Il Sole a Mezzogiorno.
Il calore la stava soffocando.
Dita bollenti erano strette sul suo collo fragile, un
corpo di fiamme premuto sul suo. Avrebbe cercato un’arma per difendersi, se non
avesse avuto l’assoluta certezza che fosse inutile.
Combattere era
inutile.
L’ennesimo conato si spense nel silenzio della stanza, il
mostro di fuoco ancora stretto a lei, intenzionato a non lasciarla andare
finché non fosse rimasto altro che un mucchio di ceneri del suo corpo. Il
pensiero delle conseguenze di tutto quel dolore avrebbe fatto cedere le sue
ginocchia, se non fosse già stata al suolo.
Era troppo tardi.
Alzò gli occhi dalla ceramica, posandoli sulla giovane
donna che ricambiava il suo sguardo dall’altro lato dello specchio, accusandola.
Era solo colpa sua.
Un nuovo attacco di nausea, una nuova stilettata nel
petto.
Il calore che sentiva era il sangue di innocente che
sapeva sarebbe stato versato.
«Devi considerarmi davvero stupido, Cervellona».
Gli occhi color dell’oceano, dolci nella loro compassione,
impedirono che lo sguardo di grigia disapprovazione continuasse a fulminarla.
La sua attenzione non si spostò su di lui, sapeva che non l’avrebbe sopportato.
Lui non avrebbe
capito.
Braccia forti, calde, la circondarono e la sollevarono dal
pavimento, lasciando cadere il simbolo di tutte le paure che avevano iniziato a
soffocarla.
Due linee.
Positivo.
Percy non si allontanò mai, se non per portarle qualcosa
da mangiare. Per tre giorni la bestia dormì sul suo petto, bagnandola del
sangue di chi non sarebbe mai dovuto nascere. Per tre giorni lei rifiutò
qualsiasi aiuto, bloccata in un limbo d’orrore che le impediva di reagire.
Non c’era via
d’uscita.
Il quarto giorno, lei si svegliò da sola, il letto freddo
al suo fianco. La sensazione d’abbandono che l’assalì sembrò donare nuova forza
al mostro di fuoco. Bruciò, bruciò come le lacrime nei suoi occhi, come le
acque del Flegetonte.
L’Ade era venuto a
bussare alla sua porta.
Venne Piper, venne Hazel, Reyna e poi tutti i
ragazzi. Forse qualcuno parlò, qualcuno tentò di abbracciarla.
L’abisso era troppo
profondo per poter riemergere.
«Sei la mia ultima speranza».
Percy aveva parlato a bassa voce, aprendo la porta della
loro camera.
«Lei è l’ultima
speranza, non io».
Il ragazzo era cresciuto molto, dalla prima volta in cui
l’aveva visto. L’aspetto scarno, malaticcio, era sparito per cedere il posto
alle spalle larghe ed alla leggera abbronzatura del giovane uomo che attendeva
a pochi passi da lei.
Solo gli occhi erano rimasti gli stessi, profondi
nell’orrore che avevano vissuto.
«Come fai a conviverci?» sentì se stessa chiedere, usando
le corde vocali dopo giorni di silenzio. La belva ruggì il suo disappunto per
quell’evasione imprevista. Parlare poteva essere il primo passo per accettare
la condanna. Il primo passo per ritardare la fine.
«Con cosa?».
Nico si sedette al suo fianco, l’espressione rilassata di
chi era certo delle proprie capacità.
Hubrys, peccato mortale. Era stato
quello a condannare il sangue innocente.
«Con la morte, con l’Inferno» la risposta le venne strappata
da un angolo di cuore cui non credeva di poter accedere facilmente.
La belva ruggì ancora, ma quella volta lei non l’ascoltò.
«Non si scappa dall’oscurità, Annabeth»
la voce del giovane suonò improvvisamente matura, molto più anziana dei suoi
anni apparenti. «Ma anche il buio cede il passo alla luce del sole, ogni
mattino, ed allontana anche gli incubi peggiori».
«Ma le ombre esistono sempre» obietto lei, gli occhi
lucidi, ancora una volta. «Le ombre esistono ovunque, nessuno può sfuggire».
