una premura inaspettata, le dita tra i capelli e le
pupille dilatate sotto le palpebre socchiuse.
Gli afferra i fianchi, incide mezzelune di sangue, lo spinge contro di
sé - dentro
di sé - in un unico affondo.
Albert soffoca un gemito indecente sulla sua bocca, le stringe la nuca
in un pugno possessivo e ossessivo.
"Non è un addio." mormora, e Alex è quasi tentata di
credergli.
Quasi.
Sorride, ed è il primo gesto sincero in troppi
infiniti
anni.
"Lo so." replica, e non sa se lo dice solo per se stessa o per
entrambi, ma non vuole (non può) darsi un'altra risposta.
Albert le sfiora la linea delle cosce con le dita, la espone al suo
desiderio.
Il virus tace, la malattia avanza.
Alex si aggrappa ad Albert con una disperazione che spezza il confine
tra piacere e dolore.
Walk with me,
don’t let this fucking world tear you apart.
Alex rimane ferma sulla soglia della porta, titubante.
La punta della scarpa destra sfiora il parquet chiaro dell'ingresso, la
sinistra è ben piantata sul legno del portico.
Conosce quella casa, ne ha dovuto studiare ogni singola stanza.
Sa che lo studio si trova al piano superiore, seconda porta a destra, e
che il bagno ha piastrelle in ceramica azzurre.
Ha spiato
nella vita dell'unico sopravvissuto del Progetto e la
verità è sempre lì, che scivola sulla
punta delle lingua, pronta a sfuggirle da un momento all'altro.
Albert butta le chiavi sul mobile all'ingresso, la fissa da sopra la
spalla.
Vieni? le
dicono i suoi occhi, e Alex
entra, chiudendo la porta.
Click.
Wesker s'incammina verso la cucina, le indica il divano (bianco,
tessuto raffinato, morbido) e Alex bilancia meglio il peso dei
fascicoli tra le braccia.
"Caffè?"
Alex emette una risata leggera, pulita.
"Immagino che ne avremo bisogno."
Si siede sul bordo dei cuscini, fuori posto - incerta.
Albert le porge una tazza fumante, l'affianca.
"Cominciamo?"
Alex sbatte le palpebre un paio di volte, annuisce.
Si chiede se questa sia quella che gli altri chiamano
normalità.
#6 - Inside my shell I
wait and bleed.
A Sushestvovanie sorge un'alba grigia, umida di pioggia e nebbia.
Alex si raggomitola contro il suo fianco, intreccia le proprie gambe
alle sue.
Tra le dita i suoi capelli; negli occhi un orizzonte tumefatto e
livido.
"Sta distruggendo le mie cellule."
Albert le sfiora la fronte con le labbra, indugia.
"Il siero non è più in grado di rallentarlo."
Rafforza la presa sulla sua nuca, tace.
"Sfalda le membrane, divora i mitocondri."
Non chiude gli occhi, non trema.
"Metà del polmone destro è compromessa."
Affonda il viso nell'incavo del suo collo, lambisce la pulsazione
regolare della carotide.
Tum tum. Tum tum. Tum tum.
"La sinistra ha iniziato a mostrare i primi segni di cedimento."
Alex si lascia avvolgere dal suo corpo, dalle sue mani.
"Il Progenitore mi sta uccidendo, Albert."
"L'Uroboros ti riporterà indietro."
Assoluta convinzione; incrollabile certezza.
Alex scuote la testa, si nasconde contro il suo petto.
"No; non lo farà."
Wesker respira tra i suoi capelli, stringe.
Alex ingoia lacrime e paura.
You can't kill me,
because I'm already inside you.
Stringhe di materiale virale, prospetti, calcoli, statistiche e
proiezioni d'infezione.
Due tazze di caffè vuote, le tende accostate, la luce
dell'alba che non riesce a penetrarle.
Alex si raggomitola contro il bracciolo del divano, sospirando nel
sonno.
Wesker la fissa in tralice, portandosi una mano sotto il mento.
Alexandra Fayer era una dannatissima
spina nel fianco.
Si era presentata dieci mesi prima come il nuovo acquisto dell'Umbrella
nel campo della ricerca virale, sorriso arrogante, occhi trasparenti.
"William Birkin." era
stata l'accoglienza di Will "Lì ci
sono gli ultimi risultati sul virus T, sul tavolo la macchina per il
caffè. Infetti a destra, bagni a sinistra. Benvenuta nel
settore sicurezza quattro, Alexandra."
Aveva riso, Alexandra.
Aveva gettato la testa all'indietro, ritirato la mano tesa (dita
sottili, unghie laccate di rosso - domande indecenti su cosa
potessero
fare quelle mani)
"William Birkin, uhm?
L'enfant prodige di cui tutti parlano."
Wesker aggrotta le sopracciglia, percorre con lo sguardo la curva
sporgente dei fianchi.
"Che William sia un
bambino è un dato di fatto
incontrovertibile." l'aveva apostrofata, continuando a regolare il
fuoco del microscopio "Sul prodigio dobbiamo ancora lavorarci."
Il quartiere comincia a svegliarsi, riempiendo il silenzio.
William aveva
assottigliato le labbra, mimato un vaffanculo con i
gesti.
"Albert Wesker,
immagino."
Aveva continuato a
ignorarla, irritato.
"Te l'ha detto il
cartellino oppure le tue doti divinatorie?"
Un fruscio; un odore
leggero, sangue e argan.
"Oh, so fare molto
più che indovinare un nome, Al."
Wesker si era voltato di
scatto, furioso.
William era scoppiato a
ridere senza alcuna decenza.
"Mi stai fissando."
Un cane abbaia in lontananza; qualcuno mette in moto una macchina e
gratta la marcia.
"No."
Alex non apre gli occhi, curva un angolo della bocca
all'insù.
"Bugiardo."
S'inarca all'indietro, allunga le gambe verso di lui.
"Hai occupato abusivamente il mio divano."
Alex socchiude un occhio, così azzurro da essere quasi
irreale.
"Potevi buttarmi fuori di casa se ti davo così fastidio;
al
massimo mi sarei svegliata nel prato."
"La mia reputazione avrebbe subito un duro colpo."
"Immagino che tu non
sia l'animatore del quartiere."
Irritante. Molesta.
Sfacciata.
"Ho i miei mezzi per risultare... accattivante."
Alex si solleva, appoggia il mento sulle ginocchia, lo studia.
Wesker sostiene lo sguardo, non cede.
Per un istante gli sembra quasi
che qualcosa vibri all'interno del suo
stesso corpo, come un canale che sta cercando di sintonizzarsi, un filo
tirato all'altra estremità.
Alex gli si avvicina, abiti stropicciati, labbra pallide - prive del
rossetto a cui si era abituato in laboratorio.
Gli sfiora gli zigomi, la linea dritta del naso, la bocca.
Albert socchiude le labbra, le lambisce la punta delle dita con la
lingua.
Il filo di prima strattona
più forte, lo stringe
dall'interno - un nodo nel petto e tra le cosce.
Riconosciuta. Fidata.
Amata.
Alex geme il suo nome senza alcuna vergogna.
#7 - Can't be real no
more - your mask is skin and bone.
Storpiati a
vita.
Deformati dallo
sguardo esigente di un Crono putrescente, piegati alla
volontà di un dio mai riconosciuto.
I Wesker Children erano un abominio; uno scherzo grottesco e di cattivo
gusto.
Non era stato per la loro innocenza violata che Albert si era erso a
Zeus del nuovo mondo, e nemmeno per un distorto e tardivo senso della
morale.
Non era stato per spirito di vendetta, e neppure per un mero impulso -
un volgare istinto.
"Resti?"
Un mormorio sommesso, smorzato dalla sua pelle.
"Sì."
Un respiro, lunghissimo - pesante. Come se fosse stato trattenuto per
troppo tempo.
"Grazie."
Era stato perché, per un istante, Albert si era sentito
perduto.
Le sue certezze, le sue convinzioni, le sue idee, tutto si era
sgretolato
davanti ai suoi occhi, riflettendogli un'immagine aberrante,
ridicolmente
fragile.
Un dio caduto nella
polvere.
Creato; istruito, ibridato, allevato
per essere quello che
è.
Ti credevi migliore
degli altri, ma la tua era solo una strada
già percorsa.
Alex gli cerca gli occhi, il volto; trova tutte le risposte di cui ha
bisogno - le uniche che il suo ego gli permette di mostrare.
Sono un prodotto di
scarto erano state le sue parole mesi prima, mentre
si torceva le mani nel buio della stanza Un essere imperfetto, un
errore. Una storpia.
Albert l'aveva fissata in silenzio, mettendo a tacere la parte che
concordava (la voce di Spencer, di Crono,
del futuro a cui credeva
d'essere destinato)
Il Progenitore aveva invece uggiolato,
grattando contro le ossa come un
cane alla catena.
Il Progenitore si era arrotolato
attorno al cuore come un serpente
pronto ad attaccare, riconoscendo un suo simile, un pari - annusando la
sua stessa malattia, gli stessi sintomi.
Le aveva sfiorato gli zigomi, i capelli, portandosela al petto.
Il Progenitore aveva snudato i denti, appagato.
Crono era morto, divelto
per sua stessa mano dalla storia.
E noi?
"Noi non
siamo sui figli, Albert; non lo siamo mai stati."
Storna lo sguardo, lo posa su Alex - l'altra metà, il numero
dodici, tutto ciò che un tempo avrebbe etichettato come
imperfetto, indegno.
Cercare di salvarle la vita è forse la prima scelta compiuta
da uomo libero.
I can feel it on my
mouth, I can taste you on my fingers, I can hear
you like the holy ghost.
Una scrivania vuota, un foglio abbandonato.
Wesker se lo rigira tra le dita un paio di volte, lo accartoccia nel
palmo della mano.
"Cosa c'è scritto?" gli chiede William, cercando di spiare
oltre la sua spalla.
"Nulla." è la risposta lapidaria - affilata come i suoi
denti.
"Ha dato le dimissioni da un giorno all'altro; non l'abbiamo neppure
vista passare a prendere la sua roba, eppure puff, tutto
scomparso."
Albert irrigidisce la mandibola, assottiglia gli occhi.
Pelle umida sotto le
dita, tra le cosce.
Un gemito indecente, un
ringhio che non ha nulla di umano.
Unghie lungo la schiena,
sui fianchi.
"Sarà stata trasferita."
William si scosta, sospettoso; all'Umbrella nessuno viene
trasferito.
Piuttosto eliminato con un buco in fronte e abbandonato in un canale di
scolo fuori Raccoon City.
"Stronzate."
Il foglietto gli graffia la pelle, l'orgoglio.
"Non mi interessa."
Birkin alza un sopracciglio, lo scruta
in quella sua maniera irritante
e che sembra spogliarlo d'ogni maschera.
"Cosa è successo, Albert?"
Alex rimane seduta sul
divano, una macchia biancastra tra le gambe,
lungo le cosce.
Wesker s'inclina verso
di lei, sfiora con la bocca la curva morbida del
seno.
Per un attimo, una
frazione d'istanti quasi impercettibile, Alex
s'irrigidisce, assomigliando a uno di quegli animaletti paralizzati dai
fari delle automobili.
Albert annusa la sua
incertezza, le blandisce l'areola chiara, affonda
i denti.
Alex sospira, gli cinge
i fianchi con le gambe.
Si
arrende.
La sensazione di prima
è scomparsa, rapida come l'aveva
percepita.
Negli occhi di Alex una
consapevolezza che rischia di schiacciarli
entrambi.
"Niente."
Bugiardo.
"Stai mentendo." l'accusa William, puntandogli contro l'indice "E non
so come, o perché,
ma sono sicuro che c'entri qualcosa con
gli ultimi dati del virus T che vi avevo lasciato da analizzare."
Wesker stropiccia ulteriormente il foglietto, gli dà le
spalle.
"Torniamo al lavoro."
Comincia a infilarsi il camice, i guanti; abbandona le parole di Alex
nella tasca dei pantaloni.
William sospira, incassa le spalle.
"Me lo dirai mai, Albert?"
Il destino li chiamerà a sé molto prima che abbia
l'occasione il coraggio di farlo.
#8 - I can't stay -
because I can't be stopped.
Non può trattenerlo, non
può fermarlo.
Era osserva il suo Zeus partire per la guerra e sa che questa
volta non
tornerà.
Lo afferra per il bavero della giacca, lo strattona a sé.
"Non farlo."
"Devo."
Alex scuote la testa, quasi vorrebbe mettersi a urlare.
"L'Uroboros fallirà."
Albert rimane immobile, la fissa.
"Excella non lo capisce, tu
non lo capisci."
"Ci darà il mondo che abbiamo sempre meritato."
"Il mondo che Spencer
ha sempre voluto!" e grida Alex, vomita tutta la
sua paura in un colpo solo.
"Non farlo." ripete, e prova disgusto per se stessa (per la sua
debolezza, per il suo amore) "Ti prego."
Ti prego.
Era crolla in ginocchio, devota a un dio che sta per diventare polvere
e ricordo.
Zeus ricorda;
quelle parole, quella supplica. Un foglio bianco, una
vita prima.
"Vieni con me."
Alex alza lo sguardo, stupefatta.
"In Africa." chiarisce, e le tende la mano.
Alex chiude gli occhi e comincia a piangere.
#9 - I have screamed
until my veins collapsed, I've waited as my time's
elapsed.
Abbandonare è una cosa che le riesce così bene.
L'ha già fatto in passato (prima di Raccoon, prima del
virus. Quando i suoi occhi erano ancora azzurri, umani) l'ha
ripetuto
dopo.
Alex respira a fatica, osserva il suo riflesso distorto.
Pelle pallida (secca) labbra spaccate (tumefatte) occhi vitrei (morti)
Stuart dondola dal lampadario del suo studio, la torre tace.
Qualcosa gocciola in lontananza, gli acquari gettano ombre violacee
lungo le pareti, sul pavimento.
No.
Una semplice parola; così
tanto dolore.
Alex sgrana tra le dita sfere d'ossidiana e oro, tutto ciò
che le è rimasto di lui.
Un colpo di tosse le sconquassa il petto, già riesce a
immaginarsi il polmone sinistro che collassa. (quello destro
è ormai non più grande di uno straccio vecchio e
bagnato)
Una delle creature le sfiora i capelli, la oltrepassa.
Invisibili agli occhi,
all'olfatto. Non per lei. Non per quelli come
lei.
Alex fissa un letto rimasto intoccato da allora, una stanza
senza
più significato.
No.
Il corpo di Natalia sprofonda lungo le gallerie nascoste della torre,
l'odore di Claire un lezzo che si fa sempre più forte -
più vicino.
Ti ho abbandonato. Ti ho
deluso. Ti ho lasciato morire.
Alex si alza, incerta sulle gambe.
Scivola con le unghie (spezzate, dipinte di nero per nascondere i segni
della malattia) lungo il bordo del tavolo, inspira.
La morte è l'eterna pace di chi ha perso ormai ogni
speranza.
#0 - Obey (me) Believe
(me) Just trust (me) Worship (me) Live for (me)
Era l'aveva abbandonato, Zeus era stato incapace di ascoltare.
Caduto il loro regno, distrutta la loro eredità, cos'altro
rimaneva?
Noi.
Natalia Alex fissa il forno con un'espressione curiosa, osservando i
pomodori come se fossero una pericolosa arma batteriologica.
"Potrebbero esplodere."
Alex alza un sopracciglio, si dondola sui talloni.
"Potrebbe esplodere la casa."
Alex sbuffa, imbroncia le labbra.
"Non dire scemenze. So come si fanno i pomodori al forno."
Un suono derisorio - una risata trattenuta.
"Tu sai come si modifica il genoma di un virus potenzialmente letale,
non i pomodori al forno."
Alex si alza di scatto, scrollandosi l'orlo dei pantaloni.
"L'ho letto su internet."
Silenzio.
"Sono sicura che funzionerà."
Altro silenzio scomodo.
"Un po' di fiducia?"
In me, in noi. In tutto questo.
Albert inclina il capo di lato, le sfiora il mento con la punta delle
dita.
"L'ho sempre avuta, Alexandra; sempre."
Perché sei morta e tornata per me.
Perché hai attraversato l'inferno e lo rifaresti.
Perché siamo sempre stati solo noi e basta - bambini,
esperimenti, creature fuori posto e fuori tempo.
Alex sorride sulla sua bocca, accoglie un futuro nel quale aveva smesso
di credere.
Gli stringe la nuca, lo conduce verso di sé - su di
sé.
Splatch.
Albert apre un occhio, quasi le scoppia a ridere in faccia.
"Non dire niente."
Contrae un angolo della bocca, si contiene.
"Non. Dire. Nulla."
Wesker le cerca le labbra in un bacio che mette a tacere ogni altra
protesta.
"I am a world before I am a man
I was a creature before I could stand
I will remember before I forget."
- Slipknot -
Note dell'autrice: Albert Wesker e Alex Wesker non sono fratello e
sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono stati cresciuti
nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben diverse e
distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda l'avvertimento
incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di selezione
genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello" e
"sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del
progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione
di comportarsi come tali.
Secondo la legge italiana non sono né discendenti
né ascendenti, e neppure affini in linea retta, per cui il
reato d'incesto non sussiste.
Per comprendere meglio l'epilogo di questa storia è
necessario leggere le one-shot "The biology of evil" e "Beautiful lie".
Le canzoni utilizzate per la suddivisione in paragrafi sono tratte da
vari testi degli Slipknot.
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