Non avrai altro Dio
all’infuori di me
First mass.
Clara entrò nell’ufficio del Sacerdote. Era molto tesa, era
il suo primo compito del seminario, sentiva la nuca e le mani umide, tuttavia
era in grado di affrontare la sua prima prova; aveva passato la vita tormentata
dalle incertezze, ma ora era pronta, con gli occhi fissi verso il futuro.
-Clara!
Il parroco la invitò a prendere una sedia.
Clara sorrise dolcemente al prete e si sedette.
-Buon pomeriggio, cara. Ho già pronta la famiglia per te, ho
parlato con entrambi, sono due giovani, vedrai che ti
troverai benissimo. Inoltre potrai abitare
nell’appartamento accanto a casa loro, non è magnifico?
Clara sorrise.
-Si, padre.
-La tua via è sempre più chiara e sarà un piacere per te
percorrerla. Perciò non demordere, d’accordo?
Si avvicinò alla ragazza e si sporse col busto sopra la
scrivania, carezzando con le mani rugose il volto di Clara. Clara fissò il suo
anziano amico, aveva sempre pensato che Don Albino avesse negli occhi la luce
di un arzillo ragazzino di otto anni. Gli sorrise nuovamente e riuscì solo ad emettere un suono
rauco deviato dall’emozione che somigliava molto a un “Grazie”.
Dopo averlo salutato, Clara uscì dalla stanza di Don Albino
e chiuse la porta. Poi fece un respiro profondo e prese le valigie di cuoio
marrone. Percorse la Stradina ciottolata che separava gli alloggi
dalla Chiesa e trovò un’auto nera ad attenderla. Ne uscì una suora
anziana, e Clara le corse incontro per abbracciarla.
-Oh, Suor Irene.
La madre superiora la strinse forte a sé.
-Piccola mia – le disse – Sei proprio cresciuta,eh?
Clara cominciò a piangere rumorosamente.
-Madre, pensavo di non rivederti prima del mio incarico e,
invece, quando Don Albino mi ha detto che eri tornata
e che mi avresti accompagnata dalla nuova famiglia, mi sono sentita davvero
felice. Meno male che sei qui.
Strinse la suora con forza.
-Sei preoccupata vero?
-Sì – ammise Clara tirando su con il naso.
-Io invece no, sono sicura che sarà un’ avventura
entusiasmante.
Clara sorrise alla madre superiora, baciò il rosario in legno che portava al collo e sciolse l’abbraccio. Infine
disse:
-Sì, ne sono sicura anch’io.
Clara e Suor Irene salirono in
macchina e si avviarono verso la casa scelta per Clara. Parlarono di come
avevano trascorso quei sei mesi lontane, di ciò che
era cambiato e ciò che inevitabilmente era rimasto come la Madre superiora ricordava.
Clara raccontò di ciò che l’aveva divertita e di ciò che l’aveva fatta piangere.
La madre Superiora annuiva e rideva immaginando gli eventi più buffi. Arrivarono
davanti alla casa poco dopo. Clara chiuse gli occhi, sospirò e li riaprì.
-Sono pronta - Disse infine.
Suor Irene le strinse le mani e le disse:
-Và tesoro mio, e diventa una suora degna di questo nome.
Clara diede un ultimo saluto e si voltò. La villa che la
attendeva oltre il cancello era imponente e ciò che saltava
all’occhio erano le mura gialline. Arrivò davanti al citofono , suonò, e d’improvviso il cancello si aprì, così Clara potè entare. Percorse velocemente
il vialetto selciato e giunse davanti alla porta. Le aprì una donna alta e molto magra, dai capelli mossi, corti ed incredibilmente
rossi. Clara si trovò quasi in imbarazzo davanti alla ragazza: indossava un
vestito nero corto fino a metà coscia e del trucco davvero pesante.
-Ciao trèsor!
La salutò con un tono che a Clara ricordò molto lo starnazzo
di un oca.
-Ehm, salve.
Rispose Clara con un timido sorriso.
-Trèsor, io mi chiamo Rouge.
-Oh, che nome bello e inusuale, io
sono Clara.
-Ah.
Rouge alzò un sopracciglio con
aria di disappunto guardando l’abbigliamento di Clara: indossava un vestito blu
scuro lungo fino alle scarpe e teneva i capelli legati in una crocca.
-Beh, immagino che anche il tuo nome sia bello.
Concluse alzando le sopracciglia disegnate e ritirando in
dentro le labbra.
-Comunque Trèsor! Questa è la
nostra casa.
Le disse facendo un ampio gesto con il braccio.
-E’ piccola per i miei standard,
ma ho intenzione di farla ristrutturare.
A Clara, che era abituata a vivere in una stanzetta dalle
dimensioni più che modeste, quella casa non sembrava
certo piccola.
-Vedo…
-Oh, ma il fatto che voglia ristrutturarla non significa
mica che non la voglio linda e pulita…Perciò dato che
da oggi in poi lavorerai qui, ti ho preparato una lista delle cose da fare ogni
giorno.
Clara prese il foglio preparato da Rouge
e si accorse che era imbarazzantemente lunga.
Poi sospirò e fece segno di assenso.
Dopo che Rouge l’aveva rintronata
con le sue troppe chiacchiere, passò in cucina e le presentò un uomo come suo
marito. Clara rimase come paralizzata e non riuscì ad emettere alcun suono.
Davanti a lei c’era la figura longilinea di un uomo sulla trentina, dalle
spalle larghe e il fisico snello. I capelli corvini lunghi fino al mento,
incorniciavano perfettamente il volto ovale, mettendo in risalto le carnose
labbra rosee. Tuttavia ciò che disarmò completamente Clara, fu lo sguardo. Gli occhi nerissimi dal taglio sottile, malcelavano
una tristezza recondita, evidente alla sensibilità di Clara. L’uomo,
appoggiato al mezzo muro che separava le due aree del salone, si avvicinò a Clara e la guardò. Clara sentì improvvisamente
perdere la propria consistenza: era come se quell’ uomo, guardandola, la
trapassasse con una lama di Toledo, senza però ferirla, perché oramai avendo
perso la propria solidità, galleggiava sopra il pavimento circondata da una
luce spaziale. Era la prima volta che provava queste sensazioni, eppure non desiderava
finissero, al contrario sperava di crogiolarsi e naufragare eternamente in
quella luce.
-Sono Alessandro.
Disse infine. Senza un sorriso, né un
espressione percettibile. Era totalmente insondabile.
-Ehm…piacere…Clara, sono qui per…
-Lo so perché sei qui.
Le disse per zittirla.
-Sinceramente. Non mi interessa
quello che fai. Ti dico solo che non sopporto le ragazzine petulanti, perciò
vedi di non intralciarmi col mio lavoro.
Detto ciò uscì dalla stanza.
Clara sentì la rabbia uscire sotto forma di fumo dalle narici mentre pensava, “E allora Rouge
che cos’è se non una ragazzina petulante?” Subito dopo però si rese conto di
aver peccato con i suoi pensieri diffamatori, perciò chiese perdono a Dio. Rouge, aspettò che Alessandro fosse uscito dalla stanza e disse:
-Trèsor, hai visto come è carino mon amour? Non è bellissimo? E’ davvero ravissant! E’ il mio pulcino zuccheroso, a proposito non
avvicinarti a lui più del dovuto, sei abbastanza carina e non voglio guai prima
dell’alliance.
-Alliance?
-Ma certo trèsor,
il matrimonio!
-Ma scusami, tu hai detto che era
tuo marito…
-Sì, trèsor,non
lo è ancora, ma tra poco ci sposiamo e quindi è come se fosse già mon mari!
-Oh, congratulazioni!
Disse Clara.
-Oh, trèsor non voglio le tue
congratulazioni, io voglio che tu lavori! Sai, dato
che ci sposiamo, voglio che sia tutto sempre in ordine
e pulito, chiaro?
Guarnì l’ultima parola con una punta di rabbiosa
impetuosità, come da ricordarle la sua posizione sociale.
-Sì, è tutto chiaro.
Disse Clara.
-Ora mi ritiro, ci vediamo domani, Rouge.
-Non chiamarmi Rouge, chiamami madame, sai tutti in Francia mi chiamavano così.
Nonostante non fosse a conoscenza della lingua francese,
Clara capiva benissimo che era una formalità dettata dall’ egocentrismo
e non dall’abitudine; tuttavia con in mente le parole di Don Albino “Servi il
tuo prossimo al meglio che puoi”, disse:
Clara si sedette sul letto del suo nuovo appartamento e
cominciò a disfare le valigie, ripensando al suo
percorso di vita. Lo faceva spesso perché Suor Irene le aveva detto di non
perdere nemmeno un attimo della vita e cercare di contenere quanti più ricordi avesse potuto. Così guardò al passato. I suoi primi
ricordi erano custoditi all’interno dell’ orfanotrofio.
Era una bambina molto intelligente, era stata cresciuta con amore da Suor
Irene, la madre superiora e Don Albino, il sacerdote della parrocchia adiacente
all’edificio che ospitava i bambini orfani. Sin da piccola era stata una
bambina intelligente e già a quattro anni si prendeva cura dei bambini più
piccoli. Crescendo era
diventata amica di tutti, solo che prediligeva l’amicizia di due
ragazzi: Elisabetta e Mauro. Nel periodo in cui erano veramente uniti e
facevano tutto insieme, Elisabetta aveva quindici anni, Mauro venti e Clara
tredici. Per loro, che erano cresciuti insieme, non esistevano differenze
d’età, infatti discutevano degli stessi argomenti,
leggevano gli stessi libri e facevano tutto insieme. Dormivano persino nella
stessa camera, ma nemmeno gli adulti si preoccupavano poiché
sapevano che il loro rapporto era quello di tre fratelli. Quando Clara aveva
sedici anni però ci fu un brutto litigio tra loro tre,
e sia Mauro che Elisabetta, poichè erano maggiorenni,
decisero di lasciare l’orfanotrofio. Allora Clara pensò che il mondo le fosse
crollato sopra, tuttavia il male che si annidava all’interno dell’orfanotrofio
non si era manifestato completamente. Infatti durante una messa della Domenica, Don Albino, che
stava dicendo la predica, cominciò a gridare aiuto e a stringersi forte il
petto. Naturalmente venne subito portato in ospedale e
Clara temendo che il vento della morte le portasse via ciò a cui si era strenuamente
aggrappata con le unghie per tutta la vita, pregò Dio di non renderla orfana di
nuovo. Proprio quando non c’erano speranze e l’infarto aveva cominciato ad
impedire al cuore del sacerdote di pulsare, Clara pensò “Dio ti prego, ti seguirò per sempre, ma non abbandonarmi proprio
ora!”. Un battito. Poi un altro. Il suo padrino era vivo. Ed
è così che Clara cominciò il seminario per diventare suora. Dio, l’entità con cui
Clara si era sempre confessata, l’aveva chiamata e Clara aveva risposto. Clara
era felice poiché aveva finalmente un compito per
riscattare Dio che quella volta l’aveva salvata dalla solitudine. Clara, si
mise una vestaglia bianca e andò a dormire. Immagini confuse le confondevano la
mente,quando ne comparve una più nitida, rivedeva quelle
labbra e quegli occhi nerissimi trapassarle il petto.