Nico annuì, sorridendole. «A Mezzogiorno, l’ombra è sotto i
tuoi piedi, schiacciata, mostrata in tutta la sua debolezza». Una persona
normale avrebbe cercato un contatto fisico con lei, lui non lo fece. Nico non
toccava mai nessuno, se non… «Io ho trovato il mio Sole a Mezzogiorno, tu no?».
L’angoscia, per un momento, le impedì di parlare.
«Se Percy sapesse… lui ancora ha incubi, non posso
chiedergli di…» scosse il capo, la voce ridotta ad un sussurro spezzato.
«Io non parlavo di Percy». Nico non sorrise, ma la scintilla
nei suoi occhi fu molto più chiara. «Ho dovuto combattere, per poter godere
della mia luce. Ho dovuto difenderla dalle nuvole» si morse le labbra,
incrociando le braccia al petto. «Le nuvole capitano, Annabeth.
Capitano i temporali che sembrano non finire mai» mormorò, osservandola mentre,
dentro di lei, iniziava a delinearsi il significato di quelle parole. «Non per
questo, però, potrai dubitare che presto, a Mezzogiorno, splenderà il sole e le
ombre saranno di nuovo fango ai tuoi piedi, fantasmi di paure irrilevanti di
fronte alla bellezza del giorno».
Si guardarono, in silenzio, soppesando le reciproche
reazioni.
Il Sole a
Mezzogiorno.
«Non credo di farcela, da sola».
«Per quanto possa sembrare stupido, credo che Jackson
saprà rendersi utile».
«Stavo parlando di te».
Nico sospirò, abbassando il capo come sconfitto in
partenza. Annabeth vide un leggero sorriso
illuminargli il volto.
«Vorresti affidare tuo figlio ad un discendente
dell’Oltretomba?».
«No». Percy emerse da oltre la porta, mostrando d’esser
sempre stato a portata d’orecchio. «Lo affideremo ad un nostro amico».
Quando Eilis nacque, una
tempesta imperversava fuori dalle mura del piccolo ospedale di Nuova Roma.
Un saluto da parte
del nonno, diceva Percy.
Annabeth non si preoccupò, non ebbe paura
dell’oscurità.
La bambina riposava
fra le sue braccia, con un occhio color dell’Oceano e l’altro dell’argento più
puro.
Con un sorriso, pensò che avrebbe brillato per sempre su
di lei, schiacciando via tutte le sue paure.
Il suo Sole a Mezzogiorno.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri
aggiornamenti! [NB: è ancora in fase di allestimento, non è proprio perfetta!]
È la prima volta che scrivo in questo fandom, sono piuttosto emozionata!
Questa OS estremamente breve è solo una
delle idee che mi ronzano in testa da un po’ e che ho dovuto mettere per
iscritto per evitare di esserne ossessionata, spero sia stata chiara e non
troppo contorta, con quelle metafore!
Io adoro i Percabeth,
ma adoro anche Nico. L’idea che lui possa essere importante nella vita del loro
bambino mi riscalda il cuore.
Punti importanti:
» Annabeth è
terrorizzata all’idea che suo figlio sia costretto ad una vita di dolori, come
quella toccata a lei. Non sta sottovalutando gli aspetti positivi,
naturalmente, ma i ricordi del Tartaro sono ancora presenti come incubi
continui, sia per lei che per Percy.
» Nella scena iniziale, lei ha appena
scoperto di essere incinta, nonostante sia già abbastanza avanti da rendere impossibile
qualsiasi soluzione. Non
fraintendetela, non avrebbe abortito, ma nel panico ha pensato a quella
possibilità persa. Essenzialmente, Annabeth l’ha
capito solo dopo il terzo mese, perché confidava troppo nei contraccettivi
usati (Hubrys).
» Perché Nico? Lui ha vissuto il Tartaro,
ma ha continuato a vivere. Una volta conosciuto Will – il suo Sole –
è riuscito ad andare avanti ed a perdere l’aria malaticcia.
» Per quanto riguarda la stazza di Nico,
dai, è italiano, non può certo essere
piccino e delicato. Per quanto mi riguarda, Nico è diventato un
bel ragazzone, non enorme ma neppure mingherlino. Ed è abbronzato.
» Il nome della bambina è
pronunciato “Eilish”, io lo adoro.
Spero davvero che questa breve storiella vi
sia piaciuta e che avrete pazienza per un’autrice che non ha esperienza in
questo fandom.
Grazie infinite a tutti
coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia
ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di
pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie